Corte di Cassazione, sezione II civile, sentenza 8 giugno 2017, n. 14292

Nel condominio, in particolare nelle strutture più recenti, i fili elettrici, quelli del citofono o dell’antenna satellitare centralizzata, sono contenuti in corrugati che, al pari delle tubazioni delle acque nere o bianche e delle condutture dell’impianto di riscaldamento centralizzato, sono inserite nella muratura verticale e in quella orizzontale. Si creano, in questo modo, servitù a carico di tutti i condomini finalizzate al miglior godimento di ogni singola unità immobiliare di proprietà esclusiva

Suprema Corte di Cassazione

sezione II civile

sentenza 8 giugno 2017, n. 14292

REPUBBLICA ITALIANA

IN NOME DEL POPOLO ITALIANO

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE SECONDA CIVILE

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. BIANCHINI Bruno – Presidente

Dott. ORICCHIO Antonio – Consigliere

Dott. CORRENTI Vincenzo – Consigliere

Dott. FALASCHI Milena – Consigliere

Dott. DONGIACOMO Giuseppe – rel. Consigliere

ha pronunciato la seguente:

SENTENZA

sul ricorso 14696/2013 proposto da:

(OMISSIS), (OMISSIS), elettivamente domiciliato in (OMISSIS), presso lo studio dell’avvocato (OMISSIS), che lo rappresenta e difende unitamente agli avvocati (OMISSIS);

– ricorrente –

contro

CONDOMINIO DI (OMISSIS) ed (OMISSIS), in proprio e nella qualita’ di legale rappresentante della s.n.c. (OMISSIS), elettivamente domiciliati in (OMISSIS), presso lo studio dell’avvocato (OMISSIS), che lo rappresenta e difende unitamente all’avvocato (OMISSIS);

– controricorrenti –

avverso la sentenza n. 923/2013 della CORTE D’APPELLO di TORINO, depositata il 07/05/2013;

udita la relazione della causa svolta nella pubblica udienza del 11/04/2017 dal Consigliere Dott. GIUSEPPE DONGIACOMO;

udito il P.M., in persona del Sostituto Procuratore Generale Dott. CAPASSO Lucio, il quale ha chiesto il rigetto del ricorso;

udito, per il ricorrente, l’Avvocato (OMISSIS);

udito, per i controricorrenti, l’Avvocato (OMISSIS), per delega dell’Avvocato (OMISSIS).

SVOLGIMENTO DEL PROCESSO

(OMISSIS), con citazione notificata il 13/4/2006, ha convenuto in giudizio, innanzi al tribunale di Torino, il condominio di (OMISSIS), assumendo di essere il proprietario dell’appartamento sito al quarto piano e di aver scoperto, nel mese di (OMISSIS), in occasione di lavori effettuati nell’immobile di sua proprieta’, che, nella zona sottostante il pavimento del proprio alloggio, era collocata una tubazione idrica condominiale e, contestando l’esistenza di una servitu’, ha chiesto che il condominio fosse condannato alla rimozione della tubazione.

Si sono costituiti, contestando la domanda proposta, tanto il condominio convenuto, quanto l’interventore (OMISSIS), in proprio e nella qualita’ di legale rappresentante della s.n.c. (OMISSIS), proprietari dell’appartamento sottostante.

Il tribunale di Torino, con sentenza depositata in data 28/5/2008, dopo aver dato atto che – in base alle risultanze della consulenza tecnica d’ufficio – la tubazione esisteva quantomeno dal 1952 e che preesisteva, al pari del regolamento di condominio, trascritto il 22/7/1977, all’atto con il quale, in data (OMISSIS), (OMISSIS) ha acquistato l’immobile, ha rigettato la domanda proposta da quest’ultimo.

(OMISSIS), con atto notificato in data 25/7/2008, ha proposto appello nei confronti dell’indicata sentenza, insistendo per la condanna del condominio alla rimozione della tubazione.

A sostegno di tale conclusione, l’appellante ha dedotto che il condominio, pur avendone l’onere ai sensi dell’articolo 1079 c.c., non ha provato, neppure per presunzioni, l’epoca della costruzione dell’opera e, quindi, l’anteriorita’ della servitu’ rispetto all’atto di vendita in suo favore, presumendosi il preteso fondo servente libero da pesi e limitazioni. Ha, poi, contestato la riconoscibilita’ della servitu’ in forza del regolamento condominiale, richiamato al punto 3 dell’atto di compravendita, limitandosi tale regolamento a prevedere la comunione delle condutture dell’acqua potabile.

Il condominio si e’ costituito ed ha chiesto il rigetto del gravame ed, in subordine, in via di appello incidentale, l’accertamento del diritto dei proprietari sottostanti a mantenere le tubazioni nel posto in cui erano localizzate.

La corte d’appello di Torino, con sentenza depositata in data 7/5/2013, ha rigettato l’appello.

Dopo aver premesso che, alla luce degli accertamenti svolti dal consulente tecnico d’ufficio nel corso del giudizio di primo grado, la conduttura d’acqua che passa sotto l’appartamento dell’ (OMISSIS) e’ di proprieta’ condominiale e serve l’appartamento di proprieta’ di (OMISSIS) e della s.n.c. (OMISSIS), confinante a quello dell’appellante, la corte ha rilevato che il condominio e gli intervenuti, producendo in giudizio l’atto scritto di compravendita ed il regolamento di condominio, hanno adempiuto all’onere di provare l’acquisto della servitu’ in questione, che ha origine contrattuale, in quanto fondata sulla sua accettazione da parte dell’appellante al momento dell’acquisto del suo appartamento, come emerge dal punto 3 dell’atto di acquisto, dove e’ previsto – tra l’altro – che l’immobile e’ stato acquistato “… sotto il vigore e l’osservanza di tutti i diritti, obblighi, oneri, servitu’ attive e passive,… ed in genere di tutte le norme e rapporti giuridici di natura reale ed obbligatoria vigenti all’interno dello stabile di cui i locali venduti fanno parte, quali stabiliti, previsti, disciplinati o richiamati dal regolamento di condominio…”, trascritto in data anteriore all’atto di acquisto, compresa, dunque, la comunione delle condutture dell’acqua potabile e delle relative installazioni ed impianti, pur se comportanti una servitu’ passiva a carico dell’immobile.

Ne’ rileva – ha aggiunto la corte – che la servitu’ non fosse riconoscibile in assenza di visibilita’ dell’opera, posto che per le condutture d’acqua condominiali intramurarie non occorre la loro specifica indicazione, in quanto accettate globalmente dall’acquirente con l’accettazione del regolamento di condominio.

La corte, infine, ha rilevato che la servitu’, alla luce delle conclusioni cui e’ giunto il consulente tecnico d’ufficio nel giudizio di primo grado, e’ stata originariamente costituita per destinazione del padre di famiglia quando l’originario ed unico proprietario dell’edificio ha venduto i singoli appartamenti.

(OMISSIS), con ricorso notificato il 5.6/6/2013 e depositato il 20/6/2013, ha chiesto, per cinque motivi, la cassazione della sentenza resa dalla corte d’appello.

Con controricorso, notificato il 10/7/2013, resistono il condominio ed (OMISSIS), in proprio e quale legale rappresentante della s.n.c. (OMISSIS).

Il ricorrente ha depositato memoria ex articolo 378 c.p.c..

MOTIVI DELLA DECISIONE

1. Con il primo motivo, il ricorrente, lamentando – ai sensi dell’articolo 360 c.p.c., n. 3 – la violazione e la falsa applicazione dell’articolo 2697 c.c., censura la decisione gravata per aver ritenuto adempiuto l’onere dei convenuti (ed appellati) di provare l’esistenza della servitu’ mediante la produzione in giudizio del contratto di acquisto dell’immobile da parte dell’ (OMISSIS), in ragione dell’accettazione, ivi contenuta, di tutte le servitu’ passive esistenti nello stabile, quali risultano stabilite, previste e disciplinate dal regolamento di condominio. Sennonche’ – osserva il ricorrente – l’accettazione presuppone la preesistenza della servitu’, la quale, invece, e’ stata collocata di nascosto durante una sua relativamente recente assenza, mentre la risalenza dell’impianto al 1952 e’ dallo stesso consulente tecnico d’ufficio considerato come una mera ipotesi; d’altra parte, aggiunge il ricorrente, il regolamento di condominio, in quanto volto a disciplinare l’uso dei beni comuni da parte del condomini, non puo’ limitarne il godimento fino a svuotarlo del tutto e non e’, quindi, idoneo a costituire un diritto di servitu’ su un bene comune in favore di un bene di proprieta’ esclusiva di uno dei condomini.

2. Con il secondo motivo, il ricorrente, deducendo – ai sensi dell’articolo 360 c.p.c., n. 5 – l’omesso esame di un fatto decisivo per il giudizio, ha censurato la sentenza impugnata per non aver considerato che sul tracciato della tubatura non esiste idonea documentazione e che le conclusioni cui e’ pervenuto, peraltro in termini di mera probabilita’, il consulente tecnico, e cioe’ la risalenza della tubatura all’epoca della costruzione del fabbricato, e’ carente sul piano logico, avendo a tal fine dato esclusivo rilievo ad un mero fatto negativo, e cioe’ che le planimetrie dell’alloggio dell’ (OMISSIS) e quelle dell’alloggio confinante, tanto nella versione del 1952, quanto nelle loro configurazioni attuali, nulla dicono in ordine alle tubature, laddove, osserva il ricorrente, e’ normale che le planimetrie di un alloggio non rechino alcun segno della tubature sottostanti.

3. Con il terzo motivo, il ricorrente, contestando – ai sensi dell’articolo 360 c.p.c., n. 3 – la violazione e la falsa applicazione dell’articolo 2727 c.c., censura la sentenza gravata per avere, in violazione di quest’ultima norma, ritenuto provato un fatto ignorato, e cioe’ l’epoca di installazione della tubatura (nel 1952 o all’epoca di costruzione del fabbricato), pur in mancanza di elementi indiziari gravi, precisi e concordanti, non potendosi sostenere che tale fatto possa essere desunto, come ha fatto il consulente, sulla base di dati meramente ipotetici, e cioe’ secondo un criterio di normalita’ da stabilire alla stregua di canoni di probabilita’. D’altra parte – conclude il ricorrente – la consulenza non puo’ essere utilizzata per acquisire documentazione che la parte avrebbe potuto produrre.

4. Con il quarto motivo, il ricorrente, lamentando – ai sensi dell’articolo 360 c.p.c., n. 3 – la violazione e la falsa applicazione dell’articolo 1061 c.c., comma 1, censura la sentenza impugnata per avere ritenuto che la servitu’ sia sorta per destinazione del padre di famiglia pur se la stessa, in quanto relativa ad un tubo collocato tra due alloggi di una verticale, non e’ apparente.

5. Con il quinto motivo, il ricorrente, deducendo – ai sensi dell’articolo 360 c.p.c., n. 3 – la violazione e la falsa applicazione degli articoli 2697 e 1062 c.c., censura la sentenza impugnata per aver ritenuto costituita la servitu’ per destinazione del padre di famiglia pur in mancanza di prova da parte degli attuali fruitori dell’impianto che l’obiettiva situazione di asservimento gia’ esistesse nel momento in cui gli appartamenti in questione hanno cessato di appartenere al medesimo proprietario e, precisamente, nel momento in cui (OMISSIS) e la societa’ hanno acquistato il loro immobile. Ne’ – ha rilevato ancora il ricorrente – possono rilevare le clausole che, nell’atto di vendita, fanno riferimento allo stato di fatto preesistente, essendo pur sempre necessario, ai fini della costituzione volontaria di una servitu’, che l’atto indichi con certezza il fondo servente e quello dominante ed in cosa consista l’assoggettamento di uno all’utilita’ dell’altro.

6. La Corte ritiene necessario esaminare, in via prioritaria, il (quarto) motivo con il quale il ricorrente ha censurato la sentenza impugnata per aver ritenuto, in violazione dell’articolo 1061 c.c., comma 1, che la servitu’ in questione fosse sorta per destinazione del padre di famiglia pur se la stessa, in quanto relativa ad un tubo collocato tra due alloggi di una verticale, non e’ apparente.

La corte territoriale, in effetti, dopo aver accertato, in fatto, che la conduttura d’acqua, di proprieta’ condominiale, che passa al di sotto dell’appartamento dell’ (OMISSIS), serve l’appartamento di proprieta’ di (OMISSIS) e della s.n.c. (OMISSIS), ha ritenuto che la corrispondente servitu’ e’ sorta (oltre che per contratto, a seguito dell’accettazione della stessa contenuta nell’atto di acquisto in capo al ricorrente, anche, sia pur per il tramite dell’accertamento operato dal consulente tecnico d’ufficio) per destinazione del padre di famiglia, quando l’originario ed unico proprietario dell’immobile, che aveva dato luogo (con la predisposizione della tubatura) alla corrispondente situazione di fatto, ha venduto i singoli appartamenti.

Ora, premesso che tal ultimo fatto, per come accertato dal giudice di merito, non risulta essere stato specificamente contestato nel corso del relativo giudizio, e che la destinazione del padre di famiglia e’ configurabile, a norma dell’articolo 1061 c.c., comma 1, solo con riguardo alle servitu’ apparenti, vale a dire le servitu’ al cui esercizio sono destinate “opere visibile e permanenti”, si tratta di stabilire (non avendolo accertato la corte d’appello: in tal caso, si sarebbe trattato di una quaestio facti incensurabile in sede di legittimita’ se correttamene motivata: Cass. n. 1043/2001; Cass. n. 3243/2005) se e’, o meno, configurabile come apparente la servitu’ relativa alla tubazione d’acqua che passa al di sotto dell’appartamento del ricorrente.

La giurisprudenza di questa Corte e’ solita affermare, al riguardo, che, ai sensi dell’articolo 1061 c.c., comma 1, e’ apparente soltanto la servitu’ al cui esercizio risultino destinate opere permanenti e visibili dal fondo servente, in modo da renderne presumibile la conoscenza da parte del proprietario di quest’ultimo (cfr. Cass. n. 2290/2004; Cass. n. 321/1998).

La precisazione per cui le opere permanenti devono essere “visibili dal fondo servente” non costituisce, tuttavia, una specificazione del concetto di apparenza, come tale insensibile a connotazioni puramente topografiche, come dimostra l’irrilevanza – costantemente affermata da questa Corte – del fatto che le opere siano collocate sul fondo servente, su quello dominante o sul fondo di un terzo (Cass. n. 7817/2006; Cass. n. 6357/1997).

Questa Corte ha avuto, cosi’, occasione di precisare che la visibilita’ delle opere deve far capo ad un punto d’osservazione non necessariamente coincidente con il fondo servente, essendo essenziale, allo scopo, che queste rendano obiettivamente manifesta, per chi possegga detto fondo, la situazione di asservimento (Cass. n. 2994/2004; Cass. n. 2225/1976).

La visibilita’ dal fondo servente e’, dunque, un’ipotesi normale ma non per questo esclusiva, essendo, piuttosto, sufficiente che le opere destinate all’esercizio della servitu’ siano visibili – anche se solo saltuariamente ed occasionalmente (Cass. n. 6522/1993) – da qualsivoglia altro punto d’osservazione, anche esterno al fondo servente, purche’ il proprietario di questo possa accedervi liberamente, come nel caso in cui le opere siano visibili da una vicina via pubblica.

Non rileva, quindi, che l’opera sia a vista ne’ che il proprietario del fondo che si assume asservito abbia, in concreto, conoscenza dell’esistenza dell’opera.

L’apparenza della servitu’, senza la quale non e’ possibile la costituzione della servitu’ per destinazione del padre di famiglia, si identifica, in definitiva, nell’oggettiva e permanente sussistenza di opere suscettibili di essere viste (anche se, in concreto, ignorate) che, per la loro struttura e consistenza, inequivocamente denuncino il peso imposto su un fondo a favore dell’altro (Cass. n. 3556/1995).

Non e’, infine, necessario che l’apparenza, nei termini predetti, si estenda all’opera nel suo complesso: non e’, quindi, l’entita’ dell’opera che rileva ma le opere in quanto segno obiettivo ed inequivoco della loro destinazione ad una determinata servitu’ (Cass. n. 9371/1992; Cass. n. 5020/1996).

A fronte di tali principi, appare, allora, evidente alla Corte come la tubatura idrica, pur se collocata al di sotto del pavimento dell’appartamento che funge da fondo servente – ed incontestatamente oggetto di proprieta’ comune (in tal senso, del resto, Cass. n. 7761/2010) – costituisca senz’altro un’opera oggettivamente visibile (sia pur occasionalmente: come, in effetti, il ricorrente ha confermato ammettendo di aver accertato l’esistenza della tubatura in occasione di lavori svolti nel suo appartamento), anche solo in parte, dal proprietario dello stesso, che, di fatto, inequivocabilmente (come, appunto, e’ il caso di una tubazione che trasporta acqua), rivela, per struttura e consistenza, l’onere che grava sull’appartamento servente a vantaggio dell’altro.

Il motivo risulta, dunque, infondato.

7. Vengono, a questo punto, in rilievo i motivi (terzo e quinto) con i quali il ricorrente ha, in sostanza, lamentato che la sentenza impugnata abbia ritenuto, in violazione, rispettivamente, dell’articolo 2727 c.c. e dell’articolo 2697 c.c., che i resistenti abbiano provato l’oggettiva situazione di asservimento del suo immobile prima del suo acquisto e, precisamente, nel momento in cui gli appartamenti hanno cessato di appartenere al medesimo proprietario.

I motivi non sono fondati.

In materia di prove, infatti, il sindacato della Corte di cassazione puo’ essere invocato o quando il giudice di merito, nell’esercizio del suo potere discrezionale quanto alla scelta ed alla valutazione degli elementi probatori, abbia omesso di valutare quelle risultanze delle quali la parte abbia espressamente dedotto la decisivita’ (a meno che non ne abbia escluso la rilevanza in concreto indicando, sia pure succintamente, le ragioni del suo convincimento, il cui difetto ridonda, peraltro, in vizio della motivazione) ovvero quando, in contrasto con i principi della disponibilita’ e del contraddittorio delle parti sulle prove, abbia posto a base della decisione fatti ai quali erroneamente attribuisca il carattere della notorieta’ ovvero la propria scienza personale, cosi dando ingresso a prove non fornite delle parti e relative a fatti dalle stesse non vagliati ne’ discussi (Cass. n. 20382/2016).

Il sindacato della Corte di cassazione non puo’ essere, invece, esteso all’apprezzamento espresso dal giudice di merito in esito alla valutazione delle prove ritualmente acquisite, come, appunto, e’ accaduto nel caso di specie, dove il ricorrente, sia pur attraverso la formale deduzione di un vizio di violazione di norme giuridiche, quali sono, rispettivamente, quelle previste dall’articolo 2727 c.c. e dall’articolo 2697 c.c., tende, in realta’, ad ottenere un nuovo esame, da parte della Corte, delle prove raccolte e, quindi, dell’accertamento che il giudice di merito ne ha tratto, vale a dire, nella specie, che l’oggettiva situazione di asservimento dell’immobile del ricorrente e’, in fatto, insorta prima del suo acquisto e, precisamente, nel momento in cui gli appartamenti interessati hanno cessato di appartenere al medesimo proprietario.

8.Il primo motivo – con il quale il ricorrente ha dedotto la violazione e la falsa applicazione dell’articolo 2697 c.c., nella parte in cui la sentenza impugnata ha ritenuto adempiuto l’onere dei convenuti (ed appellati) di provare l’esistenza della servitu’ mediante la produzione in giudizio del contratto di acquisto dell’immobile da parte dell’ (OMISSIS), in ragione dell’accettazione, ivi contenuta, di tutte le servitu’ passive esistenti nello stabile, quali risultano stabilite, previste e disciplinate dal regolamento di condominio – e’ infondato.

La corte d’appello, in effetti, sebbene abbia espressamente affermato che la servitu’ ha origine contrattuale, in ragione dell’accettazione contenuta nel contratto d’acquisto da parte del ricorrente, ha, tuttavia, anche accertato – come in precedenza evidenziato – che la stessa e’ sorta, per destinazione del padre di famiglia, quando l’originario ed unico proprietario dell’immobile, che aveva dato luogo alla corrispondente situazione di fatto, ha venduto i singoli appartamenti.

Si tratta, come e’ evidente, di un accertamento che, avendo riguardo ad un fatto che determina l’acquisto a titolo originario del diritto di servitu’ e, quindi, idoneo ex se a fondare il rigetto della domanda, esclude ogni rilievo al parallelo accertamento (ed alle relative censure) dell’acquisto dello stesso a titolo derivativo e contrattuale.

Per le stesse ragioni, del tutto irrilevanti sono le censure, formulate nel contesto del motivo in esame, relative alla idoneita’ del regolamento di condominio a costituire una servitu’ (gravante, peraltro, non sui beni in comune, come assume il ricorrente, ma sui beni di uno dei condomini) ed alle conclusioni, formulate in termini meramente ipotetici, del consulente tecnico in ordine alla risalenza dell’impianto al 1952.

Quanto, infine, alla clandestina collocazione dell’impianto durante una recente assenza del ricorrente, si tratta, come e’ evidente, di fatto che non risulta formalmente dedotto nel corso del giudizio, quale emerge, senza contestazione alcuna, dalla sentenza impugnata.

9. Anche il secondo motivo – con il quale il ricorrente ha dedotto che la sentenza impugnata non ha considerato, pur trattandosi di fatto decisivo ai fini della decisione sul quale vi e’ stato dibattito tra le parti nel corso del processo, che sul tracciato della tubatura non esiste idonea documentazione e che le conclusioni cui e’ pervenuto il consulente tecnico, e cioe’ la risalenza della tubatura all’epoca della costruzione del fabbricato, e’ carente sul piano logico – non e’ ammissibile.

Premesso che i motivi del ricorso per cassazione devono investire questioni che abbiano formato oggetto del thema decidendum del giudizio di secondo grado, come fissato dalle impugnazioni e dalle richieste delle parti (Cass. n. 16742/2005) e che l’ipotesi della cd. “doppia conforme”, prevista dall’articolo 348 ter c.p.c., comma 5, e’ applicabile, ai sensi del Decreto Legge n. 83 del 2012, articolo 54, comma 2, conv. in L. n. 134 del 2012, solo ai giudizi d’appello introdotti (a differenza di quello che ha caratterizzato il presente giudizio) con ricorso depositato o con citazione di cui sia stata richiesta la notificazione dal giorno 11 settembre 2012, occorre rilevare come, nel caso in esame, l’atto d’appello – per come (incontestatamente) ricostruito nella sentenza della corte territoriale (e nello stesso ricorso per cassazione) – non ha investito ne’ la questione della mancanza di idonea documentazione in ordine al tracciato della tubatura ne’ la carenza logica delle conclusioni cui e’ pervenuto il consulente tecnico in ordine alla risalenza della tubatura all’epoca della costruzione del fabbricato.

Il motivo, del resto, non e’ fondato: l’accertamento operato dalla corte d’appello del fatto (destinazione del padre di famiglia) che determina l’acquisto a titolo originario del diritto di servitu’, esclude, infatti, ogni rilievo al parallelo accertamento (ed alle relative censure) dell’acquisto dello stesso diritto a titolo derivativo e contrattuale. Irrilevanti, quindi, sono i rilievi svolti dal ricorrente in ordine alle clausole che, nell’atto di vendita, fanno riferimento allo stato di fatto preesistente, essendo necessario, ai fini della costituzione volontaria di una servitu’, che l’atto indichi con certezza il fondo servente e quello dominante ed in cosa consista l’assoggettamento di uno all’utilita’ dell’altro: le clausole e le dichiarazioni contenute negli atti d’acquisto degli immobili interessati ad una servitu’ possono avere rilevanza, in sede di interpretazione dei medesimi, soltanto in caso di costituzione della servitu’ per titolo (articolo 1058 c.c.) e non certo quando, come nella specie, l’acquisto e’ stato determinato da destinazione del padre di famiglia.

10. Il ricorso, in definitiva, dev’essere respinto.

11. Le spese di lite seguono la soccombenza e sono liquidate in dispositivo.

12. La Corte da’ atto della sussistenza dei presupposti per l’applicabilita’ del Decreto del Presidente della Repubblica n. 115 del 2002, articolo 13, comma 1-quater, nel testo introdotto dalla L. n. 228 del 2012, articolo 1, comma 17.

P.Q.M.

La Corte rigetta il ricorso e condanna il ricorrente al rimborso delle spese in favore dei contro ricorrenti, che liquida in Euro 2.200,00, di cui Euro 200,00 per esborsi, oltre spese generali ed accessori come per legge. Da’ atto della sussistenza dei presupposti per l’applicabilita’ del Decreto del Presidente della Repubblica n. 115 del 2002, articolo 13, comma 1-quater, nel testo introdotto dalla L. n. 228 del 2012, articolo 1, comma 17.

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