Corte di Cassazione, sezione II civile, sentenza 14 novembre 2016, n. 23136

Non e’ ravvisabile fatto illecito, dal quale sia derivato un danno ingiusto risarcibile, nel comportamento osservato dal Comune, consistente nel rilascio di concessioni edilizie rivelatesi illegittime, e percio’ disapplicate, in quanto contrastanti con il Decreto Ministeriale n. 1444 del 1968, articolo 9, (norma che prescrive una distanza minima inderogabile immediatamente operante anche nei confronti dei privati dopo la predisposizione dello strumento urbanistico locale), non essendo configurabile un interesse legittimo pretensivo allo svolgimento di attivita’ edilizia oggettivamente non consentita dall’ordinamento, ne’ meritando tutela, alla stregua del diritto positivo, l’interesse al bene della vita correlato alle spese ed agli investimenti che la il richiedente la concessione era stato indotto a sostenere in conseguenza dell’affidamento riposto nelle illegittime concessioni edilizie conseguite

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Le distanze tra le costruzioni - II^ edizione

Suprema Corte di Cassazione

sezione II civile

sentenza 14 novembre 2016, n. 23136

REPUBBLICA ITALIANA
IN NOME DEL POPOLO ITALIANO
LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE
SEZIONE SECONDA CIVILE
Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:
Dott. MANNA Felice – Presidente
Dott. LOMBARDO Luigi Giovanni – Consigliere
Dott. ORICCHIO Antonio – Consigliere
Dott. PICARONI Elisa – Consigliere
Dott. SCARPA Antonio – rel. Consigliere
ha pronunciato la seguente:

SENTENZA

sul ricorso 29887/2014 proposto da:

(OMISSIS), (OMISSIS), (OMISSIS), elettivamente domiciliati in (OMISSIS), presso lo studio dell’avvocato (OMISSIS), che li rappresenta e difende;

– ricorrenti –

contro

COMUNE DI ROSETO DEGLI ABRUZZI, rappresentato e difeso dagli avvocati (OMISSIS), (OMISSIS);

PROVINCIA TERAMO, rappresentata e difesa dall’avvocato (OMISSIS);

(OMISSIS), (OMISSIS), (OMISSIS), (OMISSIS), (OMISSIS), (OMISSIS), (OMISSIS), elettivamente domiciliati in (OMISSIS), presso lo studio dell’avvocato (OMISSIS), rappresentati e difesi dall’avvocato (OMISSIS);

– controricorrenti –

avverso la sentenza n. 995/2014 della CORTE D’APPELLO di L’AQUILA, depositata il 01/10/2014;

udita la relazione della causa svolta nella pubblica udienza del 06/10/2016 dal Consigliere Dott. ANTONIO SCARPA;

Avvocati (OMISSIS), per delega dell’avvocato (OMISSIS), e (OMISSIS), per delega dell’avvocato (OMISSIS);

udito il P.M. in persona del Sostituto Procuratore Generale Dott. CAPASSO Lucio, che ha concluso per il rigetto del ricorso.

SVOLGIMENTO DEL PROCESSO

Con atto di citazione del 5 luglio 1999 davanti al Tribunale di Teramo, sezione distaccata di Atri, (OMISSIS), (OMISSIS) e (OMISSIS), proprietari di appartamenti facenti parte del Condominio (OMISSIS) (costruito tra il giugno 1965 ed il dicembre 1966) ed aventi affaccio sul lato sud, verso un’area antistante di proprieta’ di (OMISSIS), allegavano che quest’ultima, in virtu’ di plurime concessioni edilizie (n. (OMISSIS), (OMISSIS), (OMISSIS), (OMISSIS)), aveva iniziato in data 12 febbraio 1997 su detta area, distinta in catasto al foglio n. (OMISSIS), particelle (OMISSIS) e (OMISSIS), un’attivita’ edificatoria diretta a realizzare un fabbricato. L’edificio da ultimo eretto dalla (OMISSIS) era autonomo rispetto ad altro adiacente fabbricato, sempre di proprieta’ della stessa, ed era composto di quattro livelli (seminterrato, piano terra, primo piano e secondo piano). La (OMISSIS) nella costruzione, a dire degli attori, non aveva rispettato le distanze legali tra i fabbricati, che andavano dai metri 4,90 ad un massimo di metri 6,00, mentre i balconi si trovavano a distanza di metri tre. L’edificazione era avvenuta alla stregua delle norme tecniche di attuazione (N.T.A.) ed in particolare dell’articolo 22 che, con riferimento alle ipotesi di ristrutturazioni in ampliamento e di nuovi edifici, consentiva di costruire “alle stesse distanze dai confini degli edifici prospicienti ed insistenti sui lotti limitrofi all’area oggetto di intervento”, in violazione del Decreto Ministeriale 2 aprile 1968, articolo 9, che prevede “in tutti i casi la distanza minima di m. 10 tra pareti finestrate e pareti di edifici antistanti”. Pertanto, gli attori (OMISSIS), (OMISSIS) e (OMISSIS), convenendo (OMISSIS), chiedevano la disapplicazione dell’articolo 22 delle NTA e, conseguentemente, ai sensi dell’articolo 872 c.c., la riduzione in pristino fino alla distanza di metri 10 tra i balconi degli edifici oggetto della controversia. Si costituiva in giudizio (OMISSIS), chiedendo il rigetto della domanda, anche invocando una transazione stipulata il 16 maggio 1979, e presentando domanda riconvenzionale per l’arretramento degli immobili degli attori, costruiti non a distanza legale. La convenuta provvedeva altresi’ a chiamare in causa il Comune di Roseto degli Abruzzi e la Provincia di Teramo, domandando l’eventuale condanna degli stessi al risarcimento dei danni nel caso in cui il Tribunale avesse accolto la domanda degli attori. Si costituivano cosi’ anche il Comune di Roseto degli Abruzzi e la Provincia di Teramo, eccependo il difetto di giurisdizione dell’adito Tribunale e chiedendo il rigetto della domanda risarcitoria. Con sentenza del 17 settembre 2008 il Tribunale di Teramo, sezione distaccata di Atri, accoglieva la domanda presentata dagli attori, ritenendo inderogabile il disposto di cui al Decreto Ministeriale n. 1444 del 1968, articolo 9, avente efficacia anche nei confronti dei privati; rigettava la domanda riconvenzionale per intervenuta usucapione in favore dei convenuti del diritto di mantenere la costruzione a distanza illegale; disapplicava l’articolo 22 delle Norme tecniche di attuazione; disponeva la riduzione in pristino fino alla distanza di dieci metri tra i manufatti realizzati da (OMISSIS) ed i balconi del condominio (OMISSIS); rigettava la domanda di risarcimento dei danni proposta dalla convenuta nei confronti dei terzi chiamati.

Avverso tale sentenza proponevano appello (OMISSIS) e (OMISSIS), suo procuratore mandatario, chiedendo il rigetto della domanda degli attori e l’accoglimento delle proprie domande riconvenzionali verso gli attori e verso i terzi chiamati. Altro appello avverso la medesima sentenza, e percio’ riunito al primo, proponeva (OMISSIS), donatario di parte dei beni nell’anno 2004, e quindi successore nel diritto controverso ai sensi dell’articolo 111 c.p.c., rassegnando analoghe conclusioni. Si costituivano nel giudizio di secondo grado (OMISSIS), (OMISSIS), e, in luogo del de cuius (OMISSIS), gli eredi (OMISSIS), (OMISSIS), (OMISSIS), (OMISSIS) e (OMISSIS); si costituivano anche il Comune di Roseto degli Abruzzi e la Provincia di Teramo, tutti gli appellati chiedendo il rigetto del gravame. Le due impugnazioni venivamo entrambe rigettate dalla Corte d’Appello di L’Aquila con sentenza n. 995/2014 del 1 ottobre 2014. La Corte d’Appello, premesso come fosse stato rilevato dalla CTU, e risultasse peraltro pacificamente, che la nuova costruzione realizzata dalla (OMISSIS) distasse meno di dieci metri rispetto alle contigue pareti finestrate di proprieta’ (OMISSIS), (OMISSIS) e (OMISSIS), evidenziava la natura inderogabile del Decreto Ministeriale n. 1444 del 1968, articolo 9, con conseguente necessita’ di disapplicare gli strumenti urbanistici locali volti a derogarvi, quale, nella specie, l’articolo 22, lettera b, delle Norme tecniche di attuazione, secondo cui “In caso di ristrutturazioni in ampliamento e/o la costruzione di nuovi edifici per la parti che non superino i due piani di altezza fuori terra ed un’altezza massimo di 7,50 ml, ivi compresi quelli del punto o) del presente articolo… l’edificazione puo’ anche avvenire alle stesse distanze dei confini degli edifici prospicienti ed insistenti sui lotti limitrofi all’area oggetto di intervento alla data di adozione del PRG”. Veniva posto in risalto in motivazione come tale articolo 22, lettera b, fosse stato abolito dal Consiglio comunale di Roseto degli Abruzzi con delibera del 3 giugno 2010. Alla disapplicazione dell’articolo 22, lettera b, delle NTA conseguiva altresi’ la disapplicazione dei provvedimenti concessori rilasciati alla (OMISSIS). I giudici del gravame precisavano come, ai fini del calcolo delle distanze, si dovesse tener conto dei balconi, mentre non rilevasse la presenza di un muro di contenimento tra i due fabbricati. Si riconosceva, ancora, la legittimazione attiva degli originari attori, giacche’ condomini. Quanto alla riconvenzionale proposta da (OMISSIS) nei confronti di (OMISSIS), (OMISSIS) e (OMISSIS), la Corte di L’Aquila ribadiva che la transazione del 1979 non era stata sottoscritta dalla (OMISSIS) ed aveva comunque ad oggetto il lotto n. (OMISSIS), diverso da quelli oggetto di causa; confermava, peraltro, la maturata usucapione al mantenimento dell’edificio condominiale degli attori, in quanto costruito nel 1965, essendo stata, invece, la domanda di demolizione proposta nel luglio 1999. Anche a considerare un’eventuale efficacia interruttiva della transazione del 16 maggio 1979, risulterebbe trascorso il ventennio ad usucapionem al momento della domanda riconvenzionale. Per di piu’, sarebbe mancata la legittimazione passiva dei tre singoli condomini rispetto alla riconvenzionale, spettando essa al condominio. Di seguito, la Corte di L’Aquila confermava altresi’ il rigetto della domanda risarcitoria proposta da (OMISSIS) nei confronti del Comune di Roseto degli Abruzzi e della Provincia di Teramo. La Corte d’Appello affermava la sussistenza della giurisdizione ordinaria in ragione del momento di proposizione della lite (luglio 1999) e riconosceva in astratto la risarcibilita’ dei danni subiti dal privato in conseguenza di attivita’ provvedimentale illegittima della P.A., ma escludeva che nella fattispecie in esame fosse ravvisabile alcun profilo di colpa del Comune di Roseto degli Abruzzi e della Provincia di Teramo, visti i contrastanti orientamenti giurisprudenziali esistenti in ordine all’inderogabilita’ assoluta dell’articolo 9, d.m. n. 1444/1968 ad opera della normativa secondaria ed alla sua diretta efficacia nei rapporti fra privati. Sicche’, solo nel 2002 i funzionari del Comune di Roseto degli Abruzzi avevano formalmente sollevato la questione del possibile contrasto fra le Norme tecniche di attuazione e il citato articolo 9. Per di piu’, osservavano i giudici dell’appello, (OMISSIS) e (OMISSIS) avevano difeso l’operato del Comune e poi ne chiedevano affermarsi la responsabilita’ ai fini risarcitori. E dalla CTU espletata era emerso che (OMISSIS) non avesse indicato i balconi del confinante edificio condominiale nel progetto presentato al Comune.

Avverso la sentenza della Corte d’Appello di L’Aquila (OMISSIS), (OMISSIS) e (OMISSIS) hanno proposto ricorso articolato in quattro motivi. Resistono con tre distinti controricorsi (OMISSIS), (OMISSIS), (OMISSIS), (OMISSIS), (OMISSIS), (OMISSIS) e (OMISSIS), il Comune di Roseto degli Abruzzi e la Provincia di Teramo. I ricorrenti hanno presentato memoria ai sensi dell’articolo 378 c.p.c..

MOTIVI DELLA DECISIONE

Va premesso che l’avvocato (OMISSIS), difensore dei ricorrenti, in data 26 settembre 2016 ha depositato istanza di trattazione congiunta dei giudizi di cassazione RG n. 29885/2014 e n. 29887/2014, essendo stata la discussione del primo gia’ fissata per l’udienza del 6 ottobre 2016. Disposta cosi’, in accoglimento di quell’istanza, la discussione di entrambi i giudizi all’udienza indicata, il medesimo Avvocato (OMISSIS) ha depositato il 1 ottobre 2016 istanza di rinvio della stessa udienza, essendo egli impossibilitato a parteciparvi in quanto impegnato in pari data quale difensore nella trattazione di dieci giudizi davanti al Consiglio di Stato. I ricorrenti hanno comunque presentato memoria ai sensi dell’articolo 378 c.p.c. All’udienza di discussione del 6 ottobre 2016 l’Avvocato (OMISSIS), per delega dell’Avvocato (OMISSIS), difensore dei controricorrenti (OMISSIS), (OMISSIS), (OMISSIS), (OMISSIS), (OMISSIS), (OMISSIS) e (OMISSIS), si e’ opposto al rinvio.

Il Collegio disattende l’indicata istanza di rinvio dell’udienza di discussione della causa per grave impedimento del difensore dei ricorrenti, ai sensi dell’articolo 115 disp. att. c.p.c., istanza replicata all’udienza del 6 ottobre 2016 dall’Avvocato (OMISSIS), delegato in sostituzione del “dominus” impedito a presenziarvi, presupponendo tale rinvio l’impossibilita’ di sostituzione dell’avvocato, e non la mera concomitanza di suoi diversi impegni professionali di cui non sia provata neppure l’anteriorita’ rispetto alla presente controversia (cfr. Cass. Sez. 1, Sentenza n. 19583 del 27/08/2013; Cass. Sez. U, Ordinanza n. 4773 del 26/03/2012).

Sempre in via pregiudiziale, va ancora evidenziato come non risulti rispettato il termine di venti giorni, previsto dall’articolo 377 c.p.c., comma 2, per la comunicazione del decreto di fissazione dell’udienza di discussione. L’inosservanza risulta, tuttavia, sanata, quanto ai ricorrenti, avendo essi presentato memoria, ai sensi dell’articolo 378 c.p.c. (Cass. Sez. 1, Sentenza n. 11609 del 04/12/1990). Quanto ai controricorrenti (OMISSIS), (OMISSIS), (OMISSIS), (OMISSIS), (OMISSIS), (OMISSIS) e (OMISSIS), il loro difensore, Avvocato (OMISSIS), delegato dell’Avvocato (OMISSIS), e’ comunque comparso all’udienza di discussione del 6 ottobre 2016, senza eccepire l’irregolarita’ della comunicazione dell’avviso (Cass. Sez. U, Sentenza n. 9232 del 25/06/2002). In ordine, infine, ai controricorrenti Comune di Roseto degli Abruzzi e Provincia di Teramo, deve osservarsi che, risultando il ricorso “prima facie” infondato, appare superflua, pur sussistendone i presupposti, la fissazione di nuova udienza di discussione al solo fine di rinnovarne l’avviso ai medesimi controricorrenti, atteso che l’adempimento si tradurrebbe, oltre che in un aggravio di spese, in un allungamento dei termini per la definizione del giudizio di cassazione, senza comportare alcun beneficio per la garanzia dell’effettivita’ dei diritti processuali delle parti (arg. da Cass. Sez. U, Ordinanza n. 6826 del 22/03/2010).

1. Il primo motivo del ricorso di (OMISSIS), (OMISSIS) e (OMISSIS) deduce la violazione del Decreto Ministeriale n. 1444 del 1968, articolo 9, comma 3, in rapporto all’articolo 22 della Norme tecniche di attuazione del Piano Regolatore Generale del Comune di Roseto degli Abruzzi, nonche’ la violazione della L. n. 457 del 1978, articolo 27. Viene criticata la sentenza d’appello per non aver condiviso l’assunta conformita’ dell’articolo 22 della N.T.A. al Decreto Ministeriale n. 1444 del 1968, articolo 9, ovvero comunque alla L. n. 457 del 1978, articolo 27. I ricorrenti invocano la configurabilita’ dell’ipotesi di deroga di cui al comma 3 del citato articolo 9, ricorrente per i gruppi di edifici che formino oggetto di piani particolareggiati o lottizzazioni convenzionate con previsioni planivolumetriche, in quanto l’articolo 22 delle N.T.A. del P.R.G. del Comune di Roseto si riferiva alla sola Zona B del territorio comunale, prevedendo la deroga alle distanze maggiori “in considerazione… della particolare tessitura urbana comune a tutte le sottozone, al fine di conservare il carattere urbanistico ormai consolidatosi”. Inoltre, la deroga era stabilita per lo piu’ per le ristrutturazioni in ampliamento o le nuove costruzioni per le parti non eccedenti i due piani fuori terra e l’altezza massima di 7,50 ml. Inoltre, l’intervento edilizio della (OMISSIS) si collocava nella “Zona di recupero” individuata agli effetti della L. n. 457 del 1978, articolo 27, comma 1, circostanza non considerata dalla Corte d’Appello e confermata dalle successive determinazioni comunali del 6 agosto 2013 e 12 settembre 2013.

Il secondo motivo del ricorso di (OMISSIS), (OMISSIS) e (OMISSIS) allega la violazione della L. n. 1150 del 1942, articolo 41 quinquies, e dell’articolo 42 Cost. sostenendo che avrebbe errato la Corte d’Appello a ritenere applicabile il Decreto Ministeriale n. 1444 del 1968, articolo 9, in via diretta nei rapporti tra privati, avendo tale norma quale destinatari i soli comuni.

I due motivi di ricorso, che possono trattarsi congiuntamente per la loro connessione, sono infondati.

Secondo, infatti, l’ormai consolidato orientamento di questa Corte, in tema di distanze tra costruzioni, il Decreto Ministeriale 2 aprile 1968, n. 1444, articolo 9, comma 2, essendo stato emanato su delega della L. 17 agosto 1942, n. 1150, articolo 41 quinquies, (c.d. legge urbanistica), aggiunto dalla L. 6 agosto 1967, n. 765, articolo 17, ha efficacia di legge dello Stato, sicche’ le sue disposizioni in tema di limiti inderogabili di densita’, altezza e distanza tra i fabbricati prevalgono sulle contrastanti previsioni dei regolamenti locali successivi, ai quali si sostituiscono per inserzione automatica (Cass. Sez. U, Sentenza n. 14953 del 07/07/2011; Cass. Sez. 2, Sentenza n. 15458 del 26/07/2016; Cass. Sez. 2, Sentenza n. 3199 del 11/02/2008). Ne consegue che correttamente la Corte d’Appello di L’Aquila ha concluso nel senso che l’articolo 22, lettera b, delle Norme tecniche di attuazione del P.R.G. del Comune di Roseto degli Abruzzi, vigente catione temporis, (secondo cui “In caso di ristrutturazioni in ampliamento e/o la costruzione di nuovi edifici per la parti che non superino i due piani di altezza fuori terra ed un’altezza massimo di 7,50 mi, ivi compresi quelli del punto o) del presente articolo… l’edificazione puo’ anche avvenire alle stesse distanze dei confini degli edifici prospicienti ed insistenti sui lotti limitrofi all’area oggetto di intervento alla data di adozione del PRG”), essendo in contrasto con le previsioni del citato articolo 9, doveva essere disapplicato dal giudice ordinario, a norma della L. 20 marzo 1865, n. 2248, articolo 5, all. E.

Quanto, in particolare, alla tesi sostenuta nel secondo motivo di ricorso, questa Corte ha precisato come il Decreto Ministeriale 2 aprile 1968, n. 1444 (emanato in esecuzione della norma sussidiaria della L. 17 agosto 1942, n. 1150, articolo 41 quinquies, introdotto dalla legge 6 agosto 1967, n. 765), ed in particolare l’articolo 9 di tale decreto, impone determinati limiti edilizi ai comuni nella formazione o nella revisione degli strumenti urbanistici, ma non e’ immediatamente operante nei rapporti tra privati. Cio’ significa, pero’, che i limiti in tema di distanze prescritti dall’articolo 9 del Decreto Ministeriale citato non sono direttamente applicabili nei rapporti tra privati finche’ non siano stati inseriti negli strumenti appositamente formati o revisionati, mentre l’adozione, da parte degli enti locali, di strumenti urbanistici contrastanti con la citata norma (come appunto avvenuto nel caso per cui e’ in lite, con l’approvazione il 10 gennaio 1990 del Piano Regolatore generale del Comune di Roseto degli Abruzzi e delle realtive N.T.A.) fa insorgere l’obbligo per il giudice di merito non solo di disapplicare le disposizioni illegittime, ma proprio di applicare immediatamente la disposizione del menzionato articolo 9, divenuta, per inserzione automatica, parte integrante dello strumento urbanistico, in sostituzione della norma illegittima che e’ stata disapplicata (Cass. Sez. 2, Sentenza n. 27558 del 31/12/2014; Cass. Sez. 2, Sentenza n. 7563 del 30/03/2006).

I ricorrenti sostengono, poi, che fosse, tuttavia, integrata nella specie l’ipotesi derogatoria contemplata dal Decreto Ministeriale 2 aprile 1968, n. 1444, articolo 9, u.c., che consente ai comuni di prescrivere distanze inferiori a quelle previste dalla normativa statale ove le costruzioni siano incluse nel medesimo piano particolareggiato o nella stessa lottizzazione.

Ora, l’invocato Decreto Ministeriale 4 aprile 1968, n. 1444, articolo 9, u.c., riguarda soltanto le distanze tra costruzioni insistenti su fondi che siano inclusi tutti in un medesimo piano particolareggiato o per costruzioni entrambe facenti parte della medesima lottizzazione convenzionata (Cass. Sez. U, Sentenza n. 1486 del 18/02/1997). Ove le costruzioni non siano comprese nel medesimo piano particolareggiato o nella stessa lottizzazione, la disciplina sulle relative distanze non e’, quindi, recata dal Decreto Ministeriale 2 aprile 1968, n. 1444, articolo 9, u.c., bensi’ dallo stesso articolo 9, comma 1, quale disposizione di immediata ed inderogabile efficacia precettiva (Cass. Sez. 2, Sentenza n. 12424 del 20/05/2010). Come piu’ generalmente affermato da Corte cost. 23 gennaio 2013, n. 6, il Decreto Ministeriale n. 1444 del 1968, articolo 9, u.c., costituisce espressione di una “sintesi normativa”, consentendo che siano fissate distanze inferiori a quelle stabilite dalla normativa statale, pur provvista di “efficacia precettiva e inderogabile”, solo nei limiti ivi indicati, ovvero a condizione che le deroghe all’ordinamento civile delle distanze tra edifici siano “inserite in strumenti urbanistici, funzionali a conformare un assetto complessivo e unitario di determinate zone del territorio”. Nel caso in esame, la Corte d’Appello ha negato che si fosse in presenza di un gruppo di edifici inclusi in un medesimo piano particolareggiato, ovvero di costruzioni facenti parte della medesima lottizzazione convenzionata. Il primo motivo del ricorso di (OMISSIS), (OMISSIS) e (OMISSIS), prospettato in rubrica sub specie di violazione del Decreto Ministeriale n. 1444 del 1968, articolo 9, comma 3, e dell’articolo 22 della N.T.A., nella sua esposizione, a ben vedere, non deduce un’erronea interpretazione o applicazione, da parte del provvedimento impugnato, della fattispecie astratta recata dalle citate norme di legge, ma allega un’erronea ricognizione della fattispecie concreta a mezzo delle risultanze di causa, profilo correlato alla tipica valutazione del giudice di merito, la cui censura e’ possibile, in sede di legittimita’, solo sotto l’aspetto dell’omesso esame di fatto decisivo nella motivazione della sentenza. Ne’ puo’ seguirsi il ragionamento dei ricorrenti, secondo cui la previsione dell’articolo 22, lettera b, delle N.T.A. sarebbe comunque assimilabile alle ipotesi, aventi valida portata derogatoria, contemplate nel Decreto Ministeriale n. 1444 del 1968, articolo 9, comma 3, diverse essendo le norme tecniche di attuazione dei piani regolatori, le quali hanno natura regolamentare e danno luogo ad uno strumento meramente secondario e subalterno, rispetto ai piani particolareggiati ed alle lottizzazioni convenzionate, i quali danno luogo ad uno strumento urbanistico esecutivo.

La questione subordinatamente proposta col primo motivo di ricorso, attinente alla qualificazione dell’intervento edilizio attuato dalla (OMISSIS) come rientrante in un piano di recupero, ai sensi dell’articolo 27, e seguenti della L. 5 agosto 1978, n. 457, non e’ affrontata nella sentenza impugnata, sicche’ sarebbe stato onere della parte ricorrente, al fine di non far dubitare dell’inammissibile novita’ della censura, non solo di allegare l’avvenuta deduzione di tale questione innanzi al giudice di merito, ma anche di indicare in quale specifico atto difensivo del giudizio precedente lo avesse fatto, onde dar modo a questa Corte di controllare “ex actis” la veridicita’ di tale asserzione. In sede di legittimita’ non e’ infatti consentita la proposizione di nuove questioni di diritto, quando esse presuppongano o comunque richiedano, come quella qui avanzata, nuovi accertamenti o apprezzamenti di fatto preclusi alla Corte di cassazione.

2. Il terzo motivo di ricorso deduce violazione degli articoli 1158, 1165, 2943 e 2944 e “delle norme in materia di usucapione in materia di diritti immobiliari e di possesso ad usucapionem”. Si ha riguardo alla riconvenzionale proposta da (OMISSIS) nei confronti di (OMISSIS), (OMISSIS) e (OMISSIS), rigettata perche’ la Corte di L’Aquila confermava la maturata usucapione al mantenimento dell’edificio condominiale degli attori, in quanto costruito nel 1965, essendo invece la domanda del 1999. I ricorrenti sostengono che la transazione del 16 maggio 1979 avesse efficacia interruttiva dell’usucapione, giacche’ sottoscritta da (OMISSIS), procuratore di (OMISSIS) ed avesse ad oggetto proprio il lotto sul quale era stata eretta la costruzione; inoltre, vengono elencati nel terzo motivo di ricorso numerosi altri atti aventi valenza interruttiva dell’usucapione, quali la citazione del 24 gennaio 1979 e tutti i momenti del procedimento relativo alla domanda di concessione domandata il 27 maggio 1996. Si nega, infine, l’ammissibilita’ dell’usucapione del diritto al mantenimento dell’edificio costruito in violazione delle distanze, trattandosi di “illecito permanente” non soggetto a prescrizione.

Il terzo motivo e’ infondato.

La decisivita’ delle obiezioni mosse dai ricorrenti sulla efficacia interruttiva dell’usucapione rivestita dalla transazione del 16 maggio 1979 e dalla notifica della citazione in data 24 gennaio 1979 e’ smentita da una delle autonome rationes decidendi adoperate, ovvero dall’essere comunque trascorso, a far tempo da tali atti, il ventennio ad usucapionem al momento in cui venne poi proposta la domanda riconvenzionale del presente giudizio nel luglio 1999, essendo stato il Condominio (OMISSIS), che comprendeva la proprieta’ degli attori (OMISSIS), (OMISSIS) e (OMISSIS), realizzato nel 1965. La valenza agli effetti dell’interruzione dell’usucapione, invece, della domanda di concessione edilizia in data 27 maggio 1996 e delle successive istanze di concessione in variante ed in sanatoria provenienti da (OMISSIS) risultano inammissibilmente dedotte per la prima volta in cassazione, laddove l’accertamento dell’esistenza di atti validamente interruttivi dell’usucapione costituisce indagine di fatto riservata al giudice di merito. Spetta, invero, comunque al giudice di merito apprezzare se determinati atti possano in concreto costituire una denuncia della violazione delle distanze legali da parte del proprietario del fondo vicino, volta ad ottenere l’arretramento della sua costruzione, in maniera da salvaguardare il proprio diritto di proprieta’ dalla costituzione di una servitu’ di contenuto contrario al limite violato ed impedirne il suo acquisto per usucapione.

I ricorrenti, infine, confondono l’imprescrittibilita’ dell’azione diretta ad ottenere il rispetto delle distanze legali, la quale davvero non si estingue per il decorso del tempo, con gli effetti dell’eventuale usucapione, la quale da’ luogo all’acquisto del diritto di una servitu’ avente ad oggetto il mantenimento della costruzione a distanza inferiore a quella fissata dalle norme del codice civile o da quelle dei regolamenti e degli strumenti urbanistici locali (Cass. Sez. 2, Sentenza n. 4240 del 22/02/2010; Cass. Sez. 2, Sentenza n. 19289 del 07/09/2009).

3. Il quarto motivo di ricorso denuncia la violazione dell’articolo 2043 c.c., e la nullita’ della sentenza ai sensi dell’articolo 132 c.p.c., comma 2, n. 4, quanto all’affermazione, resa dalla Corte d’Appello di L’Aquila, dell’insussistenza della responsabilita’ aquiliana del Comune di Roseto degli Abruzzi e della Provincia di Teramo per i danni subiti dai ricorrenti. La Corte d’Appello ha escluso la ravvisabilita’ della colpa del Comune di Roseto degli Abruzzi e della Provincia di Teramo per i contrastanti orientamenti giurisprudenziali esistenti in ordine all’inderogabilita’ assoluta del Decreto Ministeriale n. 1444 del 1968, articolo 9, ad opera della normativa secondaria ed alla sua diretta efficacia nei rapporti fra privati. Osservano i ricorrenti che tali contrasti interpretativi, tuttavia, mai avessero riguardato la cogenza della citata norma nei confronti della amministrazioni locali, e cio’ gia’ all’epoca dell’adozione delle N.T.A. del P.R.G. del Comune di Roseto degli Abruzzi (1990). Cio’ darebbe luogo ad una motivazione inesistente imputabile alla Corte di L’Aquila ed alla conseguente nullita’ della sentenza impugnata. Era, del resto, la stessa sentenza di secondo grado a dare atto di come sin dal 2002 i funzionari del Comune di Roseto degli Abruzzi avessero formalmente sollevato la questione della possibile incompatibilita’ delle Norme tecniche di attuazione con il citato articolo 9. Nonostante, dunque, il chiaro quadro interpretativo sulla prevalenza del Decreto Ministeriale n. 1444 del 1968, articolo 9, rispetto alle norme comunali, il Comune di Roseto degli Abruzzi aveva colposamente emanato l’articolo 22 della N.T.A. e poi rilasciato i permessi edificatori ai ricorrenti.

Deve premettersi che non e’ oggetto di questo giudizio di cassazione la verifica della sussistenza della giurisdizione del giudice ordinario in ordine alla prospettata domanda risarcitoria proposta da privati contro il Comune e la Provincia per il danno derivatogli dall’illegittimita’ delle norme urbanistiche e delle concessioni edilizie loro rilasciate. La Corte d’Appello ha affermato che tale domanda risaliva al luglio 1999 e doveva percio’ regolarsi in favore dell’A.G.O secondo la distinzione tra diritti soggettivi ed interessi legittimi, in quanto a quell’epoca la materia dell’urbanistica e dell’edilizia non rientrava ancora nella giurisdizione esclusiva amministrativa, stante la declaratoria di incostituzionalita’ del Decreto Legislativo n. 80 del 1998, articolo 34. In verita’, la materia edilizia era gia’ appartenente alla giurisdizione esclusiva del giudice amministrativo in base alla L. 28 gennaio 1977, n. 10, articolo 16, (cfr. Cass. Sez. U, Ordinanza n. 12794 del 15/06/2005). Tuttavia, la questione della giurisdizione non e’ qui riesaminabile in assenza di specifico gravame sul punto.

Anche questo quarto motivo e’ comunque infondato.

Innanzitutto, la nullita’ ex articolo 132 c.p.c., n. 4, suppone che nella sentenza sia totalmente omessa, per materiale mancanza, la parte della motivazione riferibile ad argomentazioni rilevanti per individuare e comprendere le ragioni, in fatto e in diritto, della decisione, la’ dove quanto scritto da pagina 18 a pagina 22 della pronuncia della Corte di L’Aquila fa perfettamente comprendere le ragioni per cui e’ stato rigettato il motivo di gravame inerente la sussistenza dell’elemento soggettivo dell’illecito aquiliano attribuito alla pubbliche amministrazioni chiamate in causa.

Quanto all’assunto della violazione dell’articolo 2043 c.c., deve osservarsi come i ricorrenti abbiano, come visto, prospettato un obbligo risarcitorio del Comune di Roseto degli Abruzzi e della Provincia di Teramo per effetto dell’emanazione dell’articolo 22, lettera b, delle Norme tecniche di attuazione del P.R.G. del Comune di Roseto degli Abruzzi (ovvero di disposizioni di natura regolamentare), norma illegittima perche’ contrastante con il Decreto Ministeriale n. 1444 del 1968, articolo 9, nonche’ per effetto del rilascio delle concessioni edilizie in favore della (OMISSIS). Si tratta, pertanto, di ipotesi peculiare, in quanto i privati qui non lamentano, come accade di frequente, l’illegittimo diniego di concessioni edilizie da parte della P.A., ovvero il danno da lesione di interessi legittimi pretensivi, quanto il rilascio di concessioni edilizie rivelatesi illegittime, che avevano fatto costruire un immobile in violazione di norme inderogabili.

La pretesa risarcitoria dei ricorrenti e’, allora, non meritevole di accoglimento, come correttamente deciso in dispositivo dai giudici del merito, seppure va prescelta una diversa motivazione di tale statuizione, ai sensi dell’articolo 384 c.p.c., comma 4.

Questa Corte afferma costantemente che la responsabilita’ della P.A., ai sensi dell’articolo 2043 c.c., per l’esercizio illegittimo della funzione pubblica, e’ configurabile qualora si verifichi un evento dannoso che incida su un interesse rilevante per l’ordinamento e che sia eziologicamente connesso ad un comportamento della P.A. caratterizzato da dolo o colpa, non essendo sufficiente la mera illegittimita’ dell’atto a determinarne automaticamente l’illiceita’. Ne consegue che il criterio di imputazione della responsabilita’ non e’ correlato alla sola illegittimita’ del provvedimento, ma ad una piu’ complessa valutazione, estesa all’accertamento dell’elemento soggettivo e della connotazione dell’azione amministrativa come fonte di danno ingiusto (tra i precedenti piu’ recenti, Cass. Sez. 3, Sentenza n. 23170 del 31/10/2014; Cass. Sez. 6 – 3, Ordinanza n. 4172 del 15/03/2012; Cass. Sez. 3, Sentenza n. 22508 del 28/10/2011; Cass. Sez. 3, Sentenza n. 12282 del 27/05/2009; Cass. Sez. 3, Sentenza n. 6005 del 15/03/2007).

Deve dunque affermarsi che non e’ ravvisabile fatto illecito, dal quale sia derivato un danno ingiusto risarcibile, nel comportamento osservato dal Comune di Roseto degli Abruzzi e dalla Provincia di Teramo, consistente nell’emanazione dell’articolo 22, lettera b, delle Norme tecniche di attuazione del P.R.G. del Comune di Roseto degli Abruzzi e nel rilascio in favore di (OMISSIS) di concessioni edilizie rivelatesi illegittime, e percio’ disapplicate, in quanto contrastanti con il Decreto Ministeriale n. 1444 del 1968, articolo 9, (norma che prescrive una distanza minima inderogabile immediatamente operante anche nei confronti dei privati dopo la predisposizione dello strumento urbanistico locale), non essendo configurabile un interesse legittimo pretensivo allo svolgimento di attivita’ edilizia oggettivamente non consentita dall’ordinamento, ne’ meritando tutela, alla stregua del diritto positivo, l’interesse al bene della vita correlato alle spese ed agli investimenti che la (OMISSIS) era stata indotta a sostenere in conseguenza dell’affidamento riposto nelle illegittime concessioni edilizie conseguite (cfr. Cass. Sez. 1, Sentenza n. 7479 del 27/03/2007).

4. Consegue il rigetto del ricorso e la regolazione secondo soccombenza delle spese del giudizio di cassazione, liquidate in dispositivo in favore dei controricorrenti.

Sussistono le condizioni per dare atto – ai sensi della L. 24 dicembre 2012, n. 228, articolo 1, comma 17, che ha aggiunto il testo unico di cui al Decreto del Presidente della Repubblica 30 maggio 2002, n. 115, articolo 13, comma 1 quater, – dell’obbligo di versamento, da parte dei ricorrenti, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello dovuto per le stesse impugnazioni integralmente rigettate.

P.Q.M.

La Corte rigetta il ricorso e condanna i ricorrenti a rimborsare ai controricorrenti le spese sostenute nel giudizio di cassazione, che liquida sia in favore di (OMISSIS), (OMISSIS), (OMISSIS), (OMISSIS), (OMISSIS), (OMISSIS) e (OMISSIS), sia in favore del Comune di Roseto degli Abruzzi, sia in favore della Provincia di Teramo in complessivi Euro 3.200,00, di cui Euro 200,00 per esborsi, oltre a spese generali e ad accessori di legge.

Ai sensi del Decreto del Presidente della Repubblica n. 115 del 2002, articolo 13, comma 1 quater, inserito dalla L. n. 228 del 2012, articolo 1, comma 17, dichiara la sussistenza dei presupposti per il versamento, da parte dei ricorrenti, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello dovuto per i ricorsi, a norma dello stesso articolo 13, comma 1 bis

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