fallimento-impresa

Suprema Corte di Cassazione

sezione I

sentenza del 22 maggio 2014, n. 11423

REPUBBLICA ITALIANA
IN NOME DEL POPOLO ITALIANO
LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE
SEZIONE PRIMA CIVILE
ha pronunciato la seguente:
SENTENZA
 
sul ricorso proposto da:
SOCIETA’ IN LIQUIDAZIONE
– RICORRENTE –
contro
FALLIMENTO M.
– INTIMATI –
avverso la sentenza della Corte d’appello di Milano n. 2031/11 depositata il 4 luglio 2011;
SVOLGIMENTO DEL PROCESSO
La Corte d’appello di Milano ha respinto il reclamo proposto dalla società farmaceutica M. in liquidazione avverso la sentenza con cui il Tribunale della stessa città aveva dichiarato il suo fallimento a seguito della pronuncia di inammissibilità della proposta di concordato preventivo.
La Corte ha osservato:
– che era infondata l’eccezione di difetto di audizione della società debitrice sulla proposta di concordato, ai sensi della L. Fall., art. 162, atteso che in relazione alle plurime istanze di fallimento e al deposito della domanda di concordato la società debitrice era stata sentita all’udienza di discussione, dal cui verbale risultava che aveva avuto modo di illustrare la proposta e di fornire i chiarimenti necessari, mentre la concessione del termine richiesto dai suoi difensori era una mera facoltà, non un dovere del giudice;
– che il Tribunale, nel dichiarare inammissibile la proposta di concordato, non aveva esercitato un sindacato sulla fattibilità della stessa, ma aveva evidenziato alcuni aspetti rilevanti in ordine alla sua serietà e idoneità ad essere adeguatamente valutata dai creditori, stigmatizzando l’inadeguatezza della relazione accompagnatoria del professionista in particolare con riferimento al fatto che la D.s.r.l., il cui socio all’80 % e amministratore unico era anche socio al 75 % e legale rappresentante della società fallita, aveva ricevuto in affitto, solo tre giorni prima della dichiarazione del fallimento e a condizioni economiche più vantaggiose di quelle indicate nella proposta di concordato, un ramo (quello più vitale) dell’azienda, ed era inspiegabile la capacità di detta società – non qualificata come imprenditore farmaceutico e con un capitale aumentato da 10.000 a 100.000 Euro, dei quali però solo 40.000 versati – di gestire con successo un’azienda con un passivo di oltre 176 milioni di Euro e di corrispondere all’affittante la somma di 64 milioni di Euro in cinque anni; sicchè il Tribunale non aveva fatto altro che svolgere il proprio ruolo di tutela della corretta informazione dei creditori e di valutazione giuridica della proposta.
La SOCIETA’ IN LIQUIDAZIONE ha proposto ricorso per cassazione articolando tre motivi di censura, cui non hanno resistito gli intimati curatore del fallimento e creditori istanti.
MOTIVI DELLA DECISIONE
1. – Va esaminato anzitutto il TERZO MOTIVO di ricorso, che precede gli altri due nell’ordine logico, ponendo la questione della violazione del diritto di difesa sull’assunto che il Tribunale avrebbe dovuto fissare un’autonoma udienza per dibattere dell’ammissibilità del concordato, ai sensi della L. Fall., art. 162, e non introdurre tale oggetto nell’udienza prefallimentare fissata per l’esame delle istanze di fallimento proposte dai creditori.
1.1. – Il motivo è infondato. La L. Fall., art. 162, si limita a prevedere che la declaratoria d’inammissibilità della proposta di concordato preventivo sia emessa “sentito il debitore in camera di consiglio”, e nulla vieta che tale audizione coincida con quella relativa ad eventuali istanze di fallimento, coitì è anzi consigliato dalla stretta connessione di quella proposta e di quelle istanze, suscettibili di sfociare in provvedimenti – il decreto d’inammissibilità del concordato e la sentenza dichiarativa del fallimento – a loro volta strettamente connessi, al punto che si ritiene che il primo ben possa essere contenuto nella seconda (Cass. 12986/2009).
2. – Con il PRIMO e il SECONDO MOTIVO di ricorso, tra loro connessi e dunque esaminabili congiuntamente, denunciando violazione di norme di diritto e vizio di motivazione si sostiene che, nel valutare l’adeguatezza della relazione del professionista attestatore, il Tribunale, prima, e la Corte d’appello, poi, avrebbero in sostanza operato un giudizio di merito sulla fattibilità economica del piano di concordato, che prevedeva l’affitto dell’azienda farmaceutica della debitrice ad altra società, la cui effettiva capacità economico-patrimoniale a far fronte alla situazione, e quindi a corrispondere i canoni d’affitto necessari all’adempimento della proposta concordataria, non poteva esser vagliata direttamente dal giudice.
2.1. – La complessiva censura va accolta sotto l’assorbente profilo della violazione di norme di diritto.
2.1.1. – Sulla questione della rilevabilità d’ufficio del difetto di fattibilità del piano concordatario si sono pronunciate, in epoca posteriore al deposito del ricorso ora in esame, le Sezioni Unite di questa Corte con la sentenza n. 1521 del 2013, alla quale occorre dunque rifarsi.
Le Sezioni Unite premettono che anche la fattibilità, intesa come prognosi di concreta realizzabilità del piano concordatario, è presupposto di ammissibilità del concordato, sul quale il giudice deve pronunciarsi esercitando un sindacato che non è “di secondo grado”, non si esercita, cioè, sulla sola completezza e congruità logica dell’attestazione del professionista di cui alla L. Fall., art. 161, comma 3, ma consiste nella verifica diretta del presupposto stesso; distinguono, quindi, tra fattibilità giuridica, intesa come non incompatibilità del piano con norme inderogabili, e fattibilità economica, intesa come realizzabilità nei fatti del medesimo.
Il sindacato del giudice sulla fattibilità giuridica non ha particolari limiti; la fattibilità economica, invece, è intrisa di valutazioni prognostiche fisiologicamente opinabili e comportanti un margine di errore, nel che è insito anche un margine di rischio, del quale è ragionevole siano arbitri i soli creditori, in coerenza con l’impianto generale prevalentemente contrattualisitico dell’istituto del concordato. Di conseguenza le Sezioni Unite, con riferimento alla fattibilità economica, individuano un solo profilo su cui si esercita il sindacato officioso dal giudice (fermo, ovviamente, il controllo della completezza e correttezza dei dati informativi forniti dal debitore ai creditori, con la proposta di concordato e i documenti allegati, ai fini della consapevole espressione del loro voto): quello della verifica della sussistenza o meno di una assoluta, manifesta non attitudine del piano presentato dal debitore a raggiungere gli obbiettivi prefissati, ossia a realizzare la causa concreta del concordato, individuabile caso per caso in riferimento alle specifiche modalità indicate dal proponente per superare la crisi mediante una sia pur minimale soddisfazione dei creditori chirografari in un tempo ragionevole (causa in astratto). Di fronte alla manifesta irrealizzabilità del piano, invero, non c’è da effettuare valutazioni o da assumere rischi di sorta.
2.1.2. – La Corte d’appello non si è, di fatto, attenuta ai criteri indicati dalle Sezioni Unite, poichè gli elementi sui quali ha basato la decisione d’inammissibilità della proposta di concordato non configurano ragioni d’incompatibilità del piano con norme inderogabili (difetto di “fattibilità giuridica”), nè d’altra parte evidenziano con chiarezza un deficit informativo per i creditori. Se è vero che la Corte afferma di voler limitare il proprio giudizio all’adeguatezza dell’attestazione di fattibilità del professionista, e dunque arrestarsi sulla soglia del controllo di completezza e razionalità della motivazione di detta attestazione, è vero anche che la medesima Corte esprime dei dubbi circa la possibilità della società affittuaria di produrre risultati imprenditoriali sufficienti ad assicurare il pagamento del canone d’affitto occorrente al soddisfacimento delle esigenze del concordato; dubbi che finiscono per sconfinare nel merito della valutazione di fattibilità economica del piano, sul quale il giudice non può direttamente intervenire.
3. – La sentenza impugnata va pertanto cassata, in relazione alla censura accolta, con rinvio al giudice indicato in dispositivo, il quale si atterrà ai principi di diritto enunciati sopra al paragrafo 2.1.1 e provvederà anche sulle spese del giudizio di legittimità.
P.Q.M.
La Corte accoglie il ricorso nei sensi di cui in motivazione, cassa la sentenza impugnata e rinvia, anche per le spese, alla Corte d’appello di Milano in diversa composizione.
Così deciso in Roma, nella Camera di Consiglio, il 12 febbraio 2014.
Depositato in Cancelleria il 22 maggio 2014

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