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Suprema Corte di Cassazione

sezione I

sentenza del 11 gennaio 2013, n. 1490

Ritenuto in fatto

Con sentenza 14/5/10 il Gup del Tribunale di Bergamo, in esito a giudizio abbreviato, con le attenuanti generiche e la diminuente del rito, condannava T.A. alla pena di anni 4 di reclusione e di giorni 14 di arresto ed Euro 500 di ammenda per i reati (…) di tentato omicidio in danno di A.L. (che investiva con l’auto e sul quale passava due volte con la stessa sul corpo caduto a terra: capo A) e guida in stato di ebbrezza (capo B). Con le statuizioni in favore della parte civile costituita.
Con sentenza 10/6/11, in parziale riforma, la Corte di Appello di Brescia riduceva la pena inflitta per il capo A ad anni 3, mesi 1 e giorni 10 di reclusione, convertiva la pena detentiva inflitta per il capo B in Euro 3.500 di ammenda e determinava la pena complessiva per il detto capo in 4.000 Euro di ammenda. Con conferma nel resto.
I fatti, secondo la ricostruzione dei giudici di appello. Alla fine di una festa di compleanno da lui stesso organizzata per il fratello in un bar del (…) , il DJ A.T. era venuto a diverbio con uno degli altri due DJ che avevano condotto la serata e con gli amici di quelli, un gruppo di ragazzi di (…). Dopo la lite il T. , mentre gli altri erano fuori, si era trattenuto nel locale per riordinare gli strumenti. Quando infine era uscito ed era salito sulla propria auto, aveva rivolto una frase offensiva all’indirizzo dei (…), che si erano avvicinati minacciosi. Era a quel punto che aveva fatto prima una brusca retromarcia e poi era ripartito in avanti sgommando, andando ad investire uno dei ragazzi che, defilato dagli altri, in quel momento (come la stessa p.o. dichiara) era chinato a mettere il guinzaglio al proprio cane. Il ragazzo, A. , rimaneva sotto la vettura, con la quale il T. subito ripartiva, nonostante si fosse accorto dell’urto e della presenza dell’investito sotto le ruote. Da questa ricostruzione (fatta sulla base delle dichiarazioni del più favorevole dei testi neutrali e di quelle della p.o.) la Corte escludeva l’intento omicida nella prima parte dell’azione, ma lo ravvisava nella seconda, stante la brusca e determinata ripartenza dell’imputato (per sfuggire agli altri giovani che si facevano dappresso, colpendo l’auto a calci e intimandogli di scendere), benché consapevole del ragazzo travolto sotto le ruote.
Ricorreva per cassazione la difesa del T. , dolendosi con unico motivo del fatto che la CdA, nonostante la condivisibile ricostruzione dei fatti, avesse negato la legittima difesa essendosi messo lo stesso imputato in una situazione di pericolo, ingiuriando gli antagonisti e investendo la p.o. Replicava al proposito che il primo fatto era in risposta agli insulti in precedenza ricevuti e il secondo non era voluto. Chiedeva pertanto il riconoscimento dell’esimente in parola o, in subordine, l’eccesso colposo della legittima difesa (conseguente la derubricazione del reato in lesioni colpose ed una minor pena, nei limiti della sospensione condizionale).
Alla pubblica udienza fissata per la discussione il PG chiedeva il rigetto del ricorso, il difensore d’ufficio presente l’accoglimento.

Considerato in diritto

Il ricorso, infondato, va respinto. Premesso che i fatti sono sostanzialmente incontestati, va dato atto che il giudice di appello ha compiuto un’utile e corretta distinzione tra i due segmenti dell’azione. Fino al momento in cui il T. , nella frenesia di allontanarsi dalla minaccia degli altri (anche se da lui stesso provocata), ha investito l’A. , nulla può essergli addebitato a titolo di dolo, ma da quando egli, accortosi dell’investimento e consapevole che l’investito era a terra sotto le ruote, ritenne di allontanarsi passando sul suo corpo con l’auto, ha certamente agito nell’indifferenza del risultato in danno della parte lesa (specialmente considerando che il travolto, defilato o meno, apparteneva al gruppo dei (…). In tale situazione ipotizzare la legittima difesa è un fuor di luogo, per l’evidente assoluta sproporzione tra una lite tra ragazzi e la condotta estrema posta in essere da chi alle conseguenze di quella lite voleva sottrarsi. Ed a fronte di una tale sproporzione neppure può ipotizzarsi un eccesso colposo. È giurisprudenza consolidata di legittimità (v. per tutte Cass., sez. I, sent. n. 45425 del 25/10/05, rv. 233352) che “i presupposti essenziali della legittima difesa sono costituiti da un’aggressione ingiusta e da una reazione legittima: mentre la prima deve concretarsi nel pericolo attuale di un’offesa che, se non neutralizzata tempestivamente, sfocia nella lesione di un diritto (personale o patrimoniale) tutelato dalla legge, la seconda deve inerire alla necessità di difendersi, alla inevitabilità del pericolo e alla proporzione tra difesa e offesa. L’eccesso colposo sottintende i presupposti della scriminante con il superamento dei limiti a quest’ultima collegati, sicché, per stabilire se nel fatto si siano ecceduti colposamente i limiti della difesa legittima, bisogna prima accertare la inadeguatezza della reazione difensiva, per l’eccesso nell’uso dei mezzi a disposizione dell’aggredito in un preciso contesto spazio temporale e con valutazione ex ante, e occorre poi procedere ad una ulteriore differenziazione tra eccesso dovuto ad errore di valutazione ed eccesso consapevole e volontario, dato che solo il primo rientra nello schema dell’eccesso colposo delineato dall’art. 55 c.p.”. E nel caso in esame, come su rilevato, il T. , lungi dal commettere un errore di valutazione, ha posto in essere un eccesso consapevole e volontario.
Al rigetto del ricorso segue la condanna del ricorrente al pagamento delle spese processuali.

P.Q.M.

rigetta il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese processuali.

Depositata in Cancelleria il 11.01.2013

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