Corte di Cassazione, sezione I penale, sentenza 23 maggio 2016, n. 21196

In caso di successione di disposizioni diverse concernenti benefici penitenziari, che non attengono ne’ alla cognizione del reato, ne’ all’irrogazione della pena, ma alle modalita’ esecutive di questa, non operano le regole dettate dall’articolo 2 c.p., ne’ il principio costituzionale di irretroattivita’ delle disposizioni in pejus, ma quelle vigenti al momento della loro applicazione

 

Suprema Corte di Cassazione

sezione I penale

sentenza 23 maggio 2016, n. 21196

REPUBBLICA ITALIANA
IN NOME DEL POPOLO ITALIANO
LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE
SEZIONE PRIMA PENALE
Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:
Dott. CORTESE Arturo – Presidente
Dott. SARACENO Rosa Anna – Consigliere
Dott. BONI Monica – Consigliere
Dott. DI GIURO Gaetano – Consigliere
Dott. MINCHELLA Antoni – rel. Consigliere
ha pronunciato la seguente:

SENTENZA

sul ricorso proposto da:

(OMISSIS) N. IL (OMISSIS);

avverso l’ordinanza n. 1068/2014 TRIB. SORVEGLIANZA di VENEZIA, del 16/12/2014;

sentita la relazione fatta dal Consigliere Dott. MINCHELLA Antonio;

lette le conclusioni del PG Dott. VIOLA Alfredo Pompeo, che ha chiesto il rigetto del ricorso.

RILEVATO IN FATTO

Con ordinanza in data 16.12.2014 il Tribunale di Sorveglianza di Venezia rigettava il reclamo proposto da (OMISSIS) avverso il provvedimento in data 28.03.2014 del Magistrato di Sorveglianza di Venezia, con il quale si dichiarava inammissibile una istanza di rivalutazione della liberazione anticipata gia’ concessa per il periodo 02.10.2009/01.10.2013, sulla scorta dell’espiazione della pena per omicidio.

Il detenuto proponeva reclamo, sostenendo che la richiesta era stata avanzata nella vigenza del Decreto Legge n. 146 del 2013, che non precludeva il beneficio sulla base dell’articolo 4 bis o.p. ma lo subordinava al requisito del concreto recupero sociale; si sosteneva che la decisione negativa doveva ritenersi configgente con i principi costituzionali di cui agli articoli 3 e 27 Cost..

Il Tribunale di Sorveglianza respingeva ogni prospettazione del condannato: negava si potesse parlare di diritto intertemporale poiche’ il decreto legge non convertito perde efficacia sin dall’inizio per cui non vi era un fenomeno di successioni di leggi; parimenti, la natura processuale delle norme del diritto penitenziario escludeva il principio dell’applicazione della legge piu’ favorevole giacche’, nella fattispecie, era stato applicata la norma vigente al momento della decisione; ed ancora non poteva applicarsi il principio della pronunzia CEDU del 17.09.2009 in tema di rito abbreviato poiche’ l’articolo 442 c.p.p., nella parte in cui prevede il trattamento sanzionatorio, ha natura sostanziale; non si ravvisava disparita’ di trattamento con gli altri detenuti poiche’ la scelta del Legislatore era stata aliena da irragionevolezza; si escludeva l’invocazione della irretroattivita’ della norma piu’ sfavorevole o del favor rei, poiche’ non si versava in tema di norme sostanziali; si rimarcava che il beneficio speciale ha una ratio diversa da quella dell’ordinario e cioe’ lo scopo della deflazione carceraria, per cui ben poteva il Legislatore effettuare una scelta normativa diversa, a tutela delle sicurezza collettiva.

Avverso detto decreto ricorre per cassazione il (OMISSIS) a mezzo del suo Difensore, deducendo, come motivo, la violazione di legge: si sostiene che la L. n. 10 del 2014, articolo 4, comma 1, disciplina un istituto diverso ma affine a quello della L. n. 10 del 2014, articolo 4, comma 2, e cioe’ quello che afferisce ai semestri successivi all’entrata in vigore della legge (per i quali e’ prevista la preclusione dell’articolo 4 bis o.p.) mentre l’altro riguarda i semestri gia’ trascorsi alla data di pubblicazione del decreto legge; i due istituti prevedono l’uno la partecipazione all’opera rieducativa nel semestre de quo mentre il successivo prevede la costante adesione che va al di la’ del singolo semestre e perdura per tutto il tempo sino alla decisione, senza pero’ la preclusione normativa. Ed ancora si sostiene che non vi e’ stata alcuna mancata conversione del decreto legge, poiche’ il testo dello stesso e’ rimasto sostanzialmente invariato e vi e’ stata soltanto una aggiunta di testo alla L. n. 10 del 2014, articolo 4, comma 1, con conseguente applicazione della successione di leggi nel tempo; quanto al tempo da valutare, esso doveva essere quello della proposizione dell’istanza, altrimenti il diritto del condannato sarebbe stato condizionato da fattori casuali e sarebbe leso il diritto di vedere definito il procedimento al quale l’istanza ha dato avvio.

Il P.G. si esprime per il rigetto del ricorso.

CONSIDERATO IN DIRITTO

Il ricorso non puo’ essere accolto.

Preliminarmente va detto che da tempo e’ consolidato l’orientamento di questa Corte secondo il quale, in caso di successione di disposizioni diverse concernenti benefici penitenziari, che non attengono ne’ alla cognizione del reato, ne’ all’irrogazione della pena, ma alle modalita’ esecutive di questa, non operano le regole dettate dall’articolo 2 c.p., ne’ il principio costituzionale di irretroattivita’ delle disposizioni in pejus, ma quelle vigenti al momento della loro applicazione.

Nello specifico, il ricorso evoca l’applicazione della disciplina speciale di particolare favore recata dal Decreto Legge 23 dicembre 2013, articolo 4, che estende a settantacinque giorni per ogni singolo semestre di pena scontata la liberazione anticipata prevista dalla L. 26 luglio 1975, n. 354, articolo 54. La vicenda procedimentale si colloca “a cavallo” della conversione in legge del Decreto Legge 23 dicembre 2013, che al comma 4, eliminato dalla legge di conversione, prevedeva che “Ai condannati per taluno dei delitti previsti dalla L. 26 luglio 1975, n. 354, articolo 4 bis, la liberazione anticipata puo’ essere concessa nella misura di settantacinque giorni, a norma dei commi precedenti, soltanto nel caso in cui abbiano dato prova, nel periodo di detenzione, di un concreto recupero sociale, desumibile da comportamenti rivelatori del positivo evolversi della personalita’”, mentre ora, per effetto delle modifiche al comma 1, apportate dalla medesima legge, consente il riconoscimento della maggiore detrazione di pena “Ad esclusione dei condannati per taluno dei delitti previsti dalla L. 26 luglio 1975, n. 354, articolo 4 bis”.

In base al testo convertito in legge, ed ora in vigore, il ricorrente non puo’ dunque in alcun modo beneficiare della disciplina di favore, essendo in espiazione pena per omicidio aggravato, ovverosia per un delitto previsto dalla L. n. 354 del 1975, articolo 4 bis.

Sostiene il ricorso che le modifiche apportate in sede di conversione in legge non si applicherebbero al condannato, che aveva fatto istanza prima di detta conversione, vuoi perche’ la normativa di cui si discute, incidendo sulla pena avrebbe carattere sostanziale, vuoi perche’ occorrerebbe comunque far riferimento al momento della domanda. Eccepisce inoltre la illegittimita’ costituzionale della disciplina di minor favore, o di esclusione del trattamento di speciale favore, per i condannati per i delitti di cui all’articolo 4 bis o.p..

Ora, pero’, la tesi della natura sostanziale della disciplina evocata e dell’applicabilita’ della normativa in vigore al momento della domanda e’ contraddittoria: se fosse vero, difatti, che la disciplina della liberazione anticipata soggiace alle regole dell’articolo 2 c.p. e articolo 25 Cost., sarebbe da applicare la legge piu’ favorevole vigente al momento del fatto e sarebbe solo da valutare se per momento del “fatto” possa intendersi quello in cui e’ stato commesso il reato, ovvero – come sembra piu’ corretto trattandosi di fattispecie che non riguarda la fattispecie sostanziale e non incide sulla sanzione da infliggere e in concreto inflitta, ma attiene alla meritevolezza di sconti della pena collegati alla condotta serbata durante la espiazione – il tempo in cui si e’ tenuto il comportamento di cui si chiede la valutazione al fine del beneficio. Mentre l’applicazione della regola che fa riferimento alla disciplina vigente al momento della domanda (in base al principio generale di cui costituisce espressione l’articolo 5 c.p.c.) postulerebbe che si verta al contrario in materia attinente alla giurisdizione o alla competenza, ovverosia in materia squisitamente processuale.

Per sola completezza va comunque sottolineato che sia la giurisprudenza costituzionale (bastera’ ricordare C. cost. ord. n. 10 del 1981; sent. n. 376 del 1997) sia la giurisprudenza della Corte EDU costantemente escludono che in materia di benefici penitenziari in genere e di liberazione anticipata in particolare sia applicabile il principio della irretroattivita’ della legge piu’ sfavorevole. Ed espressamente anche Corte EDU, sent. Grande Camera del 21.10.2013, Del Rio Prada contro Spagna, ric. n. 42750/09 evidenzia che “Sia la Commissione sia la Corte hanno delineato nella loro giurisprudenza una distinzione tra una misura che costituisce in sostanza una pena e una misura che riguarda l’esecuzione o l’applicazione della pena. Conseguentemente, se la natura e il fine della misura riguarda la detrazione di pena o una modifica del regime di liberazione anticipata, essa non fa parte della pena ai sensi dell’articolo 7”. La Corte ha ritenuto che le modifiche apportate alle norme sulla liberazione anticipata successivamente alla condanna facessero parte del regime generale applicabile ai detenuti, e lungi dall’essere punitivi, la natura e il fine della misura erano di consentire la liberazione anticipata, pertanto non potevano essere considerati intrinsecamente severe.

Soprattutto, pero’, e’ da osservare che le deduzioni del ricorrente che evocano principi in vario modo regolanti il fenomeno della successione di leggi nel tempo, non s’attagliano al differente fenomeno in esame, che concerne la sorte delle disposizioni di decreti – legge non recepite nella legge di conversione e che trae regola direttamente dall’articolo 77 Cost..

L’articolo 77 Cost., comma 3, dispone difatti che “I decreti perdono efficacia sin dall’inizio, se non sono convertiti in legge entro sessanta giorni dalla loro pubblicazione. Le Camere possono tuttavia regolare con legge i rapporti giuridici sorti sulla base dei decreti non convertiti”.

Non deroga, ne’ potrebbe, a tale norma di rango superiore la L. n. 400 del 1988, articolo 15, comma 5, laddove dispone che “Le modifiche eventualmente apportate al decreto-legge in sede di conversione hanno efficacia dal giorno successivo a quello della pubblicazione della legge di conversione, salvo che quest’ultima non disponga diversamente …”, giacche’ la disposizione sta solo a prevedere che, diversamente da quanto in precedenza doveva ritenersi, tutti gli emendamenti approvati in sede di conversione entrano in vigore il giorno successivo a quello della pubblicazione della relativa legge, e non piu’ dopo il decorso dell’ordinaria vacatio legis se nulla espressamente era disposto al riguardo (cfr. Cass. Civ. Sez. 1, sent. n. 4781 del 02/05/1991, Rv. 471926; Sez. 3, sent. n. 6368 del 07/06/1995, Rv. 492709).

In altri termini, l’efficacia del decreto-legge (in tutto o in parte) non convertito che puo’ farsi salva e’ da ritenere per principio circoscritta ai soli atti o “rapporti giuridici sorti sulla base dei decreti non convertiti” e non puo’ in alcun modo essere estesa sino al riconoscimento di un diritto o di una aspettativa per comportamenti o situazioni precedenti quando la relativa domanda era ancora sub judice al momento della conversione del decreto. Come osserva, difatti, C. cost. n. 51 del 1985, “articolo 77 Cost., comma 3 e u.c., mentre collega la mancata conversione a una vicenda di alternativita’ sincronica fra situazioni normative, in nessun caso considera la norma dettata con decreto-legge non convertito come norma in vigore in un tratto di tempo quale quello anzidetto; ed anzi, se interpretato sia in riferimento al suo specifico precetto (privazione, per il decreto – legge non convertito, di ogni effetto fin dall’inizio), sia in riferimento al sistema in cui esso si colloca (inspirato – come appare anche dagli altri due commi dell’articolo 77 Cost. – a maggior rigore nella riserva al Parlamento della potesta’ legislativa) vieta di considerarla tale”. Dunque, “indipendentemente da quello che possa ritenersi in proposito della norma dettata con decreto-legge ancora convertibile, la norma contenuta in un decreto-legge non convertito non ha… attitudine, alla stregua dell’articolo 77 Cost., comma 3 e u.c., ad inserirsi in un fenomeno “successorio”, quale quello descritto e regolato dall’articolo 2 c.p., commi 2 e 3″, ovverosia in un fenomeno successorio concernente norme penali sostanziali per le quali vale il principio di irretroattivita’ delle disposizioni di sfavore, “limitatamente alla sancita applicabilita’ delle disposizioni di cui all’articolo 2 c.p., commi 2 e 3, al caso del decreto-legge non convertito, e quindi alla sancita operativita’ della norma penale favorevole, se in esso contenuta, relativamente ai fatti pregressi”.

A maggior ragione, percio’, nella materia in esame (a cui non si applicano le disposizioni dell’articolo 2 c.p. e dell’articolo 25 Cost., e neppure quelle dell’articolo 7 CEDU), non puo’ ritenersi suscettibile di avere vigore ultrattivo, per i comportamenti pregressi, la disposizione del decreto-legge, non recepita dalla legge di conversione, che a detti comportamenti pregressi collegava un effetto favorevole.

Manifestamente infondata e’ da ritenere infine la questione di legittimita’ costituzionale prospettata con riferimento all’esclusione dei condannati per i reati di cui all’articolo 4 bis o.p. dalla disciplina di favore in tema di liberazione anticipata. Al proposito e’ da chiarire: in primo luogo, che, riferendosi il ricorso a un condannato per il reato di omicidio, la questione sarebbe rilevante nel caso in esame solo con riferimento ai condannati per i reati di cui all’articolo 575 c.p. In secondo luogo, che la disciplina di cui si discute rappresenta, per definizione espressa del Legislatore, una disciplina “speciale”, che estende con alcune eccezioni i vantaggi conseguenti a un beneficio penitenziario gia’ previsto e applicabile indiscriminatamente a tutti i condannati.

Non si e’ in presenza, percio’, di una situazione in cui l’accesso al beneficio e’ in radice precluso per il condannato per il delitto di omicidio. Si assiste invece al fenomeno di una disposizione speciale, che amplia a certe condizioni gli effetti di favore, escludendo pero’ i condannati per detto reato. E’ agevole quindi l’osservazione che, trattandosi di disposizione speciale di favore, in tanto sarebbe possibile porre un problema di irragionevole diversita’ di trattamento in quanto fossero individuabili situazioni assolutamente omologhe differentemente e meglio trattate, da porre quali termini di paragone appropriati. Ma, come e’ da ritenere acquisito, il delitto di omicidio ha natura e connotazioni di immanente pericolosita’ di tale peculiarita’ che nessun termine di paragone con i delitti non compresi nella fascia di eccezione risulta utilmente istituibile.

Ne consegue che si deve escludere che l’eccezione prevista dalla disposizione speciale di favore possa essere ritenuta intrinsecamente irragionevole e di per se’ in contrasto con l’articolo 27 Cost. (cfr Sez. 1, n. 34073 del 27.06.2014, Rv 260848, Pres. Giordano U., Est. Di Tornassi M.).

Per le ragioni esposte il ricorso deve essere rigettato. Segue la condanna del ricorrente al pagamento delle spese processuali.

P.Q.M.

Rigetta il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese processuali

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