Corte di Cassazione, sezione I penale, sentenza 23 maggio 2016, n. 21204

Il sopravvenuto difetto di interesse all’impugnazione e’ una causa di inammissibilita’ che prevale su quella della rinuncia all’impugnazione, eventualmente concorrente, perche’ piu’ favorevole, non comportando la condanna al pagamento delle spese: infatti, il venir meno dell’interesse, sopraggiunto alla proposizione del ricorso, non configura un’ipotesi di soccombenza e pertanto il ricorrente non deve essere condannato ne’ alle spese processuali ne’ al pagamento della sanzione in favore della cassa delle ammende

Suprema Corte di Cassazione

sezione I penale

sentenza 23 maggio 2016, n. 21204

REPUBBLICA ITALIANA
IN NOME DEL POPOLO ITALIANO
LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE
SEZIONE PRIMA PENALE
Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:
Dott. CORTESE Arturo – Presidente
Dott. CAVALLO Aldo – Consigliere
Dott. SARACENO Rosa Anna – Consigliere
Dott. BONI Monica – Consigliere
Dott. MINCHELLA Antoni – rel. Consigliere
ha pronunciato la seguente:

SENTENZA

sul ricorso proposto da:

(OMISSIS) N. IL (OMISSIS);

avverso l’ordinanza n. 1835/2015 TRIB. SORVEGLIANZA di TORINO, del 28/04/2015;

sentita la relazione fatta dal Consigliere Dott. MINCHELLA Antonio;

lette le conclusioni del PG Dott. MAZZOTTA Gabriele, che ha chiesto dichiararsi l’inammissibilita’ del ricorso.

RILEVATO IN FATTO

Risulta in atti che il ricorrente (OMISSIS) era stato raggiunto da ordine di esecuzione relativo alla pena di mesi due e giorni venti di reclusione per il reato di danneggiamento commesso nell’anno (OMISSIS).

Relativamente a detta esecuzione egli aveva avanzato istanza di affidamento in prova al servizio sociale e di detenzione domiciliare.

Con ordinanza in data 28.04.2015 il Tribunale di Sorveglianza di Torino rigettava la richiesta di affidamento in prova al servizio sociale, concedendo pero’ al (OMISSIS) la detenzione domiciliare con possibilita’ di svolgere attivita’ lavorativa. Rilevava il Giudice che il (OMISSIS) era gravato da altre cinque condanne per disturbo delle persone, resistenza a pubblico ufficiale, detenzione illecita di sostanze stupefacenti e guida in stato di ebbrezza; raggiunto dall’Avviso Orale, egli aveva comunque iniziato a svolgere con regolarita’ un’attivita’ lavorativa e la polizia giudiziaria aveva confermato l’assenza di rapporti con forme di criminalita’. Tuttavia il Tribunale di Sorveglianza negava il beneficio di maggiore ampiezza poiche’ la notevole brevita’ della pena espianda non avrebbe consentito un’effettiva messa alla prova del condannato: ma la positivita’ complessiva della informazioni permettevano di concedergli la detenzione domiciliare e di consentirgli, altresi’, di continuare a svolgere attivita’ di lavoro.

Avverso detta ordinanza proponeva ricorso l’interessato a mezzo del suo Difensore, deducendo erronea applicazione della legge penale e difetto di motivazione ex articolo 606 c.p.p., comma 1, lettera b) ed e): si evidenziava che l’ordinanza impugnata era totalmente priva di qualsiasi valutazione prognostica relativa al richiedente e si era limitata ad affermare che la brevita’ della pena non avrebbe realizzato una vera messa alla prova, di fatto ignorando il lasso di tempo trascorso dall’ultimo reato, lo svolgimento di una attivita’ lavorativa regolare, la stabilita’ del domicilio, la vita in famiglia e l’allontanamento da ogni contesto criminale; si concludeva che l’esclusione apodittica del beneficio maggiore era illegittima.

Prima dell’udienza il ricorrente ha fatto pervenire una espressa rinunzia al suo ricorso, spiegando che ormai la pena e’ stata espiata.

CONSIDERATO IN DIRITTO

Il ricorso deve essere dichiarato inammissibile per sopravvenuta carenza di interesse. Per come visto sopra, il ricorrente aveva richiesto, in via principale, l’affidamento in prova al servizio sociale, ma il Tribunale di Sorveglianza di Torino aveva ritenuto piu’ confacente alla situazione complessiva la concessione della detenzione domiciliare: al (OMISSIS) era stato comunque consentito di continuare a svolgere attivita’ lavorativa.

Non era stata disposta la sospensione dell’esecuzione dell’ordinanza, per cui, sia pure in pendenza del ricorso in esame, la pena aveva iniziato la sua concreta espiazione in forma alternativa.

Prima dell’udienza, dunque, il ricorrente ha fatto pervenire una espressa rinunzia al suo ricorso, spiegando che ormai la pena e’ stata espiata.

Cio’ rende inammissibile il ricorso stesso, poiche’ la rinunzia e’ indice inequivoco, oltre che esplicito, di mancanza di interesse in senso giuridico: detta mancanza e’ resa evidente, peraltro, dalla ormai avvenuta espiazione della pena nella forma della detenzione domiciliare; su questo piano, nulla il ricorso ed il suo eventuale accoglimento potrebbero aggiungere alla situazione concreta.

Per costante giurisprudenza di questa Corte, il requisito dell’interesse richiesto per l’ammissibilita’ delle impugnazioni deve sussistere, oltre che nel momento della proposizione della doglianza, anche in quello della sua decisione, dovendo esso configurarsi in maniera concreta ed attuale, e non gia’ come pretesa all’esattezza giuridica della decisione sotto un profilo unicamente teorico.

Il sopravvenuto difetto di interesse all’impugnazione e’ una causa di inammissibilita’ che prevale su quella della rinuncia all’impugnazione, eventualmente concorrente, perche’ piu’ favorevole, non comportando la condanna al pagamento delle spese: infatti, il venir meno dell’interesse, sopraggiunto alla proposizione del ricorso, non configura un’ipotesi di soccombenza e pertanto il ricorrente non deve essere condannato ne’ alle spese processuali ne’ al pagamento della sanzione in favore della cassa delle ammende (Cass. Pen. , Sez. 1, 04.11.1994 n. 4077 Rv 242816; Sez. 6 n. 19209 del 31.01.2013, Rv 256225).

P.Q.M.

Dichiara inammissibile il ricorso per sopravvenuta carenza di interesse

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