Corte di Cassazione, sezione I civile, sentenza 27 ottobre 2016, n.21741

Il giudizio di separazione personale e quello di divorzio presentano differenti causa petendi e petitum nonché ulteriori diversità riscontrabili in ordine agli effetti del giudizio. Alla luce di ciò, al fine di valutare la sussistenza di un contrasto di giudicati ostativo al riconoscimento di una sentenza di divorzio straniera, non può effettuarsi alcuna comparazione rispetto ad una sentenza di separazione emessa in Italia

SUPREMA CORTE DI CASSAZIONE

SEZIONE I CIVILE

SENTENZA 27 ottobre 2016, n.21741

Ritenuto in fatto

La Corte d’Appello di Perugia ha respinto la domanda di riconoscimento della sentenza di divorzio emessa dal Tribunale di Palma Soriano (Cuba) il 18/12/2013 promossa da B.M.F. . Il vincolo coniugale era stato instaurato tra il richiedente e R.H.I. .
La parte convenuta si è opposta al riconoscimento sostenendo che il M. si era impegnato con separazione consensuale omologata dal giudice italiano a rinunciare a qualsiasi pretesa ed effetto derivante dai procedimenti civili e penali pendenti nei confronti della R. nonché di quello di divorzio instaurato a Cuba che “s’intenderà rinunciato ipso iure e facto con l’avvenuta omologa della separazione consensuale”.
La Corte d’appello ha accolto parzialmente la domanda di riconoscimento sulla base delle seguenti argomentazioni:
Il decreto di omologazione del Tribunale di Perugia della separazione personale dei coniugi M. -R. contiene alcune statuizioni nettamente divergenti rispetto alla sentenza straniera di divorzio. Il primo ha stabilito la potestà congiunta di entrambi i genitori sul figlio minore;
il collocamento presso la madre, l’assegnazione ad essa della casa coniugale con regolamentazione del diritto di visita e fissazione di un contributo al mantenimento di 1.000 Euro mensili in favore del figlio e 300 in favore della moglie; la sentenza di divorzio cubana invece ha disposto l’affidamento del figlio ad entrambi i genitori con cadenza di 15 giorni; con collocamento del minore presso il padre, ha negato alla moglie il diritto ad un assegno di mantenimento imponendolo a carico della stessa in favore del minore.
L’attore sostiene di aver proseguito nella causa di divorzio a Cuba nonostante l’impegno preso in sede di accordo di separazione, successivamente omologato, perché si sarebbero verificati fatti nuovi tali da indurlo a preferire il giudizio estero piuttosto che la modifica in Italia.
La Corte ritiene di dover procedere ad un riconoscimento parziale limitato allo scioglimento del vincolo con esclusione delle altre statuizioni in virtù della dichiarazione di rinuncia manifestata in sede di accordo separativo omologato.
Avverso tale pronuncia ha proposto ricorso per cassazione il M. . Ha resistito con controricorso e un motivo di ricorso incidentale la R. . Il ricorrente ha depositato memoria.

Ragioni della decisione

Premette il ricorrente in fatto che la domanda di divorzio stata proposta il 8/5/2011 a Cuba. La R. non si è costituita ma ha inoltrato in data 14/6/2011 ricorso per separazione personale. Il 5/10/2012 i coniugi hanno stipulato l’accordo separativo poi omologato.

Il 20/2/2013 è stato notificato alla R. per rogatoria internazionale l’atto introduttivo del divorzio che si è chiuso con sentenza passata in giudicato il 3/1/2014. L’ufficiale di stato civile non ha provveduto a trascrivere la sentenza.

Nel primo motivo viene dedotta la violazione e falsa applicazione degli artt. 64 e seguenti della l. n. 218 del 1995.

Il ricorrente evidenzia che il riconoscimento nella specie non è ostativo ad alcuno dei parametri indicati nell’art. 64 ed in particolare a quello secondo il quale la sentenza da riconoscere non deve essere contraria ad un’altra passata in giudicato emessa dal giudice italiano, dal momento che non di sentenza si tratta ma di decreto di omologazione dell’accordo separativo inidoneo al giudicato.

Inoltre la Corte non ha tenuto in considerazione la circostanza secondo la quale i due provvedimenti (sentenza di divorzio cubana e omologazione della separazione consensuale italiana) non hanno tra di loro attinenza, riguardando oggetti diversi ed essendo l’una una sentenza, l’altro un atto di volontaria giurisdizione.

In secondo luogo l’accordo è stato sottoscritto pro bono pacis senza conoscere le circostanze che hanno determinato il divorzio per grave colpa della R. e con addebito alla medesima.

Nel secondo motivo viene dedotta la violazione e falsa applicazione dei principi in ordine alla rinuncia oltre che la violazione dell’art. 2909 cod.civ. La rinuncia è stata manifestata quattordici mesi prima di conoscere le decisioni del Tribunale cubano. Essa avrebbe avuto efficacia solo se gli effetti fossero stati conosciuti.

Inoltre gli atti anteriori all’emissione della decisione straniera ed in particolare la rinuncia al giudizio cubano dovevano essere dedotti davanti al giudice straniero non potendo essere presi in considerazione dal giudice del riconoscimento, in quanto l’oggetto del giudizio non è il riesame della pronuncia da delibare. Non essendo contestata la regolare costituzione del contraddittorio, l’allegazione relativa alla rinuncia doveva essere svolta dalla convenuta davanti al giudice cubano, potendo essere fatti valere in sede di riconoscimento solo i fatti sopravvenuti.

La controricorrente, dopo aver premesso in fatto che l’accordo separativo era stato trasfuso in una sentenza passata in giudicato, essendo intervenuta la conversione della separazione giudiziale in consensuale (sentenza n. 1242 del 2012, passata in giudicato il 5/10/2012), ed aver evidenziato che la sentenza cubana non può essere riconosciuta per contrasto con la lettera e) dell’art. 64 l. n. 218 del 1995 perché contraria ad una anteriore passata in giudicato propone come unico motivo di ricorso incidentale la seguente censura:

violazione dell’art. 64 l. n. 218 del 1995 in ordine al riconoscimento parziale per la contrarietà all’ordine pubblico della statuizione relativa allo scioglimento del vincolo, non essendosi verificata la protrazione triennale della separazione ed essendo mancato l’accertamento dell’irrimediabile disfacimento della comunione familiare. L’autorità cubana non ha svolto un accertamento rigoroso a riguardo. Il procedimento di divorzio è stato radicato solo dopo sedici mesi dall’udienza di comparizione e quattro mesi dal passaggio in giudicato della sentenza.

Peraltro la colpa della controricorrente si fonderebbe su un provvedimento amministrativo con il quale si sarebbe accertata la sottrazione fraudolenta di una somma al M. da parte della R. in ordine ad un falso atto di compravendita. Tale provvedimento è stato posto a base illegittimamente dell’addebito del divorzio. Anche sotto questo profilo la statuizione è contraria all’ordine pubblico.

In ordine al primo motivo di ricorso deve osservarsi preliminarmente che le condizioni separative consensualmente stabilite dalle parti sono state trasfuse, in virtù di conclusioni congiunte, in una sentenza passata in giudicato. Il controllo officioso ex actis è stato svolto in virtù della natura sostanzialmente processuale della censura in questione.

Oggetto di essa è l’applicabilità nella specie della causa ostativa al riconoscimento della sentenza di divorzio emessa a Cuba prevista dall’art. 64 lettera e) della L. n. 218 del 1995. La disposizione prevede che la pronuncia straniera non deve essere contraria ad altra sentenza pronunciata da un giudice italiano e passata in giudicato. La ratio consiste nell’evitare anche con riferimento alle sentenze straniere il contrasto tra giudicati ed il bis in idem. La verifica deve essere svolta in ordine alle parti, al rapporto dedotto in giudizio, al contenuto della decisione e ai suoi effetti.

L’identità delle parti è fuori discussione. Il rapporto dedotto in entrambi i giudizi è il vincolo matrimoniale. La situazione giuridica dedotta nei due giudizi non è tuttavia sovrapponibile. Nella separazione personale la parte ricorrente (o le parti) azionano il diritto a vedere accertata l’irreversibilità della loro crisi coniugale, una verifica che costituisce condizione necessaria ai fini dell’esercizio del diritto allo scioglimento definitivo del vincolo, ottenibile mediante il giudizio di divorzio. Tale ulteriore passaggio non è, tuttavia, obbligato ben potendo le parti scegliere di mantenere in essere il vincolo, nonostante l’accertamento giudiziale della sussistenza dei requisiti di legge per la separazione personale. Ciò costituisce un ulteriore indicatore della diversità della causa petendi ed introduce alle più rilevanti diversità riscontrabili in ordine al petitum ed agli effetti del giudicato separativo e divorzile. Il provvedimento sul vincolo proprio del giudizio di separazione personale incide sui diritti e doveri conseguenti al matrimonio, come rilevabile dal disposto dell’art. 146 secondo comma, modificando il titolo ed il contenuto dei doveri di assistenza propri della solidarietà coniugale. Gli effetti della statuizione separativa non determinano però lo scioglimento del vincolo, per il quale è necessaria la successiva pronuncia di divorzio. Quest’ultima travolge il giudicato formatosi sul vincolo con la pronuncia di separazione e, se esteso anche ai provvedimenti consequenziali, sostituisce definitivamente i propri a quelli in precedenza assunti in sede di separazione personale. Ne consegue la non assimilabilità della causa petendi, del petitum e degli effetti delle due pronunce sia se limitate al vincolo sia se riguardanti anche i provvedimenti economici. Pertanto non può effettuarsi alcuna comparazione tra le sentenze, quella emessa in Italia e quella cubana, al fine di valutare la sussistenza di un contrasto tra giudicati. Né, con riferimento al parametro di cui all’art. 64 lettera e) della l. n. 218 del 1995 riveste alcuna incidenza la previsione contenuta nell’accordo separativo omologato e riportata nel dispositivo della sentenza passata in giudicato, con la quale si dà atto della rinuncia alla prosecuzione del giudizio di divorzio instaurato a Cuba. Tale presa d’atto non costituisce l’oggetto di un accertamento giudiziale ma la mera riproduzione di una intervenuta manifestazione di volontà non idonea al giudicato e non comparabile ex art. 64 lettera e) l. n. 218 del 1995. La non vincolatività della rinuncia non deriva come erroneamente ritenuto in ricorso (ed anche nella sentenza impugnata) dalla natura di provvedimento di volontaria giurisdizione dell’atto nel quale è contenuta, risultando invece l’intero accordo separativo trasfuso nel dispositivo della sentenza di separazione giudiziale, ma dalla sua peculiare natura giuridica di atto volontario abdicativo (peraltro secondo la cronologia dei giudizi emergente ex actis da riferirsi ad un giudizio proposto nel 2011 presumibilmente riassunto o reintrodotto successivamente), come tale non assimilabile ad una statuizione giudiziale.

La decisione impugnata non ha fatto buon governo dei principi sopra esposti avendo limitato il proprio sindacato sul riconoscimento della sentenza cubana al parametro della contraddittorietà tra la dichiarazione di rinuncia e il giudicato separativo, senza considerare la diversità degli effetti dei due giudizi e la non idoneità della parte di dispositivo relativa alla rinuncia a passare in giudicato.

L’accoglimento del primo motivo determina l’assorbimento del secondo motivo del ricorso principale e dell’unico motivo del ricorso incidentale, rimanendo al giudice di merito, escluso il contrasto tra giudicati, da esaminare, anche officiosamente, gli altri parametri di riconoscimento della sentenza di divorzio cubana previsti dall’art. 64 sopra citato.

La sentenza impugnata, in conclusione, deve essere cassata con rinvio alla Corte d’Appello di Perugia in diversa composizione perché provveda anche sulle spese processuali del presente giudizio.

P.Q.M.

Accoglie il primo motivo del ricorso principale, assorbiti il secondo e l’unico motivo di ricorso incidentale. Cassa la sentenza impugnata e rinvia alla Corte d’Appello di Perugia in diversa composizione, anche per le spese del presente giudizio.

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