Corte di Cassazione, sezione I civile, sentenza 26 maggio 2016, n. 10941

La disposizione dell’art. 1194 cod. civ. secondo la quale il debitore non può imputare il pagamento al capitale piuttosto che agli interessi o alle spese senza il consenso del creditore, presuppone che tanto il credito per il capitale quanto quello, accessorio per gli interessi e le spese, siano simultaneamente liquidi ed esigibili; e pertanto, in tema di risarcimento del danno, i versamenti di somme effettuati in favore del creditore prima della liquidazione,(giudiziale o negoziale) non sono imputabili agli interessi ma al capitale

Nei contratti di conto corrente la simultanea ricorrenza dell’esigibilità e liquidità di capitale ed interessi per il credito che superi il fido e per i relativi interessi, rimanendo differita tale simultaneità per il credito entro il fido al saldo di chiusura del rapporto e dell’apertura di credito

Suprema Corte di Cassazione

sezione I civile

sentenza 26 maggio 2016, n. 10941

Svolgimento del processo

Sicilcassa s.p.a., succeduta alla Cassa Centrale di Risparmio VE per le Province siciliane, otteneva il decreto ingiuntivo 3233/94 nei confronti della SEP Società Edilizia Privata s.r.l. e dei fideiussori R.G. , A.P.F. ed Immobiliare L. s.r.l., per il pagamento della commissione di massimo scoperto e per la capitalizzazione trimestrale a far data dal 1 aprile 1994 al soddisfo, quale saldo passivo del conto corrente bancario (omissis) , per complessive lire 464.392.304, oltre interessi convenzionali.
Proposta opposizione dalla debitrice principale e dai fideiussori, il Tribunale di Catania, con sentenza del 30/4/2006, estrometteva R.G. per rinuncia della banca nei suoi confronti; nel merito, alla stregua delle risultanze della C.T.U., negava il diritto di Sicilcassa in l.c.a. alla capitalizzazione degli interessi, applicava il tasso convenzionale, riconosceva la commissione di massimo scoperto con cadenza trimestrale, imputava le rimesse ai sensi dell’art. 1194 c.c., revocava il decreto ingiuntivo e condannava gli opponenti al pagamento della somma di Euro 78.645,76, oltre interessi legali dal 1 aprile 1994 al soddisfo; compensava le spese processuali e di C.T.U..
La sentenza veniva appellata in via principale dalla Sicilcassa in l.c.a. ed in via incidentale dalla Immobiliare L..
La Corte d’appello di Catania, con sentenza del 16/25 novembre 2010, in riforma della sentenza di primo grado, ha respinto le domande della Sicilcassa e condannato questa alle spese dei due gradi di giudizio.
Nello specifico, la Corte del merito ha ritenuto:
la nullità della clausola di capitalizzazione trimestrale degli interessi sui saldi del conto corrente, richiamando l’orientamento da ultimo seguito dalla pronuncia del S.C.11466/2008, e non consentite né la capitalizzazione semestrale né quella annuale;
la validità della pattuizione del tasso debitore convenzionale di cui alle lettere/contratto del 18/12/1986 e 16/1/1987 e che la mancata sottoscrizione da parte della banca era superata dalla produzione in giudizio e dalla domanda giudiziale spiegata;
dovuta per espressa previsione pattizia la commissione di massimo scoperto, ma che nel caso non era dato di liquidarla con le modalità della capitalizzazione trimestrale, come operato dal Tribunale, sia per l’orientamento che nega la capitalizzazione trimestrale degli interessi passivi bancari sia per l’inapplicabilità della disciplina dell’anatocismo fuori dal caso espressamente previsto dall’art.1283 c.c.;
non applicabile ai versamenti il criterio di imputazione di cui all’art. 1194 c.c., costituendo le rimesse sul conto non pagamenti ma registrazioni contabili, aventi la funzione non di estinguere l’obbligazione debitoria, ma, nell’ambito del rapporto del conto corrente di corrispondenza, il diverso effetto di modificare la quantità di moneta di cui il correntista può disporre in qualsiasi momento, ex art.1852 c.c.; e versandosi nel caso opposto a quello previsto dall’art.1194 c.c., visto che è la banca che provvede all’imputazione della rimessa in conto capitale, addebitando poi gli interessi scalari in sede di chiusura periodica del conto;
utilizzabile la relazione del C.T.U. dott. Donati (e non già quella del dott. M. né quella redatta nell’ambito del giudizio di ammissione al passivo del fallimento SEP, in quanto, oltre che inopponibile alla L., redatta con l’erronea applicazione del criterio di imputazione di cui all’art.1194 c.c. e con la contabilizzazione trimestrale della commissione massimo scoperto), da cui l’esclusione del saldo passivo, sussistendo invece saldo creditore; assorbite le ulteriori censure.
Ricorre avverso detta sentenza Sicilcassa in l.c.a., con ricorso affidato a tre motivi, ed illustrato con memoria.
Si difende la sola Immobiliare L.; gli altri intimati non hanno svolto difese.

Motivi della decisione

1.1.- Col primo motivo, la ricorrente denuncia la violazione e falsa applicazione dell’art.1194 c.c. anche in riferimento agli artt. 1857 e 1832, 1362, 1367 e 1823 c.c., nonché il vizio di motivazione della pronuncia.
Sostiene che ogni rimessa deve essere imputata prima agli interessi e poi al capitale, ex art.1194 c.c., applicabile ad ogni credito di valuta e quindi ad ogni rimessa, ed espressiva della regola della normale imputazione dei pagamenti, salvo diverso avviso del creditore, né gli interessi periodicamente maturati e contabilizzati sul conto corrente bancario sono illiquidi e inesigibili.
Deduce che nei rapporti bancari è inapplicabile l’art. 1831 c.c., che disciplina il conto corrente ordinario, non richiamato dall’art. 1857 c.c., ed i due rapporti sono diversi per struttura e funzione; che nel conto corrente bancario, è conto di chiusura anche l’estratto conto periodicamente inviato al cliente quando v’è il riferimento alle partite di dare ed avere che hanno condotto a quel risultato, e che la mancata contestazione dei saldi periodici è sufficiente a ritenere liquidi ed esigibili gli interessi.
Rileva che la sentenza impugnata non ha tenuto conto della specifica pattuizione di cui all’art.8 delle lettere-contratto sulla capitalizzazione trimestrale clausola che, se pur nulla, indica che la volontà delle parti è per la debenza degli interessi alla fine di ogni trimestre.
Aggiunge che gli interessi sul capitale(corrispettivi)rientrano nei frutti civili ex art. 823,3 c.c., maturano giorno per giorno e la scadenza è annuale ex art. 1284 c.c., e che l’imputabilità delle rimesse prima agli interessi e poi al capitale si giustifica nel caso anche alla luce della disciplina contrattuale del rapporto di conto corrente in contestazione, regolato da un’apertura di credito, da cui emerge l’avvenuta concessione di una scopertura, il saldo passivo era ampiamente superiore all’affidamento, e nel caso la scadenza era trimestrale, come emerge dalla chiusura contabile con tale cadenza.
2.1.- Il primo motivo deve ritenersi infondato.
L’art.1194 c.c., al 1 comma dispone che:” Il debitore non può imputare il pagamento al capitale, piuttosto che agli interessi e alle spese, senza il consenso del creditore.” Detto disposto normativo, che detta il principio, secondo il quale ogni pagamento deve essere imputato prima al capitale e successivamente agli interessi, salvo il diverso accordo con il creditore, postula che il credito sia liquido ed esigibile,dato che questo, per la sua natura, produce gli interessi, ex art. 1282 c.c..
Come infatti ritenuto nelle pronunce 6022/2003, 20904/2005, 9510/2007 e 16448/2009, la disposizione dell’art. 1194 cod. civ. secondo la quale il debitore non può imputare il pagamento al capitale piuttosto che agli interessi o alle spese senza il consenso del creditore, presuppone che tanto il credito per il capitale quanto quello, accessorio per gli interessi e le spese, siano simultaneamente liquidi ed esigibili; e pertanto, in tema di risarcimento del danno, i versamenti di somme effettuati in favore del creditore prima della liquidazione,(giudiziale o negoziale) non sono imputabili agli interessi ma al capitale.
Si è invece pronunciata per l’applicazione dell’art. 1194 c.c. pur in mancanza della liquidità del credito per interessi la sentenza 3748/2005, nel caso del risarcimento del danno da parte dell’assicuratore della R.C.A. al danneggiato, e nell’ipotesi di versamenti di somme in acconto compiuti in favore di costui nel corso del processo di liquidazione, rilevando che, trattandosi di pagamento parziale che il creditore potrebbe legittimamente rifiutare, questi, ove costretto a subire anche la diversa imputazione operata dal debitore, perderebbe il beneficio dell’ulteriore fruttificazione del proprio capitale, da cui l’erroneità dell’interpretazione che rinviene il presupposto applicativo del detto art.1194 nella contemporanea liquidità del credito per capitale e di quello per accessori, sia perché nulla di simile è dato arguire dalla lettera della disposizione in parola, sia perché, essendo quest’ultima posta a tutela dell’interesse del creditore, essa non può risolversi – rettamente intesa la sua portata applicativa – in un pregiudizio per quest’ultimo sol perché il suo credito risarcitorio è, per definizione (e senza sua colpa), illiquido fino alla sentenza che lo converte in obbligazione pecuniaria in senso conforme, la successiva sentenza 2270/06).
In senso contrario, si è espressa la pronuncia 12725/07, nel caso del versamento della provvisionale effettuato nel corso del processo a favore del danneggiato per il danno biologico derivatogli dall’illecito da circolazione stradale, riaffermando il principio secondo cui l’art.1194 c.c. presuppone l’esistenza di un debito pecuniario già certo ed esigibile, mentre nella specie il debito di valore determinato dall’illecito non è valutabile sino al tempo della liquidazione del danno ovvero della sua identificazione, come danno biologico, in base ad un punteggio che ne consenta la valutazione in equivalente pecuniario.
Tornando al caso che qui interessa, deve rilevarsi che, fondamentalmente, le operazioni di prelievo e versamento, all’interno dell’unitaria struttura del rapporto di conto corrente bancario, non configurano distinti ed autonomi rapporti di debito e credito reciproci tra banca e cliente, in relazione ai quali, nel corso dello svolgimento del rapporto, si possa configurare un credito della banca a fronte del quale il pagamento del cliente debba essere imputato in conto interessi.
Se tale è l’assunto di fondo, va osservato che la sentenza delle S.U. 24418/2010, pronunciandosi sulla decorrenza della prescrizione della domanda di restituzione delle voci indebitamente percepite dalla banca, ha chiaramente rilevato che, se al conto accede l’apertura di credito bancario ex artt.1842 e ss., e se il correntista, durante lo svolgimento del rapporto, ha effettuato non solo prelevamenti, ma anche versamenti, questi potranno essere considerati alla stregua di pagamenti,ove si tratti di versamenti su conto cd. scoperto, quando cioè siano destinati a coprire un passivo eccedente i limiti dell’accreditamento(o su conto in passivo a cui non acceda l’apertura di credito), mentre negli altri casi nei quali il passivo non superi l’affidamento, i versamenti fungono da atti ripristinatori della provvista di cui il correntista può ancora godere.
In aderenza a detti principi, potrebbe quindi ritenersi la simultanea ricorrenza dell’esigibilità e liquidità di capitale ed interessi per il credito che superi il fido e per i relativi interessi, rimanendo differita tale simultaneità per il credito entro il fido al saldo di chiusura del rapporto e dell’apertura di credito, e la ricorrente ha richiamato tale giurisprudenza, ritenendola applicabile nel caso, trattandosi di conto corrente “pacificamente” affidato (così esplicitamente nella memoria ex art. 378 c.p.c., ove la parte si limita del tutto labialmente e genericamente a rilevare che nessuna contestazione è stata sollevata a riguardo dalla controparte e che la circostanza risulterebbe anche dalla C.T.U.): trattasi però di questione di fatto che non risulta dalla sentenza impugnata, né la ricorrente ha indicato quando e con quale atto avesse fatto valere detta circostanza nel giudizio di merito.
Come tale, il riferimento al conto affidato introduce un fatto nuovo, inammissibile in questa fase del giudizio.
1.2.- Col secondo motivo, la ricorrente denuncia la violazione e falsa applicazione degli artt. 1346, 1362, 1367 c.c., 117, 4 comma, d.lgs. 385/93, 25, 1 e 2 comma, d.lgs. 342/99, 2 bis 1.2/09 e 2 d.l. 78/09, nonché il vizio di motivazione per l’esclusione della commissione di massimo scoperto, pattuita nelle lettere contratto del 18/12/1986 e 16/1/1987, con la specifica determinazione della percentuale di calcolo e periodicità di capitalizzazione.
2.2.- Il motivo presenta profili di inammissibilità ed infondatezza.
La Corte d’appello, infatti, ha riconosciuto la debenza della commissione di massimo scoperto, specificamente pattuita, ma ha ritenuto nulla la capitalizzazione trimestrale, richiamando la giurisprudenza di legittimità che vieta la capitalizzazione trimestrale degli interessi passivi bancari, nonché l’inapplicabilità della disciplina dell’anatocismo fuori dal caso di cui all’art. 1283 c.c., rilevando che così operando, “nel calcolo del tasso debitorio applicato dalla banca al rapporto di conto corrente verrebbe a risultare ricompresa anche la commissione m.s.”.
E la ricorrente non si è confrontata nel motivo con la specifica motivazione resa dalla Corte d’appello sul punto.
1.3.- Col terzo motivo, Sicilcassa si duole della violazione e falsa applicazione degli artt.1321, 1322, 1372, 1362 e 1367 c.c. e del vizio di motivazione, per il mancato riconoscimento del tasso convenzionale degli interessi; sostiene che contraddittoriamente il Giudice di primo grado ha riconosciuto corretto il calcolo con gli interessi convenzionali alla data del 31/3/94 mentre per il periodo dal 1/4/94 ha disposto il calcolo con gli interessi legali.
2.3.- Il motivo, formulato per l’ipotesi di accoglimento del ricorso (tant’è che inammissibilmente le censure sono rivolte verso la sentenza di primo grado), resta assorbito dalla reiezione dei primi due motivi di ricorso.
3.1.- Conclusivamente, va respinto il ricorso e va condannata la ricorrente alle spese, come liquidate in dispositivo.

P.Q.M.

La Corte respinge il ricorso; condanna la ricorrente alle spese, liquidate in Euro 8200,00, di cui Euro 200,00 per esborsi; oltre spese forfettarie ed accessori di legge.

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