Nel rito del lavoro l’atto di opposizione a decreto ingiuntivo proposto dall’opponente (che però ha la veste sostanziale di convenuto) deve avere il contenuto della memoria difensiva ai sensi dell’art. 416 c.p.c. e quindi l’opponente deve compiere tutte le attività ivi previste, a pena di decadenza; pertanto, egli è tenuto a proporre con l’opposizione le eccezioni processuali e di merito, non rilevabili d’ufficio, e le domande riconvenzionali, oltre a indicare i mezzi di prova e produrre i documenti, non dissimilmente da quanto è previsto per ogni convenuto nel rito del lavoro.
SUPREMA CORTE DI CASSAZIONESEZIONE I CIVILESENTENZA 26 maggio 2016, n.10927Motivi della decisione 1. – Con il primo motivo di ricorso, denunciando violazione degli artt. 641 e 645 c.p.c., si censura la statuizione di tardività dell’opposizione invocando il principio di c.d. ultrattività del rito, per il quale, introdotto il giudizio con le modalità del rito ordina?rio (essendo la prima fase del procedimento monitorio, ad avviso del ricorrente, indifferente alla natura del diritto azionato) anche l’opposizione doveva seguire con le stesse modalità, e dunque essere proposta con atto di citazione, non con ricorso, pur trattandosi di controversia soggetta per materia al rito del lavoro. 1.1. – Il motivo è infondato. Per giurisprudenza da lungo tempo consolidata, l’opposizione a decreto ingiuntivo concesso in materia di lavoro – o anche di locazione, per il rinvio di cui all’art. 447 bis c.p.c. – e dunque soggetta allo speciale rito ad essa riservato, deve essere proposta con ricorso e, ove proposta erroneamente con citazione, questa può produrre gli effetti del ricorso solo se sia depositata in cancelleria entro il termine di cui all’art. 641 c.p.c., non essendo sufficiente che entro tale data sia stata comunque notificata alla contropar?te (cfr., tra i numerosissimi precedenti, Cass. 797/2013, 8014/2009, 4867/1993, 6018/1983, 4010/1979). Questa Corte ha anche affermato, in ossequio al principio di ultrattività del rito, invocato dal ricorrente, che alla controversia riguardante un rapporto soggetto al rito del lavoro, che erroneamente non sia stata trattata con detto rito, sono comunque applicabi?li le regole ordinarie in ordine ai termini e ai modi per la proposizione dell’impugnazione, atteso che il rito adottato dal giudice a quo assume una funzione enunciativa della natura della stessa, indipendentemente dall’esattezza della relativa valutazione, e costituisce per le parti criterio di riferimento (Cass. 15272/2014, 12290/2011, 2529/2009, 6523/2002, 10978/2001, 5184/2004, 13970/2004, le ultime tre rese a sezioni unite). Tale principio è stato applicato anche nell’ambito del processo monitorio, affermandosi conse?guentemente la ritualità di un’opposizione proposta cori atto di citazione depositato oltre il quarantesimo giorno, in quanto il decreto ingiuntivo era stato emes?so – seppur erroneamente, trattandosi di crediti di la?voro – dal presidente del tribunale e non dal giudice del lavoro: il che costituiva chiaro indizio dell’adozione del rito ordinario (Cass. 22738/2010). E’, dunque, l’enunciazione della natura della cau?sa da parte del giudice a quo, attraverso l’adozione di un certo rito, che determina la c.d. ultrattività di quest’ultimo, ossia l’adozione delle sue forme anche per l’impugnazione o l’opposizione. Tale enunciazione, però, è del tutto mancata nel caso in esame: nessun si?gnificativo indizio, invero, viene indicato dell’adozione, da parte del Presidente del Tribunale che ha emesso il decreto ingiuntivo, del rito ordinario in luogo del rito del lavoro, imposto dalla natura del diritto controverso; onde non resta che fare applica?zione della regola per la quale l’opposizione va propo?sta mediante ricorso, con tutto ciò che ne consegue. Né vale al ricorrente richiamare, in contrario, Cass. 15720/2006 – cui può aggiungersi, peraltro, Cass. 10206/2001 – che sembrano collegare la necessità dell’introduzione del giudizio mediante citazione alla natura stessa – ritenuta in sé ‘ordinaria’ – del rito monitorio, a prescindere qualsiasi enunciazione da par?te del giudice: si tratta infatti di precedenti isola?ti, che finiscono col porsi in aperto contrasto con il più che consolidato orientamento, di cui si è detto all’inizio, che impone invece la forma del ricorso per l’opposizione a decreto ingiuntivo in materia lavoristica, oltre che di precedenti nei quali, peraltro, erano presenti anche indizi dell’adozione in concreto del rito ordinario, consistenti nell’emissione del de?creto da parte del presidente del tribunale o del giu?dice di pace invece che del giudice del lavoro. 2. – Con il secondo motivo, denunciando vizio di motivazione, si lamenta che la Corte d’appello abbia apoditticamente affermato l’inammissibilità anche della domanda riconvenzionale contenuta nell’atto di opposi?zione al decreto ingiuntivo. 2.1. – Neanche questo motivo (che configura in re?altà una censura di error in procedendo, piuttosto che di vizio di motivazione, la quale ultima sarebbe inam?missibile per difetto di incidenza su un accertamento in tatto) può essere accolto. Nel rito del lavoro l’atto di opposizione a decreto ingiuntivo proposto dall’opponente (che però ha la veste sostanziale di convenuto) deve avere il contenuto della memoria difensiva ai sensi dell’art. 416 c.p.c. e quindi l’opponente deve compiere tutte le attività ivi previste, a pena di decadenza; pertanto egli è tenuto a proporre con l’opposizione le eccezioni processuali e di merito, non rilevabili d’ufficio, e le domande ri?convenzionali, oltre a indicare i mezzi di prova e pro?durre i documenti, non dissimilmente da quanto è previsto per ogni convenuto nel rito del lavoro (Cass. 1458/2005, 13467/2003, 3115/1998). Il ricorrente richiama in senso contrario Cass. 9442/2010, che, in fattispecie di opposizione a decreto ingiuntivo in materia locatizia, ha effettivamente fatto applicazione del diverso principio secondo cui l’inammissibilità dell’opposizione avverso il decreto ingiuntivo non osta a che l’opposizione medesima produca gli effetti di un ordinario atto di citazione, nel concorso dei requisiti previsti dagli artt. 163 e 163 bis c.p.c., con riguardo alle domande che essa conten?ga, autonome e distinte rispetto alla richiesta di an?nullamento e revoca del decreto (cfr. per tutte, Cass. Sez. Un. 2387/1982). L’applicazione di tale principio, però, non era appropriata, poiché esso era stato affer?mato da questa Corte con riferimento al rito ordinario anteriore alla modifica dell’art. 166, secondo comma, c.p.c. introdotta con (l’art. 3 d.l. 21 giugno 1995, n. 238, reiterato con l’art. 3 d.l. 9 agosto 1995, n. 347, nonché con) l’art. 3 d.l. 18 ottobre 1995, n. 432, cony. dalla 1. 20 dicembre 1995, n. 534: rito che all’epoca non prevedeva la necessità (prevista esclusi?vamente per il rito speciale del lavoro) di proporre la domanda riconvenzionale, a pena di decandenza, nella comparsa di risposta. Né, ancora, vale al ricorrente richiamare quei precedenti in cui è stato affermato che l’inammissibilità o improcedibilità dell’opposizione non preclude la possibilità di riproporre la domanda riconvenzionale in un successivo, distinto giudizio (cfr. Cass. 11602/2002, 1928/1981, 6355/1980, 185/1974). La declaratoria di inammissibilità assunta nella specie dai giudici a quibus si riferisce infatti esclusivamente al presente processo e non pregiudica la riproposizione della domanda in un futuro, nuovo giudi?zio. 3. – Il ricorso va in conclusione respinto, con condanna del ricorrente alle spese processuali, liqui?date come in dispositivo. P.Q.M. La Corte rigetta il ricorso e condanna il ricorren?te alle spese processuali, liquidate in € 2.200,00, di cui € 2.000,00 per compensi di avvocato, oltre spese forfetarie e accessori di legge. |
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