Corte di Cassazione, sezione I civile, sentenza 19 maggio 2016, n. 10332

Sommario

La domanda di liquidazione della quota di una società di persone da parte degli eredi del socio defunto fa valere un’obbligazione non degli altri soci ma della società medesima quale soggetto passivamente legittimato, potendosi altresì evocare in giudizio anche i soci superstiti, qualora siano solidalmente e illimitatamente responsabili per le obbligazioni sociali, sebbene non siano litisconsorti necessari.

La trasformazione di una società da un tipo ad un altro previsto dalla legge, ancorchè connotato di personalità giuridica, non si traduce nell’estinzione di un soggetto e nella correlativa creazione di uno nuovo in luogo di quello precedente, ma configura una vicenda meramente evolutiva e modificativa del medesimo soggetto, la quale comporta soltanto una variazione di assetto e di struttura organizzativa senza incidere sui rapporti processuali e sostanziali facenti capo all’originaria organizzazione societaria

L’interpretazione di una clausola statutaria è sindacabile, in sede di giudizio di legittimità, solo per illogicità o difetto di motivazione o violazione dei canoni ermeneutici previsti dal codice civile per l’interpretazione dei contratti.

La ripartizione delle funzioni tra la sezione societaria e le altre sezioni del tribunale è estranea al concetto di competenza, attenendo alle distribuzioni degli affari all’interno di uno stesso ufficio, così come non pone alcune questione di competenza la distribuzione degli affari tra sede centrale di Tribunale e sezione distaccata

Suprema Corte di Cassazione

sezione I civile

sentenza 19 maggio 2016, n. 10332

REPUBBLICA ITALIANA
IN NOME DEL POPOLO ITALIANO
LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE
SEZIONE PRIMA CIVILE
Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:
Dott. RAGONESI Vittorio – Presidente
Dott. DI VIRGILIO Rosa Maria – Consigliere
Dott. GENOVESE Francesco A. – Consigliere
Dott. ACIERNO Maria – rel. Consigliere
Dott. NAZZICONE Loredana – Consigliere
ha pronunciato la seguente:
SENTENZA
sul ricorso 28571-2012 proposto da:
(OMISSIS) S.A.S. (C.F. (OMISSIS)) gia’ (OMISSIS) S.N.C., in persona del legale rappresentante pro tempore, nonche’ (OMISSIS) (C.F. (OMISSIS)), personalmente, elettivamente domiciliati in ROMA, (OMISSIS), presso l’avvocato (OMISSIS), che li rappresenta e difende unitamente all’avvocato (OMISSIS), giusta procura a margine del ricorso.
– ricorrenti –
contro
(OMISSIS), (OMISSIS), elettivamente domiciliati in ROMA, (OMISSIS), presso l’avvocato (OMISSIS), che li rappresenta e difende unitamente agli avvocati (OMISSIS), (OMISSIS), giusta procura a margine del controricorso;
– controricorrenti –
avverso la sentenza n. 2989/2012 della CORTE D’APPELLO di MILANO, depositata il 11/09/2012;
udita la relazione della causa svolta nella pubblica udienza del 15/03/2016 dal Consigliere Dott. DI VIRGILIO ROSA MARIA;
udito, per i ricorrenti, l’Avvocato (OMISSIS). che ha chiesto l’accoglimento del ricorso;
udito, per i controricorrenti, l’Avvocato (OMISSIS)., con delega orale, che ha chiesto il rigetto del ricorso;
udito il P.M., in persona del Sostituto Procuratore Generale Dott. FUZIO RICCARDO, che ha concluso per il rigetto del ricorso.

SVOLGIMENTO DEL PROCESSO

Gli eredi di (OMISSIS), (OMISSIS) e (OMISSIS), agivano nei confronti della societa’ (OMISSIS) s.a.s., gia’ s.n.c., e del socio accomandatario in proprio (OMISSIS), per ottenere la liquidazione della quota sociale del de cuius nell’importo indicato di un milione di Euro, o nell’importo ritenuto di giustizia.
Il Tribunale disattendeva l’eccezione di incompetenza e/o giurisdizione, sollevata dai convenuti per la ritenuta devoluzione arbitrale della controversia; nel merito, riteneva che gli eredi avevano espresso la volonta’ di non proseguire nel rapporto sociale, come consentito dall’articolo 10 dello statuto, da cui la condanna della societa’ e del socio illimitatamente responsabile alla liquidazione della quota, nel valore secondo la situazione patrimoniale della societa’ alla data dello scioglimento del rapporto, e quindi del decesso del (OMISSIS), avvenuto il (OMISSIS), come accertato dalla C.T.U..
La Corte d’appello,con sentenza depositata l’11/9/2012, ha respinto l’appello della societa’ e del (OMISSIS), ritenendo infondate: l’eccezione di difetto di legittimazione passiva della societa’ e del (OMISSIS), stante l’intervenuta trasformazione della s.n.c. che, ai sensi dell’articolo 2498 c.c., comporta non l’estinzione della prima societa’ ma semplicemente la modifica della stessa; l’eccezione di incompetenza e/o giurisdizione in forza della clausola compromissoria ex articolo 11 dell’atto costitutivo, stante la limitazione della clausola alle sole questioni relative all’interpretazione dell’atto costitutivo; le eccezioni di incompetenza per materia e rito ed incompetenza territoriale; la prospettata violazione del contraddittorio da parte del C.T.U., stante l’autorizzazione del giudice ed il consenso dei C.T.P. all’intervento dell’ausiliare, e la natura di valutazione propria della C.T.U., che prescinde dalla presenza dei C.T.P..
Nel merito, la Corte ha ritenuto che la stima degli immobili era stata correttamente effettuata con riguardo alla natura ed allo stato degli stessi, alla destinazione urbanistica ed alla posizione nel contesto urbanistico, sostanzialmente confermata dalla stima in sede esecutiva, trovando il leggero calo del prezzo spiegazione nella mutata situazione del mercato immobiliare e nel peggioramento dello stato manutentivo; che era stato adeguatamente trattato il tema delle plusvalenze latenti;
che la contestazione sul computo del valore dell’avviamento, oltre che non essere mai stata sollevata in primo grado,era infondata.
Ricorrono avverso detta pronuncia la (OMISSIS) e (OMISSIS) in proprio, con ricorso affidato a quattro motivi.
Si difendono con controricorso (OMISSIS) e (OMISSIS).
I controricorrenti hanno depositato la memoria ex articolo 378 c.p.c..

MOTIVI DELLA DECISIONE

1.1. – Col primo motivo, i ricorrenti si dolgono dei vizi ex articolo 360 c.p.c., nn. 2 e 3, sostenendo che la clausola compromissoria ex articolo 11 dell’atto costitutivo della societa’ devolve ogni questione ad arbitrato irrituale.
1.2. – Col secondo, sostengono che la controversia non puo’ ritenersi rientrare nella materia societaria, per cui, in accoglimento delle eccezioni sollevate, il Giudicante avrebbe dovuto disporre il mutamento del rito, applicare il rito ordinario, e rimettere la causa al Tribunale di Busto Arsizio, sez. distaccata di Gallarate, competente per territorio.
1.3. – Col terzo, ripropongono la questione della propria carenza di legittimazione.
1.4. – Col quarto, si dolgono dell’avere la Corte del merito disatteso i rilievi alla C.T.U., sollevati dalla parte.
2.1. – Il primo motivo presenta profili di inammissibilita’ ed infondatezza.
Va in primis rilevato che la questione prospettata dalla parte, ovvero la devoluzione della controversia ad arbitrato irrituale in forza della clausola di cui all’articolo 11 dell’atto costitutivo (“in caso di controversia circa l’interpretazione di quest’atto tutte le parti di comune accordo nomineranno un arbitro amichevole compositore”), e’ intesa a far valere l’improponibilita’ della domanda, e non pone invece questione di competenza, che si avrebbe ove fosse stata fatta valere la devoluzione in arbitrato rituale, come ritenuto dalle S.U. nella pronuncia 24153/2013.
Cio’ posto, si deve rilevare che la parte si e’ limitata inammissibilmente a contrapporre all’interpretazione offerta dalla Corte d’appello la propria diversa esegesi, senza indicare canoni interpretativi eventualmente violati dal Giudice del merito, argomentando nel senso che, aderendo alla tesi da questi espressa, si finirebbe per negare ogni valore ed efficacia alla clausola, che sarebbe pertanto sostanzialmente “nulla”.
Di contro a dette deduzioni, va ribadito come, per giurisprudenza consolidata, l’interpretazione di una clausola statutaria e’ sindacabile, in sede di giudizio di legittimita’, solo per illogicita’ o difetto di motivazione o violazione dei canoni ermeneutici previsti dal codice civile per l’interpretazione dei contratti (in tal senso, tra le ultime, le pronunce 14775/2012 e 2637/2003).
Ne’ l’interpretazione data dalla Corte d’appello, che ha specificamente avuto riguardo alla lettera della clausola, nel riferimento non ad ogni controversia, ma solo a quelle relative all’interpretazione dell’atto costitutivo, tra le quali non rientra quella in oggetto, attinente alla sola liquidazione della quota, finisce con il privare di ogni significato la clausola, che, appunto, resta applicabile per le controversie relative all’interpretazione del rapporto societario.
2.2. – Il secondo motivo va respinto.
E’ infatti infondata la questione di rito posta dalla parte (rito ordinario e non societario), da cui consegue altresi’ la questione, sempre in tesi di parte, di competenza per territorio (nel rapporto tra il Tribunale di Busto Arsizio e detto Tribunale, sezione distaccata di Gallarate), atteso che, come ribadito tra le ultime nella pronuncia 14775/2012, la ripartizione delle funzioni tra la sezione societaria e le altre sezioni del tribunale e’ estranea al concetto di competenza, attenendo alla distribuzione degli affari all’interno di uno stesso ufficio, cosi’ come non pone alcuna questione di competenza la distribuzione degli affari tra sede centrale di Tribunale e sezione distaccata.
2.3. – Il terzo motivo e’ infondato.
Ed infatti, come affermato nelle pronunce 13467/2011 e 26826/2006, la trasformazione di una societa’ da un tipo ad un altro previsto dalla legge, ancorche’ connotato di personalita’ giuridica, non si traduce nell’estinzione di un soggetto e nella correlativa creazione di uno nuovo in luogo di quello precedente, ma configura una vicenda meramente evolutiva e modificativa del medesimo soggetto, la quale comporta soltanto una variazione di assetto e di struttura organizzativa senza incidere sui rapporti processuali e sostanziali facenti capo all’originaria organizzazione societaria; e, come ribadito tra le ultime nelle pronunce 5248/2012 e 12125/2006, la domanda di liquidazione della quota di una societa’ di persone da parte degli eredi del socio defunto, fa valere un’obbligazione non degli altri soci, ma della societa’ medesima quale soggetto passivamente legittimato, potendosi altresi’ evocare in giudizio anche i soci superstiti, qualora siano solidalmente e illimitatamente responsabili per le obbligazioni sociali, sebbene non siano litisconsorti necessari (cosi’ da ultimo, la pronuncia 1040/2009).
Nel resto, la parte non specifica in quale atto avesse fatto valere il riferimento alla pattuizione di cui all’articolo 10 dello Statuto, a meno di non ritenere la proposizione in sede di comparsa conclusionale, come indicato nella prima parte del motivo, e quindi tardivamente.
2.4. – Il quarto motivo presenta profili di inammissibilita’ ed infondatezza.
La Corte del merito ha respinto l’eccepita violazione del contraddittorio, osservando che era stato autorizzato, nonche’ concordato con il C.T.P., l’intervento dell’ausiliare del C.Testo Unico e che ben la (OMISSIS) avrebbe potuto farsi assistere da un ulteriore esperto, oltre al dott. (OMISSIS), che aveva peraltro concordato “espressamente con l’esigenza del C.Testo Unico di ricorrere all’ausiliario per la stima dell’immobile ne’ ha espresso riserve di sorta”: a fronte di detta chiara evidenziazione, non puo’ attribuirsi alcun rilievo alle generiche deduzioni del ricorso intese a ribadire il venir meno del legittimo contraddittorio e della necessaria partecipazione al “controllo formativo della “prova” e della sua legalita’” (cosi’ pagina 34 del ricorso).
Nel resto, le ulteriori censure della parte sono intese inammissibilmente ad ottenere la rivalutazione del merito, che la Corte d’appello ha congruamente e logicamente argomentato.
3.1. – Il ricorso va pertanto respinto; le spese del giudizio, liquidate come in dispositivo, seguono la soccombenza.

P.Q.M.

La Corte rigetta il ricorso; condanna i ricorrenti alle spese, liquidate in Euro 15.000,00, oltre Euro 200,00 per esborsi; oltre spese forfettarie ed accessori di legge.

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