Cassazione 14

Suprema Corte di Cassazione

sezione feriale

sentenza 4 settembre 2015, n. 35980

REPUBBLICA ITALIANA

IN NOME DEL POPOLO ITALIANO

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE FERIALE PENALE

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. BIANCHI Luisa – Presidente

Dott. MULLIRI Guicla – Consigliere

Dott. PETRUZZELLIS Anna – Consigliere

Dott. DI NICOLA Vito – Consigliere

Dott. CAPUTO Angelo – rel. Consigliere

ha pronunciato la seguente:

SENTENZA

sul ricorso proposto da:

(OMISSIS) N. IL (OMISSIS);

(OMISSIS) N. IL (OMISSIS);

avverso la sentenza n. 735/2014 CORTE APPELLO di PERUGIA, del 27/02/2015;

visti gli atti, la sentenza e il ricorso;

udita in PUBBLICA UDIENZA del 25/08/2015 la relazione fatta dal Consigliere Dott. ANGELO CAPUTO;

Udito il Sostituto Procuratore generale della Repubblica presso questa Corte di cassazione Dott. P. Canevelli, che ha concluso per il rigetto dei ricorsi.

RITENUTO IN FATTO

1. Con sentenza deliberata il 27/02/2015, la Corte di appello di Perugia -investita del giudizio di rinvio a seguito dell’annullamento limitatamente alla determinazione della pena disposto dalla sentenza n. 29335/14 della sesta sezione penale di questa Corte – ha rideterminato, all’esito della riduzione ex articolo 442 c.p.p., la pena irrogata a (OMISSIS) e a (OMISSIS) per il reato di cui al Decreto del Presidente della Repubblica n. 309 del 1990, articolo 73, comma 4, nella misura di anni 4 di reclusione e di 24.000 euro di multa.

2. Avverso l’indicata sentenza della Corte di appello di Perugia ha proposto ricorso per cassazione (OMISSIS), attraverso il difensore avv. (OMISSIS), articolando due motivi di seguito enunciati nei limiti di cui all’articolo 173 disp. att. c.p.p., comma 1.

Il primo motivo denuncia erronea applicazione della legge penale, avendo la sentenza impugnata determinato la pena sulla base di criteri valutativi che presuppongono un nuovo giudizio di merito. Erroneamente la sentenza impugnata, per un verso, ha richiamato la giurisprudenza delle Sezioni unite della Corte di cassazione circa gli effetti della sentenza della Corte costituzionale n. 32 del 2014 sulle sentenze ex articolo 444 c.p.p., e, per altro verso.,, ha ritenuto che il giudice del rinvio non sia vincolato a rispettare in termini proporzionali i parametri quantitativi applicati in sede di merito. Posto che, con la sentenza annullata, il giudice di appello aveva individuato come pena base quella di nove anni di reclusione, ossia una pena lievemente superiore al minimo edittale dell’epoca, il giudice del rinvio ha illegittimamente proceduto ad una rivalutazione nel merito del fatto e della personalita’ dell’imputato, laddove nel giudizio di rinvio il potere di rideterminazione della pena consiste in una mera ricognizione aritmetica proporzionale della pena, sicche’ illegittime sono le considerazioni in ordine al quantitativo di stupefacenti oggetto delle detenzione e alla peculiare pericolosita’ del fatto svolte dalla sentenza impugnata, che ha determinato una sanzione (sei anni di reclusione) pari al minimo di allora e al massimo edittale oggi previsto.

Il secondo motivo denuncia vizi di motivazione. La sentenza impugnata ha operato un’impropria sovrapposizione del proprio giudizio di pericolosita’ a quello del precedente giudice di merito, che aveva ancorato la pena base in prossimita’ del minimo e non del massimo edittale, nonche’ un riferimento alla gravita’ del fatto precluso al giudice del rinvio.

3. Avverso l’indicata sentenza della Corte di appello di Perugia ha altresi’ proposto ricorso per cassazione (OMISSIS), attraverso il difensore avv. (OMISSIS), denunciando – nei termini di seguito enunciati nei limiti di cui all’articolo 173 disp. att. c.p.p., comma 1 – vizi di motivazione. In riforma della sentenza di primo grado, la Corte di appello di Ancona, pur non applicando alcuna circostanza attenuante, aveva irrogato la pena di 6 anni di reclusione, ancorandola ad una pena base di poco superiore al minimo edittale allora vigente (aumentato di 1/3). Pur richiamando i criteri commisurativi desumibili dalla precedente pronuncia della Corte di appello di Ancona, la sentenza impugnata non ha operato una ricognizione aritmetica proporzionale della pena (che avrebbe condotto all’individuazione della pena-base – sulla quale operare la diminuzione per il rito – di tre anni di reclusione, pari al minimo edittale oggi vigente aumentato di 1/3), ma ha rideterminato la sanzione nel massimo edittale vigente (coincidente con il minimo edittale del tempo) valorizzando esclusivamente il dato quantitativo e in assenza di qualsiasi riferimento ai criteri di cui all’articolo 133 c.p., e disattendendo sia l’indicazione contenuta nella sentenza di annullamento, sia la disciplina di cui all’articolo 627 c.p.p..

CONSIDERATO IN DIRITTO

1. I ricorsi devono essere rigettati.

2. Non sono fondate le censure del ricorso proposto nell’interesse di (OMISSIS) e del primo motivo di quello proposto nell’interesse di (OMISSIS) che criticano la sentenza impugnata, in sintesi, per non aver operato, nella rideterminazione della pena, sulla base di una mera ricognizione aritmetica della pena proporzionale a quella irrogata dalla Corte di appello di Ancona ma parametrata alla cornice edittale derivata dalla sentenza n. 32 del 2014 della Corte costituzionale. La tesi sostenuta dai ricorrenti non puo’ essere seguita per due convergenti ragioni. Sotto un primo profilo (in relazione al quale si apprezza anche l’inidoneita’ dei riferimenti dei ricorrenti alla disciplina ex articolo 627 c.p.p., ad integrare i vizi denunciati), deve rilevarsi che la sentenza di annullamento di questa Corte rimetteva al giudice del rinvio la nuova determinazione della pena, laddove il criterio meramente aritmetico invocato dai ricorrenti avrebbe reso superfluo – ex articolo 620 c.p.p., comma 1, lettera l), – il rinvio ai fini indicati. Sotto un diverso profilo, deve rilevarsi che, come affermato dalle Sezioni unite di questa Corte (in un caso in cui veniva in rilievo una sentenza ex articolo 444 c.p.p., ma con argomentazione di carattere generale), la pena irrogata sulla base della disciplina di cui al Decreto del Presidente della Repubblica n. 309 del 1990, articolo 73, come modificata dalla novella del 2006 e’ illegale in relazione non alla sanzione in se’, ma all'”intero procedimento di commisurazione giudiziale”, basatosi su una comminatoria edittale costituzionalmente illegittima (Sez. U., n. 33040 del 26/02/2015 – dep. 28/07/2015, Jazouil). L’illegalita’ in toto del procedimento commisurativo articolato sulla base della cornice edittale travolta dalla declaratoria di illegittimita’ costituzionale – e non solo del suo esito (ossia dell’irrogazione di una certa sanzione) – rende ragione della necessita’ di una “nuova” commisurazione della pena che assuma come parametro edittale quello stabilito dalla disciplina oggetto della reviviscenza determinata dalla declaratoria di illegittimita’ costituzionale: trattandosi di una disciplina, quest’ultima, incentrata sulla “distinzione tra droghe “leggere” e droghe pesanti”, laddove quella oggetto dell’intervento della Corte costituzionale “aveva unificato il trattamento sanzionatorio per le condotte illecite di produzione traffico e detenzione di stupefacenti, sopprimendo ogni distinzione basata sulla diversa natura delle sostanze droganti” (Sez. U., n. 33040 del 26/02/2015 cit.), la “nuova” determinazione della pena non puo’ risolversi in un’operazione meramente aritmetica, preclusa in radice dal divergente apprezzamento del disvalore del fatto (recte, dei fatti di detenzione illecita di droghe “leggere” e droghe “pesanti”) sottesa alle due discipline. Le doglianze dei ricorrenti incentrate sul carattere aritmetico e proporzionale della rideterminazione della pena non possono, pertanto, essere accolte.

3. Del pari infondate sono le ulteriori censure articolate dal ricorso proposto nell’interesse di (OMISSIS) e dal secondo motivo di quello proposto nell’interesse di (OMISSIS). La sentenza impugnata muove, in sintesi, dal rilievo che il giudice del rinvio non puo’ sovrapporre una propria valutazione del fatto innovativa rispetto a quella dei primi giudici, ma deve aver riguardo ai criteri gia’ utilizzati integrandoli ai fini del corretto inquadramento della fattispecie entro la sfera dei nuovi limiti edittali. Il rilievo e’ in linea con il principio di diritto, affermato da questa Corte con riferimento ai compiti del giudice dell’esecuzione, secondo cui nella determinazione della pena e’ necessario attenersi al rispetto sia dei limiti edittali previsti dalla originaria formulazione del Decreto del Presidente della Repubblica n. 309 del 1990, articolo 73, in relazione alla tipologia di condotta e di sostanza stupefacente oggetto di contestazione, sia delle valutazioni gia’ effettuate in sentenza dal giudice della cognizione con riferimento alla sussistenza del fatto e al significato allo stesso attribuibile (Sez. 1, n. 52981 del 18/11/2014 – dep. 19/12/2014, De Simone, Rv. 261688). Rileva il Collegio che la sentenza impugnata non si e’ discostata da tali valutazioni, determinando la pena sulla base dei criteri commisurativi correlati, oltre che al dato oggettivo del quantitativo di sostanza stupefacente cosi’ come cristallizzato nell’imputazione, alla pericolosita’ sociale degli imputati: sotto quest’ultimo profilo, in particolare, lungi dal sovrapporre il proprio giudizio di pericolosita’ a quello del precedente giudice di merito (come sostenuto dal ricorso nell’interesse di (OMISSIS)), la sentenza impugnata ha valorizzato, richiamandolo alla lettera, il giudizio operato dalla Corte di appello di Ancona circa la “peculiare pericolosita’ manifestata nell’operazione” in cui si e’ concretizzato il fatto attribuito agli imputati (pur incensurati), operazione ritenuta espressiva di “entratura non casuale e dunque non occasionale nel settore criminale del commercio di sostanze stupefacenti”, valutazione, questa, del tutto trascurata dal ricorso proposto nell’interesse di (OMISSIS) e non oggetto di specifiche censure quanto alla sua attitudine dimostrativa della capacita’ a delinquere dei ricorrenti. Anche le doglianze relative ai denunciati vizi di motivazione non sono, dunque, fondate.

4. I ricorsi, pertanto, devono essere rigettati e i ricorrenti devono essere condannati al pagamento delle spese processuali.

P.Q.M.

Rigetta i ricorsi e condanna i ricorrenti al pagamento delle spese processuali.

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