Corte di Cassazione, S.U.P., sentenza 19 maggio 2016, n. 20769

In tema di misure cautelari personali, il giudice sia nel momento di prima applicazione della misura cautelare (ex articolo 291 del Cpp) sia nel caso di sostituzione della misura (ex articolo 299 del Cpp), ove ritenga applicabile quella degli arresti domiciliari con il cosiddetto “braccialetto elettronico”, deve verificarne la disponibilità e, in caso negativo, escluso ogni automatismo nella scelta di applicare la misura della custodia in carcere ovvero quella degli arresti domiciliari semplici, deve applicare quella ritenuta idonea, adeguata e proporzionata in relazione alle esigenze cautelari da soddisfare nel caso concreto. In altri termini, l’accertata mancata reperibilità del dispositivo, impone al giudice una rivalutazione della fattispecie concreta, alla luce dei principi di adeguatezza e proporzionalità di ciascuna delle misure, in relazione alle esigenze cautelari da soddisfare nel caso concreto

Suprema Corte di Cassazione

S.U.P.

sentenza 19 maggio 2016, n. 20769

REPUBBLICA ITALIANA
IN NOME DEL POPOLO ITALIANO
LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE
SEZIONI UNITE PENALI
Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:
Dott. CANZIO Giovanni – Presidente
Dott. ROMIS Vincenzo – Consigliere
Dott. CONTI Giovanni – Consigliere
Dott. VECCHIO Massimo – Consigliere
Dott. ROTUNDO Vincenzo – Consigliere
Dott. PAOLONI Giacomo – Consigliere
Dott. CAMMINO Matilde – Consigliere
Dott. BRUNO Paolo Antonio – Consigliere
Dott. PICCIALLI Patrizia – rel. Consigliere
ha pronunciato la seguente:
SENTENZA
sul ricorso proposto da:
(OMISSIS), nato a (OMISSIS);
avverso l’ordinanza del Tribunale di Potenza del 09/07/2015;
visti gli atti, il provvedimento impugnato e il ricorso;
udita la relazione svolta dal componente Patrizia Piccialli;
udito il Pubblico Ministero, in persona dell’Avvocato generale Dott. STABILE Carmine, che ha concluso chiedendo il rigetto del ricorso;
udito per l’imputato l’avv. (OMISSIS), che ha concluso chiedendo l’accoglimento del ricorso.

RITENUTO IN FATTO

1. Il Tribunale di Potenza, con ordinanza del 9 luglio 2015, ha rigettato l’appello di (OMISSIS) avverso l’ordinanza con la quale era stata rigettata dalla Corte di appello di Potenza l’istanza di revoca della misura cautelare della custodia in carcere ovvero di sostituzione della stessa con altra meno afflittiva, precisando:
– che l’istante era stato condannato alla pena di 8 anni di reclusione, in quanto ritenuto colpevole, tra l’altro, del delitto di tentato omicidio, pena ridotta in appello a 7 anni e 10 mesi di reclusione, e che, pertanto, la gravita’ indiziaria non poteva essere riesaminata essendo intervenuta sentenza di condanna anche in secondo grado;
– che la Corte territoriale, con l’ordinanza impugnata, aveva rigettato l’istanza di revoca o sostituzione della misura assumendo che: non erano sopravvenuti elementi suscettibili di modificare la valutazione che aveva comportato l’applicazione della misura cautelare e che il solo decorso del tempo non era elemento utilmente valutabile rappresentabile; inoltre, in conseguenza di pregresse violazioni delle prescrizioni imposte e della indisponibilita’ del dispositivo del braccialetto elettronico, non poteva essere formulato un giudizio di affidabilita’ circa il rispetto delle prescrizioni di misure meno afflittive.
Cio’ premesso, il Tribunale, sulla dedotta insussistenza delle esigenze cautelari, pur riconoscendo l’errata attribuzione all’imputato del provvedimento di aggravamento della misura in data 21 novembre 2013, riguardante in realta’ il coimputato (OMISSIS), evidenziava come, tuttavia, risultasse dagli atti a carico dell’appellante altro comportamento indicativo di una personalita’ incline alla trasgressione dei precetti dell’autorita’, poiche’ egli, autorizzato ad allontanarsi dal domicilio dalle ore 10 alle ore 13 del 13 dicembre 2013, era stato sorpreso fuori dalla propria abitazione gia’ alle ore 9 e denunciato per il reato di cui all’articolo 388 c.p..
Il Tribunale, inoltre, assumeva l’infondatezza del motivo afferente l’asserita violazione dell’articolo 275 c.p.p., avendo la Corte di appello “correttamente valutato la possibilita’ di sostituire gli arresti domiciliari con il dispositivo del braccialetto elettronico, concludendo in senso negativo, attesa l’indisponibilita’ del suddetto congegno”.
Anche per quanto concerne il motivo sul difetto di motivazione in ordine alla attualita’ delle esigenze cautelari, Tribunale riteneva corretta la motivazione del primo giudice, fondata su un giudizio di inaffidabilita’ dell’imputato in relazione all’adozione di misure meno afflittive, nonche’ sulla persistenza, nonostante il tempo trascorso, di un’effettiva pericolosita’ del prevenuto.
Il Tribunale, in particolare, riteneva sussistere tale specifico requisito in considerazione delle circostanze in cui era avvenuto il fatto delittuoso, relative all’ordinaria vita quotidiana e legate all’impulso di vendicare, con modalita’ particolarmente cruente ed aggressive, l’affronto di una persona amica dell’imputato e, pertanto, facilmente riproponibili. In questo contesto, il mero decorso del tempo veniva ritenuto inidoneo a costituire, da solo, “fatto nuovo” rilevante ai fini della revoca o della sostituzione della misura inframuraria.
2. Avverso la suddetta ordinanza ha proposto ricorso il (OMISSIS), per il tramite del suo difensore, proponendo due motivi di impugnazione.
Con il primo motivo il ricorrente denuncia violazione e falsa applicazione della legge processuale penale in riferimento agli articoli 272, 274 e 299 c.p.p., e vizio di motivazione, deducendo, con riferimento al tema dell’attualita’ delle esigenze cautelari, che la motivazione addotta dai giudici di appello sul punto non giustificava la sussistenza del requisito dell’attualita’ concernente il pericolo di ricaduta nel reato, in quanto non rispettosa del canone di valutazione imposto dall’articolo 274 c.p.p., comma 1, lettera c).
Con il secondo motivo denuncia ancora violazione e falsa applicazione della legge processuale penale in riferimento agli articoli 275, 275 bis e 299 c.p.p., e vizio di motivazione, in relazione alla ritenuta inidoneita’ dell’applicazione di una diversa misura (nello specifico quella degli arresti domiciliari con le procedure di controllo di cui all’articolo 275 bis c.p.p., comma 1), a contenere il pericolo di ricaduta del (OMISSIS), evidenziando, al riguardo, che il Tribunale, pur condividendo la motivazione dell’ordinanza impugnata, nella parte in cui la Corte di appello aveva ritenuto eccessiva la misura inframuraria reputando congrua invece quella degli arresti domiciliari, con le procedure di controllo di cui all’articolo 275 bis c.p.p., comma 1, ne aveva pero’ escluso l’applicazione, attesa l’indisponibilita’ dello strumento elettronico, cosi’ di fatto condizionando illegittimamente la scarcerazione dell’imputato al verificarsi del presupposto della disponibilita’ del congegno, in violazione dei principi affermati dalla giurisprudenza di legittimita’.
3. La Prima Sezione penale, con ordinanza in data 28 gennaio 2016, ha disposto la rimessione del ricorso alle Sezioni Unite sulla base di un ravvisato contrasto di giurisprudenza in tema di applicabilita’ della misura degli arresti domiciliari con la prescrizione di procedure di controllo mediante mezzi elettronici.
Sulla censura relativa alla valutazione dell’attualita’ delle esigenze cautelari, si osserva che il Tribunale ha legittimamente fondato il pericolo di reiterazione di reati non sulla mera gravita’ del reato contestato, ma sulle specifiche modalita’ di consumazione dello stesso nonche’ sulla personalita’ trasgressiva del prevenuto, valutata non solo in relazione all’esistenza di un precedente penale a suo carico, sia pure risalente nel tempo, ma anche sulla base del comportamento dallo stesso tenuto il 13 dicembre 2013 in occasione della autorizzazione concessagli ad allontanarsi dal domicilio coatto.
Il Collegio rimettente ritiene plausibili ed incensurabili in sede di legittimita’ le suddette argomentazioni, che avevano valorizzato l’alta probabilita’ del determinarsi di occasioni favorevoli alla commissione di nuovi reati, tenuto conto delle circostanze di fatto in cui era maturato il delitto di tentato omicidio (posto in essere a seguito di un litigio fra terze persone) nonche’ della personalita’ trasgressiva del prevenuto, la cui condotta pregressa risultava aver gia’ denotato un’apprezzabile ribellione ai precetti dell’autorita’.
Per quanto riguarda il secondo motivo di ricorso, concernente il mancato accoglimento della richiesta di sostituzione della misura cautelare della custodia in carcere con quella degli arresti domiciliari con previsione del controllo del dispositivo elettronico, si rileva preliminarmente che la decisione risulta conforme ai principi di diritto affermati da plurime pronunce della Suprema Corte, le quali – premessa la natura di mera modalita’ di esecuzione degli arresti domiciliari del provvedimento di adozione del braccialetto elettronico affermano che, ove il giudice non accolga un’istanza di sostituzione della misura della custodia cautelare in carcere a causa della indisponibilita’ del dispositivo di controllo da parte della polizia giudiziaria, non sussiste alcun vulnus ai principi di cui agli articoli 3 e 13 Cost., in quanto l’impossibilita’ di concedere gli arresti domiciliari senza il braccialetto elettronico dipende pur sempre dalla intensita’ delle esigenze cautelari ed e’, pertanto, ascrivibile alla persona dell’indagato.
La Prima Sezione, tuttavia, evidenzia come nella giurisprudenza di legittimita’ esista altro diverso orientamento, non meno consistente, che, pur muovendo dalla medesima premessa della natura di mera modalita’ di esecutiva della misura di cui all’articolo 275 bis c.p.p., ritiene che il braccialetto rappresenti una cautela che il giudice puo’ adottare, se lo ritiene necessario, non gia’ ai fini dell’adeguatezza della misura piu’ lieve, vale a dire per rafforzare il divieto di non allontanarsi dalla propria abitazione, ma ai fini del giudizio, da compiere nel procedimento di scelta delle misure, sulla capacita’ effettiva dell’indagato di limitare la propria liberta’ di movimento, assumendo l’impegno di installare il braccialetto e di osservare le relative prescrizioni.
In questa prospettiva e’ stato ritenuto illegittimo il provvedimento con cui il giudice, ritenuta idonea la misura domiciliare a soddisfare le concrete esigenze cautelari, subordini la scarcerazione alla disponibilita’ del dispositivo elettronico, in quanto, in caso di indisponibilita’ del braccialetto, il detenuto deve essere controllato con i mezzi tradizionali.
4. Con decreto in data 15 febbraio 2016, il Primo Presidente ha assegnato il ricorso alle Sezioni Unite penali, fissando per la trattazione l’odierna udienza in camera di consiglio.
5. Il Procuratore generale ha depositato in data 13 aprile 2016 memoria con la quale ha concluso per il rigetto del ricorso.

CONSIDERATO IN DIRITTO

1. La questione della quale sono investite le Sezioni Unite e’ enunciabile nei seguenti termini: “Se il giudice, investito di una richiesta di applicazione della misura cautelare degli arresti domiciliari con c. d. braccialetto elettronico, o di sostituzione della custodia in carcere con la predetta misura, in caso di indisponibilita’ di tale dispositivo elettronico, debba applicare la misura piu’ grave della custodia in carcere ovvero quella meno grave degli arresti domiciliari”.
2. Sul tema appare effettivamente sussistere un contrasto nell’ambito della giurisprudenza di legittimita’.
Va rilevato che entrambi gli orientamenti partono dalla comune premessa secondo quale la previsione di cui all’articolo 275 bis c.p.p., non introduce una misura coercitiva ulteriore rispetto a quelle elencate negli articoli 281 e 286 c.p.p., ma disciplina unicamente una “modalita’ esecutiva degli arresti domiciliari”.
2.1. Secondo una prima linea interpretativa, l’applicazione della misura degli arresti domiciliari con l’utilizzo del braccialetto elettronico e’ subordinata all’accertamento preventivo della disponibilita’ dei mezzi elettronici o tecnici da parte della polizia giudiziaria e a cio’ consegue che, in caso di accertata indisponibilita’ dei suddetti mezzi di controllo, al giudice sara’ necessariamente imposta l’adozione della misura della custodia in carcere poiche’ le stesse esigenze cautelari che imponevano l’adozione all’accertamento della misura degli arresti domiciliari con l’adozione degli strumenti di controllo si prestano ad essere adeguatamente tutelate solo con l’applicazione della misura della custodia in carcere (Sez. 2, 19/06/2015, Candolfi, Rv. 264230; Sez. 2, n. 520 del 17/12/2014, dep. 2015, Borchiero, non mass.; Sez. 2, n. 46328 del 10/11/2015, Pappalardo, Rv. 265238).
Sotto un profilo di conformita’ ai principi costituzionali della soluzione ermeneutica prescelta, le pronunce riconducibili a tale orientamento, nel dichiarare la manifesta infondatezza della questione di legittimita’ costituzionale dell’articolo 275 bis c.p.p., hanno affermato che non sussiste alcun vulnus ai principi di cui agli articoli 3 e 13 Cost., nella impossibilita’ di concedere gli arresti domiciliari per carenza degli strumenti elettronici per il controllo a distanza, in quanto tale impossibilita’ dipende comunque dalla intensita’ delle esigenze cautelari e deve ritenersi, pertanto, ascrivibile alla persona.
2.2. Anche il secondo orientamento parte dalla premessa della natura “meramente modale del congegno elettronico” disciplinato dall’articolo 275 bis c.p.p..
Tuttavia, proprio in ragione di tale natura “servente”, si osserva che (‘indisponibilita’ e l’inidoneita’ di tale congegno elettronico non possono condizionare l’effettivita’ della misura prescelta, frutto della valutazione di merito effettuata dal giudice sulla pericolosita’ dell’indagato. Tale scelta, si precisa, “deve essere indirizzata, senza subordinate, ad una delle figure tipiche di misura”, tanto che, “ove le modalita’ (di esecuzione) assumano nel giudizio, valore rilevante, l’adeguatezza e l’efficienza dei supporti tecnici deve essere oggetto di un accertamento preventivo”, non potendo la valutazione di merito effettuata dal giudice sulla pericolosita’ dell’indagato essere subordinata alla disponibilita’ di tale congegno (Sez. 2, n. 50400 del 23/09/2014, Di Francesco, Rv. 261439; Sez. 3, n. 2226 del 01/12/2015, dep. 2016, Caredda, Rv.265791).
A tale ricostruzione della struttura del provvedimento con il quale il giudice della cautela dispone l’applicazione del braccialetto elettronico, consegue, secondo l’orientamento in esame, che l’imposizione del braccialetto elettronico rappresenta una cautela che il giudice, se lo ritiene necessario, puo’ adottare non gia’ ai fini dell’adeguatezza della misura piu’ lieve, per rafforzare il divieto di non allontanarsi dalla propria abitazione, ma ai fini del giudizio, da compiersi nel procedimento di scelta delle misure, sulla capacita’ effettiva dell’indagato di autolimitare la propria liberta’ di movimento, assumendo l’impegno di installare il relativo braccialetto e di osservare le relative prescrizioni (v. in tal senso Sez. 1, 10/09/2015, Quici, Rv. 264943; Sez. 2, Di Francesco, cit.; Sez. 2, n. 47413 del 29/10/2003, Bianchi, Rv. 227582).
In particolare la Prima Sezione, con la sentenza Quici, ha precisato che detta soluzione interpretativa non e’ contraddetta dalla previsione dell’articolo 275 c.p.p., comma 3 bis, introdotta dalla L. 16 aprile 2015, n. 47 – secondo la quale quando il giudice applica la misura della custodia cautelare in carcere, deve indicare le specifiche ragioni per le quali ritiene idonea nel caso concreto la misura degli arresti domiciliari con le procedure di controllo elettronico u’ avendo la suddetta disposizione esclusivamente la finalita’ di imporre al giudice una valutazione rafforzata nel caso in cui operi la scelta di applicare la cautela estrema.
Al contrario, secondo detta sentenza, depone per la correttezza della soluzione ermeneutica adottata, nel senso che il legislatore abbia voluto escludere la possibilita’ di sospendere la scarcerazione in attesa della disponibilita’ dei congegni elettronici, la soppressione, operata, in sede di conversione del Decreto Legge 26 giugno 2014, n. 92, (Disposizioni urgenti in materia di rimedi risarcitori in favore dei detenuti e degli internati), ad opera della L. 11 agosto 2014, n. 117, delle modifiche operate dal citato decreto all’articolo 97 bis disp. att. c.p.p.. Il citato articolo, che disciplina “le modalita’ di esecuzione del provvedimento di applicazione degli arresti domiciliari”, prevedeva al comma 3, che, nel caso di provvedimento di sostituzione della misura della custodia in carcere con quella degli arresti domiciliari con braccialetto elettronico, il direttore dell’istituto penitenziario, nel trasmettere la dichiarazione del detenuto di accettazione dei mezzi di controllo, potesse rappresentare l’impossibilita’ di dare esecuzione immediata alla scarcerazione “in considerazione di specifiche esigenze di carattere tecnico e che, in tal caso il giudice avesse la possibilita’ di autorizzare il differimento dell’esecuzione del provvedimento di sostituzione sino alla materiale disponibilita’ del dispositivo elettronico da parte della polizia giudiziaria”.
L’eliminazione, in sede di conversione, di tale possibilita’ sarebbe, secondo la pronuncia in esame, indicativa della precisa volonta’ del legislatore di escludere la possibilita’ di sospendere la scarcerazione a causa della materiale indisponibilita’ dei congegni.
Sicche’ la previsione dell’articolo 275 bis c.p.p., comma 1, deve intendersi, secondo quest’orientamento, nel senso che, una volta valutata l’adeguatezza della misura secondo i criteri di cui all’articolo 275 c.p.p., il detenuto dovra’ essere controllato con i mezzi ordinari se risulti la indisponibilita’ degli strumenti elettronici. Cio’ perche’, qualora il giudice riconosca come adeguata la misura degli arresti domiciliari, deve ritenersi implicitamente escluso che la permanenza in carcere sia giustificata, a prescindere dalla disponibilita’ di strumenti di controllo. Dunque sara’ necessaria l’immediata scarcerazione del detenuto e l’applicazione della misura degli arresti domiciliari ritenuta adeguata, nonostante la mancanza di strumenti di monitoraggio elettronico.
3. Prima di affrontare i problemi indicati e’ opportuno procedere ad una sintetica ricostruzione preliminare della evoluzione normativa del c.d. “braccialetto elettronico”.
Nel nostro ordinamento la possibilita’ di utilizzare dispositivi elettronici o altri strumenti tecnici per controllare persone sottoposte agli arresti domiciliari risale all’introduzione nel codice di rito dell’articolo 275 bis, avvenuta con il Decreto Legge 24 novembre 2000, n. 341, articolo 16, comma 2, convertito, con modificazioni, dalla L. 19 gennaio 2000, n. 4. Il citato articolo, rubricato “Particolari modalita’ di controllo degli arresti domiciliari”, stabiliva che “il giudice, se lo ritiene necessario… prescrive procedure di controllo mediante mezzi elettronici o altri strumenti tecnici, quando ne abbia accertato la disponibilita’ da parte della polizia giudiziaria”.
In tale prospettiva l’articolo 275 bis c.p.p., nella sua prima formulazione, offriva al giudice la possibilita’ di applicare, se lo riteneva necessario, in relazione al grado ed alla natura delle esigenze cautelari, particolari modalita’ di controllo mediante mezzi elettronici o altri strumenti tecnici definiti, con espressione piu’ immediata ed efficace, “braccialetto elettronico”, previo accertamento della disponibilita’ da parte della polizia giudiziaria. L’attuazione pratica del mezzo di controllo elettronico fu demandata, ai sensi del Decreto Legge n. 341 del 2000, articolo 19, ad una fonte normativa secondaria, ossia il Decreto Ministeriale 2 febbraio 2001.
Tale intervento, come segnalato in piu’ occasioni dalla dottrina, era ispirato soprattutto dalla preoccupazione di rendere effettivo il rispetto delle prescrizioni imposte con misure alternative alla custodia cautelare in carcere.
Con il d.l. 23 dicembre 2013, n. 146, recante “Misure urgenti in tema di diritti fondamentali dei detenuti e di riduzione controllata della popolazione carceraria”, convertito, con modificazioni, dalla L. 21 febbraio 2014, n. 10, si e’ apportata una modifica al disposto dell’articolo 275 bis citato, sostituendo nel primo periodo del comma 1, la locuzione “se lo ritiene necessario” con quella “salvo che le ritenga non necessarie”, ribaltando, in tal modo, i termini della valutazione del giudice in ordine all’applicazione della speciale forma di controllo.
Mentre prima della novella l’operativita’ dei meccanismi di cui all’articolo 275 bis, era subordinata alla circostanza che il giudice li ritenesse “necessari”, nella nuova formulazione della norma, essi devono essere sempre ordinati a meno che si ritengano “non necessari” in relazione al grado ed alla natura delle esigenze da soddisfare nell’ipotesi specifica.
Nessuna modifica e’ stata invece apportata alla formulazione originaria dell’articolo 275 bis, laddove prevede, al comma 2, che il soggetto sottoposto alla misura presti il consenso in forma espressa all’utilizzo del dispositivo, con dichiarazione resa all’ufficiale ovvero all’agente incaricato di eseguire l’ordinanza, che verra’ poi trasmessa al giudice ed al pubblico ministero unitamente a tutte le operazioni compiute ex articolo 293 c.p.p., comma 1.
La stessa norma, al comma 1, prevede che il giudice disponga, con il provvedimento di applicazione della misura di cui all’articolo 275 bis, la misura della custodia cautelare in carcere qualora l’imputato neghi il consenso all’adozione dei mezzi e degli strumenti anzidetti.
Va rilevato sin d’adesso, quale elemento di rilievo ai fini della soluzione del quesito rimesso a questa Corte, che, mentre in relazione all’assenza del consenso del soggetto all’applicazione del dispositivo, la norma ne disciplina le conseguenze, demandando al giudice di prevedere con lo stesso provvedimento l’applicazione della misura della custodia cautelare in carcere, non si rinviene alcun riferimento alla piu’ frequente ipotesi dell’assenza di una concreta disponibilita’ del dispositivo elettronico da parte della polizia giudiziaria, la cui verifica e’, ai sensi dell’ultimo inciso dell’articolo 275 bis c.p.p., comma 1, oggetto di specifico accertamento del giudice.
Il legislatore e’ intervenuto ancora, indirettamente, sull’istituto con la L. 16 aprile 2015, n. 47, contenente “Modifiche al codice di procedura penale in materia di misure cautelari personali”, dilatandone ulteriormente il perimetro di applicazione, attraverso l’articolo 4, comma 3, che ha inserito nell’articolo 275 c.p.p., (intitolato ” Criteri di scelta della misure”) il comma 3 bis, il quale prevede che il giudice che dispone la custodia cautelare in carcere deve indicare le specifiche ragioni per cui ritiene inidonea, nel caso concreto, la misura degli arresti domiciliari con le procedure di controllo di cui all’articolo 275 bis, comma 1.
La stessa legge, con l’articolo 8, ha inserito nell’articolo 292, comma 2, lettera c bis, le parole “autonoma valutazione”, per cui l’ordinanza di custodia cautelare deve contenere, a pena di nullita’, l’esposizione delle concrete e specifiche ragioni per le quali le esigenze cautelari di cui all’articolo 274, non possono essere soddisfatte con altre misure.
Sempre sul tema relativo alla disciplina dei braccialetti elettronici, va evidenziato che la regolamentazione del relativo flusso dei braccialetti era contenuta nel Decreto Legge 26 giugno 2014, n. 92, articolo 4, (“Disposizioni urgenti in materia di rimedi risarcitori in favore dei detenuti e degli internati”), che ha segnato la modifica, solo temporanea, dell’articolo 97 bis, delle disposizioni di attuazione, intitolato “Modalita’ di esecuzione del provvedimento che applica gli arresti domiciliari”, introdotto dalla L. 8 agosto 1995, n. 382, articolo 27, attraverso l’inserimento del comma 3, con la seguente previsione: “Qualora con il provvedimento di sostituzione di cui al comma 1, concessione degli arresti domiciliari sia stata disposta l’applicazione delle procedure di controllo tramite gli strumenti previsti dall’articolo 275 bis c.p.p., comma 1, il direttore dell’istituto penitenziario, nel trasmettere la dichiarazione dell’imputato prevista dall’articolo 275 bis c.p.p., comma 2, puo’ rappresentare l’impossibilita’ di dare esecuzione immediata alla scarcerazione in considerazione di specifiche esigenze di carattere tecnico: in tal caso il giudice puo’ autorizzare il differimento dell’esecuzione del provvedimento di sostituzione sino alla materiale disponibilita’ del dispositivo elettronico da parte della polizia giudiziaria”.
Questa variazione e’ stata pero’ soppressa in sede di conversione dalla L. 11 agosto 2014, n. 117, in vigore dal 21 agosto 2014.
Tale esposizione non sarebbe completa se si limitasse alla mera esposizione dei dati cronologici, privandola di quelli relativi alla concreta operativita’ del sistema di sorveglianza elettronica nella esecuzione della detenzione domiciliare, in sostituzione di quella carceraria.
E’ innanzitutto il caso di rimarcare che la disciplina sopra richiamata e’ rimasta sostanzialmente disapplicata per circa un decennio e lo scarso ricorso alla sorveglianza elettronica e’ stato oggetto di ripetute critiche in sede di giurisdizione, sia amministrativa sia contabile, sul rilievo dell’evidente sperequazione tra le spese sostenute per dare attuazione al dettato normativo ed i deludenti risultati applicativi della innovazione, che non hanno consentito di abbattere i costi del regime coercitivo.
Occorre dare atto che, a seguito della pronuncia della Corte EDU dell’8 gennaio 2013, Torreggiani c. Italia, che ha condannato il nostro Paese per violazione dell’articolo 3 CEDU, in particolare, per la violazione del divieto di trattamenti inumani e degradanti, come quello inflitto ai detenuti a causa del sovraffollamento carcerario1 e della Raccomandazione CM/REC (2014)4 del Comitato dei Ministri agli Stati Membri sulla Sorveglianza elettronica del 19 febbraio 2014, e’ stata registrata una spinta a potenziare l’istituto con una serie di interventi legislativi indicativi della volonta’ di incentivare il piu’ possibile il ricorso alla sorveglianza elettronica.
In tal senso si inserisce l’intervenuta modifica, sopra indicata, dell’articolo 275 bis c.p.p., comma 1, e la recentissima riforma in materia di misure cautelari introdotta dalla L. n. 47 del 2015.
Sono auspicabili, pertanto, da una parte, un costante potenziamento di tale strategia da parte degli organi politici ed amministrativi coinvolti nella disciplina penitenziaria al fine di aumentare la disponibilita’ degli strumenti tecnici destinati al controllo delle persone sottoposte agli arresti domiciliari e, dall’altra parte, un adeguato sforzo motivazionale da parte dei giudici, i quali, a seguito delle riforme al sistema cautelare, hanno l’obbligo di spiegare le ragioni per le quali intendano ricorrere alla misura tradizionale piuttosto che a quella elettronicamente monitorata.
4. Preliminare alla soluzione della questione controversa appare altresi’ l’individuazione della ratio normativa delle riforme che hanno interessato la materia e degli obiettivi che con esse il legislatore ha inteso realizzare.
4.1. Per comprendere la ratio del Decreto Legge 146 del 2013, non va dimenticato il contesto in cui lo stesso si inserisce, a seguito della citata pronuncia della Corte EDU del 2013, Torregiani, che assegnava al nostro Stato un anno di tempo per rimediare ad una situazione divenuta intollerabile (gia’ censurata in passato), raccomandando tra l’altro di ridurre il numero dei detenuti mediante l’applicazione di pene alternative nonche’ di ridurre il ricorso alla custodia cautelare.
La modifica dell’articolo 275 bis c.p.p., comma 1, nei termini sopra indicati, e’ stata concordemente letta dalla dottrina quale espressione di una chiara scelta del legislatore di puntare sulle modalita’ di sorveglianza elettronica, in linea con le contemporanee prese di posizione in ambito Europeo, rafforzando, nell’ottica di effettiva gradualita’ delle misure cautelari, il principio della custodia cautelare quale extrema ratio, attraverso l’incremento degli arresti domiciliari controllati.
Alla luce di tali dichiarati obiettivi, si e’ ritenuto non potersi dubitare che il giudice chiamato ad applicare una misura cautelare, anche in sostituzione della custodia in carcere, deve obbligatoriamente considerare il braccialetto elettronico come alternativa al carcere – invertendosi cosi’ il rapporto regola/eccezione, in cui la regola e’ rappresentata dagli arresti domiciliari con braccialetto elettronico, e l’eccezione dalla custodia cautelare – e prescrivere le particolari modalita’ di controllo “salvo che non le ritenga necessarie in relazione al grado ed alla natura delle esigenze cautelari da soddisfare nel caso concreto”.
Va evidenziato, inoltre, come l’ottica del legislatore di favorire un maggior utilizzo dello strumento del controllo elettronico sia confermata anche dal Decreto Legge 14 agosto 2013, n. 93, articolo 2, convertito dalla legge 15 ottobre 2013, n. 119, che ha introdotto, anche in relazione agli specifici delitti elencati all’articolo 282 bis c.p.p., comma 6, la possibilita’ di disporre il braccialetto elettronico quale strumento di controllo dei soggetti nei cui confronti e’ disposta la misura dell’allontanamento dalla casa familiare.
Di particolare rilievo ai fini della presente decisione e’ l’intervento riformatore della L. 16 aprile 2015, n. 47, che ha inteso ulteriormente ridurre la possibilita’ di utilizzo della misura custodiale in carcere, sia nella fase applicativa che nel successivo svolgersi della vicenda cautelare.
La riforma in esame, come puntualmente evidenziato in piu’ occasioni dalla dottrina, ha cercato di ricondurre la disciplina delle misure cautelari ai principi originariamente formulati dal codice di procedura penale del 1989, ispirati dichiaratamente alle garanzie costituzionali fondamentali della tassativita’ delle restrizioni della liberta’ personale e della presunzione di non colpevolezza dell’imputato. In tal senso e’ stato sottolineato che uno degli obiettivi principali della riforma e’ da individuare nella necessita’ di invertire la funzione della custodia cautelare in carcere come anticipazione e sostituzione della pena, in contrasto con lo spirito, se non anche con la lettera, dell’articolo 27 Cost., comma 2.
Tale obiettivo e’ stato perseguito, oltre che con la richiamata modifica dell’articolo 275 bis c.p.p., attraverso la riaffermazione della funzione di extrema ratio attribuita dal sistema alla custodia in carcere, valorizzando e favorendo il ricorso a soluzioni alternative di nuovo conio (quale quella dell’applicazione congiunta delle altre misure coercitive, finora praticabile solo nelle particolari circostanze di cui all’articolo 276 c.p.p., comma 1, e articolo 307 c.p.p., comma 1 bis) e intervenendo, in modo significativo, sulle disposizioni del codice che in relazione ad alcuni reati (articolo 275, comma 3), a particolari condizioni trasgressive dell’indagato (articolo 276, comma 1 ter), o alle sue condizioni personali (articolo 284, comma 5 bis) precludevano al giudice una valutazione discrezionale circa l’individuazione della misura piu’ appropriata, sancendo una presunzione di adeguatezza della sola misura inframuraria.
L’approdo di tale percorso e’, all’evidenza, quello di creare le condizioni affinche’ le misure cautelari siano ispirate davvero al principio del “minimo sacrificio per la liberta’ personale”, facendo leva sul principio cardine di adeguatezza in base al quale la misura deve essere commisurata alla natura e al grado delle esigenze cautelari da soddisfare, che devono essere indicate nella motivazione del provvedimento.
Per quanto interessa, in particolare, la questione in esame, l’inserimento del comma 3-bis nel corpo dell’articolo 275 c.p.p., alla luce degli illustrati obiettivi, deve ritenersi diretta espressione dell’intenzione del legislatore di considerare gli arresti domiciliari con braccialetto elettronico ugualmente idonei, rispetto alla custodia in carcere, a tutelare le esigenze cautelari poste alla base della misura, restituendo centralita’ alla motivazione del giudice, affinche’, tramite un rafforzato onere motivazionale, consideri tutte le alternative possibili per escludere il ricorso alla custodia carceraria.
All’indomani della riforma, pertanto, ove non si sia al cospetto di una ipotesi di presunzione assoluta di adeguatezza (ormai limitata, a seguito delle molte declaratorie di illegittimita’ costituzionale, agli articoli 270, 270 bis e 416 bis c.p.), deve ritenersi sempre necessaria, in sede di applicazione di una misura cautelare personale, una esplicita motivazione sulla inidoneita’ degli arresti domiciliari controllati.
4.2. Venendo ora al tema che piu’ direttamente riguarda la questione posta all’attenzione delle Sezioni Unite, va osservato che uno degli aspetti maggiormente discussi della disciplina in esame, anche in ragione della sua complessita’, e’ l’individuazione della natura degli arresti domiciliari con prescrizione del c.d. braccialetto elettronico e, in particolare, la risposta al quesito se il legislatore, con l’inserimento dell’articolo 275 bis c.p.p., abbia o meno introdotto una misura autonoma o una mera modalita’ di esecuzione degli arresti domiciliari semplici.
E’ evidente, infatti, come l’individuazione della natura dell’istituto in esame possa influenzare, in un senso o nell’altro, la soluzione della quaestio iuris rimessa alle Sezioni Unite, nonche’ orientare la gran parte delle scelte interpretative della disciplina in esame.
La risposta da dare a questo quesito, ad avviso delle Sezioni Unite, e’ nel senso che gli arresti domiciliari con le procedure di controllo di cui all’articolo 275 bis c.p.p., comma 1, non configurano una misura autonoma, che si collocherebbe ad un livello intermedio tra la custodia cautelare in carcere e gli arresti domiciliari “semplici”.
Questa ultima ricostruzione e’ affermata da una parte della dottrina, per la quale, a seguito della riforma del 2015, il provvedimento di cui all’articolo 275 bis, avrebbe assunto una propria specifica natura e consistenza, essendo volto a contrastare pericula libertatis specifici e diversi da quelli della cautela massima e dei domiciliari “semplici”, in quanto pensati per tutelare tutte quelle situazioni intermedie tra dette misure, in cui il giudice, pur non ritenendo di dover ricorrere alla extrema ratio cautelare, tuttavia nutra, nei confronti del soggetto destinatario della misura, dubbi in ordine alla sua capacita’ autolimitativa.
4.3. La giurisprudenza e’ concorde, invece, nell’affermare che gli arresti domiciliari con l’adozione dei mezzi tecnici di controllo non costituiscono una nuova ed autonoma misura cautelare, richiamandosi al principio di diritto affermato da Sez. 2, n. 47413 del 29/10/2003, Bianchi, Rv.227582, la quale definisce, appunto, la previsione di cui all’articolo 275 bis c.p.p., una condizione sospensiva della custodia cautelare in carcere.
4.4. Ritengono le Sezioni Unite che vada esclusa la natura di misura cautelare autonoma degli arresti domiciliari “controllati”.
In tal senso depone la chiara lettera della relazione al disegno di legge relativo alla conversione del Decreto n. 341 del 2000, nella quale si afferma che “non si tratta di creare nuove misure alternative alla detenzione o alla custodia cautelare in carcere, quanto piuttosto di disciplinare un nuovo strumento di controllo applicabile, nei casi in cui cio’ sia possibile, alle misure esistenti”, in seguito ad una specifica valutazione di adeguatezza operata dal giudice della cautela, cosi’ valorizzando l’incipit della norma “nel disporre gli arresti domiciliari”.
In secondo luogo depone in tal senso la collocazione sistematica della disposizione (articolo 275 bis c.p.p.: intitolato significativamente “Particolari modalita’ di controllo”) che ha introdotto gli arresti domiciliari con il c.d. braccialetto elettronico nel nostro ordinamento.
L’articolo 275-bis, infatti, e’ stato inserito a ridosso delle “Disposizioni generali” (Capo I) in tema di misure cautelari ed, in particolare, subito dopo il disposto dell’articolo 275, che enuncia i “Criteri di scelta delle misure”, e prima del Capo 2 che elenca in maniera tassativa le misure cautelari personali.
Cio’ consente di ritenere che la modalita’ di controllo in esame puo’ essere accompagnata anche ad altre misure coercitive, nei casi disciplinati dal legislatore, come avviene, oltre che per gli arresti domiciliari, con la misura dell’allontanamento dalla casa familiare prevista dall’articolo 282 bis – a seguito delle modifiche apportate dal Decreto Legge 14 agosto 2013, n. 93 – che, nel comma 6, prevede che la misura puo’ essere disposta anche al di fuori dei limiti di pena previsti dall’articolo 280 c.p.p., “anche con le modalita’ di controllo previste dall’articolo 275 bis”.
Proprio in ragione dello stretto collegamento con le esigenze cautelari e della volonta’ del legislatore di considerare obbligatoriamente il “braccialetto elettronico” come alternativa al carcere, in linea, quindi, con gli scopi della riforma di incrementare l’utilizzo di misure alternative alla detenzione in carcere, il mezzo tecnico costituisce un nuovo strumento di controllo (come suggerisce la stessa rubrica dell’articolo 275 bis) applicabile, nei casi in cui sia previsto dal legislatore, alle misure esistenti. Non una misura “nuova”, quindi, ma una modalita’ nuova di applicazione di alcune delle misure preesistenti (per quello che qui interessa, quella degli arresti domiciliari).
5. Affermato tale principio, in relazione alla natura della misura in esame, ai fini della soluzione del quesito, assume rilievo stabilire in quale momento della procedura si collochi la verifica da parte del giudice in ordine alla concreta disponibilita’ dell’apparecchiatura.
La lettura complessiva dell’articolo 275 bis c.p.p., consente di affermare che tale verifica debba avvenire necessariamente ex ante, in quanto funzionale alla scelta della misura cautelare da applicare.
La possibile lettura sistematica della norma non puo’ prescindere dalla lettera della stessa nella parte in cui espressamente stabilisce che, nel disporre la misura degli arresti domiciliari, il giudice prescrive procedure di controllo mediante mezzi elettronici o altri strumenti tecnici, “quando ne abbia accertato la disponibilita’ da parte della polizia giudiziaria”.
Il modo in cui e’ formulata la disposizione depone chiaramente nel senso che l’esito di tale controllo si delinea quale elemento in grado di orientare tale scelta ed in questa prospettiva l’accertamento sulla disponibilita’ dello strumento tecnico deve precedere la scelta della misura e non seguirla.
5.1. In questo quadro normativo va risolta la questione se (‘indisponibilita’ del braccialetto elettronico possa giustificare da sola l’applicazione della misura custodiate in carcere o quella degli arresti domiciliari “semplici”.
La risposta da dare al quesito, secondo le Sezioni Unite, deve partire innanzitutto dall’analisi del dato testuale della norma che, nel prevedere che il soggetto sottoposto alla misura presti il consenso in forma espressa all’utilizzo del dispositivo, contestualmente stabilisce che, in assenza di tale consenso, il giudice dispone con lo stesso provvedimento di applicazione della misura di cui all’articolo 275 bis, la misura della custodia cautelare in carcere. Il dissenso dell’interessato all’adozione dei mezzi elettronici o altri strumenti tecnici si pone, pertanto, quale condizione ostativa della possibilita’ di applicazione degli arresti domiciliari di cui all’articolo 275 bis.
Nella costruzione dell’istituto operata dal legislatore, la negazione del consenso e’ configurata, pertanto, come unica condizione ostativa, mentre la norma non contempla la carenza del dispositivo quale causa automatica di applicazione della custodia cautelare in carcere o, in senso opposto, della sostituzione della stessa con quella degli arresti domiciliari “semplici”.
Ne’ e’ ammissibile una interpretazione di segno diverso, tenuto anche conto che, laddove il legislatore ha ritenuto che la trasgressione alle prescrizioni imposte priva il giudice procedente di una piena discrezionalita’ nella scelta della misura da applicare nel caso concreto, lo ha espressamente previsto (v. articolo 276, comma 1 ter, con riferimento alle prescrizioni concernenti il divieto di allontanarsi dal luogo di esecuzione della misura, prima delle modifiche apportate dalla L. n. 47 del 2015).
Una affermazione di segno opposto contrasterebbe, peraltro, con lo spirito della riforma in tema di misure cautelari, introdotta, da ultimo, con la L. n. 47 del 2015, caratterizzata dal rafforzamento della funzione di extrema ratio attribuita alla custodia cautelare.
In tal senso sono significative le modifiche apportate, oltre che al gia’ richiamato articolo 276, comma 1 ter, all’articolo 284, comma 5 bis, a seguito delle quali l’applicazione della misura inframuraria non e’ piu’ automaticamente ricollegata all’avvenuta trasgressione ma necessita di un previo apprezzamento del giudice procedente in ordine all’effettivo disvalore della trasgressione medesima.
Ed e’ proprio questo passaggio argomentativo che merita di essere sottolineato ai fini della soluzione del quesito sottoposto all’esame delle Sezioni Unite: il chiaro intento del legislatore di ridurre il piu’ possibile l’applicazione della misura custodiale, volto a dare concreta soluzione al problema del sovraffollamento carcerario, rende inaccettabili interpretazioni della norma che comportano automatismi nell’applicazione della misura custodiale in carcere.
Parimenti, non merita accoglimento neanche quell’orientamento, dottrinario e giurisprudenziale, secondo il quale, il giudice, nella ipotesi di indisponibilita’ del braccialetto elettronico, deve dare corso senz’altro agli arresti domiciliari.
Tale soluzione, con l’automatismo sopra indicato, contrasterebbe, infatti, con i principi di proporzione e di ragionevolezza, introducendo un favor non commisurato al convincimento del decidente ed alle valutazioni da questo operate in ordine alla individuazione ed alla tutela delle esigenze cautelari.
5.2. Nel valutare la portata delle scelte compiute dal legislatore con le riforme citate, occorre rimarcare il ruolo decisivo sulle stesse del percorso interpretativo compiuto dalla Corte costituzionale sulla presunzione assoluta di adeguatezza della sola custodia in carcere a partire dalla sentenza n. 265 del 2010.
La tutela della liberta’ personale costituisce il fondamento delle numerose decisioni della Corte costituzionale (v. la recente sentenza n. 48 del 2015), con le quali e’ stato ribadito che i principi costituzionali di riferimento implicano che la disciplina della materia debba essere ispirata al principio del “minore sacrificio necessario”: la compressione della liberta’ personale va contenuta, cioe’, entro i limiti minimi indispensabili a soddisfare le esigenze cautelari del caso concreto. Cio’ impegna il legislatore, da una parte, a strutturare il sistema cautelare secondo il modello della “pluralita’ graduata”, predisponendo una gamma di misure alternative, connotate da differenti gradi di incidenza sulla liberta’ personale; dall’altra, a prefigurare, in corrispondenza, criteri per scelte “individualizzanti” del trattamento cautelare, coerenti e adeguate alle esigenze configurabili nei singoli casi concreti.
Le valutazioni espresse dal Giudice delle leggi in questo percorso “demolitorio” hanno evidenziato come i limiti di legittimita’ delle misure cautelari risultino espressi, a fronte del principio di inviolabilita’ della liberta’ personale (articolo 13, primo comma, Cost.) – oltre che dalle riserve di legge e di giurisdizione (articolo 13 Cost., commi 2 e 4) – anche e soprattutto dalla presunzione di non colpevolezza (articolo 27 Cost., comma 2), a fronte della quale le restrizioni della liberta’ personale dell’indagato o dell’imputato nel corso del procedimento debbono assumere connotazioni nitidamente differenziate da quelle della pena, irrogabile solo dopo l’accertamento definitivo della responsabilita’.
Questo insieme di indicazioni costituzionali, come anche sottolineato dalla sentenza n. 231 del 2011, trova puntuale espressione nella disciplina generale dettata in materia dal codice di procedura penale, che, a fronte della tipizzazione di un “ventaglio” di misure, di gravita’ crescente (articoli 281 e 285), con il criterio di “adeguatezza” (articolo 275, comma 1) – dando corpo al principio del “minore sacrificio necessario” – impone al giudice di scegliere la misura meno afflittiva tra quelle astrattamente idonee a tutelare le esigenze cautelari ravvisabili nel caso di specie.
In un numero tutt’altro che marginale di casi, continua la Corte, “le esigenze cautelari – pur non potendo essere completamente escluse – sarebbero suscettibili di trovare idonea risposta anche in misure diverse da quella carceraria, che valgano a neutralizzare il “fattore scatenante” o ad impedirne la riproposizione. E cosi’, anzitutto, quanto ai fatti legati a particolari contesti, tramite misure che valgano comunque ad operare una forzosa separazione da questi dell’imputato o dell’indagato: arresti domiciliari in luogo diverso dall’abitazione (articolo 284), eventualmente accompagnati da particolari strumenti di controllo (quale il cosiddetto braccialetto elettronico (articolo 275 bis); obbligo o divieto di dimora o anche solo accesso in determinati luoghi (articolo 283) e allontanamento dalla casa familiare (articolo 282 bis)”.
Ed e’ parimenti significativo che le innovazioni in materia di misure cautelari sono seguite anche alla necessita’ di dare attuazione a sentenze della Corte EDU.
Il riferimento e’, in particolare, alla piu’ volte citata sentenza nel procedimento Torreggiani e altri c. Italia, che tanta rilevanza ha assunto quale spinta alle riforme normative della materia in esame.
5.3. Lineare corollario di tale percorso ermeneutico e’ che e’ rimessa al giudice, nel caso concreto, sia nel momento di prima applicazione della misura cautelare (ex articolo 291 c.p.p.) sia nel caso di sostituzione della misura (ex articolo 299), in caso di indisponibilita’ dello strumento elettronico di controllo, la scelta se applicare la custodia cautelare in carcere o gli arresti domiciliari “semplici”, sulla scorta di un giudizio di bilanciamento che, dato atto della impossibilita’ di applicare la misura piu’ idonea, ossia gli arresti domiciliari “elettronici”, metta a confronto l’intensita’ delle esigenze cautelari e la tutela della liberta’ personale dell’imputato.
Non puo’ negarsi infatti che, proprio in ragione dello stretto collegamento esistente tra la natura ed il grado delle esigenze cautelari poste a fondamento della misura, ritenuta piu’ adeguata ad affrontarle, rispetto alla misura restrittiva piu’ grave e a quella degli arresti domiciliari semplici, la mancata reperibilita’ del dispositivo, imponga al giudice una rivalutazione della fattispecie concreta, alla luce dei principi di adeguatezza e proporzionalita’ di ciascuna delle misure, in relazione alle esigenze cautelari da soddisfare nel caso concreto.
Deve, pertanto, ribadirsi l’esclusione di ogni automatismo nella scelta della misura: in altri termini, l’applicazione della misura inframuraria o quella meno grave degli arresti domiciliari semplici non e’ automaticamente ricollegabile all’accertata indisponibilita’ del dispositivo elettronico, ma necessita di un previo apprezzamento sulle esigenze cautelari da soddisfare in concreto.
5.4. Dal percorso argomentativo sopra delineato discendono le seguenti conseguenze:
– il giudice deve motivare in positivo sulla non necessita’ dell’adozione di procedure di controllo mediante mezzi elettronici (“salvo che le ritenga non necessarie”), mentre deve applicare la custodia carceraria solo laddove il soggetto interessato neghi il consenso all’adozione di tali mezzi di controllo (articolo 275 bis c.p.p.);
– ritenuta l’idoneita’ degli arresti domiciliari controllati, nella ipotesi di constatazione della carenza del dispositivo, il giudice ha l’onere di giustificare l’individuazione della specifica misura applicabile, alla luce della circostanza di fatto della indisponibilita’ del dispositivo.
Tale interpretazione e’ l’unica compatibile con i principi costituzionali di cui agli articoli 3 e 13 Cost..
5.5. Va pertanto affermato il seguente principio di diritto ai sensi dell’articolo 173 disp. att. c.p.p., comma 3:
“Il giudice, investito di una richiesta di applicazione della misura cautelare degli arresti domiciliari con il c. d. braccialetto elettronico o di sostituzione della custodia in carcere con la predetta misura, escluso ogni automatismo nei criteri di scelta delle misure, qualora abbia accertato l’indisponibilita’ del suddetto dispositivo elettronico, deve valutare, ai fini dell’applicazione o della sostituzione della misura coercitiva, la specifica idoneita’, adeguatezza e proporzionalita’ di ciascuna di esse in relazione alle esigenze cautelari da soddisfare nel caso concreto”.
6. Le considerazioni che precedono comportano il rigetto del ricorso.
E’ vero che il Tribunale, in riferimento al secondo motivo dell’appello cautelare, con il quale si denunciava la violazione dell’articolo 275 bis c.p.p., si e’ limitato ad affermare che il giudice a quo aveva correttamente valutato la possibilita’ di sostituire gli arresti domiciliari con il dispositivo del braccialetto elettronico, concludendo in senso negativo, attesa l’indisponibilita’ del congegno.
Tale motivazione non ha pero’ richiamato interamente le argomentazioni contenute nel provvedimento impugnato.
La Corte territoriale aveva ritenuto l’insussistenza di sopravvenuti elementi suscettibili di modificare la valutazione che aveva comportato l’applicazione della custodia carceraria, avuto riguardo alla gravita’ del fatto delittuoso ascritto all’imputato ed alla personalita’ del medesimo, come rilevabile, oltre che dall’episodio che aveva comportato l’aggravamento della misura, dalle modalita’ del tentato omicidio.
Valorizzando tali circostanze, il giudicante era arrivato alla conclusione che il (OMISSIS) non offriva sufficienti garanzie di affidabilita’ circa il rispetto delle prescrizioni connesse agli arresti domiciliari, “avuto riguardo anche alla impossibilita’, alla stregua della nota (della) Questura di Salerno, di dare esecuzione alla richiesta di attivazione del braccialetto elettronico”.
Si tratta, all’evidenza, di un percorso logico e conseguente, nel quale e’ confluita la valutazione della personalita’ dell’imputato, correlata al fatto ed alla specificita’ della posizione del (OMISSIS) nell’attualita’, tale da non consentire il ricorso a misure di contenimento piu’ blande della custodia in carcere.
Rispetto a tale motivazione il riferimento alla constatazione della indisponibilita’ del braccialetto elettronico rappresenta una considerazione solo rafforzativa sulla inadeguatezza della misura degli arresti domiciliari “controllati”.
Il Tribunale dell’appello cautelare, a sua volta, pur nel sintetico riferimento alla indisponibilita’ del “braccialetto elettronico”, previa la corretta precisazione che il provvedimento di aggravamento della misura ex articolo 276 c.p.p., aveva riguardato altro coimputato, ha fornito adeguata motivazione anche in ordine alla persistente sussistenza delle esigenze cautelari poste a fondamento della misura della custodia in carcere, soffermandosi, in particolare, sull’affermato pericolo di recidiva; e cio’ anche con specifico riguardo all’apprezzamento dell’attualita’ del rischio cautelare, come ora imposto dalle modifiche introdotte dalla L. n. 47 del 2015. Al riguardo, e’ stata valorizzata l’alta probabilita’ del determinarsi di occasioni favorevoli alla commissione di nuovi reati, tenuto conto delle circostanze di fatto in cui era maturato il delitto di tentato omicidio (posto in essere a seguito di un litigio fra terze persone) nonche’ della personalita’ trasgressiva del prevenuto, la cui condotta pregressa risultava aver gia’ denotato un’apprezzabile ribellione ai precetti dell’autorita’.
Si tratta di valutazione in fatto incensurabile in questa sede e corretta giuridicamente, ove si consideri che l’articolo 274 c.p.p., comma 1, lettera c), nel testo introdotto dalla L. 16 aprile 2015, n. 47, richiede che il pericolo che l’imputato commetta altri delitti deve essere non solo concreto, ma anche attuale. Si tratta di attributi distinti, legati l’uno (la concretezza) alla capacita’ a delinquere del reo, l’altro (l’attualita’) alla presenza di occasioni prossime al reato, la cui sussistenza, anche se desumibile dai medesimi indici rivelatori (specifiche modalita’ e circostanze del fatto e personalita’ dell’indagato o imputato), deve essere autonomamente e separatamente valutata, non risolvendosi il giudizio di concretezza in quella di attualita’ e viceversa (di recente, Sez. 3, n. 15924 del 18/12/2015, dep. 2016, Gattuso, non mass.).
Nel ricorso, d’altra parte, non sono stati dedotti elementi idonei a disarticolare questo percorso logico, che non siano gia’ stati oggetto di attenta valutazione.
7. Al rigetto del ricorso consegue ex articolo 616 cod. proc. pen. la condanna del ricorrente al pagamento delle spese processuali

P.Q.M.

Rigetta il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese processuali.
Si provveda ai sensi dell’articolo 94 disp. att. c.p.p., comma 1 ter.

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