Corte di Cassazione

Suprema Corte di Cassazione

S.U.P.

sentenza 12 dicembre 2014, n. 51824

REPUBBLICA ITALIANA

IN NOME DEL POPOLO ITALIANO
LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE
SEZIONI UNITE PENALI
Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:
Dott. DE ROBERTO Giovanni – Presidente
Dott. MARASCA Gennaro – Consigliere
Dott. ROMIS Vincenzo – Consigliere
Dott. CONTI Giovanni – Consigliere
Dott. ROTUNDO Vincenzo – rel. Consigliere
Dott. PAOLONI Giacomo – Consigliere
Dott. MACCHIA Alberto – Consigliere
Dott. MARINI Luigi – Consigliere
ha pronunciato la seguente:
SENTENZA

sul ricorso proposto da:

1. (OMISSIS), nato a (OMISSIS);

2. (OMISSIS), nato a (OMISSIS);

avverso la sentenza del 02/05/2012 della Corte di appello di Roma;

visti gli atti, il provvedimento impugnato e i ricorsi;

udita la relazione svolta dal componente Vincenzo Rotundo;

udito il Pubblico Ministero, in persona dell’Avvocato generale (OMISSIS), che ha concluso chiedendo il rigetto dei ricorsi;

uditi per gli imputati gli avv.ti (OMISSIS) e (OMISSIS), che hanno concluso chiedendo l’accoglimento dei ricorsi.

RITENUTO IN FATTO
1. L’oggetto del processo e’ costituito dalla condotta di alcuni soggetti che consegnavano ad un consulente tecnico del Pubblico Ministero una somma di denaro (da quello simulatamente accettata) allo scopo di fargli predisporre una consulenza falsa.
In particolare, la vicenda processuale in esame trae origine da un incidente aereo, avvenuto il (OMISSIS), nello spazio sovrastante l’aeroporto di (OMISSIS), che causo’ la caduta di un aeromobile della compagnia (OMISSIS) su un capannone industriale e la morte del pilota e del copilota.
Durante le indagini preliminari che seguirono, il Pubblico Ministero nomino’ un consulente tecnico, ex articolo 359 cod. proc. pen., nella persona del signor (OMISSIS), funzionario (OMISSIS).
Nel corso degli accertamenti tecnici, il consulente citato fu avvicinato da un suo conoscente e collega, tale (OMISSIS), ispettore (OMISSIS) a (OMISSIS) ed addetto al controllo operativo di (OMISSIS), il quale gli prospetto’ la possibilita’ di ottenere una grossa somma di denaro in cambio di un elaborato tecnico favorevole alla compagnia aerea.
Il (OMISSIS) finse di accettare ma avviso’ immediatamente il Pubblico Ministero, che predispose attivita’ investigativa che consentisse la prosecuzione della trattativa corruttiva, sia pure sotto il controllo della polizia giudiziaria, in modo che venissero individuate tutte le possibili responsabilita’.
All’esito dell’Indagine, emersero profili di responsabilita’ nei confronti del citato (OMISSIS) e di (OMISSIS) ed (OMISSIS) (soci della compagnia aerea ed il secondo anche legale rappresentante) nonche’ dell’avv. (OMISSIS), difensore di questi ultimi, il quale, secondo quanto emerso, avrebbe avuto il compito di indicare quale avrebbe dovuto essere il contenuto della consulenza tecnica per risultare favorevole ai suoi assistiti.
Il Pubblico Ministero, con gli elementi acquisiti a carico dei citati indagati, chiese ed ottenne dal Giudice per le indagini preliminari del Tribunale di Milano ordinanza cautelare per il delitto di corruzione in atti giudiziari, di cui all’articolo 319-ter cod. pen..
Gia’ in sede di interrogatori di garanzia gli indagati ammisero la materialita’ dei fatti storici, seppure cercando di giustificare l’offerta corruttiva con la finalita’ di evitare una consulenza sfavorevole da parte del tecnico nominato dal Pubblico Ministero, ritenuto in qualche modo prevenuto nei confronti della societa’ e dei suoi amministratori.
L’ordinanza venne annullata dal Tribunale del riesame per erronea qualificazione del fatto: non essendosi conclusa la trattativa, il reato prospettabile era quello di istigazione alla corruzione, di cui all’articolo 322 cod. pen..
Avverso il provvedimento del controllo cautelare propose ricorso per cassazione il Pubblico Ministero milanese.
La Corte di cassazione rigetto’ il ricorso, confermando che la corruzione in atti giudiziali non si era consumata. In motivazione ritenne di poter sussumere il fatto storico nell’Ipotesi delittuosa di tentativo di corruzione in atti giudiziali.
A cio’ giunse sul presupposto che, in base alla lettera dell’articolo 322 cod. pen., l’istigazione non era assolutamente configurabile quando il reato corruttivo finale preordinato era quello di cui all’articolo 319-ter cod. pen..
In sede di indagini venne successivamente sollevata questione sulla competenza territoriale, rimessa al Procuratore generale presso la Corte di cassazione, ex articolo 54-quater cod. proc. pen..
L’incidente venne risolto attribuendo la competenza alla Procura della Repubblica di Roma, sul presupposto che, qualificato come istigazione alla corruzione ex articolo 322 cod. pen..
Il reato si era consumato in (OMISSIS).
Il Pubblico Ministero a cui venne trasmesso il fascicolo, all’esito delle indagini, non ritenne pero’ di contestare la fattispecie delittuosa individuata dal Procuratore generale presso la Corte di cassazione ed esercito’ l’azione penale nei confronti del quattro imputati per il delitto di intralcio alla giustizia, ex articolo 377 cod. pen., ritenuto commesso a Roma il 2 giugno 2006.
Avendo gli imputati (OMISSIS) e (OMISSIS) optato per il rito abbreviato, il Giudice dell’udienza preliminare del Tribunale di Roma, con sentenza del 26 novembre 2008, concordando sulla qualificazione giuridica proposta dal Pubblico Ministero, condanno’ gli imputati alla pena di anni uno e mesi otto di reclusione ciascuno, con la sospensione condizionale.
Con successiva ordinanza, emessa il 23 gennaio 2009, stesso giorno in cui venne depositata la motivazione, il Giudice dell’udienza preliminare opero’ una correzione del dispositivo, irrogando la pena accessoria dell’interdizione dal pubblici uffici per la stessa durata della pena principale, anch’essa sospesa.
In motivazione, il Giudice evidenzio’ come la fattispecie di cui all’articolo 377 cod. pen. era da considerarsi speciale rispetto a quella dell’articolo 322 cod. pen. e che essa andava ritenuta sussistente, nel caso In contestazione, in quanto l’attivita’ allevatrice, svolta nei confronti del collaboratore del Pubblico Ministero, era finalizzata ad ottenere una testimonianza favorevole nel futuro dibattimento; il consulente tecnico, infatti, avrebbe dovuto essere considerato, nella prospettiva del processo, un testimone, giusta il disposto dell’articolo 501 cod. proc. pen..
La Corte di appello di Roma, con sentenza del 2 maggio 2012 pronunciata a seguito di impugnazione degli imputati, in riforma della sentenza del primo giudice, riqualificata la condotta contestata ai sensi degli articoli 110 e 322 cod. pen., determino’ la pena, tenuto conto della diminuente del rito, in anni uno di reclusione ciascuno e revoco’ la pena accessoria.
Secondo la Corte di appello non era possibile qualificare il fatto in termini di intralcio alla giustizia, essendo questo delitto prospettabile solo nel caso in cui il soggetto avvicinato rivesta gia’ la qualifica di teste, per essere stato citato con questo ruolo a partecipare al giudizio.
Pur condividendo l’Impostazione del primo giudice sul carattere speciale della fattispecie di cui all’articolo 377 cod. pen. rispetto a quella punita nel capo dei delitti dei pubblici ufficiali contro la pubblica amministrazione, la Corte di appello di Roma ritenne, pero’, per la ragione da ultimo indicata, inapplicabile la norma speciale. Confermo’ quindi la declaratoria di responsabilita’, previa modificazione del titolo del reato.
A sostegno della propria tesi, la Corte distrettuale richiamo’ anche l’unico arresto edito della Suprema Corte, che aveva qualificato la proposta corruttiva avanzata ad un consulente tecnico di un pubblico ministero proprio come istigazione alla corruzione.
2. Contro la decisione della Corte di appello gli imputati hanno presentato, a mezzo del medesimo difensore, ricorso per cassazione, articolato in un unico motivo, con cui denunciano sia la violazione dell’articolo 322 cod. pen. sia il vizio di motivazione.
Dopo una lunga premessa in cui viene ricostruito il fatto ed operata una alquanto esaustiva rassegna della giurisprudenza in argomento, evidenziano come, alla luce dell’impostazione sistematica del codice, il reato commesso dal consulente tecnico non possa che essere inquadrato, in astratto, fra le ipotesi dei reati contro l’amministrazione della giustizia.
Il legislatore, infatti, ha dimostrato, con le sue scelte, una volonta’ inequivoca: concentrare in un’apposita sezione tutte le condotte relative a reati contro l’amministrazione della giustizia.
In concreto, pero’, non sarebbe ipotizzabile il delitto di cui all’articolo 377 cod. pen. perche’ mancherebbe il requisito soggettivo; nel caso di specie, infatti, il consulente tecnico, non avendo ancora assunto la veste di testimone, non poteva essere annoverato fra i soggetti nei cui confronti ha rilevanza penale una attivita’ subornatrice.
Ravvisare, d’altro canto, nel fatto un’ipotesi di reato contro la pubblica amministrazione (e quindi il delitto di cui all’articolo 322 cod. pen.), oltre ad apparire una scelta in contrasto con le indicazioni del legislatore, incontrerebbe un ostacolo insormontabile, rappresentato dalla violazione degli articoli 3 e 25 Cost..
Infatti, i tentativo di corruzione di un consulente tecnico di parte verrebbe punito piu’ severamente del tentativo di corruzione nei confronti del perito o del consulente tecnico del giudice civile o del consulente tecnico del pubblico ministero gia’ ammesso a deporre in dibattimento.
Andrebbe, in conclusione, ravvisata, secondo i ricorrenti, la fattispecie di istigazione a commettere falsa consulenza (articoli 115 e 380 cod. pen.), che, non essendo stata accolta, sarebbe non punibile ex articolo 115 cod. pen..
In subordine, I ricorrenti hanno eccepito la incostituzionalita’ dell’articolo 322 c.p., comma 2, per contrasto con l’articolo 3 Cost..
3. Con ordinanza n. 12901 del 14 marzo 2013 la Sesta Sezione penale della Corte di cassazione ha rimesso alle Sezioni Unite, sul presupposto di un potenziale contrasto di giurisprudenza, la questione cosi’ di seguito riassumibile: “se sia configurabile il reato di intralcio alla giustizia di cui all’articolo 377 cod. pen. nel caso di offerta o di promessa di denaro o di altra utilita’ al consulente tecnico del pubblico ministero al fine di influire sul contenuto della consulenza, qualora il consulente tecnico non sia stato ancora citato per essere sentito sul contenuto della consulenza”.
Il Collegio ha evidenziato in premessa quali fossero le possibili opzioni ermeneutiche in campo.
Ha ricordato che nell’ambito della stessa vicenda in esame, in sede di valutazione cautelare della posizione del coimputato (OMISSIS), la Corte di cassazione aveva ritenuto configurabile la fattispecie di tentata corruzione in atti giudiziari; ha, pero’, ritenuto trattarsi di un orientamento a cui non potesse darsi seguito; In mancanza di un accordo corruttivo, la condotta dell’istigatore, diretta a un soggetto che non l’abbia accolta, andava infatti ricondotta nella fattispecie di cui all’articolo 322 cod. pen.. Quest’ultima disposizione, in effetti, pur riferendosi formalmente alle ipotesi corruttive di cui all’articolo 318 c.p., comma 1 e articolo 319 cod. pen., si attagliava anche a quella di cui all’articolo 319-ter cod. pen., posto che quest’ultimo articolo richiamava “i fatti indicati negli articoli 318 e 319”.
Di conseguenza, la questione interpretativa si concentrava sull’applicabilita’ di una delle due fattispecie delittuose gia’ sperimentate nel corso del procedimento di merito, e cioe’ l’Istigazione alla corruzione o l’intralcio alla giustizia.
Nell’ordinanza di rimessione si e’ ricordato come la lettura ermeneutica fatta propria dalla Corte di appello risultasse supportata dall’unico arresto edito che si era occupato di un caso analogo; con la sentenza n. 4062 del 1999, imp. Pizzicaroli, infatti, la medesima Sesta Sezione aveva ritenuto sussistente il delitto di istigazione alla corruzione, di cui all’articolo 322 c.p., comma 2, sul presupposto che il consulente tecnico del Pubblico Ministero, cui era stata offerta un’utilita’ per “addomesticare” gli esiti del suo accertamento, non aveva ancora assunto il ruolo formale di testimone.
Ha ritenuto, pero’, che la prospettazione difensiva secondo cui vi sarebbero stati ostacoli formali nel configurare il delitto di istigazione alla corruzione avesse, almeno in parte, fondamento.
La prospettiva patrocinata nel 1999 dalla citata sentenza della Cassazione e nell’odierno processo dal Giudice collegiale di appello, rischiava, in primo luogo, di apparire in contrasto con il dettato degli articoli 3 e 25 Cost..
L’offerta di denaro o di altra utilita’ al consulente del pubblico ministero (pubblico ufficiale) per il compimento di una falsa consulenza sarebbe stata punita piu’ gravemente dell’analoga condotta diretta a un perito, che rientrava pacificamente, per il principio di specialita’, nell’articolo 377 c.p., comma 1. Nella prima ipotesi, infatti, per il combinato disposto degli articoli 319 e 322 cod. pen. (nella formulazione vigente pro tempore, prima della riforma della Legge n. 190 del 2012), sarebbe stata Irrogabile la reclusione da un anno e quattro mesi a tre anni e quattro mesi; nella seconda, invece, per il combinato disposto degli articoli 372, 373 e 377 cod. pen., la reclusione da otto mesi a tre anni.
Ma anche sotto un altro profilo la conclusione proposta sarebbe parsa difficilmente giustificabile sul plano della razionalita’ complessiva del sistema; solo questa particolare, e neppure piu’ grave, forma di intralcio alla giustizia non sarebbe stata ricompresa nella specifica partizione del codice dedicata ai delitti contro l’amministrazione della giustizia, confluendo in quella dei delitti contro la pubblica amministrazione.
Partendo proprio da quest’ultima considerazione di carattere sistematico, l’ordinanza ha esplorato la possibilita’ di considerare corretta la conclusione cui era pervenuto il Giudice di primo grado, quando aveva condannato gli imputati per il delitto di intralcio alla giustizia.
Quel Giudice aveva, infatti, individuato il riferimento implicato dall’articolo 377 cod. pen. nell’articolo 372 (o nell’articolo 371-bis), e non nell’articolo 373 cod. pen..
In tal modo aveva superato una delle obiezioni mosse dalla dottrina, e riproposta anche dai ricorrenti, per sostenere l’inapplicabilita’ dell’articolo 377 cod. pen. nel caso di subornazione del consulente tecnico del pubblico ministero; la proposta corruttiva del privato non poteva di certo mirare al confezionamento di una falsa perizia, punita dall’articolo 373 cod. pen., perche’ il consulente tecnico del pubblico ministero non era un perito e non produceva, dunque, alcuna perizia.
Nel concludere per la sostenibilita’ della costruzione del Giudice di primo grado, l’ordinanza di rimessione ha ritenuto non accoglibili i rilievi dei ricorrenti nella parte in cui evidenziavano che non sarebbe stato evocabile nemmeno l’articolo 372 cod. pen., pure richiamato dall’articolo 377 c.p..
La difesa degli imputati, in particolare, aveva utilizzato due argomenti a sostegno del suo ragionamento:
a) il consulente tecnico (al pari del perito) non era un testimone, non dovendo riferire su fatti, ma dovendo solo esprimere il suo sapere tecnico;
b) ai fini dell’assunzione da parte di un soggetto della veste di testimone occorreva che il medesimo fosse stato gia’ citato a giudizio per rendere la sua dichiarazione.
Entrambi i rilievi sono stati reputati dalla Sesta Sezione non dirimenti.
Quanto al primo, si e’ evidenziato che al consulente tecnico (al pari del perito) si estendevano le disposizioni sull’esame dei testimoni, a norma dell’articolo 501 cod. proc. pen.; anche se il consulente tecnico non era un testimone (nel senso propriamente indicato dall’articolo 194 cod. proc. pen.), e, quindi, non riferiva su “fatti” ma esprimeva valutazioni su materie che richiedevano specifiche competenze (v. articolo 220 cod. proc. pen.), nondimeno egli ben poteva “affermare il falso o negare il vero”, secondo la previsione dell’articolo 372 cod. pen., o “rendere dichiarazioni false”, secondo quella dell’articolo 371-bis cod. pen., ad esempio tacendo o alterando determinati esiti obiettivi degli accertamenti espletati, escluso, beninteso, ogni sindacato su aspetti meramente valutativi relativi a detti accertamenti.
Non si sarebbe compreso del resto, ragionando ex adverso, il senso del richiamo fatto dal citato articolo 501 alle regole sull’esame del testimone, tra cui vi era quella diretta al soggetto esaminato, per nulla incompatibile con la funzione assegnata al consulente tecnico, di “rispondere secondo verita’ alle domande che gli sono rivolte” (articolo 198 cod. proc. pen.).
Anche l’individuazione della qualificazione soggettiva del consulente tecnico poteva contribuire a dimostrare l’assunto: il consulente tecnico, chiamato a collaborare con una parte privata, era tradizionalmente concepito come un soggetto che esprimeva un ruolo di ausilio alla difesa, donde la sua equiparazione, quanto a funzione e garanzie, al difensore; quello nominato dal pubblico ministero, sia pure prestando un’attivita’ di ausilio a una “parte” del processo, ripeteva dalla funzione pubblica dell’organo che coadiuvava i relativi connotati.
Quest’ultimo soggetto acquistava, quindi, natura di pubblico ufficiale o di incaricato di un pubblico servizio nel momento in cui compiva le sue attivita’ incaricate dal pubblico ministero, secondo la distinzione funzionale di cui agli articoli 357 e 358 cod. pen..
Su lui gravava di conseguenza il dovere, connaturato a ogni parte pubblica, di obiettivita’ e imparzialita’, nel senso che la sua funzione era tesa at raggiungimento di interessi pubblici, quale, in primis, l’accertamento della verita’, posto che il pubblico ministero doveva svolgere Indagini su fatti e circostanze anche a favore della persona sottoposta alle indagini (articolo 358 cod. proc. pen.).
Il ruolo e la funzione rivestiti gli imponevano dunque il dovere di verita’.
Anche sotto questo profilo, quindi, era del tutto razionale che a lui fossero applicabili le conseguenze penali previste, in caso di false dichiarazioni, dall’articolo 372 cod. pen. (o, in sede di indagini, dall’articolo 371-bis cod. pen.), ovviamente limitatamente a quella parte di attivita’ che non conteneva valutazioni tecnico-scientifiche, ma riportava l’esposizione circa la natura e la consistenza di queste.
Del resto – aggiungeva ancora l’ordinanza – l’applicabilita’ della fattispecie di intralcio alla giustizia al consulente del pubblico ministero trovava un addentellato letterale nel riferimento al “consulente tecnico”, Inserito nel testo dell’articolo 377 cod. proc. pen., senza ulteriori specificazioni, ad opera del Decreto Legge n. 306 del 1992, che si prestava a essere riferito anche alla figura in esame.
L’opinione contraria espressa in dottrina, secondo cui il riferimento al consulente tecnico inserito dal Decreto Legge n. 306 cit. avrebbe riguardato solo quello nominato dal giudice civile, si scontrava sia con un’obiezione formale (una simile specificazione non era indicata dalla norma) sia soprattutto con una insuperabile considerazione sistematica: l’estensione al consulente tecnico in sede civile delle disposizioni penali relative ai periti discendeva positivamente dalla espressa previsione dell’articolo 64 c.p.c., comma 1, dovendosi essa dunque apprezzare, ove questo ne fosse il senso, chiaramente superflua; tanto che si era sempre ritenuto che il riferimento al “perito”, contenuto nell’articolo 373 cod. pen., dovesse Intendersi fatto anche al consulente del giudice civile, proprio in forza del citato articolo 64 cod. proc. civ..
Quanto al secondo rilievo, l’ordinanza ha premesso che non poteva negarsi che, nel caso in esame, il consulente del pubblico ministero non era ancora stato citato come testimone o come persona informata sui fatti al momento della realizzazione della condotta subornatrice.
Ha evidenziato, altresi’, come, per la giurisprudenza dominante, la qualita’ di testimone, nel reato di cui all’articolo 377 cod. pen., veniva considerata assunta nel momento dell’autorizzazione del giudice alla citazione del soggetto in questa veste, ai sensi dell’articolo 468 c.p.p., comma 2.
Quest’ultima affermazione, pero’, non e’ sembrata poter valere automaticamente nel caso in cui il soggetto su cui si esercitava l’attivita’ induttiva o violenta fosse il consulente tecnico del pubblico ministero.
In questa evenienza, infatti, il soggetto in questione rivestiva gia’ una precisa veste processuale, quella, appunto, di consulente tecnico, potenzialmente destinata a rifluire sull’assunzione della qualita’ “testimoniale” ex articoli 371-bis o 372 cod. pen.. Questa qualita’, anche se non ancora formalmente assunta, poteva dunque ritenersi Immanente, in quanto prevedibile e necessario sviluppo processuale della funzione assegnata al consulente tecnico.
In questa prospettiva, il reato avrebbe potuto ritenersi configurabile nel caso di specie, essendo stata la condotta contestata esercitata per Influire sui risultati di una consulenza tecnica, destinati a essere falsamente rappresentati al pubblico ministero (articolo 371-bis cod. pen.) o successivamente al giudice (articolo 372 cod. pen.).
Stante il contrasto tra tale prospettiva e il principio affermato dalla citata sentenza n. 4062 del 1999, la Corte ha ritenuto, pertanto, di rimettere il ricorso alle Sezioni Unite, a norma dell’articolo 618 cod. proc. pen., sul quesito interpretativo gia’ esposto sopra, aggiungendo in conclusione che ove si fosse ritenuto non configurabile nella fattispecie concreta il reato di cui all’articolo 377 cod. pen., in relazione all’articolo 371-bis o all’articolo 372 cod. pen., sulla base dell’assunto per cui a tale soggetto non potessero estendersi le dette fattispecie penali, sarebbe venuta ovviamente in questione l’applicabilita’ nel caso in esame dell’articolo 322 c.p., comma 2, soluzione (privilegiata dal Procuratore Generale della Cassazione in sede di risoluzione di contrasto ex articoli 54 e segg. cod. proc. pen.) che pero’ avrebbe Implicato la valutazione dei profili di incostituzionalita’ gia’ all’inizio delineati.
4. Con decreto in data 25 marzo 2013 il Primo Presidente ha assegnato il ricorso alle Sezioni Unite penali, fissando per la trattazione l’udienza pubblica del 27 giugno 2013.
5. In prossimita’ di detta udienza la difesa di (OMISSIS) e (OMISSIS) ha depositato una memoria ex articolo 121 cod. proc. pen., con la quale ha insistito per l’accoglimento del ricorso.
In primo luogo, nella memoria si e’ sottolineato che l’articolo 501 cod. proc. pen. estendeva ai consulenti tecnici le regole per l’esame testimoniale “in quanto applicabili”, con cio’ evidenziando le precise differenze che intercorrevano tra la posizione del consulente tecnico e quella dei testimone. In altre parole, se si poteva (e si doveva) legittimamente pretendere che il consulente rispondesse secondo verita’ sulla natura e sulla consistenza dei fatti che egli aveva accertato e che erano posti a fondamento delle sue valutazioni tecniche (in quanto in relazione alla descrizione di meri fatti la sua posizione in nulla differiva da quella del testimone), la stessa pretesa non poteva, invece, esercitarsi con riferimento alle valutazioni tecniche vere e proprie (in quanto il consulente, allorquando formulava un proprio personale giudizio, esprimeva una opinione, che, come tale, era incompatibile con un apprezzamento in termini di verita’-falsita’). Ne derivava che il consulente, allorquando riferiva i propri giudizi, non poteva mai rendersi responsabile del reato di falsa testimonianza. E cio’ era quanto, a detta dei ricorrenti, era avvenuto nel caso di specie ove l’oggetto della consulenza affidata dal Pubblico Ministero al Comandante (OMISSIS) era di tipo squisitamente valutativo (riferire se l’addestramento del copilota (OMISSIS), morto insieme al Comandante (OMISSIS) nell’incidente aereo del (OMISSIS), poteva considerarsi idoneo).
In secondo luogo, nella memoria si sono contestati alcuni passi dell’ordinanza di rimessione. In particolare si e’ segnalato che la’ dove si e’ sostenuto che il consulente tecnico del pubblico ministero rivestiva gia’ una precisa veste processuale “potenzialmente” destinata a rifluire sulla assunzione della qualita’ testimoniale ex articoli 371-bis o 372 cod. pen.. In realta’ non si e’ fatto che ammettere che la qualita’ di testimone in capo al consulente tecnico (nella particolare fase del procedimento in cui si e’ consumata la condotta contestata) non era attuale, e si e’ denunciato che, contrariamente a quanto affermato dalla Sesta Sezione, la qualita’ di consulente tecnico di parte nel nostro sistema era tutt’altro che immanente, ben potendo la persona fisica del consulente tecnico essere cambiata nel corso del giudizio un numero indeterminato di volte, poiche’ (a differenza del testimone) il suo contributo si traduceva in una valutazione tecnica che poteva essere replicata all’infinito anche da soggetti diversi, purche’ dotati della necessaria competenza, e ben potendo la parte rinunciare al consulente tecnico ovvero divenire inutile la assunzione del consulente (ad esempio in caso di archiviazione, di proscioglimento in udienza preliminare, di applicazione “patteggiata” della pena).
Inoltre il richiamo della Sesta Sezione (anche) all’articolo 371-bis cod. pen. sarebbe stato del tutto fuori luogo, in quanto i reati di cui agli articoli 371-bis e 372 cod. pen. erano tra loro perfettamente simmetrici e omogenei nel contenuto, colpendo le falsita’ e le reticenze di coloro che erano chiamati a riferire su fatti, rispettivamente nella fase delle indagini preliminari e in dibattimento.
In definitiva, si e’ ribadito che i soggetti passivi del delitto di intralcio alla giustizia potevano essere soltanto i potenziali soggetti attivi dei reati-fine richiamati dalla norma incriminatrice (articoli 371-bis, 371-ter, 372 e 373 cod. pen.) e che, essendo pacifico che il consulente tecnico del pubblico ministero non poteva commettere ne’ il reato di falsa perizia, non essendo perito, ne’ quelli di cui agii articoli 371-bis, 371-ter e 372 cod. pen., trattandosi di soggetto il cui contributo processuale era quello di fornire opinioni a supporto di una tesi di parte (anche quando si tratta di parte pubblica), la fattispecie in esame non era inquadrabile nelle previsioni di cui all’articolo 377 cod. pen..
Ribadita la impossibilita’ di ricondurre il caso in questione alla fattispecie di cui all’articolo 322 cod. pen. per i motivi esposti in ricorso, i ricorrenti, sul presupposto che anche l’attivita’ svolta dal consulente del pubblico ministero poteva essere definita a tutti gli effetti come attivita’ di parte, hanno inquadrato il reato che (OMISSIS), ove avesse accolto la promessa, avrebbe commesso nella consulenza infedele, previsto dall’articolo 380 cod. pen. e hanno ritenuto che la condotta degli imputati, essendosi concretata in una istigazione non accolta ex articolo 115 cod. pen., non era penalmente rilevante.
La clausola di riserva contenuta nell’articolo 115 cod. pen. (“salvo che la legge disponga altrimenti”) si riferiva, infatti, ad avviso dei ricorrenti, alle sole ipotesi in cui la legge aveva espressamente elevato l’accordo o l’istigazione ad autonome figure di reato (come ad es. in materia di corruzione).
Qualora quest’ultima ricostruzione non fosse stata ritenuta condivisibile, l’unico sbocco processuale possibile, secondo i ricorrenti, sarebbe stato rappresentato dalla sottoposizione dell’articolo 322 cod. pen. (fattispecie ritenuta dalla Corte di appello) al vaglio della Corte costituzionale in relazione ai profili di illegittimita’ costituzionale gia’ illustrati nel ricorso e nella stessa ordinanza di rimessione della Sesta Sezione penale.
6. Con ordinanza n. 43384 del 27 giugno 2013 le Sezioni Unite hanno sollevato, in riferimento all’articolo 3 Cost., questione di legittimita’ costituzionale dell’articolo 322 c.p., comma 2, “nella parte in cui per l’offerta o la promessa di denaro o altra utilita’ al consulente tecnico del pubblico ministero per il compimento di una falsa consulenza prevede una pena superiore a quella di cui all’articolo 377 c.p., comma 1, in relazione all’articolo 373 cod. pen.”.
Le Sezioni Unite hanno escluso anzitutto che nella fattispecie in esame potesse ravvisarsi una ipotesi di tentativo di corruzione in atti giudiziari (articoli 56 e 319-ter cod. pen.), come ritenuto dalla stessa Sesta Sezione in sede di valutazione cautelare della posizione di uno degli imputati. In mancanza di un accordo corruttivo, Infatti, l’istigazione non accolta alla corruzione poteva essere ricondotta solo alla previsione punitiva dell’aet. 322 cod. pen. (la quale, pur riferendosi formalmente alle ipotesi corruttive di cui agli articoli 318 e 319 cod. pen., si attagliava anche a quella di cui all’articolo 319-ter cod. pen., posto che quest’ultimo richiamava “i fatti indicati negli articoli 318 e 319 cod. pen.”), ovvero, quando si trattasse di proposta rivolta a soggetti destinati ad assumere una veste processuale, alle figure criminose delineate dagli articoli 377 o 377-bis cod. pen..
Il fatto per cui si procede non poteva essere neppure qualificato, contrariamente a quanto sostenuto dagli imputati ricorrenti, come istigazione non accolta a commettere una consulenza infedele (articolo 380 cod. pen.), con conseguente sua irrilevanza penale (articolo 115 cod. pen.). L’attivita’ svolta dal consulente tecnico del pubblico ministero non poteva essere, infatti, definita come attivita’ di parte, alla quale soltanto si riferiva il citato articolo 380 cod. pen., discutendosi di soggetto che esercitava una funzione pubblica e che contribuiva non gia’ a tutelare gli interessi di una parte processuale, “ma ad accertare la verita’”.
Il problema ermeneutico si concentrava, di conseguenza, sull’applicabilita’ di una delle due ipotesi delittuose, dianzi indicate, dell’istigazione alla corruzione o dell’Intralcio alla giustizia.
Quanto a quest’ultima, si e’ preliminarmente ricordato che l’articolo 377 cod. pen., nel testo attualmente in vigore, frutto di una serie di modifiche legislative, stabilisce, al primo comma, che “Chiunque offre o promette denaro o altra utilita’ alla persona chiamata a rendere dichiarazioni davanti all’autorita’ giudiziaria o alla Corte penale internazionale ovvero alla persona richiesta di rilasciare dichiarazioni dal difensore nel corso dell’attivita’ investigativa, o alla persona chiamata a svolgere attivita’ di perito, consulente tecnico o interprete, per indurla a commettere i reati previsti dagli articoli 371-bis, 371-ter, 372 e 373, soggiace, qualora l’offerta o la promessa non sia accettata, alle pene stabilite negli articoli medesimi, ridotte dalla meta’ ai due terzi”.
Per quel che concerne, in particolare, il riferimento al “consulente tecnico”, introdotto nel testo della norma dal Decreto Legge 8 giugno 1992, n. 306 (Modifiche urgenti al nuovo codice di procedura penale e provvedimenti di contrasto alla criminalita’ mafiosa), convertito, con modificazioni, dalla Legge 7 agosto 1992, n. 356, le Sezioni Unite hanno osservato come, nel caso del consulente tecnico del pubblico ministero, l’offerta o la promessa di denaro o di altra utilita’ non poteva essere finalizzata alla commissione del delitto di falsa perizia, di cui al richiamato articolo 373 cod. pen., in quanto l’ausiliario tecnico dell’accusa non era un perito (nominato invece dal giudice). Pur essendo verosimile che la discrasia dipendesse da un difetto di coordinamento, non era, d’altra parte, possibile estendere in via interpretativa il concetto di “perizia” alla “consulenza tecnica” senza violare il principio di tassativita’ del precetto penale.
Conformemente a quanto ritenuto dalla Sesta Sezione nel rimettere la questione alle Sezioni Unite, la subornazione del consulente tecnico del pubblico ministero poteva, nondimeno, egualmente configurare il reato di intralcio alla giustizia, in quanto finalizzata alla commissione del delitti di false informazioni al pubblico ministero (articolo 371-bis cod. pen.) e di falsa testimonianza (articolo 372 cod. pen.).
La parificazione del consulente tecnico al testimone trovava, in effetti, un solido appiglio ermeneutico nell’articolo 501 cod. proc. pen., che estende al consulente tecnico le disposizioni sull’esame dibattimentale dei testimoni. Pur non essendo un testimone in senso proprio, in quanto non chiamato a riferire su “fatti”, ma ad esprimere valutazioni su materie che richiedono specifiche competenze, il consulente tecnico ben poteva, d’altra parte, “affermare il falso o negare il vero”, conformemente alla previsione dell’articolo 372 cod. pen., o “rendere dichiarazioni false”, secondo quella dell’articolo 371-bis cod. pen., ad esempio tacendo o alterando determinati esiti obiettivi degli accertamenti espletati, ferma restando l’esclusione di “ogni sindacato sugli aspetti meramente valutativi relativi a detti accertamenti”.
La conseguente configurabilita’, sotto questo profilo, del delitto di intralcio alla giustizia, risultava confermata anche dalla lettera della norma incriminatrice, posto che il riferimento al “consulente tecnico”, contenuto nell’articolo 377 cod. pen., si prestava senz’altro a ricomprendere anche l’ausiliario tecnico dell’organo dell’accusa. Non poteva, infatti, essere condivisa la tesi, espressa In dottrina, secondo la quale la predetta formula riguardava il solo consulente tecnico d’ufficio nominato dal giudice civile: tesi che rendeva superfluo il riferimento in questione, posto che l’estensione al consulente tecnico nominato in sede civile delle disposizioni penali relative ai periti discendeva gia’ dall’espressa previsione dell’articolo 64 c.p.c., comma 1.
La configurabilita’ del delitto di intralcio alla giustizia non era, per altro verso, preclusa dalla circostanza che, nel caso oggetto di giudizio, il consulente tecnico del pubblico ministero non era stato ancora citato come testimone o come persona informata sui fatti al momento dell’offerta di denaro.
Era ben vero che, secondo l’indirizzo prevalente in giurisprudenza, perche’ possa configurarsi il delitto di cui all’articolo 377 cod. pen. e’ necessario che i destinatari della condotta subornatrice abbiano gia’ formalmente assunto, nel momento in cui la condotta stessa e’ posta in essere, le qualifiche processuali indicate dalla norma: il che si verifica, nel caso del testimone, solo allorche’ il giudice abbia autorizzato la citazione del soggetto in tale veste, ai sensi dell’articolo 468 c.p.p., comma 2.
Ad avviso delle Sezioni Unite, tuttavia, le peculiarita’ della figura del consulente tecnico dei pubblico ministero faceva propendere per una diversa soluzione.
A differenza dei consulenti tecnici nominati dalle parti private, chiamati a svolgere un ruolo di ausilio alla difesa, donde la loro equiparazione al difensore, quanto a funzioni e garanzie, il consulente tecnico dei pubblico ministero ripete, infatti, “dalla funzione pubblica dell’organo che coadiuvava i relativi connotati”. Nel compimento delle sue attivita’, egli assume, dunque, la qualifica di pubblico ufficiale o di incaricato di un pubblico servizio; ha, in quanto tale, “il dovere … di obiettivita’ e imparzialita’”; non puo’, altresi’, esimersi dal dire la verita’. Si doveva, di conseguenza, ritenere che il consulente tecnico, con la nomina ad opera del pubblico ministero, rivesta gia’ “una precisa veste processuale, potenzialmente destinata a refluire sull’assunzione della qualita’ “testimoniale” ex articoli 371-bis o 372 cod. pen.”: qualita’ che, dunque, anche se non ancora formalmente assunta, e’ “immanente” alla figura, “in quanto prevedibile e necessario sviluppo processuale della funzione assegnata”.
In concreto, tuttavia, alla configurabilita’ del delitto di intralcio alla giustizia ostava la natura dell’indagine affidata nel caso di specie al consulente.
Il consulente tecnico del pubblico ministero e’, infatti, equiparabile al testimone solo in rapporto alle dichiarazioni che investono gli esiti obiettivi degli accertamenti espletati; non, invece, in relazione alle valutazioni tecnico-scientifiche, le quali, in quanto espressive di personali opinioni, non sono qualificabili in termini di verita’ o di falsita’: sicche’, con riguardo ad esse, il consulente non puo’ rispondere del reato di falsa testimonianza o di false informazioni al pubblico ministero.
Nella specie, al consulente era stata affidata una indagine “di tipo squisitamente valutativo”, essendogli stato chiesto di riferire se l’addestramento del copilota, deceduto insieme al pilota nell’incidente aereo, potesse considerarsi idoneo.
Esclusa, di conseguenza, la possibilita’ di ricondurre il fatto al paradigma dell’intralcio alla giustizia, l’unica disposizione applicabile nel caso in esame era quella dell’articolo 322 c.p., comma 2, che punisce l’offerta o la promessa di denaro o altra utilita’ non dovuti per indurre un pubblico ufficiale o un incaricato di un pubblico servizio a compiere un atto contrario ai suoi doveri. Tra il reato di intralcio alla giustizia e quello di Istigazione alla corruzione propria intercorre un rapporto di species a genus: la prima figura criminosa e’, infatti, speciale rispetto alla seconda, in ragione della specificita’ sia del soggetto destinatario dell’offerta o della promessa, sia dell’atto contrario ai doveri di ufficio cui essa e’ preordinata. Mancando i presupposti di operativita’ della previsione punitiva speciale, altrimenti applicabile in via esclusiva, diviene quindi operante la norma generale.
La conclusione raggiunta faceva emergere, tuttavia, “innegabili profili di incostituzionalita’”.
Alla luce di essa, l’offerta o la promessa di denaro o di altra utilita’ al consulente tecnico del pubblico ministero per il compimento di una falsa consulenza risulta punita piu’ gravemente dell’analoga offerta o promessa rivolta ad un perito, che rientra pacificamente, per il principio di specialita’, nell’ambito applicativo dell’articolo 377 c.p., comma 1. Nella prima ipotesi, infatti, in base alla disposizione combinata degli articoli 319 e 322 cod. pen., nella formulazione vigente all’epoca del fatto, antecedente alla riforma operata dalla Legge 6 novembre 2012, n. 190 (Disposizioni per la prevenzione e la repressione della corruzione e dell’illegalita’ nella pubblica amministrazione), e’ irrogabile la reclusione da un anno e quattro mesi a tre anni e quattro mesi; nella seconda, invece, per la disposizione combinata degli articoli 372, 373 e 377 cod. pen., la reclusione da otto mesi a tre anni.
Inoltre, la medesima offerta corruttiva fatta al consulente tecnico del pubblico ministero nell’ambito di un procedimento penale e’ punita piu’ gravemente dell’analoga offerta rivolta al consulente tecnico del giudice civile, parimenti inquadrabile nel paradigma dell’intralcio alla giustizia.
Irragionevole era anche la sperequazione sanzionatoria riscontrabile a seconda che il consulente tecnico del pubblico ministero, destinatario dell’offerta corruttiva, sia chiamato ad esprimere valutazioni tecnico-scientifiche (con conseguente configurabilita’ dell’istigazione alla corruzione) o semplicemente a descrivere i fatti accertati (donde la configurabilita’ del delitto di intralcio alla giustizia, meno gravemente punito).
Si trattava, sotto ognuno degli evidenziati profili, di conseguenze lesive del principio di eguaglianza, posto che situazioni del tutto analoghe venivano disciplinate in termini differenti sul piano della risposta punitiva. In aggiunta a cio’, vi era il “paradosso” per cui solo la particolare e neppure giu’ grave forma di intralcio alla giustizia oggetto del giudizio a quo rimaneva estranea alla specifica partizione del codice penale dedicata ai delitti contro l’amministrazione della giustizia, restando “confinata” tra i delitti contro la pubblica amministrazione.
Sulla base di tali considerazioni, le Sezioni Unite hanno ritenuto, quindi, che l’articolo 322 c.p., comma 2, fosse in contrasto con l’articolo 3 Cost., nella parte in cui assoggetta ta subornazione del consulente tecnico del pubblico ministero ad una pena superiore a quella prevista dall’articolo 377, comma 1, in relazione all’articolo 373 cod. pen., per la subornazione del perito.
7. Con sentenza n. 163 del 2014 la Corte costituzionale ha dichiarato inammissibile la questione di legittimita’ costituzionale dell’articolo 322 c.p., comma 2, sollevata, in riferimento all’articolo 3 Cost., dalla Corte di cassazione, Sezioni Unite penali, con l’ordinanza sopra indicata.
Il Giudice delle Leggi, dopo avere ricordato che il problema traeva origine dal difetto di coordinamento tra le norme incriminatrici relative ai delitti contro l’amministrazione della giustizia, contenute nel codice penale del 1930, e il nuovo assetto processuale introdotto dal codice di procedura penale del 1988, e dopo avere illustrato la “soluzione innovativa” adottata nell’ordinanza di rimessione, ha ritenuto di non poter condividere le conclusioni delle Sezioni Unite, la’ dove non si e’ ritenuto applicabile nel caso in esame l’articolo 377 cod. pen. con riferimento all’articolo 372 cod. pen. per essere il contenuto degli accertamenti eseguiti nel caso di specie dal consulente del pubblico ministero di natura valutativa. Infatti tali accertamenti riguardavano nella specie l’idoneita’ dell’addestramento del pilota dell’aereo schiantatosi nell’aeroporto di (OMISSIS), e una simile indagine, secondo la Corte costituzionale, non poteva prescindere da un’analisi di natura oggettiva, relativa al tipo di addestramento ricevuto dal pilota ovvero dei complesso di attivita’ di apprendimento, teoriche e pratiche, da lui realizzate. Trattandosi dunque di un accertamento di carattere oggettivo e non valutativo, non vi erano ragioni per non applicare l’articolo 377 cod. pen. con riferimento all’articolo 372 cod. pen. o, eventualmente, all’articolo 371-bis cod. pen..
Per altro, la Corte costituzionale ha osservato come la pronuncia di incostituzionalita’ dell’articolo 322 c.p., comma 2, non avrebbe comunque garantito il ripristino del principio di eguaglianza richiesto dalle Sezioni Unite. Infatti bisognava ricordare come le pene previste per il delitto di false informazioni al pubblico ministero (reclusione fino a quattro anni) sono sensibilmente inferiori a quelle previste per la falsa testimonianza (reclusione da due a sei anni): tale divario sanzionatorio si ripercuote inevitabilmente anche sull’articolo 377 cod. pen., che prevede, nel caso di subornazione, la riduzione di entrambe le pena dalla meta’ ai due terzi. Il legislatore, dunque, coerentemente con l’impianto accusatolo in vigore, ha considerato meno grave la mendacita’ di una dichiarazione resa all’organo dell’accusa rispetto a quella resa al giudice del dibattimento e cio’ perche’ il pubblico ministero e’ una parte del processo e, di regola, gli elementi dallo stesso raccolti fuori dal contraddittorio non hanno dignita’ di prova nel processo. La stessa logica Imponeva, allora, che le pene previste per subornazione del consulente tecnico del pubblico ministero, in ipotesi punita dall’articolo 322 c.p., comma 2, fossero sensibilmente inferiori rispetto a quelle stabilite per la medesima condotta posta in essere nei confronti del perito e punita a norma degli articoli 377 e 373 cod. pen., posto che il perito e’ un ausiliario del giudice e pertanto portatore di un sapere tecnico acquisito dal giudice in dibattimento. In caso contrario si sarebbe ritornati ad un modello inquisitorio, nel quale gli elementi raccolti in fase di indagine e quelli raccolti nel dibattimento avevano il medesimo valore.
Inoltre la Corte costituzionale ha rilevato come nel caso in cui il consulente tecnico ponga in essere una attivita’ di accertamento che postuli sia il riscontro di dati oggettivi sia profili valutativi, il soggetto che offra o prometta denaro al consulente dovrebbe essere chiamato a rispondere di due reati In concorso formale: del delitto di cui all’articolo 377 cod. pen., per la parte che ha ad oggetto elementi oggetti vi, e del delitto di cui all’articolo 322 c.p., comma 2, per la parte che ha ad oggetto elementi valutativi; un esito questo che, oltre ad apparire incongruo, non poteva essere rimosso dall’ipotetico accoglimento della questione di costituzionalita’, che mirava ad incidere unicamente sul trattamento sanzionatorio dell’articolo 322 c.p., comma 2, e non gia’ sulla duplicazione della risposta punitiva per il medesimo fatto.
8. A seguito della sentenza della Corte costituzionale, il Primo Presidente, con decreto in data 30 giugno 2014, ha fissato per la trattazione del ricorso l’odierna udienza pubblica, nella quale il Procuratore generale ed i difensori degli Imputati hanno concluso come indicato in intestazione.
CONSIDERATO IN DIRITTO
1. La questione devoluta alle Sezioni Unite puo’ essere cosi enunciata: “Se sia configuratole il reato di intralcio alla giustizia di cui all’articolo 377 cod. pen. nel caso di offerta o di promessa di denaro o di altra utilita’ al consulente tecnico del pubblico ministero al fine di influire sul contenuto della consulenza”.
2. E’ utile preliminarmente ricordare che il delitto di intralcio alla giustizia esiste, con questa rubrica, nel nostro ordinamento dal marzo del 2006.
Tale reato, infatti, e’ stato introdotto dalla Legge 16 marzo 2006, n. 46, di ratifica ed esecuzione della Convenzione dell’ONU contro il crimine organizzato transnazionale (cd. Convenzione di Palermo o Toc Convention), che, all’articolo 23, invita gli Stati aderenti a punire, con sanzione penale, la cd. obstruction of justice, e cioe’ le condotte di violenza, minaccia, intimidazione, promessa, offerta di vantaggi considerevoli per indurre alla falsa testimonianza o comunque interferire nella produzione di prove anche testimoniali, nel corso di processi relativi ai reati oggetto della Convenzione, ovvero consistenti nell’uso di violenza, minaccia, intimidazione per interferire con l’esercizio di doveri d’ufficio da parte di un magistrato o di un appartenente alle forze di polizia, in relazione agli stessi reati.
Per adeguarsi a tale indicazione, il legislatore, preso atto che nel sistema italiano esisteva gia’ una norma, l’articolo 377 cod. pen., che puniva l’offerta o la promessa di vantaggi nei confronti del testimone e che era rubricata come “subornazione”, con la citata Legge n. 146, articolo 14 e’ intervenuto sulla disposizione vigente, rinominando il gia’ esistente delitto, appellandolo con il termine richiesto dalla convenzione internazionale (e cioe’ come “intralcio alla giustizia”) e aggiungendo al testo vigente due ulteriori commi (gli attuali terzo e quarto) per punire le condotte di violenza e minaccia.
I primi due commi della nuova disposizione, quindi, continuano a punire le medesime condotte del delitto di subornazione secondo il testo che, rispetto alla stesura originaria del codice, era gia’ stato due volte interpolato; una prima volta con il Decreto Legge 8 giugno 1992, n. 306, articolo 11, comma 6, convertito, con modificazioni, dalla Legge 7 agosto 1992, n. 356; una seconda con la Legge 7 dicembre 2000, n. 397, articolo 22.
In particolare nel 1992 era stato completamente riscritto dell’articolo 377 cod. pen., il comma 1; il testo licenziato dal codice del 1930 stabiliva “chiunque offre o promette denaro o altra utilita’ a un testimone, perito o interprete, per indurlo ad una falsa testimonianza perizia o interpretazione, soggiace, qualora l’offerta o la promessa non sia accettata alle pene stabilite negli articoli 372 e 373 ridotte dalla meta’ a due terzi”; quello modificato, invece, stabilisce che “chiunque offre o promette denaro o altra utilita’ alla persona chiamata a rendere dichiarazioni davanti all’autorita’ giudiziaria ovvero a svolgere attivita’ di perito, consulente tecnico o interprete, per indurla a commettere i reati previsti dagli articoli 371-bis, 372 e 373, soggiace, qualora l’offerta e la promessa non sia accettata, alle pene stabilite negli articoli medesimi, ridotte dalla meta’ ai due terzi”.
L’innovazione, introdotta in un decreto-legge destinato al contrasto della criminalita’ mafiosa, aveva l’obiettivo di adeguare la precedente norma della subornazione all’Introduzione, ad opera del medesimo provvedimento d’urgenza, di una nuova fattispecie di parte speciale, quale il delitto di false informazioni ai pubblico ministero, di cui all’articolo 371-bis cod. pen.. Vi era cioe’ l’esigenza di inglobare nella fattispecie delittuosa il riferimento al nuovo delitto da ultimo indicato, e cio’ avvenne sostituendo la indicazione della figura del testimone – soggetto che, con il nuovo codice di rito, assumeva questo ruolo solo in dibattimento o nell’incidente probatorio – con la piu’ elastica dizione di persona chiamata a rendere dichiarazioni davanti all’autorita’ giudiziaria. Si e’ inoltre aggiunto, senza che i lavori preparatori ne spiegassero la ragione, nel novero dei possibili soggetti passivi la figura del consulente tecnico.
Con la successiva Legge n. 397 del 2000, recante la disciplina delle cd. indagini difensive, ci si e’ limitati, invece, ad una mera interpolazione raccordata alla introduzione nel codice penale dell’articolo 371-ter cod. pen., relativo alle false informazioni al difensore.
Per completezza, e’ opportuno ricordare che con la Legge 20 dicembre 2012, n. 237 (di ratifica dello Statuto di Roma, istitutivo della Corte penale internazionale permanente competente a conoscere del crimine di genocidio, cd. dell’Aja) si e’ ulteriormente interpolato l’articolo 377: con l’articolo 10, comma 8, della novella si e’ estesa la portata della fattispecie penale in commento all’ipotesi in cui l’offerta o la promessa di denaro o altra utilita’ sia rivolta a persona chiamata a rendere dichiarazioni innanzi alla Corte dell’Aja.
Nessuna modifica e’ stata, invece, apportata dal legislatore all’articolo 373 cod. pen., che, sotto la rubrica “Falsa perizia o interpretazione”, punisce unicamente il perito o l’interprete che, nominato dall’autorita’ giudiziaria, da parere o interpretazioni mendaci, o afferma fatti non conformi al vero.
3. Cosi’ ricostruito il quadro normativo, deve ribadirsi la validita’ del percorso argomentativo seguito nell’ordinanza di queste Sezioni Unite in data 27 giugno 2013 e sostanzialmente condiviso, quanto meno nei suoi iniziali sviluppi, anche dalla Corte costituzionale nella citata sentenza n. 163 del 2014.
Come ben osservato dal Giudice delle Leggi, la problematica in esame trae origine dal difetto di coordinamento tra le norme incriminatrici relative al delitti contro l’amministrazione della giustizia, contenute nel codice penale del 1930, e il nuovo assetto processuale introdotto dal codice di procedura penale del 1988.
Le disposizioni del codice penale, in linea con l’Impianto inquisitorio delineato dal codice di rito abrogato, presupponevano, infatti, una sostanziale equiparazione tra le prove raccolte in contraddittorio e i risultati delle indagini dell’accusa. Il passaggio ad un sistema di tipo accusatorio operato con il nuovo codice, in assenza di opportuni interventi di adeguamento, ha inevitabilmente messo in crisi il sistema, generando vuoti di tutela.
Risultava evidente, ad esempio, l’impossibilita’ di applicare la norma incriminatrice della falsa testimonianza (articolo 372 cod. pen.) anche alle “persone Informate sui fatti” che rendessero dichiarazioni mendaci al pubblico ministero, non essendo queste ultime qualificabili, diversamente che in passato, come “testimoni”. Solo l’introduzione, nel 1992, del delitto di false informazioni al pubblico ministero (articolo 371-bis cod. pen., aggiunto dal Decreto Legge 8 giugno 1992, n. 306, articolo 11, comma 1, recante “Modifiche urgenti al nuovo codice di procedura penale e provvedimenti di contrasto alla criminalita’ mafiosa”, convertito, con modificazioni, dalla Legge 7 agosto 1992, n. 356) e’ valso a colmare la lacuna. Un ulteriore intervento novellistico e’ stato, altresi’, necessario per evitare che rimanessero esenti da pena le false dichiarazioni al difensore nel corso delle indagini difensive (articolo 371-ter cod. pen., aggiunto dalla Legge 7 dicembre 2000, n. 397, articolo 20, recante “Disposizioni in materia di indagini difensive”). All’opera di riallineamento dei delitti contro l’amministrazione della giustizia al mutato panorama processuale e’ rimasta, peraltro, estranea la figura del consulente tecnico nominato dal pubblico ministero ai sensi dell’articolo 359 c.p.p..
Come gia’ rilevato da queste Sezioni Unite nell’ordinanza di rimessione della questione di costituzionalita’ devoluta alla Corte costituzionale, la falsa consulenza redatta dall’ausiliario dell’organo dell’accusa non integra il delitto di falsa perizia (articolo 373 cod. pen.), per la dirimente ragione che detto soggetto non e’ equiparabile, nell’attuale sistema processuale, al perito nominato dal giudice (come invece lo era il perito nominato dal pubblico ministero nel corso dell’istruzione sommaria, ai sensi dell’articolo 391 c.p.p. 1930, comma 2). In questo caso, tuttavia, il legislatore non si e’ premurato di introdurre una nuova norma incriminatrice ad hoc che colmasse la lacuna, tanto e’ vero che, fin dai primi anni ‘90, il Progetto “(OMISSIS)” di riforma del codice penale elaborato dalla apposita Commissione ministeriale nella parte relativa ai delitti contro l’amministrazione della giustizia ha previsto espressamente il reato di “falsa perizia, interpretazione o consulenza”, includendo tra i soggetti attivi di tale reato anche il consulente tecnico nominato dal pubblico ministero nel corso delle indagini preliminari.
La rilevata discrasia si riflette anche sul trattamento riservato alle condotte subornatrici. Sotto la rubrica di “intralcio alla giustizia”” l’articolo 377 cod. pen. configura, al comma 1, come reato l’offerta o la promessa di denaro o di altra utilita’, non accettata, per commettere taluni delitti contro l’amministrazione della giustizia: derogando, con cio’, al generale principio per cui l’istigazione non accolta a commettere un reato non e’ punibile (articolo 115 cod. pen.). Nell’attuale versione della norma (frutto degli interventi di adeguamento indicati al punto che precede), si tratta, in specie, dei delitti di false informazioni al pubblico ministero, false dichiarazioni al difensore, falsa testimonianza, falsa perizia o Interpretazione (articoli 371-bis, 371-ter, 372 e 373 cod. pen.).
Tra i possibili destinatari dell’offerta o della promessa penalmente repressa figura, in verita’, grazie alla gia’ menzionata interpolazione operata dal Decreto Legge n. 306 del 1992, articolo 11, anche la persona chiamata a svolgere attivita’ di “consulente tecnico”: formula che, nella sua genericita’, si presterebbe a ricomprendere il consulente tecnico del pubblico ministero. La rilevata circostanza che quest’ultimo non possa rendersi responsabile del delitto di cui al richiamato articolo 373 cod. pen. impedisce, tuttavia, di ritenere che l’offerta o la promessa a lui indirizzata, allo scopo di orientare gli esiti della consulenza, configuri il delitto di intralcio alla giustizia In quanto finalizzata alla commissione del reato di falsa perizia.
Si e’ posto, quindi, il problema di verificare se la subornazione del consulente tecnico del pubblico ministero sia punibile a diverso titolo. All’interrogativo, come si e’ visto, queste Sezioni Unite hanno offerto una soluzione, definita dalla Corte costituzionale “innovativa” rispetto al panorama ermeneutico pregresso, che, come pure osservato dalla Consulta, coniuga, nella sostanza, due delle tesi In precedenza prospettate.
Secondo queste Sezioni Unite, la subornazione del consulente tecnico del pubblico ministero e’, in realta’, idonea ad integrare il delitto di intralcio alla giustizia. Giova, a tal fine, non gia’ il richiamo, contenuto nell’articolo 377 c.p., comma 1, alla falsa perizia, che si e’ visto non utile, ma quello alla falsa testimonianza e alle false informazioni al pubblico ministero (articoli 372 e 371-bis cod. pen.). Il consulente e’ sentito, infatti, in dibattimento sul contenuto della consulenza nelle forme dell’esame testimoniale (articolo 501 cod. proc. pen.); prima ancora, puo’ essere chiamato a rendere dichiarazioni al pubblico ministero che l’ha nominato. Di conseguenza, l’offerta o la promessa di denaro o di altra utilita’ per influire sui risultati della consulenza e’ destinata ad incidere anche sulle dichiarazioni rese dal consulente come teste o come persona informata sui fatti. In definitiva, anche se il consulente non riferisce su fatti, ma esprime valutazioni su materie che richiedono specifiche competenze tecniche, egli puo’ in ogni caso “affermare il falso e negare il vero”.
D’altra parte e’ pur vero che il consulente tecnico chiamato a collaborare con una parte privata, e’ tradizionalmente concepito come un ruolo di ausilio alla difesa, donde la sua equiparazione, quanto a funzione e garanzie, al difensore. Anche il Giudice delle Leggi non ha mancato di ricordare (sentenza n. 33 del 1999) come la stretta correlazione tra le funzioni del consulente tecnico e il diritto di difesa dell’Imputato sia stata ripetutamente affermata dalla giurisprudenza costituzionale (sentenze n. 345 del 1987 e n. 199 del 1974) nel contesto dell’abrogato codice del 1930, che dava ingresso al consulente tecnico della parte solo in occasione di incarico peritale disposto dal giudice e negava autonomo rilievo alla figura del consulente extraperitale, considerato semplice ausilio del difensore, incapace di compiere valutazioni tecniche dotate di un intrinseco valore probatorio, sicche’ le sue indicazioni si riducevano a mere sollecitazioni defensionali e non avevano la forza di penetrare nel processo se non attraverso la mediazione del giudice, a sua volta ritenuto peritus peritorum. E ha poi rimarcato come nell’attuale sistema quella correlazione si e’ vieppiu’ inverata. Il codice vigente, infatti, prevede la possibilita’ per le parti del processo penale di nominare consulenti tecnici anche nel caso in cui non sia stata disposta alcuna perizia (articolo 233). E si tratta di previsione che, essendo consentito al giudice, come riconosce la giurisprudenza di legittimita’, trarre elementi di prova dall’esame dei consulenti tecnici, la cui posizione viene assimilata a quella dei testimoni, volte a qualificare in modo ancor piu’ evidente la loro attivita’ come aspetto essenziale dell’esercizio del diritto di difesa in relazione alle ipotesi in cui la decisione sulla responsabilita’ penale dell’imputato comporti lo svolgimento di indagini o l’acquisizione di dati o valutazioni che richiedono specifiche competenze tecniche, scientifiche o artistiche, secondo la formulazione dell’articolo 220 cod. proc. pen.. Del resto il compiuto processo di assimilazione della figura del consulente tecnico extraperitale a quella del difensore si delinea in maniera ancor piu’ nitida alla luce di ulteriori elementi normativi, anche se in parte preesistenti: oltre agli articoli 380 e 381 c.p., che puniscono, insieme al patrocinio, la consulenza infedele, l’articolo 103 c.p.p., che, sotto la significativa rubrica “Garanzie di liberta’ del difensore”, vieta, al comma 2, il sequestro presso il consulente di carte o documenti relativi all’oggetto della difesa e, al comma 5, l’intercettazione relativa a conversazioni del consulenti tecnici e loro ausiliari e a quelle tra i medesimi e le persone da loro assistite, nonche’ l’articolo 200 c.p.p., comma 1, lettera b), che assicura anche ai consulenti tecnici la tutela del segreto professionale. Un unitario e sistematico insieme di disposizioni conduce insomma a riconoscere che la facolta’ di avvalersi di un consulente tecnico si inserisce a pieno titolo nell’area di operativita’ della garanzia posta dall’articolo 24 Cost. e che le prestazioni del consulente della parte privata ineriscono all’esercizio del diritto di difesa, tanto che la Consulta, con la citata sentenza n. 33 del 1999, ha riconosciuto ai non abbienti la facolta’ di farsi assistere a spese dello Stato da un consulente per ogni accertamento tecnico ritenuto necessario.
Ma e’ altrettanto vero che, nel nostro sistema processuale, il consulente tecnico nominato dal pubblico ministero, sia pure prestando un’attivita’ di ausilio a una “parte” del processo, si staglia dalla figura generale e presenta specifiche peculiarita’, ripetendo dalla funzione pubblica dell’organo che coadiuva i relativi connotati. Egli acquista, quindi, natura di pubblico ufficiale o di incaricato di un pubblico servizio nel momento in cui compie le sue attivita’ incaricate dal pubblico ministero, secondo la distinzione funzionale di cui agli articoli 357 e 358 cod. pen. (Sez. 6, n. 2675 del 05/12/1995, Tauzilli, Rv. 204516; Sez. 6, n. 4062 del 07/01/1999, Pizzicaroli, Rv. 214142; e, argomentando a contrario, Sez. 6, n. 5901 del 22/01/2013, Anello, Rv. 254308), concorre oggettivamente all’esercizio della funzione giudiziaria e ha il dovere, connaturato a ogni parte pubblica, di obiettivita’ e “imparzialita’”, nel senso che la sua funzione e’ tesa al raggiungimento di interessi pubblici, quale, in primis, l’accertamento della verita’, posto che il pubblico ministero deve svolgere indagini su fatti e circostanze anche a favore della persona sottoposta alle indagini (articolo 358 cod. proc. pen.). Il ruolo e la funzione rivestiti gli impongono dunque il dovere di verita’. Egli Inoltre non puo’ rifiutare la sua opera (come testualmente recita l’articolo 359 cod. proc. pen., comma 1, u.p.) ed e’ tra i soggetti destinatari dell’articolo 384 cod. pen., che, al suo comma 2, cosi’ recita: “Nei casi previsti dagli articoli 371-bis, 371-ter, 372 e 373, la punibilita’ e’ esclusa se il fatto e’ commesso da chi per legge non avrebbe dovuto essere richiesto di fornire informazioni al fini delle indagini o assunto come testimonio, perito, consulente tecnico o interprete ovvero non avrebbe potuto essere obbligato a deporre o comunque a rispondere o avrebbe dovuto essere avvertito della facolta’ di astenersi dal rendere Informazioni, testimonianza, perizia, consulenza o interpretazione”. E’ chiaro che questa norma, nel dettare i casi di non punibilita’ e nel prevedere anche la figura del consulente tecnico, non potendo questi commettere, per i motivi gia’ esposti, il reato di cui all’articolo 373 cod. pen., riferisce al consulente proprio i residui reati di cui agli articoli 371-bis e 372 cod. pen. (essendo ad esso inapplicabile l’articolo 371-ter cod. pen., che riguarda le false dichiarazioni al difensore).
Per le argomentazioni sopra svolte deve concludersi che appare del tutto razionale che al consulente tecnico del pubblico ministero siano applicabili le conseguenze penali previste, in caso di false dichiarazioni, dall’articolo 372 cod. pen. (a, in sede di indagini, dall’articolo 371-bis cod. pen.).
A riprova di cio’ sta, del resto, anche il dato letterale della norma: il riferimento al “consulente tecnico”, inserito nel testo dell’articolo 377 cod. pen., senza ulteriori specificazioni, ad opera del Decreto Legge n. 306 del 1992, si presta senz’altro a essere rapportato anche alla figura di cui ci si occupa. L’opinione contraria, espressa, come si e’ visto, in dottrina, e prospettata inizialmente pure dai ricorrenti, secondo cui il riferimento al consulente tecnico inserito dal citato Decreto Legge n. 306 riguarderebbe solo quello nominato dal giudice civile, si scontra sia con un’obiezione formale (una simile specificazione non e’ indicata dalla norma) sia, soprattutto, con una insuperabile considerazione sistematica (l’estensione al consulente tecnico in sede civile delle disposizioni penali relative ai periti discende positivamente dalla espressa previsione dell’articolo 64 c.p.c., comma 1, dovendosi essa dunque apprezzare, ove questo ne fosse il senso, chiaramente superflua; tanto che si e’ sempre ritenuto che il riferimento al “perito”, contenuto nell’articolo 373 cod. pen., debba intendersi fatto anche al consulente del giudice civile, proprio in forza del citato articolo 64 cod. proc. civ.).
Le conclusioni alle quali si e’ pervenuti, contrariamente a quanto sostenuto nella memoria difensiva depositata nell’interesse dei ricorrenti, tengono adeguatamente conto del fatto che l’articolo 501 cod. proc. pen. estende ai consulenti tecnici le regole per l’esame testimoniale “in quanto applicabili” e non ignorano le precise differenze che intercorrono tra la posizione del consulente tecnico e quella del testimone. Del resto, come pure la difesa del ricorrenti ammette, anche il consulente deve rispondere secondo verita’ sulla natura e sulla consistenza dei fatti che egli ha accertato e che sono posti a fondamento delle sue valutazioni tecniche (in quanto in relazione alla descrizione di meri fatti la sua posizione in nulla differisce da quella del testimone).
4. Il Collegio ritiene di confermare altresi’ l’impostazione adottata dalle Sezioni Unite nell’incidente di costituzionalita’ promosso con l’ordinanza in data 27 giugno 2013 In riferimento alla problematica posta dal fatto che, nel caso in esame, il consulente tecnico del Pubblico ministero non si era ancora, per cosi’ dire, “trasformato” in testimone, non essendo ancora stato citato come tale o come persona informata sui fatti al momento della realizzazione della condotta subornatrice.
Come si e’ visto, la piu’ volte citata sentenza Pizzicaroli del 1999, pur ritenendo configurabile in una fattispecie simile il reato di cui all’articolo 377 cod. pen., ne aveva escluso la sussistenza nel caso concreto, in quanto il consulente tecnico del Pubblico ministero, nel momento in cui era stata realizzata la condotta illecita, non aveva gia’ assunto “la veste di testimone per effetto di citazione a comparire”.
In base all’indirizzo prevalente di dottrina e giurisprudenza (Sez. 3, n. 2055 del 13/12/1996, Elmir, Rv. 207282; Sez. 6, n. 2713 del 11/12/1996, Samperi, Rv. 207166; Sez. 6, n. 35837 del 23/05/2001, Russo, Rv. 220593; Sez. 6, n. 35150 del 26/06/2009, Manto, Rv. 244699; Sez. 6, n. 45626 del 25/11/2010, Z., Rv. 249321; e soprattutto Sez. U, n. 37503 del 30/10/2002, Vanone, Rv. 222347), perche’ si possa configurare il delitto di cui all’articolo 377 cod. pen. e’ necessario che i destinatari della condotta abbiano gia’ assunto, formalmente, nel momento in cui la condotta stessa viene posta in essere, la qualifica processuale. E la qualita’ di testimone, nel reato di cui all’articolo 377 cod. pen., viene considerata assunta nel momento dell’autorizzazione del giudice alla citazione del soggetto in questa veste, ai sensi dell’articolo 468 c.p.p., comma 2, (v. in particolare: Sez. U, n. 37503 del 2002, Vanone, cit., e, con riguardo al simile reato di cui all’articolo 377-bis cod. pen., Sez. 6, n. 45626 del 2010, Z., cit.).
Tuttavia, ad avviso del Collegio, le peculiarita’ della figura del consulente tecnico del pubblico ministero fanno propendere, nell’ipotesi in cui sia questo il soggetto su cui si esercita l’attivita’ induttiva o violenta, verso una diversa soluzione.
In questa evenienza, infatti, il soggetto in questione, come si e’ gia’ osservato, riveste la qualita’ di pubblico ufficiale o di incaricato di un pubblico servizio; ha, in quanto tale, il dovere di obiettivita’ ed imparzialita’; e non puo’ esimersi dal dire la verita’. Proprio per queste sue caratteristiche, il consulente tecnico, con la nomina ad opera del pubblico ministero, riveste gia’ una precisa veste processuale, potenzialmente destinata a rifluire sull’assunzione della qualita’ “testimoniale” ex articoli 371-bis o 372 cod. pen.. Questa qualita’, anche se non ancora formalmente assunta, puo’ dunque ritenersi immanente, in quanto prevedibile e necessario sviluppo processuale della funzione assegnata ai consulente tecnico nominato dalla parte pubblica.
In questa prospettiva e in sostanziale accordo con le conclusioni dell’ordinanza di rimessione, deve concludersi che il reato di cui all’articolo 377 cod. pen. e’ configurabile nella fattispecie in esame, essendo stata la condotta contestata esercitata per influire sui risultati di una consulenza tecnica, destinati a essere falsamente rappresentati al pubblico ministero (articolo 371-bis cod. pen.) o successivamente al giudice (articolo 372 cod. pen.).
D’altra parte anche nella giurisprudenza di legittimita’ in materia non sono mancati recentemente segni di revisione e approcci piu’ “sostanzialistici”, essendosi ritenuto “configurabile il delitto di subornazione anche con riferimento alle pressioni e alle minacce esercitate su colui che abbia reso dichiarazioni accusatorie nella fase delle indagini preliminari al fine di indurlo alla ritrattazione in vista dell’acquisizione, da parte sua, della qualita’ di testimone nel celebrando dibattimento” (Sez. 1, n. 6297 del 10/12/2009, Pesacane, Rv. 246107).
5. Secondo la ricostruzione operata da queste Sezioni Unite nell’ordinanza in data 27 giugno 2013, tuttavia, il consulente potrebbe rendersi responsabile del delitto di falsa testimonianza o di false informazioni al pubblico ministero solo allorche’ riferisca su dati oggetti vi: non quando sia chiamato a formulare valutazioni tecnico-scientifiche, ossia giudizi, i quali, in quanto espressivi di opinioni personali, non potrebbero essere qualificati in termini di verita’ o di falsita’.
Si era osservato che, in siffatta evenienza, l’unico reato configurarle, nell’ipotesi di subornazione del consulente del pubblico ministero, sarebbe quello di istigazione alla corruzione propria, di cui al censurato articolo 322 c.p., comma 1: figura criminosa rispetto alla quale il delitto di intralcio alla giustizia si porrebbe in rapporto di specialita’. Il consulente tecnico del pubblico ministero assumerebbe, infatti, nell’espletamento dei suoi compiti, la qualita’ di pubblico ufficiale o di incaricato di un pubblico servizio, richiesta dalla norma denunciata, la quale dovrebbe ritenersi, d’altra parte, applicabile anche in rapporto alla corruzione in atti giudiziari (articolo 319-ter cod. pen.). Emergerebbero, peraltro, in questo modo, i profili di illegittimita’ costituzionale denunciati, poi ritenuti, come si e’ visto, infondati dal Giudice delle Leggi nella citata sentenza n. 163 del 2014.
6. Ritiene il Collegio che queste ultime conclusioni vadano ripensate, anche alla luce dei rilievi operati dalla Corte costituzionale nella sentenza n. 163 del 2014.
Va in primo luogo evidenziato che, in base ad un orientamento giurisprudenziale significativamente esteso, “quando intervengano in contesti che implicano l’accettazione di parametri di valutazione normativamente determinati o tecnicamente indiscussi, gli enunciati valutativi assolvono certamente una funzione informativa e possono dirsi veri o falsi” (cosi’ Sez. 5, n. 3552 del 09/02/1999, Andronico, Rv. 213366; per l’affermazione dello stesso principio, cfr in special modo: Sez. 6, n. 8588 del 06/12/2000, dep. 2001, Ciarletta, Rv. 219039; Sez. 5, n. 15773 del 24/01/2007, Marigliano, Rv. 236550; Sez. 1, n. 45373 del 10/06/2013, Capogrosso, Rv. 257895).
In particolare, movendo dall’interpretazione dell’articolo 373 cod. pen. (falsa perizia o interpretazione), si e’ constatato che le norme positive ammettono talora la configurabilita’ del falso ideologico anche in enunciati valutativi e qualificatori, come avviene, ad esempio, nell’articolo 2629 cod. civ. (valutazione esagerata del conferimenti e degli acquisiti della societa’). Si e’ precisato che quando fa riferimento a criteri predeterminati, la valutazione e’ un modo di rappresentare la realta’ analogo alla descrizione o alla constatazione, sebbene l’ambito di una sua possibile qualificazione in termini di verita’ o di falsita’ sia variabile e risulti, di regola, meno ampio, dipendendo dal grado di specificita’ e di elasticita’ del criteri di riferimento. Si e’ evidenziato che la falsita’ della conclusione puo’ dipendere anche dalla “falsita’ di una delle premesse”. Si e’ concluso che puo’ dirsi falso l’enunciato valutativo che contraddica criteri di valutazione indiscussi e indiscutibili ovvero che sia posto a conclusione di un ragionamento fondato su premesse contenenti false attestazioni (v. Sez. 5, Andronico, cit.).
Dette conclusioni sono state ribadite anche in altra vicenda in cui all’imputato era contestato il concorso in falso ideologico in atto pubblico ex articolo 479 cod. pen. con un consulente tecnico del pubblico ministero in relazione alle valutazioni da questo esposte nel suo elaborato redatto su incarico del magistrato inquirente (v. Sez. 1, Capogrosso, cit.). D’altra parte, in materia di reato di falsa perizia, nei pochissimi precedenti reperibili, l’applicazione delle categorie “vero-falso” sembra essere avvenuta in linea con i principi da ultimo esposti (Sez. 5, n. 7067 del 12/01/2011, Sabolo, Rv. 249836; Sez. 6, n. 45633 del 24/10/2013, Piazza, non mass.).
In applicazione di questi principi deve concludersi che anche in relazione ai giudizi di natura squisitamente tecnico-scientifica puo’ essere svolta una valutazione in termini di verita’-falsita’.
Ne discende che il consulente tecnico del pubblico ministero va equiparato al testimone anche quando formula giudizi tecnico-scientifici, sicche’ il caso in esame (in cui il consulente del Pubblico ministero era chiamato ad accertamenti che postulavano sia il riscontro di dati oggettivi sia profili valutativi) deve essere inquadrato, a seconda delle fasi processuali in cui viene fatta l’offerta (rifiutata), nel combinato disposto di cui agli articoli 377 e 371-bis cod. pen. (intralcio alla giustizia per far rendere false dichiarazioni al pubblico ministero) o in quello di cui agli articoli 377 e 372 cod. pen. (intralcio alla giustizia per far rendere una falsa testimonianza).
7. Va dunque enunciato il seguente principio di diritto:
“L’offerta o la promessa di denaro o di altra utilita’ al consulente tecnico del pubblico ministero finalizzata a influire sul contenuto della consulenza integra il delitto di intralcio alla giustizia di cui all’articolo 377 cod. pen. in relazione alle ipotesi di cui agli articoli 371-bis o 372 cod. pen..
8. Conseguentemente, riqualificata l’imputazione ai sensi dell’articolo 377 cod. pen., la sentenza impugnata deve essere annullata limitatamente alla determinazione della pena, con rinvio per nuovo giudizio sul punto ad altra sezione della Corte di appello di Roma.
A norma dell’articolo 624 c.p.p., comma 2, la sentenza impugnata va dichiarata irrevocabile in punto di affermazione della responsabilita’ dei ricorrenti per il fatto loro ascritto come riqualificato in questa sede.
P.Q.M.
Qualificata l’imputazione ex articolo 377 cod. pen., annulla la sentenza Impugnata limitatamente alla determinazione della pena e rinvia per nuovo giudizio sul punto ad altra sezione della Corte di appello di Roma. Dichiara irrevocabile l’impugnata sentenza in punto di responsabilita’.

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