Corte di Cassazione, sezione terza penale, sentenza 9 gennaio 2018, n. 272. La causa di non punibilità non copre reati diversi posti in essere dai responsabili del delitto (presupposto) di riciclaggio


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In sintesi, sostiene la difesa dei ricorrenti che il tribunale avrebbe erroneamente negato la revoca del sequestro sul presupposto che le somme oggetto del delitto di riciclaggio non sarebbero costituite esclusivamente dai proventi degli illeciti oggetto della c.d. voluntary disclosure, ma atterrebbero anche al profitto del reato di appropriazione indebita, del cui fumus il tribunale non si occupa a seguito della valutazione gia’ operata in sede di udienza preliminare e di ricorso per cassazione, non essendo la sussistenza di tale ultimo reato intaccata dall’elemento sopravvenuto che la difesa aveva invocato in sede di istanza di dissequestro prima e di appello poi; quanto sopra, ad avviso dei ricorrenti, non risponderebbe al vero, in quanto solo all’indagato (OMISSIS) (qui non ricorrente) e’ stato esclusivamente contestato il reato di riciclaggio dei capitali esteri utilizzati dalla fiduciaria (OMISSIS) s.r.l. per l’acquisto delle quote dei fratelli (OMISSIS), attuali ricorrenti, nella societa’ (OMISSIS) s.r.l.; si evidenzia come gli attuali ricorrenti non risultano indagati nel delitto di riciclaggio contestato al capo a), e che, peraltro, non vi sarebbe alcun riferimento nella contestazione, se non in termini descrittivi, alle somme di cui i due ricorrenti si sarebbero indebitamente appropriati in danno delle loro stesse societa’, condotta contestata al capo b) dell’imputazione cautelare; la stessa A.F. in sede di voluntary disclosure avrebbe accertato che la provvista estera, pari ad Euro 1.099.976,26 utilizzata per l’acquisto delle quote societarie era stata costituita in epoca antecedente a quella in cui si sarebbe consumata l’appropriazione indebita; le stesse modalita’ esecutive della presunta appropriazione indebita apparirebbero per i ricorrenti ontologicamente incompatibili con la tesi del riciclaggio, essendosi succeduti tra la (OMISSIS) s.r.l. e la (OMISSIS) s.r.l. ed i fratelli (OMISSIS), da una parte, e tra questi ultimi e la (OMISSIS) s.r.l., dall’altra, solo pagamenti tracciati con la modalita’ del bonifico bancario; in sostanza, la ricostruzione del Tribunale di Roma prevaricherebbe dunque il perimetro delle imputazioni sulla base delle quali il sequestro e’ stato disposto, sia quanto alla ricostruzione della condotta storica che quanto all’attribuzione soggettiva degli addebiti, avendo lo stesso PM suddiviso gli addebiti, da un lato, ascrivendo al (OMISSIS) la contestazione di riciclaggio avente ad oggetto le somme estere rimpatriate tramite la sua fiduciaria per l’acquisto delle quote della (OMISSIS) s.r.l. dei fratelli (OMISSIS), e, dall’altro, ascrivendo a questi ultimi il delitto di appropriazione indebita relativamente alle somme versate in loro favore dalle due societa’ di famiglia, sicche’ l’affermazione secondo cui il delitto di cui al capo a) avrebbe riguardato anche gli attuali ricorrenti e’ estranea all’imputazione ed al quadro cautelare emerso; a cio’ si aggiunge, evidenziano i due ricorrenti, un elemento di novita’ che sarebbe emerso dopo il rinvio a giudizio disposto dal GUP e dopo la decisione di questa Corte, ossia la definizione della procedura c.d. di voluntary disclosure ai sensi della L. n. 186 del 2014, che avrebbe regolarizzato sotto il profilo tributario il rientro dei capitali esteri operato attraverso l’acquisto delle quote della (OMISSIS) s.r.l., ossia l’importo oggetto della imputazione di riciclaggio sub a); si osserva che la documentazione difensiva, attenendo solo alle somme oggetto del capo a) coprirebbe solo parte delle somme oggetto dei reati tributari sub b) e c) della rubrica (ossia i reati di dichiarazione infedele ex Decreto Legislativo n. 74 del 2000, articolo 4), che si riferiscono invece anche alle somme che si assumono profitto della contestata appropriazione indebita ed a quelle che compongono altri redditi che, secondo la GdF, i fratelli (OMISSIS) non avrebbero dichiarato, ovvero all’ammontare complessivo dell’accertamento tributario eseguito e per cui si e’ proceduto con separato sequestro per equivalente ai sensi dell’articolo 322-ter c.p.p., su conti e beni degli attuali ricorrenti; si sostiene che, sebbene riferibile solo ad una frazione dell’imputazione, la procedura di “volontaria collaborazione” rappresenterebbe un fatto nuovo che, quand’anche ritenuto inidoneo a intaccare il reato di appropriazione indebita, avrebbe indubitabilmente “epurato” il delitto sub a) e reciso le ragioni che avevano determinato il sequestro delle quote che servirono o furono destinate a commetterlo; la mancata applicazione della L. n. 186 del 2014, articolo 5-quinquies (che determina a seguito della procedura di voluntary disclosure l’estinzione del reato di riciclaggio e dei reati tributari connessi) integrerebbe una violazione di legge in quanto costituisce fatto nuovo sopravvenuto che renderebbe processualmente inefficace l’invocata preclusione ad una rivalutazione del fumus costituita dall’intervenuto rinvio a giudizio; in definitiva, mantenere il sequestro preventivo delle quote della (OMISSIS) s.r.l. in funzione di confisca con riferimento al delitto di appropriazione indebita (rispetto alla quale la cessione delle quote non puo’ aver avuto nessuna funzione strumentale essendosi essa consumata in epoca anteriore), a fronte dell’incidenza che la predetta procedura di “volontaria collaborazione” ha esplicato nei confronti del reato di riciclaggio, equivarrebbe a consentire il sequestro per equivalente del profitto di quel reato, in mancanza di una specifica previsione normativa che lo consenta, cosi’ determinandosi un’ingiustificata duplicazione di misure cautelari per la stessa fattispecie, atteso che per il profitto non dichiarato al Fisco dell’appropriazione indebita il PM ha gia’ proceduto al sequestro tributario per equivalente ex articolo 322-ter c.p.p. su beni e conti degli attuali indagati.

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