Corte di Cassazione, sezione terza penale, sentenza 22 gennaio 2018, n. 2407. In tema di omesso versamento Iva in caso di esterovestizione, non vi è un obbligo di cooperazione tra le autorità fiscali se l’attività della Guardia di finanza italiana è ritenuta esaustiva.

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13. Non miglior sorte merita la censura difensiva circa l’applicabilita’, al caso in esame, della disciplina in materia di abuso del diritto – elusione fiscale, oggetto del recente intervento normativo attuato con il Decreto Legislativo n. 128 del 2015, che ha, a determinate condizioni, depenalizzato quelle condotte che prima, per effetto del formarsi di una giurisprudenza in tal senso, vi si erano state fatte rientrare.
Ritiene il Collegio di dover condividere quanto argomentato dal P.G. ed esposto nell’ordinanza impugnata a confutazione del secondo motivo, dovendosi infatti ritenere la non invocabilita’ del disposto dell’articolo 10 bis, St. contr., nella specie con riferimento al comma 13 invocato dalla difesa dell’indagato. Ed invero, sul punto, bene osserva il tribunale del riesame laddove evidenzia come secondo il comma 12 le operazioni abusive possono configurarsi solo quando non possano contestarsi violazioni di specifiche disposizioni tributarie, nelle quali – sottolinea l’ordinanza impugnata – rientrano anche le norme penali in materia tributaria: circostanza, questa che (a prescindere dalla correttezza del richiamo al Decreto del Presidente della Repubblica n. 633 del 1972, articolo 17, comma 2, che, secondo la difesa dell’indagato, sarebbe errata in quanto la societa’ tedesca avrebbe applicato il Decreto Legge n. 331 del 1993, articolo 41, comma 1, lettera A), trattandosi di cessioni intracomunitarie non imponibili) assume valenza assorbente, escludendo che nel caso di specie possa parlarsi “semplicemente” di abuso del diritto non codificato o di elusione fiscale, ma di vera e propria esterove-stizione, con conseguente violazione della norma tributaria penale di cui al Decreto Legislativo n. 4 del 2000, articolo 5. Bene, sul punto, argomenta infatti il P.G. laddove non solo esclude l’applicabilita’ dell’articolo 10 bis St. contr. (e la conseguente operativita’ retroattiva ex articolo 2 c.p., in realta’ pacifica in quanto gia’ oggetto di reiterata affermazione giurisprudenziale: Sez. 3, n. 40272 del 01/10/2015 – dep. 07/10/2015, Mocali, Rv. 264951; Sez. 3, n. 35575 del 29/08/2016, P.C. in proc. Cimmino e altri, Rv. 267678), proprio richiamando la giurisprudenza di questa Corte secondo cui in tema di violazioni finanziarie, l’istituto dell’abuso del diritto di cui alla L. 27 luglio 2000, n. 212, articolo 10 bis, che, per effetto della modifica introdotta dal Decreto Legislativo 5 agosto 2015, n. 128, articolo 1, esclude ormai la rilevanza penale delle condotte ad esso riconducibili, ha applicazione solo residuale rispetto alle disposizioni concernenti comportamenti fraudolenti, simulatori o comunque finalizzati alla creazione e all’utilizzo di documentazione falsa di cui al Decreto Legislativo 10 marzo 2000, n. 74, cosicche’ esso non viene mai in rilievo quando i fatti in contestazione integrino le fattispecie penali connotate da tali elementi costitutivi (Sez. 3, n. 40272 del 01/10/2015 – dep. 07/10/2015, Mocali, Rv. 264950).
Correttamente, pertanto, il P.G. ricorda che nel caso di specie deve escludersi la sussistenza di un mero abuso del diritto penalmente irrilevante, atteso che l’indagato, oltre ad aver conseguito un vantaggio fiscale indebito, ha violato direttamente la norma penai-tributaria: la fattispecie contestata, ricorda il P.G., e’ infatti, quella prevista dal Decreto Legislativo n. 74 del 2000, articolo 5, che sanziona di per se’ la omissione della presentazione della dichiarazione, anche a prescindere dalla produzione di un effettivo danno economico per l’A.F..
14. Quanto al terzo motivo, con cui si censura l’ordinanza impugnata per non essersi uniformata ai principi della sentenza Gubert delle SSUU di questa Corte, colgono nel segno le osservazioni svolte dal P.G. e dall’ordinanza impugnata. I giudici del riesame, sul punto, evidenziano come a carico della (OMISSIS) GMBH e’ stato operato il sequestro di taluni cc/cc versandosi quindi in ipotesi di confisca diretta, sempre possibile nei confronti dell’Ente (Sez. U, n. 10561 del 30/01/2014 – dep. 05/03/2014, Gubert, Rv. 258647), laddove, invece, e’ stato disposto il sequestro per equivalente nei confronti dell’indagato, quale amministratore della (OMISSIS), in considerazione dell’incapienza di quanto vincolato a carico della societa’.
Sul punto, non v’e’ dubbio che siano stati rispettati i principi enunciati da questa Corte con la richiamata sentenza delle SSUU Gubert. Ed invero, ammessa la sequestrabilita’ di quanto di pertinenza dell’Ente a titolo di confisca diretta (v. supra), e’ ben vero che in tema di reati tributari commessi dal legale rappresentante di una persona giuridica, il sequestro preventivo funzionale alla confisca per equivalente prevista dalla L. n. 244 del 2007, articolo 1, comma 143, e articolo 322 ter c.p., non puo’ essere disposto sui beni dell’ente, ad eccezione del caso in cui questo sia privo di autonomia e rappresenti solo uno schermo attraverso il quale il reo agisca come effettivo titolare dei beni (Sez. U, n. 10561 del 30/01/2014 – dep. 05/03/2014, Gubert, Rv. 258646). Ma, nel caso in esame, come chiarito dalla stessa ordinanza nei confronti dell’Ente e’ stata disposta solo la confisca diretta dei cc/cc, mentre quella per equivalente e’ stata disposta nei confronti dell’indagato, quale legale rappresentante, essendo incapiente quanto vincolato nei confronti della societa’. Si e’ gia’ affermato, infatti, che e’ legittimo il sequestro preventivo finalizzato alla confisca diretta del profitto rimasto nella disponibilita’ di una persona giuridica, derivante dal reato tributario commesso dal suo legale rappresentante, non potendo considerarsi l’ente una persona estranea al detto reato; tuttavia al fine di poter disporre la confisca diretta del profitto nei confronti della persona giuridica e’ pur sempre necessario che risulti la disponibilita’ nelle casse societarie di denaro da aggredire, non sussistendo un obbligo per la Pubblica Accusa di dover provvedere alla preventiva ricerca di liquidita’ o cespiti anche nel caso in cui risulti “ex actis” l’incapienza del patrimonio dell’ente (Fattispecie in cui la Corte ha ritenuto legittimo il sequestro per equivalente in quanto dagli atti emergeva una situazione di oggettiva illiquidita’ desumibile dalla autorizzazione alla C.I.G. e dalla approvazione del programma di crisi aziendale: Sez. 3, n. 6205 del 29/10/2014 – dep. 11/02/2015, Mataloni e altro, Rv. 262770).
Orbene, nel caso di specie, proprio la situazione di incapienza della (OMISSIS) GMBH rispetto al profitto costituito dall’ammontare dell’imposta evasa conseguente alla mancata dichiarazione IVA per i periodi contestati, legittimava l’adozione del sequestro per equivalente sui beni dell’indagato, apparendo peraltro condivisibile la correttezza della duplice previsione del sequestro diretto nei confronti della societa’ e per equivalente nei confronti dell’amministratore indagato del reato tributario, e dell’esecuzione del provvedimento a fronte della parziale in capienza delle risorse societarie, laddove si consideri che la somma sequestrata sui cc/cc della (OMISSIS) GMBH e’ risultata pari a poco piu’ di 182.000 Euro, a fronte di un profitto derivante dal reato tributario contestato pari a circa 8 milioni e 500.000 Euro.
15. Infine, quanto al quinto motivo di ricorso, con cui si censura l’ordinanza impugnata per non aver escluso l’elemento soggettivo del reato, lo stesso si appalesa parimenti infondato.
Ed invero, e’ la stessa ordinanza impugnata a chiarire le ragioni del mancato accoglimento della tesi difensiva, sottolineando come il dolo specifico di evasione delle imposte sul valore aggiunto dovute non e’ escluso dall’esistenza di ulteriori finalita’ perseguite da chi commette il reato. Nella specie, puntualizzano i giudici del riesame, al di la’ dei differenziali di pressione fiscale tra Italia e Germania, risulta dimostrato l’interesse ad eseguire una cessione a prezzi altamente concorrenziali da parte di un soggetto economico che fa dell’acquisto e della rivendita del legname il proprio core business, a nulla rilevando la circostanza che l’IVA verrebbe assolta in ogni caso dal cliente finale. L’IVA, si sottolinea, proprio per la sua configurazione, deve obbligatoriamente essere applicata ad ogni cessione intervenuta, ricorrendone i presupposti di legge, venendo altrimenti alterati i meccanismi di concorrenza tra i vari operatori economici, cio’ che e’ stato ritenuto piu’ che sufficiente, in sede di riesame, per ritenere sussistente l’elemento psicologico del reato contestato.
Trattasi di argomentazione immune da vizi e giuridicamente corretta, atteso che come ricordato dallo stesso P.G. nella sua requisitoria e dalla difesa dell’indagato, in sede di riesame dei provvedimenti che dispongono misure cautelari reali, al giudice e’ demandata una valutazione sommaria in ordine al “fumus” del reato ipotizzato relativamente a tutti gli elementi della fattispecie contestata; ne consegue che lo stesso giudice puo’ rilevare anche il difetto dell’elemento soggettivo del reato, purche’ esso emerga “ictu ocuti” (v., tra le tante: Sez. 2, n. 18331 del 22/04/2016 – dep. 03/05/2016, Iommi e altro, Rv. 266896). Orbene, nel caso in esame, tale emersione ictu oculi del difetto del dolo specifico normativamente richiesto, come argomentato nell’ordinanza impugnata, non risulta(va) ne’ risulta allo stato degli atti, proprio per la inevitabile sommarieta’ della delibazione condotta, donde anche tale argomento non coglie nel segno.
16. Il ricorso dev’essere complessivamente rigettato.
Al rigetto del ricorso segue la condanna del ricorrente al pagamento delle spese processuali.
P.Q.M.
La Corte rigetta il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese processuali.

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