Corte di Cassazione, sezione terza penale, sentenza 22 gennaio 2018, n. 2407. In tema di omesso versamento Iva in caso di esterovestizione, non vi è un obbligo di cooperazione tra le autorità fiscali se l’attività della Guardia di finanza italiana è ritenuta esaustiva.

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Ed invero, sul punto, osserva il Collegio come il predetto § 59 cosi’ recita: Si deve quindi rispondere alla sedicesima questione dichiarando che il regolamento n. 904/2010 deve essere interpretato nel senso che l’amministrazione tributaria di uno Stato membro che esamina l’esigibilita’ dell’IVA per prestazioni che sono gia’ state assoggettate a detta imposta in altri Stati membri e’ tenuta a rivolgere una richiesta di informazioni alle amministrazioni tributarie di tali altri Stati membri qualora una siffatta richiesta sia utile, se non indispensabile, per accertare che l’IVA sia esigibile nel primo Stato membro. Come reso palese dalla stessa (piana) lettura dell’affermazione della CGUE, che non necessita di alcun supplemento esegetico, detto obbligo di collaborazione (desumibile invero dalla forma verbale impiegata: “..e’ tenuta..”) estrinsecantesi attraverso la richiesta di informazioni che le autorita’ fiscali di uno Stato membro devono rivolgere all’autorita’ fiscale del paese UE ove ha sede il soggetto giuridico tenuto al pagamento dell’imposta sul valore aggiunto, non e’ assoluto, ma e’ subordinato ad una condizione, essendo infatti previsto che detto obbligo scatti “qualora una siffatta richiesta sia utile, se non indispensabile, per accertare che l’IVA sia esigibile nel primo Stato membro”, il che, peraltro, presuppone pur sempre che il soggetto passivo cui viene richiesto il pagamento dell’IVA (nella specie, in Italia) abbia svolto “prestazioni che sono gia’ state assoggettate a detta imposta in altri Stati membri” (ossia, nella specie, in Germania), circostanza questa che non emerge ne’ dal provvedimento impugnato ne’ dal ricorso proposto, non avendo la parte ricorrente – neanche assertivamente – affermato che l’imposta sul valore aggiunto sulle prestazioni eseguite nell’arco temporale oggetto di valutazione fosse stata assolta nel paese ove la societa’ ha sede legale.
Alla luce delle considerazioni che precedono, pertanto, perdono di spessore ar-gomentativo le doglianze difensive di cui ai motivi primo e quarto del ricorso, atteso che ai fini della disamina obiettiva e realistica della condotta tenuta dall’indagato quale amministratore della (OMISSIS) GMBH e dei rapporti intercorrenti tra la (OMISSIS) e la (OMISSIS) non necessita(va) dell’acquisizione della documentazione ufficiale dall’estero, risultando dallo stesso provvedimento impugnato che detta documentazione “ufficiale” era quella rinvenuta in Italia presso la (OMISSIS) s.r.l., dunque non essendovi necessita’ alcuna di attivare quella collaborazione che, in realta’, non era richiesta proprio per la circostanza, emergente dagli atti per cui: a) in Italia, si era realizzata la quasi totalita’ del fatturato relativo alle cessioni di legno effettuate dalla (OMISSIS); b) che in Italia venivano stipulati i contratti con i clienti italiani; c) che in Italia erano stati accesi i rapporti di c/c sia della (OMISSIS) che del (OMISSIS), conti su cui affluivano gli incassi delle cessioni di legname, non essendo istata, peraltro, necessita’ di accertare l’esistenza di cc/cc esteri proprio in virtu’ del rapporto di congruita’ tra il fatturato ed il denaro transitato sui conti; d) che in Italia esisteva il centro direzionale dell’attivita’ (come risultante proprio dalla circostanza che in Italia era stata reperita tutta la documentazione contabile, bancaria e commerciale). Ne’ del resto rileva, come sottolineato dall’ordinanza impugnata, l’esistenza del rapporto di agenzia tra (OMISSIS) e (OMISSIS), essendo stato accertato che quest’ultima non risultava disporre nemmeno di un dipendente avvalendosi di quelli formalmente assunti dalla (OMISSIS) per conseguire il proprio oggetto sociale. Cio’, come sottolineato nell’ordinanza impugnata, univocamente dimostra l’esistenza di una precisa commistione tra le due realta’ imprenditoriali, non rilevando nemmeno il fatto che la (OMISSIS) s.r.l. non operi come monomandatario della (OMISSIS) GMBH, atteso che cio’, come evidenziato nell’ordinanza con logica motivazione, non inficia comunque il quadro probatorio acquisito, ben potendo la societa’ italiana certo svolgere attivita’ per altri soggetti oltre che per la (OMISSIS): cio’ che emerge pero’ dall’ordinanza e’ che la (OMISSIS) non aveva alcuna struttura operativa, avvalendosi di quella messa a disposizione della (OMISSIS), riferibile, come visto, sempre al (OMISSIS).
12. Esclusa, quindi, l’esistenza di un obbligo assoluto di richiedere le predette informazioni difettando la condizione – come sottolineato dallo stesso inciso di cui al § 59 della citata sentenza della CGUE – che “una siffatta richiesta sia utile, se non indispensabile, per accertare che l’IVA sia esigibile nel primo Stato membro”, correttamente deve quindi ritenersi che i giudici di merito abbiano ritenuto applicabile il disposto del Decreto del Presidente della Repubblica n. 633 del 1972, articolo 4, che invece)secondo quanto dedotto dalla difesa nel quarto motivo, sarebbe stato erroneamente richiamato. Sul punto, e’ sufficiente ricordare quanto affermato dalla giurisprudenza di questa Corte in sede tributaria, laddove si e’ chiarito che in tema di IVA, dal complesso della disciplina dettata dal Decreto del Presidente della Repubblica 26 ottobre 1972, n. 633, e, in particolare, dalla disposizione contenuta nell’articolo 17, comma 4, di detto decreto, si ricava che, quando ricorrono il requisito oggettivo dell’esercizio abituale di un’attivita’ commerciale – richiesto dall’articolo 4, del decreto medesimo – e quello territoriale della stabilita’ in Italia di una organizzazione del soggetto non residente, gli obblighi e i diritti relativi alle operazioni effettuate da o nei confronti della stabile organizzazione non possono essere adempiuti o esercitati, nei modi ordinari, dal soggetto non residente, direttamente o tramite un suo rappresentante fiscale. La stabile organizzazione nello Stato, infatti, in quanto obbligata al pagamento ed alla rivalsa dell’imposta, oltre che al rispetto dei doveri formali di fatturazione delle operazioni attive e di registrazione delle fatture passive, costituisce in tal caso l’unico centro di imputazione fiscale delle operazioni riferibili al soggetto non residente e la stessa rappresenta anche la sola legittimata a presentare la dichiarazione annuale, nella quale vanno determinate l’imposta dovuta o l’eccedenza da computare in detrazione nell’anno successivo e formulata l’eventuale richiesta di rimborso (Sez. 5, Sentenza n. 6799 del 06/04/2004, Rv. 571913; Sez. 5, Sentenza n. 3889 del 15/02/2008, Rv. 602689).
Ed allora, appare di assoluta evidenza che tutte le cessioni poste in essere dalla (OMISSIS) GMBH, anziche’ essere ipotetiche operazioni intracomunitarie, risulta(va)no poste in essere da soggetti operanti sul territorio nazionale con soggetti italiani, e pertanto avrebbero dovuto essere assoggettate ad IVA in Italia. L’aver omesso la relativa dichiarazione per i periodi di imposta oggetto di contestazione, rende evidente la configurabilita’ del fumus di cui al Decreto Legislativo n. 74 del 2000, articolo 5, essendo in Italia, come accertato, la sede della direzione effettiva della societa’. Del resto, questa Corte ha precisato che ai fini della integrazione del reato di cui al Decreto Legislativo 74 del 2000, articolo 5, l’obbligo di presentazione della dichiarazione annuale dei redditi da parte di una societa’ commerciale avente sede legale all’estero ma operante in Italia, non sussiste solo quando la sede della direzione effettiva della societa’ non e’ situata nel territorio italiano, atteso anche quanto previsto dalle norme internazionali contro le doppie imposizioni fiscali (v., da ultimo: Sez. 3, n. 26728 del 25/06/2015, Pmt in proc. Garrisi, Rv. 264060).

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