Corte di Cassazione, sezione sesta civile, ordinanza 22 gennaio 2018, n. 1499. Deve intendersi per causa di valore indeterminabile quella in cui la pretesa azionata sia insuscettibile di valutazione economica, e non già quella in cui tale valutazione risulti possibile

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2. – Il secondo motivo allega la violazione o falsa applicazione degli articoli 10, 14, 278, 113, 163 e 339 c.p.c., in quanto il valore della causa, da stabilirsi in base all’atto introduttivo della lite, che al riguardo non conteneva alcuna indicazione (“… condannare il sig. (OMISSIS) al pagamento… della somma emergente dagli atti di causa e, comunque, commisurata alla qualita’ e quantita’ dell’opera professionale svolta”), per tale ragione avrebbe dovuto ritenersi indeterminato e, pertanto, di valore superiore a Euro 1.100,00 e pari al massimo della competenza del giudice adito.

2.1. – La censura e’ infondata.

Questa Corte ha avuto modo di osservare che in tema di liquidazione dell’onorario spettante all’avvocato, per domanda di valore indeterminabile, con applicazione del conseguente scaglione tariffario, deve intendersi la domanda il cui valore non puo’ essere determinato, non anche quella di valore indeterminato e da accertarsi nel corso dell’istruttoria, il cui ammontare puo’ essere fissato fino al momento della precisazione delle conclusioni (Cass. n. 3372/07).

La differenza tra valore indeterminabile e valore indeterminato e’ stata ritenuta rilevante dalla giurisprudenza di questa Corte anche ai fini del regime di impugnabilita’ delle sentenze emesse nelle controversie di lavoro, ai sensi dell’articolo 440 c.p.c.. E’ stato affermato, infatti, che in base a tale norma, che esclude l’appellabilita’ delle sentenze rese nelle controversie soggette al rito del lavoro di valore non superiore a Lire 50.000 (oggi Euro 25,82), deve intendersi per causa di valore indeterminabile quella in cui la pretesa azionata sia insuscettibile di valutazione economica e non gia’ quella in cui tale valutazione risulti possibile, ancorche’ non agevole, attraverso l’esame degli atti (cosi’ Cass. n. 4908/81, che ha ritenuto, pertanto, inappellabile la sentenza pronunciata in una controversia concernente il riconoscimento del diritto alla retribuzione per prestazioni lavorative ingiustificatamente rifiutate dal datore di lavoro, poiche’ la somma richiesta, ancorche’ non quantificata nella domanda, poteva determinarsi in misura inferiore al limite di lire 50.000 con un semplice calcolo in base alla retribuzione oraria e alla durata del turno giornaliero).

Nel caso in esame, la determinazione del valore non richiedeva neppure un elementare calcolo, derivando puramente e semplicemente dalla presa d’atto della successiva quantificazione operata in corso di causa dall’attore, che aveva richiesto il pagamento della somma di Euro 775,69; viepiu’ considerando che nella stessa citazione, sebbene ai soli fini fiscali, l’attore aveva dichiarato che il valore della causa era di Euro 1.000,00.

Cio’ comporta, nel caso in esame, che la domanda non era di valore indeterminabile ma di valore soltanto indeterminato, a sua volta determinabile sulla base della successiva dichiarazione resa dalla parte attrice.

3. – Il ricorso va dunque respinto, ponendo a carico del ricorrente il raddoppio del contributo unificato.

4. – Nulla per le spese, non avendo la parte intimata svolto attivita’ difensiva in questa sede di legittimita’.

P.Q.M.

La Corte rigetta il ricorso.

Ai sensi del Decreto del Presidente della Repubblica n. 115 del 2002, articolo 13, comma 1 quater, inserito dalla L. n. 228 del 2012, articolo 1, comma 17, dichiara la sussistenza dei presupposti per il versamento da parte ricorrente dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello dovuto per il ricorso, a norma dello stesso articolo 13, comma 1 bis.

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