Corte di Cassazione, sezione quarta penale, sentenza 19 gennaio 2018, n.2354. Nelle ipotesi di trattamenti sanitari affidati ad una pluralità di medici

Nelle ipotesi di trattamenti sanitari affidati ad una pluralità di medici, sia pure in forma diacronica attraverso atti medici successivi, che sfociano in un esito infausto, ciò che rileva, ai fini della individuazione della penale responsabilità di ciascuno di essi, è la verifica della incidenza della condotta di ciascuno sull’evento lesivo, pena, altrimenti, la valutazione nel campo della responsabilità oggettiva.

CORTE DI CASSAZIONE
sezione quarta penale
SENTENZA 19 gennaio 2018, n.2354

Pres. Romis – est. Piccialli
Ritenuto in fatto

Le parti civili V.L. ,V.G. e V.A. , ai fini civili, e l’imputato H.C. ricorrono avverso la sentenza di cui in epigrafe che, per quanto qui interessa, in riforma della sentenza di primo grado, ha mandato assolto l’imputato M.A. , dal reato di omicidio colposo per non aver commesso il fatto, revocando quindi le statuizioni civili, e, previa riqualificazione dell’originaria contestazione di omicidio preterintenzionale, ha dichiarato non doversi procedere nei confronti dell’H. per intervenuta prescrizione rispetto al reato di omicidio colposo, aggravato ex articolo 61, numero 3, cod.pen., in danno di V.A. .
Al M. era stato addebitato, unitamente ad altro sanitario, di non aver richiesto una TAC di controllo, neppure senza mezzo di contrasto, così sottovalutando un nuovo importante sanguinamento, puntualmente verificatosi, costituente causa prima del decesso.
La Corte territoriale ha condiviso le valutazioni della perizia disposta in sede di rinnovazione (cd. perizia C.D. ) secondo la quale nessun profilo colposo era addebitabile al M. che, in qualità di radiologo, consulente esterno della casa di cura ove era ricoverato il V. , era stato chiamato in occasione del secondo ricovero del paziente e, a seguito della visita, aveva ritenuto opportuno procedersi a drenaggio di una raccolta interna del liquido, consigliando per l’esecuzione della manovra il prof. S. , anch’egli assolto in sede di appello, nella sua qualità di radiologo interventista.

La doglianza delle parti civili riguarda solo l’assoluzione del M. , e la censura si sostanzia in due distinti profili. In primo luogo, con il primo motivo, si assume l’illegittimità dell’ordinanza del 25 gennaio 2016, con la quale Corte di secondo grado aveva ritenuto di dovere conferire una nuova perizia (la cd. perizia C.d. ), sul presupposto, che si assume erroneo, dell’inutilizzabilità dell’elaborato peritale acquisito in primo grado (cd. perizia G. ) perché i periti si sarebbero avvalsi di altro professionista in assenza di autorizzazione. La Corte di appello, accogliendo l’eccezione formulata per la prima volta nei motivi di appello dal M. ex art. 228, comma 2, cod.proc.pen., aveva ritenuto tale fatto violativo del principio del contraddittorio. Sul punto si deduce che l’eventuale nullità, di carattere relativo, doveva essere eccepita ex art. 182, comma 2, cod. proc. pen., subito dopo il suo verificarsi (identificato in quello della udienza del 17 gennaio 2014, la prima dopo il deposito in cancelleria della perizia).
Con il secondo motivo si lamenta il difetto di adeguata motivazione a fondamento dell’assoluzione, siccome asseritamente basata su acritica adesione all’elaborato peritale acquisito in sede di rinnovazione del dibattimento. Si deduce che la Corte di merito aveva omesso di valutare la CTU della difesa di parte civile che aveva posto in risalto il punto del cd ‘sanguinamento sentinella’, la cui trattazione, pur di estremo rilievo, è stata omessa sia dalla CTU che dalla sentenza. Con lo stesso motivo lamentano la violazione dell’art. 129, comma 2, cod. proc. pen., sul rilievo che la Corte di appello, nel pronunciare l’assoluzione del M. per non aver commesso il fatto, aveva omesso la declaratoria di estinzione del reato per prescrizione.
L’imputato H. , invece,con plurimi motivi, contesta gli argomenti posti dalla Corte di merito a fondamento della decisione.
Con il primo motivo lamenta il travisamento della prova, laddove la Corte di appello aveva individuato la condotta colposa del ricorrente nell’avere omesso di proporre o informare il paziente dell’alternativa (all’intervento) del follow up. Si assume che entrambe le perizie avevano evidenziato che il cistoadenoma-indipendentemente dalla sua malignità accertata – anche solo per la sintomatologia e per le dimensioni, andava resecato.
Si contesta anche il profilo di colpa individuato nell’assenza di un valido consenso, evidenziando che tale elemento non integra un profilo autosufficiente di colpa e che comunque dagli atti emergevano testimonianze che attestavano l’adeguata informazione del V. e del convivente.
Con il secondo motivo si duole del difetto assoluto di motivazione con riferimento alla memoria ex art. 121 cod.proc.pen. depositata presso la cancelleria della Corte di assise di appello, con la quale si sottolineava l’assenza del nesso di causalità tra le condotte addebitare al ricorrente e l’evento infausto, rimarcando la rilevanza causale assorbente della condotta dell’anestesista, la cui scelta di estubare il paziente in attesa dell’arrivo del chirurgo doveva considerarsi interruttiva del nesso causale, mentre nessun addebito poteva addebitarsi allo stesso H. per la determinazione assunta di ritardare l’esecuzione dell’intervento in attesa del suo arrivo.
Con il terzo motivo e quarto motivo, strettamente connessi, lamenta l’erronea applicazione della legge penale con riferimento alla ritenuta sussistenza del nesso eziologico tra l’intervento di pancreasectomia distale e l’evento morte. Il riferimento è all’affermazione di responsabilità in relazione al ritardo nell’intervento chirurgico, in violazione della posizione di garanzia che gravava sull’H. , che gli imponeva di far intervenire altro chirurgo ovvero di ordinare il trasferimento del paziente in un ospedale attrezzato e di non ritardare l’esecuzione con il suo arrivo. Tale valutazione tralasciava di considerare la condotta colposa dei sanitari della (omissis) che avrebbe compromesso gli esiti favorevoli di un intervento salvifico, incidendo in modo irreversibile sulla possibilità di sopravvivenza del paziente. In tal senso si rimarca il ritardo nel fronteggiare l’emorragia e nel notiziare il ricorrente – dopo oltre sei ore dal ricovero – nonché la condotta dell’anestesista, che aveva determinato la emorragia inarrestabile, ritenuta irrazionale e sconsiderata da entrambe le CTU. Sotto tale ultimo profilo si rimarca che nelle condizioni in cui versava il paziente il supporto respiratorio risultava necessario per ridurre il lavoro ventilatorio e prevenire l’arresto cardiocircolatorio.
Nessun addebito poteva addebitarsi allo stesso H. per la determinazione assunta di ritardare l’esecuzione dell’intervento in attesa del suo arrivo.
Anche con memoria aggiunta, si censura la scelta del giudicante di mantenere le statuizioni civili, pur in presenza di derubricazione.
È stata depositata memoria difensiva nell’interesse del M. con la quale si chiede dichiararsi l’inammissibilità, rigetto del ricorso di parte civile.

Considerato in diritto

I ricorsi delle parti civili sono infondati.
La rinnovazione del dibattimento nel giudizio di appello è un istituto di carattere eccezionale al quale può farsi ricorso esclusivamente quando il giudice ritenga, nella sua discrezionalità, di non poter decidere allo stato degli atti, sicché non può essere censurata la sentenza nella quale siano indicati i motivi per i quali la riapertura dell’istruttoria dibattimentale non si reputi necessaria e, per converso, non può essere censurata la sentenza che invece ritenga necessario procedere a rinnovare il dibattimento.
Ciò vale a fortiori allorquando si verta in tema di rinnovazione dell’istruttoria ai fini dell’effettuazione di perizia, in quanto la perizia ha concettualmente la natura di mezzo di prova ‘neutro’, sottratta alla disponibilità delle parti e rimessa alla discrezionalità del giudice, e ciò anche quando alla base della determinazione di assumerla si evochi, magari impropriamente, una questione di nullità o inutilizzabilità della precedente perizia svolta in primo grado.
Il tema è solo quello dell’apprezzamento dei diversi apporti tecnici e del sindacato riservato in proposito alla Corte di legittimità.
Vale in proposito il principio secondo cui la Corte di cassazione non è ovviamente giudice del sapere scientifico, giacché non detiene proprie conoscenze privilegiate: essa, in vero, è solo chiamata a valutare la correttezza metodologica dell’approccio del giudice di merito al sapere tecnico-scientifico, che riguarda la preliminare, indispensabile verifica critica in ordine alla affidabilità delle informazioni che vengono utilizzate ai fini della spiegazione del fatto. In questa prospettiva, il giudice di merito può fare legittimamente propria, allorché gli sia richiesto dalla natura della questione, l’una piuttosto che l’altra tesi scientifica, purché dia congrua ragione della scelta e dimostri di essersi soffermato sulla tesi o sulle tesi che ha creduto di non dover seguire. Entro questi limiti, non rappresenta vizio della motivazione, di per sé, l’omesso esame critico di ogni più minuto passaggio della relazione tecnica disattesa, poiché la valutazione delle emergenze processuali è affidata al potere discrezionale del giudice di merito, il quale, per adempiere compiutamente all’onere della motivazione, non deve prendere in esame espressamente tutte le argomentazioni critiche dedotte o deducibili, ma è sufficiente che enunci con adeguatezza e logicità gli argomenti che si sono resi determinanti per la formazione del suo convincimento. Laddove il giudice abbia rispettato tali principi, il giudizio di fatto formulato è incensurabile in sede di legittimità (cfr. Sez. 4, n. 18080 del 18/03/2015, parti civili Eccher ed altri in proc. Barretta ed altro).
Il principio è qui calzantemente applicabile, a fronte di decisione che ha spiegato ampiamente e non illogicamente le ragioni dell’adesione alla tesi della perizia disposta in sede di rinnovazione, spiegando anche giuridicamente le ragioni della pronuncia liberatoria, in un contesto oggettivo e soggettivo in cui la Corte territoriale ha ritenuto di escludere i profili di responsabilità originariamente addebitati al M. per l’assenza di riscontri positivi circa il ruolo efficiente avuto nell’esito mortale.

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