Corte di Cassazione, sezione prima penale, sentenza 1 febbraio 2018, n. 5011. Nel giudizio prognostico concernente la concessione della misura dell’affidamento in prova al servizio sociale

Attraverso la misura alternativa alla detenzione dell’affidamento in prova al servizio sociale, l’ordinamento ha inteso attuare una forma dell’esecuzione della pena esterna al carcere nei confronti di condannati per i quali, alla luce dell’osservazione della personalita’ e di altre acquisizioni ed elementi di conoscenza, sia possibile formulare una ragionevole prognosi di completo reinserimento sociale all’esito della misura alternativa. I criteri ed i mezzi di conoscenza utilizzabili da parte del Tribunale di Sorveglianza per pervenire a tale positiva previsione sono indicati dalla dottrina e dalla giurisprudenza nel reato commesso, ineludibile punto di partenza, nei precedenti penali, nelle pendenze processuali, nelle informazioni di polizia ma anche, ed in pari grado di rilievo prognostico, dalla condotta carceraria e dai risultati dell’indagine sociofamiliare operata dalle strutture carcerarie di osservazione dappoiche’ in queste ultime risultanze istruttorie si compendia una delle fondamentali finalita’ della espiazione della sanzione penale, il cui rilievo costituzionale non puo’ in questa sede rimanere nell’ombra.

Nel giudizio prognostico concernente la concessione della misura dell’affidamento in prova al servizio sociale, deve pervenirsi ad una valutazione di fronteggiabilita’ della pericolosita’ sociale residua con gli strumenti dell’istituto indicato; in altri termini, elementi quali – esemplificativamente – la condotta anteatta e quella recente dell’interessato, la sussistenza di nuove denunzie, la pendenza di procedimenti penali, la frequentazione di soggetti pregiudicati e di ambiti malavitosi, ben possono valutarsi ai fini della formulazione di una prognosi sul comportamento futuro del condannato e sul ragionevole esito del beneficio.

Sentenza 1 febbraio 2018, n. 5011
Data udienza 14 settembre 2017

REPUBBLICA ITALIANA

IN NOME DEL POPOLO ITALIANO

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE PRIMA PENALE

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. CORTESE Arturo – Presidente

Dott. NOVIK Adet Toni – Consigliere

Dott. VANNUCCI Marco – Consigliere

Dott. ESPOSITO Aldo – Consigliere

Dott. MINCHELLA Antonio – rel. Consigliere

ha pronunciato la seguente:

SENTENZA

sul ricorso proposto da:

(OMISSIS), nato il (OMISSIS);

Avverso l’ordinanza n. 6730/2015 del Tribunale di Sorveglianza di Roma in data 19.05.2017;

Visti gli atti e il ricorso;

Udita la relazione svolta dal Consigliere dott. Antonio Minchella;

lette le conclusioni del Procuratore Generale, in persona del dott. Antonio Mura, che ha chiesto dichiararsi l’inammissibilita’ del ricorso.

RITENUTO IN FATTO

Con ordinanza in data 19.05.2017 il Tribunale di Sorveglianza di Roma rigettava le istanze di affidamento in prova al servizio sociale e di detenzione domiciliare avanzate da (OMISSIS) in relazione alla pena di mesi sei di reclusione di cui alla sentenza del Tribunale di Roma del 21.03.2013. Rilevava il giudice che il condannato annoverava vari precedenti penali per reati commessi sino all’anno 2006 nonche’ procedimenti penali pendenti per bancarotta del 2009 e per violazioni fiscali del 2006; inoltre la polizia giudiziaria aveva accertato che la prospettiva lavorativa indicata non era effettiva e che il condannato, non rinvenuto al domicilio indicato, non si era mai presentato presso gli uffici nonostante gli inviti a lui recapitati: cosi’ il Tribunale di Sorveglianza riteneva non esservi un domicilio idoneo e verificato e non potersi esprimere un giudizio prognostico positivo.

Avverso detto provvedimento propone ricorso l’interessato a mezzo del difensore, deducendo erronea applicazione di legge e mancanza di motivazione: in primo luogo si evidenzia che non rispondeva al vero la mancanza di un domicilio poiche’ il condannato risiedeva effettivamente in quel luogo con i familiari, ma non vi era stato alcun accertamento sul punto; in secondo luogo si censura la mancanza di qualsiasi cenno al fatto che le condanne risalgano ad anni lontani, all’eta’ del condannato, all’assistenza che egli presta alla moglie gravemente malata.

Il P.G. chiede dichiararsi inammissibile il ricorso.

CONSIDERATO IN DIRITTO

Il ricorso deve essere rigettato poiche’ infondato.

Le diverse doglianze del ricorrente si prestano ad una trattazione unitaria, atteso che le stesse sono sostanzialmente sovrapponibili e censurano la valutazione negativa effettuata sulla personalita’ del condannato, asseritamente tratta da informazioni non attuali e da imprecisioni negli esiti dell’istruttoria.

Ma si tratta di doglianze che non possono trovare accoglimento.

Tanto premesso, appare utile rilevare che, attraverso la misura alternativa alla detenzione dell’affidamento in prova al servizio sociale, l’ordinamento ha inteso attuare una forma dell’esecuzione della pena esterna al carcere nei confronti di condannati per i quali, alla luce dell’osservazione della personalita’ e di altre acquisizioni ed elementi di conoscenza, sia possibile formulare una ragionevole prognosi di completo reinserimento sociale all’esito della misura alternativa. I criteri ed i mezzi di conoscenza utilizzabili da parte del Tribunale di Sorveglianza per pervenire a tale positiva previsione sono indicati dalla dottrina e dalla giurisprudenza nel reato commesso, ineludibile punto di partenza, nei precedenti penali (Cass., Sez. 1, 4.3.1999, Danieli, Rv 213062) nelle pendenze processuali (Cass., Sez. 1, cit.) nelle informazioni di polizia (Cass., Sez. 1, 11.3.1997, Capiti, Rv 207998) ma anche, ed in pari grado di rilievo prognostico, dalla condotta carceraria e dai risultati dell’indagine sociofamiliare operata dalle strutture carcerarie di osservazione (Cass., Sez. 1, 22.4.1991, Calabrese, in Cass. pen., 1992, 1894) dappoiche’ in queste ultime risultanze istruttorie si compendia una delle fondamentali finalita’ della espiazione della sanzione penale, il cui rilievo costituzionale non puo’ in questa sede rimanere nell’ombra.

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