Corte di Cassazione, sezione lavoro, ordinanza 30 gennaio 2018, n. 2293. Escluso il riconoscimento del diritto alla restituzione delle indebite trattenute in busta paga per l’auto aziendale

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che nel caso di specie la Corte territoriale ha operato un accertamento in fatto retto da una motivazione indubbiamente adeguata, per l’argomentata valutazione complessiva dell’incidenza in concreto dell’inadempimento datoriale sulla sfera, non soltanto economica, ma anche di complessivo disagio esistenziale del dirigente (per le ragioni esposte dal primo al terzo capoverso di pg. 3 del decreto) e pertanto non apparente ne’ perplessa o obiettivamente incomprensibile;
che il secondo e il terzo motivo, congiuntamente esaminabili per ragioni di stretta connessione, sono infondati;
che non sussiste, in via preliminare, il vizio di ultrapetizione denunciato nella pronuncia risarcitoria resa dal Tribunale a titolo di perdita di chance, in quanto non a fronte di una domanda generica di risarcimento del danno (in tale caso effettivamente domanda diversa, neppure implicitamente contenente la prima: Cass. 29 novembre 2012, n. 21245; Cass. 13 giugno 2014, n. 13491), ma di una ben specifica domanda di “risarcimento del danno per la mancata assegnazione di obiettivi negli anni 2008 e 2009” (come indicato al terzo e quarto alinea di pg. 2 del decreto): sicche’ si tratta della diversa ipotesi di qualificazione della domanda, nel potere del giudice di merito, il quale non e’ tenuto ad uniformarsi al tenore meramente letterale degli atti nei quali esse sono contenute, dovendo, per converso, avere riguardo al contenuto sostanziale della pretesa fatta valere, come desumibile dalla natura delle vicende dedotte e rappresentate dalla parte istante (Cass. 14 novembre 2011, n. 23794; Cass. 12 dicembre 2014, n. 26159; Cass. 17 gennaio 2016, n. 118);
che il merito della pronuncia e’ poi incensurabile in sede di legittimita’, ove motivata in modo sufficiente e non contraddittorio (Cass. 24 luglio 2012, n. 12944): tanto piu’ nel regime del novellato articolo 360 c.p.c., comma 1, n. 5, applicabile ratione temporis (Cass. s.u. 7 aprile 2014, n. 8053; Cass. 10 febbraio 2015, n. 2498; Cass. 26 giugno 2015, n. 13189; Cass. 21 ottobre 2015, n. 21439);
che occorre quindi ribadire come il danno patrimoniale da perdita di chance sia un danno (non gia’ attuale, ma) futuro, consistente nella perdita non di un vantaggio economico, ma della mera possibilita’ di conseguirlo, secondo una valutazione ex ante da ricondursi, diacronicamente, al momento in cui il comportamento illecito ha inciso su tale possibilita’ in termini di conseguenza dannosa potenziale (Cass. 12 febbraio 2015, n. 2737) e che esso consista, come appunto accertato nel caso di specie, in una concreta ed effettiva occasione perduta di conseguire un determinato bene, non in una mera aspettativa di fatto, ma in un’entita’ patrimoniale a se’ stante, giuridicamente ed economicamente suscettibile di valutazione autonoma, che deve tenere conto della proiezione sulla sfera patrimoniale del soggetto (Cass. 25 agosto 2014, n. 18207; Cass. 20 giugno 2008, n. 16877);
che la sussistenza di un tale pregiudizio certo (anche se non nel suo ammontare), consistente nella perdita di una possibilita’ attuale, esige la prova, anche presuntiva, purche’ fondata su circostanze specifiche e concrete dell’esistenza di elementi oggettivi dai quali desumere, in termini di certezza o di elevata probabilita’, della sua attuale esistenza (Cass. 30 settembre 2016, n. 19604; Cass. 31 maggio 2017, n. 13818);
che l’accertamento e la liquidazione di tale perdita, necessariamente equitativa, sono devoluti al giudice di merito e sono insindacabili in sede di legittimita’ se adeguatamente motivati (Cass. 17 aprile 2008, n. 10111; Cass. 12 febbraio 2015, n. 2737): come indubbiamente nel caso di specie (per le ragioni esposte al p.to 3 di pgg. 5 e 6 del decreto) e cio’ tanto piu’ nel regime del novellato articolo 360 c.p.c., comma 1, n. 5, preclusivo nel giudizio di cassazione dell’accertamento dei fatti ovvero della loro valutazione a fini istruttori (Cass. s.u. 7 aprile 2014, n. 8053; Cass. 10 febbraio 2015, n. 2498; Cass. 26 giugno 2015, n. 13189; Cass. 21 ottobre 2015, n. 21439), il quale esclude una valutazione della motivazione contraddittoria, salvo che essa non risulti apparente ne’ perplessa o obiettivamente incomprensibile (come non si verifica nel caso di specie);
che il quarto motivo e’ inammissibile;
che esso e’ assolutamente generico, in violazione dell’articolo 366 c.p.c., comma 1, n. 4, che ne esige l’illustrazione, con esposizione degli argomenti invocati a sostegno della decisione assunta con la sentenza impugnata e l’analitica precisazione delle considerazioni che, in relazione al motivo come espressamente indicato nella rubrica, giustificano la cassazione della sentenza (Cass. 22 settembre 2014, n. 19959; Cass. 19 agosto 2009, n. 18421; Cass. 3 luglio 2008, n. 18202; Cass. 6 luglio 2007, n. 15952);
che esso consiste, infatti, in una distinzione del tutto inconferente della natura retributiva ovvero risarcitoria del benefit rappresentato dalla concessione in uso di un’autovettura aziendale, senza alcun collegamento, tanto meno confutativo, con il riconoscimento del credito restitutorio del lavoratore a titolo di indebite trattenute in busta paga, a fronte dei diversi accordi contrattuali tra le parti (come chiaramente esposto al primo capoverso di pg. 7 del decreto);
che pertanto il ricorso deve essere rigettato, con la regolazione delle spese del giudizio secondo il regime di soccombenza.
P.Q.M.
La Corte rigetta il ricorso e condanna (OMISSIS) s.p.a. in a.s. alla rifusione, in favore del controricorrente, delle spese del giudizio, che liquida in Euro 200,00 per esborsi e Euro 5.000,00 per compensi professionali, oltre rimborso per spese generali in misura del 15 % e accessori di legge.

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