Corte di Cassazione, sezione prima civile, sentenza 26 gennaio 2018, n. 2038. Compete anche al socio-amministratore di s.r.l. il diritto, previsto dall’articolo 2476 c.c., comma 2, di ricevere notizie sullo svolgimento degli affari sociali e di consultare i libri ed i documenti relativi alla gestione societaria compiuta dagli altri amministratori

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La censura di mancata verifica della irreversibile perdita e’ parimenti priva di pregio, dal momento che la corte del merito ha accertato la remissione del debito e la corrispondente iscrizione in bilancio di un fondo svalutazione crediti, a norma dell’articolo 2426 c.c..
E’ vero, infatti, che i crediti devono essere iscritti, secondo il testo all’epoca in vigore, anteriore alle modifiche di cui al Decreto Legislativo 18 agosto 2015, n. 139, al presumibile valore di realizzo, il quale deve tenere conto del canone generale della “ragionevolezza” della valutazione (o svalutazione) operata, completato da quello dell’idonea giustificazione discorsiva ed informativa, onde si preclude l’iscrizione in bilancio non solo dei crediti semplicemente sperati, ma anche dei crediti certi, liquidi ed esigibili che siano di dubbia o difficile esazione, trattandosi di valutazione oggettiva dei medesimi, la quale potrebbe non corrispondere piu’ al loro valore nominale; e che, in relazione a tali rischi di insoddisfazione, rilevano tutti i caratteri del credito, intesi come i dati significativi capaci di rivelare la probabilita’ di adempimento pieno, ossia la qualita’ del debitore, l’importo, la scadenza, le eventuali garanzie, la moneta di riferimento, le esperienze pregresse, ma anche eventualmente condizioni economiche generali o di settore o del paese del debitore, ecc., quali presupposti di fatto cui ancorare la corretta valutazione, tutti caratteri insomma del credito e latere debitoris: onde, a norma dell’articolo 2426 c.c., n. 8, “la valutazione in bilancio dei crediti e’ richiesta dal legislatore – pur esistendo, per definizione, un valore nominale espresso in termini certi – in forza della natura stessa del bene, la quale comporta che la concretizzazione del suo “valore d’uso”, ma anche del suo “valore di scambio”, sia strettamente condizionata alla situazione patrimoniale ed economica del debitore e alla sua solvibilita’, tenuto conto di tutti gli elementi del credito” (Cass. 18 marzo 2015, n. 5450).
Ma il punto e’ che, come ha ritenuto la corte del merito con insindacabile giudizio di fatto, proprio la remissione del debito all’associazione comporto’ la necessita’ di quella iscrizione correttiva. Ed e’ altresi’ vero che l’iscrizione contabile e’ la conseguenza, e non la causa, della perdita: ma, appunto, la corte del merito non ha posto l’accento sulla mera iscrizione in bilancio, quanto sulla condotta che la cagiono’.
Circa la natura di debito di valuta in ragione dell’importo determinato del credito non incassato dalla societa’ a causa della condotta inadempiente degli amministratori, si deve ricordare come la distinzione tra debiti di valuta e debiti di valore ha riguardo non alla natura dell’oggetto nel quale la prestazione avrebbe dovuto concretarsi al momento dell’inadempimento o del fatto dannoso, bensi’ all’oggetto diretto ed originario della prestazione, che nelle obbligazioni di valore consiste in una cosa diversa dal denaro (Cass. 22 giugno 2007, n. 14573; e v. Cass. 30 aprile 2010, n. 10600).
In altri termini, l’obbligazione di risarcimento del danno per l’inadempimento di obbligazioni contrattuali diverse da quelle pecuniarie, al pari dell’obbligazione risarcitoria ex delicto, costituisce debito di valore e non di valuta, in quanto destinata a sostituire la materiale utilita’ che il creditore avrebbe conseguito in caso di esatto adempimento della prestazione.
Lo stesso si e’ affermato proprio in tema di responsabilita’ gestoria, posto che il risarcimento del danno, cui sono tenuti gli amministratori verso la societa’, riveste natura di debito di valore, si tratti di danno emergente come di lucro cessante, ancorche’ il danno consista nella perdita di una somma di denaro, costituendo questo, in siffatta particolare ipotesi, solo un elemento per la commisurazione dell’ammontare dello stesso, privo di incidenza rispetto alla natura del vincolo (Cass. 25 maggio 2005, n. 11018).
In tale genus risarcitorio va, pertanto, ricompresa anche la somma liquidata dalla sentenza impugnata, che costituisce ristoro patrimoniale consequenziale al danno subito, posto che l’obbligazione inadempiuta e’ quella della diligente condotta gestoria, mentre la somma in tal modo andata perduta per la societa’ costituisce il pregiudizio da quell’inadempimento derivato.
Circa, infine, l’omessa detrazione dei crediti per canoni maturati e non riscossi sino al 2005, il motivo e’ manifestamente infondato, posto che la corte del merito ha ben considerato come, con giudizio di fatto, la perdita finale sia imputabile solo ai due soci (OMISSIS).
9. – Le spese seguono la soccombenza. Deve, inoltre, provvedersi alla dichiarazione di cui al Decreto del Presidente della Repubblica 30 maggio 2002, n. 115, articolo 13.
P.Q.M.
La Corte rigetta il ricorso e condanna in solido i ricorrenti al rimborso delle spese del giudizio di cassazione in favore solidale dei controricorrenti, che liquida in Euro 10.200,00, di cui Euro 200,00 per esborsi, oltre alle spese forfetarie nella misura del 15% ed agli accessori, come per legge.
Dichiara che, ai sensi del Decreto del Presidente della Repubblica n. 115 del 2002, articolo 13, comma 1-quater, inserito dalla L. n. 228 del 2012, articolo 1, comma 17, sussistono i presupposti per il versamento dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello dovuto per il ricorso, a norma dello stesso articolo 13, comma 1-bis.

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