Corte di Cassazione, sezione prima civile, sentenza 26 gennaio 2018, n. 2038. Compete anche al socio-amministratore di s.r.l. il diritto, previsto dall’articolo 2476 c.c., comma 2, di ricevere notizie sullo svolgimento degli affari sociali e di consultare i libri ed i documenti relativi alla gestione societaria compiuta dagli altri amministratori

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L’esistenza di pagamenti pregressi non costituisce un “fatto decisivo”, ai sensi della norma invocata, in quanto la condotta di mala gestio e’ stata invece inequivocamente ravvisata, come piu’ volte esposto, nella diversa circostanza del mancato recupero del debito alla fine accumulatosi: onde l’esistenza di pregressi pagamenti parziali resta affatto irrilevante.
Quanto all’allegata transazione, che avrebbe comportato l’azzeramento del danno, nessuna simile deduzione ed allegazione e’ permessa nell’odierno giudizio di legittimita’ (cfr. articolo 372 c.p.c.).
6. – Il quinto motivo e’ in parte inammissibile ed in parte infondato.
Mentre resta riservato al giudice del merito l’accertamento relativo all’impedimento del diritto di ispezione dei fratelli (OMISSIS), merita qualche approfondimento la deduzione concernente l’insussistenza di un loro diritto di ispezione, in quanto soci-amministratori.
L’assunto non ha pregio.
L’articolo 2476 c.c., comma 2, attribuisce ai “soci che non partecipano all’amministrazione” il diritto di ricevere dagli amministratori notizie sullo svolgimento degli affari sociali, nonche’ di consultare, anche tramite professionisti di loro fiducia, i libri sociali ed i documenti relativi alla gestione societaria.
Ma e’ evidente che il diritto amministrativo, in tal modo concesso al socio di societa’ a responsabilita’ limitata, da’ per scontata l’appartenenza in iure a chi amministra la societa’ di simili, ed ancor piu’ intensi, diritti, in quanto diretti artefici di quegli affari, nonche’ redattori e custodi di quei libri e documenti.
Se dunque il legislatore ha sentito l’esigenza di attribuire espressamente al socio di s.r.l. (a differenza che a quello di s.p.a.) il diritto di ispezione e di informazione sulle vicende e sulla documentazione societaria, cio’ ha fatto in vista della natura personalistica del tipo, nonche’ dell’automatica appartenenza di tali diritti ai soci che abbiano pure la gestione sociale.
Ma cio’ non esclude affatto, ed anzi conferma, che tanto meno potra’ essere negato il diritto di ispezione e di informazione a questi ultimi, quale diritto-dovere costituente implicito portato delle prerogative della carica.
Con la conseguenza che, qualora l’esercizio di tale diritto-dovere sia precluso da altri, in ispecie coamministratori o componenti del consiglio di amministrazione, essi potranno agire a loro tutela, facendo valere anche l’impossibilita’ di diligente adempimento dell’incarico gestorio, ove lasciati all’oscuro delle vicende sociali e, dunque, per la stessa esigenza di adempiervi fedelmente e non incorrere in responsabilita’.
Di tale importanza e’ la trasparenza interna nelle societa’, che il legislatore ha previsto il presidio della sanzione penale all’articolo 2625 c.c., per gli amministratori che “occultando documenti o con altri idonei artifici, impediscono o comunque ostacolano lo svolgimento delle attivita’ di controllo legalmente attribuite ai soci o ad altri organi sociali”, intralciando il controllo della regolarita’ della gestione (cfr., al riguardo, Cass. pen. 27 settembre 2016, n. 47307).
Va, quindi, al riguardo enunciato il seguente principio di diritto:
“Compete anche al socio-amministratore di s.r.l. il diritto, previsto dall’articolo 2476 c.c., comma 2, di ricevere notizie sullo svolgimento degli affari sociali e di consultare i libri ed i documenti relativi alla gestione societaria compiuta dagli altri amministratori, cui egli non abbia in tutto o in parte partecipato”.
7. – Il sesto motivo e’ manifestamente infondato.
La corte del merito ha affermato non la necessita’ di esperire, in via cogente, l’esecuzione forzata avverso la controparte contrattuale, tanto meno sulla base di mere fatture, ma, piu’ semplicemente, l’esistenza di un obbligo, da parte dei (OMISSIS), di attivarsi utilmente, secondo la diligenza della carica, per incassare il credito, invece rimesso all’associazione sportiva amministrata dalla sorella. In tal modo, essa ha fatto corretta applicazione dell’articolo 2476 c.c. e delle regole sul dovere di corretta amministrazione gravante sugli amministratori di societa’.
La seconda questione, pure posta dal motivo, e’ parimenti infondata, ancora una volta isolando la parte ricorrente singole espressioni contenute nella motivazione della sentenza impugnata (laddove questa reputa scarsamente attendibile “ad un sommario esame” la documentazione contabile dell’associazione circa presunte perdite), per il resto ampiamente idonea a spiegare perche’ la condotta dei predetti amministratori sia causalmente collegata al danno patito dalla societa’ per il mancato incasso dei canoni, dal momento che la corte del merito ha ravvisato l’ampia capacita’ patrimoniale sia dell’associazione debitrice, sia della sua legale rappresentante, tenuta in solido col fondo comune ai sensi dell’articolo 38 c.c.: onde priva di pregio e’ la censura di violazione o falsa applicazione delle regole in materia di prova presuntiva.
8. – Il settimo motivo e’ infondato, con riguardo a tutte le questioni che propone.
Anzitutto, esso si mostra esattamente contrario al corretto principio, espressamente enunciato di recente dalle Sezioni Unite (Cass., sez. un., 6 maggio 2015, n. 9100), ma ampiamente prevalente anche prima (Cass. 4 luglio 2012, n. 11155; 23 giugno 2008, n. 17033; ed altre), pure presso i giudici di merito, secondo cui nelle azioni sociali di responsabilita’ il danno risarcibile non puo’ essere automaticamente liquidato, neppure dopo il fallimento della societa’, nella misura corrispondente alla differenza tra il passivo e l’attivo: chiaro essendo, in verita’, che quel criterio puo’ peccare non solo per eccesso, ma anche per difetto, come nelle ipotesi in cui una parte delle perdite di bilancio, per qualunque ragione, sia venuta meno: in definitiva, il solo principio corretto essendo quello secondo cui va imputato, con la migliore approssimazione possibile, all’amministratore inadempiente tutto e solo il danno causalmente ricollegato alla sua condotta, il quale, dunque, ben puo’ non coincidere con l’intera perdita iscritta a bilancio nel momento in cui questo venga esaminato.

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