Corte di Cassazione, sezione prima civile, sentenza 18 gennaio 2018, n. 1178. Riconoscimento della sentenza ecclesiastica di annullamento del matrimonio

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A sostegno della decisione, per quel che ancora interessa, ha affermato:

a) La nullita’ e’ stata dichiarata per grave difetto di discrezione di giudizio nell’attore circa i diritti ed i doveri matrimoniali essenziali per mancanza di liberta’ interiore;

b) La contrarieta’ al parametro dell’ordine pubblico della sentenza ecclesiastica per essere stata la convivenza matrimoniale piu’ estesa del triennio non sussiste perche’ al di la’ della mera coabitazione, protrattasi per circa dieci anni, tra i coniugi non si e’ instaurata quella “consuetudine di vita coniugale, stabile e continuata nel tempo, ed esteriormente riconoscibile attraverso corrispondenti, specifici fatti e comportamenti” richiesta secondo i principi consolidati nel nostro ordinamento. Dopo un primo periodo di serenita’ tra i coniugi erano sorti presto dissapori causati da scelte non condivise circa un possibile trasferimento della famiglia e circa la conduzione in locazione di un appartamento al mare oltre che incomprensioni provocate dalla prematura morte della figlia.

c) La mancanza di liberta’ interiore del (OMISSIS) al momento della celebrazione del matrimonio e’ stata accertata dal Tribunale ecclesiastico sulla base del pare tecnico del consulente tecnico d’ufficio. Tale accertamento non puo’ essere sindacato in sede di delibazione.

Avverso questa pronuncia ha proposto ricorso per cassazione (OMISSIS) con due motivi.

Nel primo viene dedotto il vizio di motivazione e la violazione della L. n. 121 del 1985, articolo 8, dell’articolo 123 c.c. e dell’articolo 29 Cost.

Viene rilevato in particolare che nel giudizio di separazione personale il (OMISSIS) nulla ha dedotto in ordine al vizio genetico che ha dato luogo alla nullita’ dichiarata dal Tribunale ecclesiastico e che la crisi coniugale e’ sopravvenuta successivamente all’instaurazione di un rapporto stabile e continuativo per piu’ di tre anni. L’intollerabile prosecuzione della convivenza e’ stata fondata su cause oggettive e non sulla responsabilita’ di uno dei due coniugi. E’ mancata nella sentenza della Corte d’Appello l’individuazione di un riferimento temporale al quale ancorare la crisi coniugale. L’esistenza di conflitti non puo’ essere considerato un presupposto sufficiente ad escludere la convivenza effettiva ovvero quella consuetudine di vita coniugale comune, stabile e continua nel tempo esteriormente riconoscibile attraverso corrispondenti specifici fatti e comportamenti che danno vita ai diritti ed ai doveri di solidarieta’ inderogabili, propri del rapporto coniugale.

Nel secondo motivo viene lamentato che nonostante le specifiche istanze istruttorie al riguardo non si e’ dato luogo ad un accertamento effettivo della riconoscibilita’ esteriore della convivenza coniugale. Inoltre e’ stato ritenuto errato il mancato esame nel merito delle condizioni psichiche del (OMISSIS) al momento del matrimonio, da ritenersi legittime quando il giudizio ecclesiastico si e’ svolto nella contumacia della parte convenuta.

Il primo motivo deve essere dichiarato inammissibile dal momento che la Corte d’Appello ha svolto un insindacabile accertamento di fatto in ordine alla mancanza di un’effettiva comunione di vita coniugale nonostante la formale durata del vincolo per 10 anni. Al riguardo la parte ricorrente ha contrapposto soltanto una diversa valutazione dei fatti fondata sull’esistenza dell’affectio coniugalis per un periodo superiore a tre anni. Tale affermazione, tuttavia, oltre ad essere del tutto generica, in particolare sotto il profilo cronologico, richiede lo svolgimento da parte del giudice di legittimita’ di un accertamento di fatto che gli e’ precluso. E’ inammissibile anche la censura formulata ex articolo 360 c.p.c., n. 5 all’interno del primo motivo, in quanto prospettata sulla base del parametro normativo antevigente della norma (“omessa, insufficiente o contraddittoria motivazione”) e non di quello applicabile ratione temporis alla sentenza impugnata in quanto emessa dopo l’11 settembre 2012 (“omesso esame di un fatto decisivo per il giudizio che e’ stato oggetto di discussione tra le parti”).

Nel secondo motivo viene dedotta al violazione degli articoli 796 c.p.c. e ss. per non avere la Corte d’Appello esteso la delibazione al merito della decisione ecclesiastica, nonostante il giudizio davanti al tribunale ecclesiastico si fosse svolto in contumacia della ricorrente. Viene, infine, censurata, l’omessa ammissione d’istanze istruttorie che avrebbero determinato l’accertamento della comunione di vita coniugale. La censura e’ manifestamente infondata. I limiti di sindacabilita’ del giudizio ecclesiastico sono identici se la parte e’ costituita o contumace quando non si riscontri un vizio relativo all’instaurazione del contraddittorio. Peraltro in quest’ultima ipotesi, la sentenza non puo’ essere dichiarata efficace ma non si determina l’effetto indicato nel motivo. Ma la mera contumacia non determina alcuna conseguenza sull’oggetto del giudizio in questione. Per quanto riguarda l’omessa valutazione delle istanze istruttorie, la censura e’ inammissibile per genericita’ perche’ non risultano riprodotte nel motivo le predette istanze.

In conclusione il ricorso deve essere rigettato con applicazione del principio della soccombenza in ordine alle spese processuali del presente giudizio.

P.Q.M.

Rigetta il ricorso. Condanna la parte ricorrente al pagamento delle spese processuali del presente giudizio da liquidarsi in Euro 3000 per compensi ed Euro 200 per esborsi oltre accessori di legge.

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