Corte di Cassazione, civile, Ordinanza|8 novembre 2024| n. 28876.
Contratto agrario: Erede e la coltivazione abusiva
Massima: L’art. 49 della l. n. 203 del 1982 – il quale, in caso di morte del proprietario di fondo rustico, prevede, in capo all’erede che esercita al momento dell’apertura della successione attività agricola sul fondo condotto e di proprietà del “de cuius”, il diritto alla continuazione della coltivazione con un contratto di affitto con gli altri coeredi – non trova applicazione qualora l’erede prosegua l’attività agricola già esercitata dal “de cuius” abusivamente e senza alcun titolo, per essere stato il contratto di affitto stipulato con quest’ultimo dichiarato nullo per violazione degli artt. 4 e 8 della l. n. 379 del 1967.
Ordinanza|8 novembre 2024| n. 28876. Contratto agrario: Erede e la coltivazione abusiva
Data udienza 18 giugno 2024
Integrale
Tag/parola chiave: Contratti agrari – Morte di una delle parti – Del proprietario coltivatore diretto – Diritti degli eredi contratti agrari – Morte di una delle parti – Del proprietario coltivatore diretto – Diritti degli eredi – Disciplina dell’art. 49 della l. n. 203 del 1982 – Nullità del contratto di affitto stipulato dal ‘de cuius’ – Esercizio abusivo dell’attività agricola da parte dell’erede – Applicabilità dell’art. 49 citato – Esclusione.
REPUBBLICA ITALIANA
LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE
SEZIONE TERZA CIVILE
Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:
Dott. FRASCA Raffaele Gaetano Antonio – Presidente
Dott. SCODITTI Enrico – Consigliere
Dott. CIRILLO Francesco Maria – Consigliere
Dott. ROSSETTI Marco – Consigliere
Dott. TASSONE Stefania – Consigliere Rel.
ha pronunciato la seguente
ORDINANZA
sul ricorso iscritto al n. 8624/2023 R.G. proposto da:
Fa.Fr., elettivamente domiciliato in Roma, via Ro.Si., presso l’avvocato ZA.ME. (pec. Omissis), rappresentato e difeso dagli avvocati BI.GI. (pec. Omissis) e BA.AL. (pec. Omissis), giusta procura speciale allegata al ricorso.
– ricorrente –
Contro
Fa.Gi., Fa.Gi., elettivamente domiciliati in Roma, via P.Da., presso lo studio dell’avvocato CO.ST., che li rappresenta e difende unitamente agli avvocati NU.DA. e RA.RI., giusta procura speciale in calce al controricorso.
– controricorrenti –
nonché contro
Fa.Fa., An.Ma.
– intimati –
Avverso la sentenza della Corte d’Appello di Venezia n. 2653/2022 depositata il 06/02/2023.
Udita la relazione svolta nella camera di consiglio del 18/06/2024 dal Consigliere dr.ssa STEFANIA TASSONE.
Contratto agrario: Erede e la coltivazione abusiva
RILEVATO CHE
1. Fa.Gi. e Fa.Gi. convenivano avanti alla sezione specializzata agraria del Tribunale di Verona il fratello Fa.Fr., nonché l’altro fratello Fa.Fa. e la mamma An.Ma.
Affermavano gli attori di essere comproprietari per la quota di 3/24 ciascuno di un fondo rustico ubicato in F caduto in successione, per la quota di 3/4, a seguito della morte del padre Fa.Gi.
Il fondo, compresa la quota di 1/4 all’epoca di proprietà di An.Ma., era stato concesso in affitto dal de cuius Fa.Gi. al figlio Fa.Fr., coltivatore diretto, con contratto di affitto di fondo rustico, ex art. 45 legge n. 203/82, datato 4 agosto 2015 e della durata di 15 anni al canone annuo di Euro 15.000,00.
Tanto premesso, i ricorrenti deducevano la nullità o comunque l’annullabilità del suddetto contratto di affitto di fondo rustico, sia per la supposta nullità di alcune clausole contrattuali e conseguente nullità derivata dell’intero contratto, sia in quanto, a loro dire, al momento della stipula, il padre Fa.Gi. versava in uno stato di incapacità naturale ex art. 428 cod. civ.
I ricorrenti chiedevano, quindi, l’annullamento del contratto, il rilascio del fondo a favore della comunione (domanda poi rinunciata nel corso del giudizio di primo grado) e la condanna di Fa.Fr. al risarcimento dei danni pari alla differenza fra il (vile) canone pattuito in contratto e il corretto canone locatizio di mercato in relazione alla occupazione sine titulo.
1.1. Fa.Fr. – nel frattempo divenuto proprietario del fondo per la quota complessiva di 18/24 avendo acquistato le quote ereditarie detenute da Fa.Fa. e An.Ma. nonché la quota di 1/4 di cui quest’ultima era titolare jure proprio – chiedeva il rigetto delle domande attoree e svolgeva domanda riconvenzionale volta ad ottenere l’accertamento ed il riconoscimento dell’acquisto coattivo delle quote ereditarie del fondo rustico oggetto di causa, caduto in successione di Fa.Gi., in forza del combinato disposto di cui agli artt. 8 D.Lgs. n. 228/2001 e 4 e 5 della legge n. 97/1994, nonché, in via subordinata, ulteriore domanda riconvenzionale chiedendo, in caso di rigetto della domanda di acquisto coattivo delle quote ereditarie e di ritenuta nullità o annullabilità del contratto di affitto di fondo rustico stipulato con il padre Fa.Gi., che venisse accertata la costituzione ex lege di un contratto di affitto agrario, avente ad oggetto le porzioni di fondo ricomprese nelle quote degli altri coeredi Fa.Gi. e Fa.Gi., ai sensi dell’art. 49 L. n. 203/82.
Contratto agrario: Erede e la coltivazione abusiva
1.2. Si costituivano resistendo i convenuti, ad eccezione dei convenuti Fa.Fa. e An.Ma., che chiedevano di essere estromessi dal giudizio, in quanto con l’avvenuta cessione delle loro quote di proprietà del fondo non risultavano più affittuari e non avevano alcun interesse nella causa.
1.3. Con sentenza n. 1203/2021 il Tribunale di Verona: (i) rigettava la domanda di An.Ma. e Fa.Fa. di estromissione dal giudizio; (ii) annullava il contratto di affitto di fondo rustico stipulato in data 3 agosto 2015 tra Fa.Gi. e Fa.Fr.; (iii) condannava Fa.Fr. a pagare a titolo di risarcimento danni ai ricorrenti la complessiva somma di Euro 67.500,00; (iv) rigettava le domande riconvenzionali proposte da Fa.Fr., condannandolo anche alla rifusione delle spese di lite.
In particolare, il Tribunale riteneva fondata la domanda di annullamento del contratto di affitto agrario ai sensi dell’art. 428 cod. civ., per un verso rilevando che dalle risultanze probatorie emergeva un quadro di decadimento cognitivo di Fa.Gi., affetto da demenza senile di grado severo, che non gli consentiva di comprendere il valore del denaro, per altro verso ritenendo che sussistesse la malafede del contraente Fa.Fr., il quale non poteva non avere consapevolezza delle condizioni di salute del padre, con il quale aveva concordato un canone di affitto affatto congruo ed in contrasto con il canone di mercato.
2. Avverso tale sentenza Fa.Fr. proponeva appello avanti la Corte di Appello di Venezia, lamentando: (i) il mancato raggiungimento della prova in relazione all’accertamento dell’incapacità naturale di Fa.Gi. con violazione e falsa applicazione dei principi in materia di prova testimoniale; (ii) la mancata prova della malafede del contraente stante l’assenza di prova del pregiudizio, non essendo stato determinato a mezzo di c.t.u. il canone di mercato rapportato all’anno 2015; (iii) l’erroneo rigetto della domanda riconvenzionale di acquisto coattivo del fondo ex artt. 4 e 5 L. n. 97/1994; (iv) l’erroneo rigetto della domanda riconvenzionale di costituzione di affitto forzoso ex art. 49 L. n. 203/82; (v) l’errata determinazione del risarcimento liquidato in favore dei ricorrenti, sul presupposto che questi avessero agito jure hereditatis e non jure proprio; (vi) l’abnorme ed ingiustificata condanna alla rifusione delle spese legali.
Si costituivano, resistendo al gravame, Fa.Gi. e Fa.Gi.
2.1. Con sentenza n. 2653/2022 la Corte di Appello di Venezia rigettava l’appello.
3. Avverso tale sentenza Fa.Fr. propone ora ricorso per cassazione, affidato a sei motivi.
Resistono con controricorso Fa.Gi. e Fa.Gi.
Restano intimati Fa.Fa. e gli eredi di An.Ma., riguardo alla quale si assume intervenuto decesso in data 21 novembre 2022.
4. La trattazione del ricorso è stata fissata in adunanza camerale ai sensi dell’art. 380-bis.1, cod. proc. civ.
Il Pubblico Ministero non ha depositato conclusioni.
Il ricorrente ed i resistenti hanno depositato memorie illustrative.
Contratto agrario: Erede e la coltivazione abusiva
CONSIDERATO CHE
1. Con il primo motivo il ricorrente denuncia “Nullità della c.t.u. e della sentenza per manifesta violazione del principio del contraddittorio ex art. 101 cod. proc. civ. e del diritto di difesa in relazione all’art. 194 cod. proc. civ. (art. 360, comma 1, n. 4 cod. proc. civ., nullità della sentenza o del procedimento)”. Censura l’impugnata sentenza nella parte in cui ha ritenuto sussistente il pregiudizio subito dal contraente Fa.Gi., nonché la malafede di Fa.Fr., sulla base di una consulenza tecnica d’ufficio che doveva invece ritenersi nulla per violazione del principio del contraddittorio e del diritto di difesa.
2. Con il secondo motivo il ricorrente denuncia “Nullità della c.t.u. e della sentenza per violazione dell’art. 132, comma 1, n. 4, cod. proc. civ. cod. proc. civ. per avere il c.t.u. e la sentenza impugnata omesso di prendere puntuale posizione sulle osservazioni formulate dal c.t.p. e dalla parte (art. 360 comma 1 n. 4 cod. proc. civ., nullità della sentenza o del procedimento)”.
Censura l’impugnata sentenza nella parte in cui, limitandosi ad aderire a quanto riferito dalla c.t.u., avrebbe omesso di rispondere adeguatamente alle osservazioni del c.t.p. e conseguentemente è pervenuta ad una motivazione inesistente o meramente apparente.
3. Con il terzo motivo il ricorrente denuncia “Violazione di legge e falsa applicazione dell’art. 8 D.Lgs. 18/05/2001 n. 228 e artt. 4 e 5 L. n. 97/1994 in relazione all’art. 49 L. n. 203/82 in ordine all’esercizio del diritto di acquisto coattivo del fondo rustico da parte del coerede coltivatore diretto (art. 360 comma 1 n. 3 cod. proc. civ., violazione o falsa applicazione di norme di diritto)”.
Censura l’impugnata sentenza nella parte in cui non riconosce all’erede, coltivatore diretto titolare di affitto agrario ex contractu, alla morte del de cuius, di usufruire del diritto di acquisto coattivo delle quote ereditarie dei coeredi in forza della disciplina dettata dal combinato disposto degli artt. 8 D.Lgs. 18/05/2001 e artt. 4 e 5 legge n. 97/1994.
4. Con il quarto motivo il ricorrente denuncia “Violazione di legge e falsa applicazione dell’art. 49 L. n. 203/82 in tema di costituzione di affitto forzoso a favore dell’erede coltivatore diretto del fondo (art. 360 comma 1 n. 3 cod. proc. civ., violazione o falsa applicazione di norme di diritto)”.
Contratto agrario: Erede e la coltivazione abusiva
Censura l’impugnata sentenza nella parte in cui, una volta annullato il contratto di affitto intercorso con il de cuius con efficacia ex tunc, non riconosce il diritto di usufruire della norma di cui all’art. 49 L. n. 203/82, che prevede la costituzione di affitto forzoso a favore dell’erede che risulti avere esercitato e continui ad esercitare sul fondo attività agricola.
5. Con il quinto motivo il ricorrente denuncia “Violazione e falsa applicazione dell’art. 244 cod. proc. civ. in materia di prova testimoniale in correlazione con l’art. 2697 cod. civ. in materia di ripartizione dell’onere della prova in relazione all’accertamento dell’incapacità naturale ex art. 428 cod. civ. (art. 360 comma 1 n. 3 cod. proc. civ., violazione o falsa applicazione di norme di diritto)”.
Lamenta che l’impugnata sentenza ha ritenuto sussistente lo stato di incapacità naturale di Fa.Gi. sulla base delle deposizioni testimoniali assunte nel corso del giudizio di primo grado avanti il Tribunale di Verona, rigettando l’eccezione circa la loro inammissibilità ed inutilizzabilità, in quanto aventi carattere valutativo, sollevata dalla difesa di Fa.Fr., ed in tal modo incorrendo nella violazione dei principi in tema di prova testimoniale.
6. Con il sesto motivo il ricorrente denuncia “Nullità della sentenza impugnata per vizio di ultrapetizione in violazione degli artt. 81, 99 e 112 cod. proc. civ. in tema di interpretazione estensiva della domanda giudiziale e conseguente erronea determinazione del risarcimento del danno liquidato (art. 360 comma 1 n. 4 cod. proc. civ., nullità della sentenza o del procedimento)”.
Lamenta che la corte territoriale sarebbe incorsa in un vizio di ultrapetizione, avendo il Giudice del merito riconosciuto il risarcimento del danno per un periodo temporale ulteriore rispetto a quello per il quale i ricorrenti avevano legittimazione attiva a proporre domanda giudiziale.
Contratto agrario: Erede e la coltivazione abusiva
7. Il primo motivo è inammissibile.
Nell’illustrazione il ricorrente non si fa carico di criticare le specifiche argomentazioni con cui alle pp. 19 e ss. la corte territoriale ha disatteso l’eccezione di nullità della c.t.u.; i discorsi che vengono svolti alle pp. 11 e ss. del ricorso ignorano la motivazione dell’impugnata sentenza e, peraltro, si fondano su argomenti riguardo ai quali non si indica se e dove erano stati dedotti a fondamento dell’eccezione di nullità nel giudizio di appello.
Risulta quindi patente la violazione del necessario principio di specificità del motivo di ricorso per cassazione, che deve predicarsi nonostante l’inesistenza di una norma come l’art. 342 cod. proc. civ. nel procedimento di legittimità, giusta il consolidato principio di diritto a suo tempo enunciato da Cass., 04/03/2005, n. 4741, ribadito, ex multis, in motivazione espressa, sebbene non massimata sul punto, da Cass., Sez. Un., n. 7074 del 2017.
Mette conto, altresì, di rilevare, in via gradata, che le diffuse argomentazioni illustrative del motivo si risolvono piuttosto in una sorta di dissenso dalle valutazioni del c.t.u, così collocandosi su un versante estraneo alla prospettiva della pretesa nullità ed impingendo in una sollecitazione a rivalutare la quaestio facti per come apprezzata dalla sentenza impugnata.
8. Il secondo motivo è inammissibile.
Deduce la violazione dell’art. 132, comma 2, n. 4, cod. proc. civ., in riferimento ad elementi aliunde rispetto alla motivazione e non all’intrinseco contenuto della stessa, e dunque in maniera non conforme agli insegnamenti di questa Suprema Corte (v. Cass., Sez. Un., n. 8053 e 8054 del 2014).
La pretesa nullità della c.t.u. viene inoltre invocata in maniera assertiva e generica, dato che il motivo non precisa quali norme regolatrici il c.t.u. avrebbe violato, e finisce per risolversi nella critica alle conclusioni peritali e nella sollecitazione ad una diversa valutazione delle risultanze peritali, preclusa in sede di legittimità.
Va inoltre rilevato – ed è rilievo già svolto a proposito del primo motivo, che qui si specifica ulteriormente- che, secondo consolidato orientamento di questa Corte, nel ricorso per cassazione, per infirmare la motivazione della sentenza che recepisca le conclusioni di una relazione di consulenza tecnica d’ufficio di cui il giudice dichiari di condividere il merito, è necessario che la parte alleghi di avere rivolto critiche alla consulenza stessa già dinanzi al giudice a quo e ne trascriva, poi, per autosufficienza, almeno i punti salienti onde consentirne la valutazione in termini di decisività e di rilevanza, atteso che, diversamente, una mera disamina dei vari passaggi dell’elaborato peritale, corredata da notazioni critiche, si risolve (come è dato rilevare nella specie) nella prospettazione di un sindacato di merito inammissibile in sede di legittimità (Cass. n. 11482 del 2016; Cass. n. 19427 del 2017).
Contratto agrario: Erede e la coltivazione abusiva
Sicché le conclusioni assunte dal consulente tecnico sono impugnabili -naturalmente ai sensi del n. 4 dell’art. 360 cod. proc. civ.- con ricorso per cassazione solamente qualora le censure ad esse relative siano state tempestivamente prospettate avanti al giudice del merito, alla stregua di quanto si evinca dalla sentenza impugnata ovvero dell’atto del procedimento di merito -da specificamente indicarsi da parte del ricorrente- ove le stesse risultino essere state formulate, e vengano espressamente indicate nel motivo di ricorso, in modo che al giudice di legittimità risultino consentito il controllo ex actis della relativa veridicità nonché la valutazione della decisività della questione (Cass. n. 2707 del 2004; Cass. n. 7696 del 2006; Cass. n. 12532 del 2011; Cass. n. 20636 del 2013).
Va, peraltro, rilevato che la sentenza impugnata, nel recepire le risultanze peritali, dà espressamente atto che il c.t.u. si è confrontato con le osservazioni dei c.t.p., idoneamente confutandole (v. p. 22).
9. Il quarto motivo, che ragioni di ordine logico impongono di scrutinare prima del terzo, è infondato.
9.1. Giova ricordare che l’art. 49 della legge L. n. 203/82 testualmente prevede al primo comma: “Nel caso di morte del proprietario di fondi rustici condotti o coltivati direttamente da lui o dai suoi familiari, quelli tra gli eredi che, al momento dell’apertura della successione, risultino avere esercitato e continuino ad esercitare su tali fondi attività agricola in qualità di imprenditori a titolo principale ai sensi dell’art. 12 legge 9 maggio 1975, n. 153, o di coltivatori diretti, hanno diritto a continuare nella conduzione o coltivazione dei fondi stessi anche per le porzioni ricomprese nelle quote degli altri coeredi e sono considerati affittuari di esse. Il rapporto di affitto che così si instaura tra i coeredi è disciplinato dalle norme della presente legge, con inizio dalla data di apertura della successione.”.
Ratio di tale previsione è la tutela dell’interesse alla conservazione dell’unità economica costituita dall’azienda agraria, pur nel rispetto del diritto dei singoli in proporzione alle rispettive quote ereditarie.
La norma, quindi, prevede la costituzione di un affitto forzoso a favore dell’erede coltivatore diretto -insediato sul fondo caduto in successione- che si trovi impegnato nella sua coltivazione sine titulo; qualora l’erede sia già titolare di un contratto di affitto, invece, trova applicazione il 3 comma del citato art. 49, là dove prevede che “i contratti agrari non si sciolgono per morte del concedente” (così Cass., 20/08/2015, n. 17006).
La norma viene poi richiamata dall’art. 4 della L. 31 gennaio 1994, n. 47, rispetto alla quale questa Suprema Corte ha già avuto espressamente modo di affermare che “In tema di contratti agrari, il diritto del coerede coltivatore all’acquisto ex lege delle porzioni di fondi rustici ricomprese nelle quote degli altri coeredi, così come disciplinato dall’art. 4 della L. 31 gennaio 1994, n. 97, presuppone, in capo al primo, un precedente rapporto di affitto coattivo ex art. 49 della L. 3 maggio 1982, n. 203, atteso che, tra le due fattispecie, esiste una necessaria consequenzialità nascendo la prima solo alla scadenza della seconda” (così sempre Cass., 20/08/2015, n. 17006).
Contratto agrario: Erede e la coltivazione abusiva
In altre parole, l’art. 4 della legge n. 47/1994 riconosce il diritto del coerede coltivatore diretto ad acquistare le porzioni di fondi rustici ricomprese nelle quote degli altri coeredi, a condizione che il medesimo risulti essere già titolare di un precedente rapporto di affitto forzoso ai sensi del citato art. 49 della legge 203/1982 ed alla scadenza del periodo di affitto ricollegato all’applicazione dell’art. 49.
9.2. Orbene, nel rigettare il motivo di appello con cui l’odierno ricorrente Fa.Fr. invocava l’applicazione dell’art. 49, primo comma, legge n. 203/1982, la corte territoriale ha così motivato: “Nessun contratto forzoso ai sensi dell’art. 49 può affermarsi essersi costituito nella fattispecie, atteso che secondo giurisprudenza pacifica (Cass. n. 4975/2001; Cass. n. 17006/2015) l’art. 49, primo comma, legge n. 203/1982, nel prevedere, in caso di morte del proprietario di fondi rustici condotti o coltivati direttamente da lui o dai suoi familiari, la costituzione ex lege di un rapporto di affitto agrario, con decorrenza dalla data di apertura della successione, in favore di quello, tra gli eredi, che a tal momento risulti aver esercitato o continui ad esercitare attività agricola, non si applica ove, tra il de cuius e uno degli eredi risulti in precedenza stipulato un regolare contratto agrario, poiché in tal caso l’erede stesso, in qualità di concessionario ex contractu, continua a usufruire del godimento del fondo rustico ai sensi della (diversa e successiva) disposizione di cui al terzo comma del medesimo articolo, secondo cui i contratti agrari non si sciolgono per la morte del concedente.
Infatti il diritto del coerede all’acquisto ex lege delle porzioni di fondi rustici ricomprese nelle quote degli altri eredi – diritto previsto dall’art. 4 della legge 31 gennaio 1994, n. 97, per i soli Comuni montani ed esteso a tutti i Comuni dall’art. 8 del decreto legislativo 18 maggio 2001, n. 228 – presuppone la costituzione, in favore del coerede che coltivava già il fondo, di un rapporto contrattuale ex lege, sicché tale meccanismo non opera qualora l’erede coltivatore sia legato al de cuius da un ordinario rapporto contrattuale preesistente alla morte di questi. Pertanto, la previsione di cui all’art. 49, I comma, non può trovare applicazione nella fattispecie poiché, al momento della morte del padre, Fa.Fr. si trovava insediato sul fondo in forza di un titolo contrattuale incompatibile con il contratto di affitto forzoso (… omissis). Né l’appellante può invocare un acquisto delle quote degli appellati, ai sensi degli artt. 4 e 5 della legge n. 97/1994, non sussistendo i presupposti per la costituzione di un affitto forzoso ex art. 49 della legge n. 203/1982 ma anche, evidentemente, per la mancanza dei presupposti per l’applicazione di tali disposizioni”.
La corte di merito ha poi ulteriormente rilevato: “Anche la domanda subordinata formulata dall’appellante, non può essere accolta atteso che il Legislatore, con la previsione di cui all’art. 49, ha inteso esclusivamente garantire l’unità e la continuità dell’impresa agricola, ammettendo la costituzione ex lege di un rapporto regolato dalle norme sull’affitto tra quello degli eredi che ha diritto, perché in possesso dei requisiti prescritti dall’art. 49, a continuare l’impresa agricola del de cuius, ma non ha inteso tutelare il mero fatto materiale della permanenza illegittima di un soggetto sul fondo senza alcun titolo, ottenuta attraverso la stipulazione di un contratto invalido, stante l’incapacità dell’altro contraente genitore, contratto a cui, peraltro, nella fattispecie è stata data esecuzione, annullato con sentenza costitutiva insuscettibile di produrre effetto prima del passaggio in giudicato” (v. p. 24 e ss. della sentenza impugnata).
Orbene, così argomentando, la corte di merito si è pronunciata conformemente al principio di diritto già affermato da Cass., 12/11/1992, n. 12157 ed al quale si intende qui dare continuità.
9.3. Con il succitato arresto, questa Suprema Corte ha rigettato il motivo con cui veniva prospettato il vizio di violazione di legge in relazione all’art. 49 cit., sul rilievo per cui sebbene il diritto alla costituzione di affitto forzoso, attribuito al coltivatore dalla norma in esame, appariva da questa giustificato alla stregua di una situazione di mero fatto, consistente nel pregresso e persistente esercizio di attività agricola nel fondo ereditario da parte di uno o più eredi, senza alcun riferimento alla qualità, alla legittimità e persino all’esistenza di un titolo, al quale detta attività potesse per avventura collegarsi, doveva essere invero ritenuto che “la ricorrenza in capo ad una stessa persona della qualità di coltivatore diretto e di erede esercente, al momento dell’apertura della successione, attività agricola sul fondo condotto e di proprietà del de cuius, non legittimano la successione di tale soggetto nel rapporto agrario quando egli abusivamente e senza alcun titolo prosegue l’attività agricola già esercitata dal genitore”.
Contratto agrario: Erede e la coltivazione abusiva
Questa Suprema Corte ha dunque già avuto modo di precisare, sul rilievo della intervenuta declaratoria di nullità del contratto di affitto stipulato tra padre e figlio, che il legislatore, con la norma di cui all’art. 49 L. 203/1982 ha inteso esclusivamente garantire l’unità e la continuità dell’impresa agricola, ammettendo la costituzione ex lege di un rapporto regolato dalle norme sull’affitto tra quello degli eredi che ha diritto, perché in possesso dei requisiti prescritti dall’art. 49, a continuare l’impresa agricola del de cuius, e gli altri coeredi, ma non anche tutelare il mero fatto materiale della permanenza di un soggetto sul fondo senza alcun titolo ed in contrasto con la volontà del de cuius.
9.4. La qui impugnata decisione della corte territoriale, sebbene non mostri di considerare che, essendo il contratto di affitto tra Fa.Fr. ed il di lui padre Fa.Gi. stato annullato ex art. 428 cod. civ., la pronuncia di annullamento ha efficacia retroattiva, tuttavia sostanzialmente recepisce il suindicato principio di diritto, pervenendo ad affermare che non può essere considerato legittimato a succedere, con la costituzione di affitto forzoso, nel rapporto agrario, il soggetto che abusivamente ed invito domino prosegua l’attività agricola già esercitata dal genitore.
9.5. Da quanto sopra esposto consegue dunque la infondatezza del quarto motivo di ricorso e, poiché rispetto ad esso la questione prospettata con il terzo motivo risulta logicamente successiva, una volta escluso che l’odierno ricorrente potesse beneficiare dell’art. 49 legge 203/1982, il terzo motivo, che lamenta che la corte di merito, incorrendo in violazione di legge, ha omesso di riconoscere il diritto di acquisto coattivo del fondo rustico da parte del coerede coltivatore diretto, resta assorbito, dato che, si ribadisce, intanto questo diritto può essere rivendicato, in quanto il coerede coltivatore risulti essere già titolare di un precedente rapporto di affitto forzoso ai sensi del citato art. 49 della legge 203/1982.
10. Il quinto motivo è inammissibile.
Sollecita un riesame del fatto e della prova (in particolare relativo al motivato convincimento con cui la corte veneta, confermando la sentenza di primo grado, è pervenuta alla conclusione che alla data di stipulazione del contratto di affitto del 03.08.2015 il concedente Fa.Gi. non era compiutamente in grado di comprendere il valore del denaro e del contratto che si accingeva a firmare), che è invece precluso in sede di legittimità secondo fermo e costante orientamento di questa Suprema Corte (cfr., tra le tantissime Cass., Sez. Un., 25/10/2013, n. 24148; Cass., 24/05/2006, n. 12362; Cass., 23/05/2014, n. 11511; Cass., 13/06/2014, n. 13485).
Contratto agrario: Erede e la coltivazione abusiva
11. Il sesto motivo è inammissibile.
In patente violazione dell’art. 366, n. 6, cod. proc. civ., non dice se, dove e quando l’eccezione sia stata in precedenza sollevata, tenuto conto che i resistenti lamentano che mai sia stata svolta in primo grado e non vi è alcuna sua menzione nell’impugnata sentenza.
Secondo consolidato orientamento di questa Corte, “qualora una questione giuridica – implicante un accertamento di fatto – non risulti trattata in alcun modo nella sentenza impugnata, il ricorrente che la proponga in sede di legittimità, onde non incorrere nell’inammissibilità per novità della censura, ha l’onere non solo di allegare l’avvenuta deduzione della questione dinanzi al giudice di merito, ma anche, per il principio di autosufficienza del ricorso per cassazione, di indicare in quale atto del giudizio precedente lo abbia fatto, per consentire alla Corte di controllare ex actis la veridicità di tale asserzione, prima di esaminare nel merito la censura stessa” (Cass., 26147/2021; Cass., 32804/2019).
Dalla lettura dell’impugnata sentenza (v. p. 27), peraltro, emerge che la corte di merito ha accolto la domanda ritenendola proposta jure hereditatis e non jure proprio, donde la censura di una sorta di “ultrattività” della legittimazione attiva dei “domandanti” risulta priva di fondamento.
12. In conclusione, il ricorso deve essere rigettato.
13. Le spese del giudizio di legittimità, liquidate nella misura indicata in dispositivo, seguono la soccombenza.
P.Q.M.
La Corte rigetta il ricorso.
Condanna il ricorrente al pagamento, in favore dei controricorrenti, delle spese del giudizio di legittimità, che liquida in Euro 8.000,00 per compensi, oltre spese forfettarie nella misura del 15 per cento, esborsi, liquidati in Euro 200,00, ed accessori di legge.
Ai sensi dell’art. 13 comma 1 quater del D.P.R. n. 115 del 2002, inserito dall’art. 1, comma 17 della L. n. 228 del 2012, dà atto della sussistenza dei presupposti processuali per il versamento, da parte del ricorrente, al competente ufficio di merito, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello previsto per il ricorso, a norma del comma 1-bis, dello stesso articolo 13, se dovuto.
Così deciso in Roma nella camera di consiglio della Terza Sezione Civile della Corte Suprema di Cassazione, il 18 giugno 2024.
Depositato in Cancelleria l’8 novembre 2024.
In caso di diffusione omettere le generalità e gli altri dati identificativi dei soggetti interessati nei termini indicati.
Le sentenze sono di pubblico dominio.
La diffusione dei provvedimenti giurisdizionali “costituisce fonte preziosa per lo studio e l’accrescimento della cultura giuridica e strumento indispensabile di controllo da parte dei cittadini dell’esercizio del potere giurisdizionale”.
Benchè le linee guida in materia di trattamento di dati personali nella riproduzione di provvedimenti giurisdizionali per finalità di informazione giuridica non richiedano espressamente l’anonimizzazione sistematica di tutti i provvedimenti, e solo quando espressamente le sentenze lo prevedono, si possono segnalare anomalie, richiedere oscuramenti e rimozioni, suggerire nuove funzionalità tramite l’indirizzo e-mail info@studiodisa.it, e, si provvederà immediatamente alla rimozione dei dati sensibili se per mero errore non sono stati automaticamente oscurati.
Il presente blog non è, non vuole essere, né potrà mai essere un’alternativa alle soluzioni professionali presenti sul mercato. Essendo aperta alla contribuzione di tutti, non si può garantire l’esattezza dei dati ottenuti che l’utente è sempre tenuto a verificare.
Leave a Reply