Palazzo-Spada

Consiglio di Stato

sezione IV

sentenza 27 gennaio 2015, n. 362

REPUBBLICA ITALIANA

IN NOME DEL POPOLO ITALIANO

IL CONSIGLIO DI STATO

IN SEDE GIURISDIZIONALE

SEZIONE QUARTA

ha pronunciato la presente

SENTENZA

sul ricorso numero di registro generale 2436 del 2013, proposto da:

Am.Ni.Ve., rappresentato e difeso dall’avv. An.Ab., con domicilio eletto presso An.Ab. in Roma, via (…);

contro

Comune di Lioni, in persona del Sindaco p.t., rappresentato e difeso dall’avv. Pa.Sa., con domicilio eletto presso Gi.Di. in Roma, via (…);

nei confronti di

Condominio Bo. di Lioni, in persona dell’amministratore p.t., Gi.D’A. ed altri, rappresentati e difesi dagli avv. Do.Pe., Vi.Vu., con domicilio eletto presso Ni.Pe. in Roma, via (…);

Maria Rosamilia;

per la riforma

della sentenza del T.A.R. CAMPANIA – NAPOLI: SEZIONE IV n. 04266/2012, resa tra le parti, concernente esecuzione del giudicato formatosi sulla sentenza del Tar Campania di Napoli sez. IV, n. 9254/2004- annullamento concessione edilizia e risarcimento danni.

Visti il ricorso in appello e i relativi allegati;

Visti gli atti di costituzione in giudizio di Comune di Lioni e di Condominio Bo. e di Gi.D’A. ed altri;

Visto l’appello incidentale del Comune;

Viste le memorie difensive;

Visti tutti gli atti della causa;

Relatore nell’udienza pubblica del giorno 28 ottobre 2014 il Cons. Nicola Russo e uditi per le parti gli avvocati An.Ab., Fr.De. su delega dell’avvocato Pa.Sa. e Do.Pe.;

Ritenuto e considerato in fatto e diritto quanto segue.

FATTO

Il Comune di Lioni con provvedimento n. 2979 del 16 novembre 1994 rilasciava un concessione edilizia in favore del condominio Bo., ai fini della realizzazione di un edificio di tre piani. Tale provvedimento veniva impugnato dal sig. Ve., proprietario di un immobile adiacente, in quanto contrastante con le disposizioni urbanistiche che, per quella zona, ammettevano la sola possibilità di ricostruzione dei volumi esistenti.

Con sentenza n. 2468 del 7 ottobre 1997, il T.A.R. per la Campania, sede di Napoli, accoglieva il ricorso del sig. Ve., annullando la concessione edilizia.

Successivamente, con delibera n. 104 del 20 novembre 1998, il Comune di Lioni adottava un nuovo piano di recupero, approvato dal Sindaco in data 8 aprile 1999 con decreto n. 2851, che era qualificato di “assestamento degli interventi già effettuati e di previsione per i soli interventi ancora da realizzare”: con esso si disponeva un cambio di destinazione urbanistica, da “sostituzione edilizia” a “ristrutturazione urbanistica” nell’area su cui insistono sia il fabbricato del condominio Bo. sia quello del sig. Ve.

In virtù di tali provvedimenti, il Comune di Lioni rilasciava al condominio Bo. la concessione edilizia n. 1476 in data 13 ottobre 1999, finalizzata ad adeguare la volumetria dell’immobile al nuovo piano di recupero ed in base alla quale veniva costruito il terzo piano del fabbricato.

Anche avverso tali provvedimenti il sig. Ve. proponeva ricorso al T.A.R. per la Campania, che, con sentenza n. 9254 del 7 aprile 2004, disponeva l’annullamento della concessione edilizia, nonché del piano di recupero del Comune in relazione alle previsioni stabilite per i fabbricati del ricorrente e del condominio Bo.. La citata decisione del T.A.R., impugnata dinanzi a questa Sezione del Consiglio di Stato, veniva confermata con sentenza n. 3692 del 10 giugno 2010.

In seguito, con decreto del Presidente della Comunità Montana Alta Irpinia n. 1751 del 29 marzo 2011 veniva approvata definitivamente la variante al P.R.G. del Comune di Lioni, recependo il piano di recupero del 1999.

Nello stesso anno, in data 27 settembre 2011, il Comune, al fine di eseguire la sentenza n. 9254/2004, emetteva l’ordinanza di demolizione n. 5/2011, impugnata dal condominio Bo. dinanzi al T.A.R. per la Campania, sede di Salerno. Il condominio chiedeva altresì, ai sensi del’art. 38 del D.P.R. n. 380/2001, la riedizione del permesso di costruire annullato: il Comune di Lioni, con avviso del 2 febbraio 2012 n. 2, comunicava al condominio la concessione del permesso di costruire a sanatoria richiesto.

In seguito, il sig. Ve. adiva il T.A.R. per la Campania, sede di Napoli, al fine di ottenere l’esecuzione della sentenza n. 9254/2004, confermata da questa Sezione del Consiglio di Stato, ed il risarcimento dei danni subiti dall’inottemperanza del condominio e del Comune.

Il T.A.R. per la Campania con la sentenza n. 4266 del 26 ottobre 2012 – oggetto del presente giudizio – accoglieva il ricorso proposto dal sig. Ve. e, per l’effetto, ordinava al Comune di Lioni di adottare tutti i provvedimenti conseguenti all’annullamento della concessione edilizia, consistenti nella eliminazione delle modifiche al fabbricato eseguite in virtù del titolo annullato.

In merito all’istanza risarcitoria, il T.A.R. riteneva, per un verso, inammissibile la richiesta di ristoro dei danni da diminuzione permanente del valore dell’edificio dell’immobile, stante l’accoglimento dell’istanza di esecuzione in forma specifica e, per altro verso, riteneva improponibile la domanda di risarcimento dei danni subiti anno per anno per effetto della minore amenità dell’edificio, in quanto l’art. 112 c.p.a. non consentirebbe più, a causa dell’abrogazione del co. 4, la proposizione, per la prima volta in sede di ottemperanza, dell’istanza risarcitoria derivante dall’illegittimità del provvedimento.

Con il presente gravame il sig. Ve. impugna la sentenza di primo grado sollevando due censure, inerenti all’individuazione dell’ambito applicativo dell’art. 112 c.p.a. ed alla mancata conversione del rito in seguito all’individuazione dei profili di improcedibilità della pretesa risarcitoria.

Si sono costituiti in giudizio il Comune di Lioni ed il condomino Bo. per chiedere il rigetto dell’appello. Il condominio ha altresì proposto un appello incidentale avente ad oggetto la mancata applicazione, da parte del giudice di prime cure, dell’art. 38 del D.P.R. n. 380/2001.

Questa Sezione, con ordinanza n. 2423 del 12 maggio 2014, ha ritenuto necessario acquisire chiarimenti circa la possibilità di demolire il terzo piano del condominio Bo.; con relazione tecnica dell’U.T.C., sono stati forniti tali chiarimenti, affermandosi l’impossibilità di demolizione del terzo piano, “senza l’esecuzione di molto invasivi interventi di rinforzo delle strutture portanti”, e, dunque, l’impossibilità di effettuare lavori di tal genere, senza pregiudizio per la stabilità dell’intero fabbricato. Al riguardo, il Comune di Lioni chiedeva all’Agenzia del Territorio di Avellino, con due successive note dell’11 aprile e del 17 giugno 2014, di definire il valore venale dell’opera abusiva in modo da quantificare l’importo della sanzione da comminare in alternativa alla demolizione: non vi è stato, però, alcun riscontro da parte dell’organo competente.

Con la presentazione di ulteriori memorie, le parti hanno richiesto l’accoglimento delle rispettive domande ed eccezioni.

Chiamata all’udienza pubblica del 14 ottobre 2014, la causa è stata ritenuta in decisione.

DIRITTO

1. In via preliminare va esaminato il ricorso incidentale proposto dal condominio Bo..

Con un unico articolato motivo, l’appellante incidentale afferma, in primo luogo, che la sentenza impugnata ha ordinato al Comune di adottare i provvedimenti necessari alla “eliminazione delle immutazioni di fatto eseguite in virtù del titolo annullato” (pag. 9 sentenza impugnata), in violazione dell’art. 38 del D.P.R. n. 380/2001. Tale disposizione attribuirebbe all’amministrazione, in sede di esecuzione di un giudicato di annullamento di un titolo edilizio, tre alternative: la sanabilità dell’opera abusiva tramite la rimozione dei vizi procedurali; la rimozione dell’opera abusiva; l’applicazione di una sanzione pecuniaria qualora non sia possibile la rimozione.

Il condomino afferma al riguardo che, in primo luogo, la scelta dello strumento da utilizzare per eseguire un giudicato di tal genere spetterebbe all’amministrazione e non al giudice dell’ottemperanza e, comunque, nel caso di specie la scelta più opportuna sarebbe dovuta ricadere sulla sanzione pecuniaria data l’impossibilità di rimozione dell’opera abusiva. In secondo luogo, il giudice di prime cure non avrebbe dovuto ordinare sic et simpliciter la demolizione del terzo piano del fabbricato, in quanto il Comune si era positivamente adoperato al fine di eliminare il vizio procedurale insito nel rilascio della concessione edilizia. Infine, l’appellante incidentale evidenzia che, in ogni caso, il Comune di Lioni non può essere obbligato ad ordinare la demolizione, poiché il giudicato sarebbe stato correttamente eseguito mediante l’adozione dell’ordine di demolizione n. 5 del 27 settembre 2011.

Il ricorso incidentale è infondato.

All’uopo giova innanzitutto evidenziare come, nell’ambito del giudizio di ottemperanza, l’art. 114 co. 4 c.p.a. individua i poteri che il giudice può esercitare: in particolare, viene in rilievo la lett. a) della disposizione secondo cui il giudice “ordina l’ottemperanza prescrivendo le relative modalità anche mediante la determinazione del contenuto del provvedimento amministrativo o l’emanazione dello stesso in luogo dell’amministrazione”.

Sul punto, anche la giurisprudenza è univoca nel ritenere che “al giudice dell’ottemperanza è devoluto un potere di natura mista, tale da rendere il giudizio non assimilabile al processo esecutivo civile, essendo diretto non solo all’esecuzione del giudicato, vale a dire all’adeguamento della realtà materiale alla regola di diritto da questo stabilita per il caso concreto, ma anche una prodromica attività di cognizione avente lo scopo di definire e se del caso specificare tale regola” (Cons. Stato, sez. V, 16 aprile 2014 n. 1937).

Il giudice dell’ottemperanza, cioè, esercita gli ampi poteri conferiti dalla legge integrando l’originario disposto della sentenza impugnata dinanzi ad esso, con determinazioni che non ne costituiscono una mera “esecuzione”, ma una “attuazione” in senso stretto, dando luogo al cosiddetto giudicato “a formazione progressiva”.

Al riguardo, infatti, è stato chiarito che il giudice può “delimitare la reale portata della regola di diritto derivante dal giudicato, esercitando poteri di natura non meramente esecutiva ma anche cognitiva affinché, attraverso tale formazione progressiva del giudicato, recante la compiuta determinazione del suo contenuto quale correttamente desumibile, sia assicurata la realizzazione sostanziale del bene della vita perseguito con il giudizio” (ex multis Cons. Stato, sez. VI, 19 agosto 2014 n. 4269).

Nel caso di specie, infatti, il giudice di prime cure ha del tutto legittimamente disposto la demolizione dell’opera abusiva, in esecuzione della sentenza del T.A.R. per la Campania. Inoltre, nel corso del successivo giudizio d’appello, questa Sezione ha chiesto al Comune chiarimenti in merito all’opportunità della rimozione del terzo piano del condominio, con ordinanza n. 2423 del 12 maggio 2014. Rilevata la difficoltà della demolizione dell’opera, il Comune ha chiesto informazioni circa la quantificazione del valore venale del bene ai fini dell’applicazione della sanzione da comminare al condominio ex art. 38 D.P.R. n. 380/2001.

Quest’ultima richiesta evidenzia, tra l’altro, che l’adozione, da parte del Comune di Lioni, dell’ordine di demolizione n. 5/2011 non possa ritenersi sufficiente ai fini dell’esecuzione della sentenza oggetto del presente giudizio: invocare tale provvedimento al fine di avvalorare la tesi della avvenuta esecuzione della sentenza n. 9254/2004, equivarrebbe a sostenere l’inutilità del decisum giudiziale. In effetti, così argomentando, il sig. Ve. potrebbe soltanto vantare in astratto il bene della vita ottenuto nel giudizio di cognizione che non potrebbe mai essergli attribuito in concreto, stante l’impossibilità di demolizione del terzo piano del condominio. L’ordine di demolizione n. 5/2001 si sostanzierebbe, in definitiva, in una formalistica esecuzione del giudicato che non potrebbe mai soddisfare pienamente l’interesse del sig. Ve..

Per quanto concerne, invece, il completamento dell’iter di approvazione del piano di recupero, recepito nel P.R.G. del Comune soltanto nel 2011 e che avrebbe sanato il vizio procedurale insito nella concessione edilizia annullata dal T.A.R., è sufficiente richiamare quanto correttamente disposto dal giudice di prime cure: al fine di delimitare la portata del principio di certezza delle situazioni giuridiche e di individuare esattamente il contenuto dell’obbligo di adempimento, “il giudicato va considerato intangibile, sia con riguardo all’accertamento del diritto all’edificazione, sia con riguardo all’opposto accertamento della illegittimità della consentita edificazione, in omaggio al principio per cui la legge sopravvenuta è irrilevante sulle situazioni giuridiche istantanee definite dal giudicato” (cfr. pag. 8 sentenza appellata).

In definitiva, il ricorso incidentale non può considerarsi fondato e, conseguentemente, va affermata la piena legittimità dell’operato del giudice di prime cure che ha ordinato al Comune di adoperarsi affinché venga garantito l’interesse del sig. Ve..

2. Per quanto concerne l’esame dell’appello principale, va evidenziato come esso inerisca, essenzialmente, all’interpretazione dell’art. 112 c.p.a. in seguito alle modifiche intervenute con il D. Lgs. n. 195/2011.

In particolare il sig. Ve. impugna la sentenza di primo grado nella parte in cui ha dichiarato improponibile la domanda di risarcimento del danno “durevole” e, cioè, del danno derivante dalla perdita di luce, area e panorama, cagionato anno per anno per effetto della costruzione illegittimamente realizzata.

Secondo il T.A.R. per la Campania, infatti, al momento della definizione del giudizio era stato abrogato, dal D. Lgs. n. 195/2011, il quarto comma dell’art. 112 c.p.a. che ammetteva la proponibilità, per la prima volta in sede di ottemperanza, della domanda di risarcimento del danno derivante dall’illegittimità del provvedimento amministrativo oggetto della sentenza da ottemperare. Inoltre, la domanda di risarcimento del danno “durevole” non sarebbe potuta rientrare nell’ambito di applicazione del novellato art. 112, co. 3, c.p.a., poiché i danni lamentati non derivano da alcuna delle fattispecie in esso previste.

Parte appellante al riguardo afferma anzitutto che, al momento del deposito del ricorso di primo grado, avvenuto nel febbraio 2011, l’art. 112, co. 4, era ancora in vigore e, dunque, applicabile ratione temporis. Inoltre, anche a voler prescindere dall’esatta individuazione del momento di entrata in vigore del nuovo articolo 112 c.p.a., il T.A.R. non avrebbe considerato che il legislatore con la riforma, intervenuta con il D. Lgs. n. 195/2011, ha voluto evitare una duplicazione di norme, specificando l’ambito applicativo dell’art. 112, ma non eliminando la possibilità di proporre azione di risarcimento dei danni derivanti dalla mancata esecuzione del giudicato dinanzi al giudice dell’ottemperanza.

Il motivo è fondato.

Il novellato art. 112, co. 3, c.p.a. dispone che “può essere proposta, anche in unico grado dinanzi al giudice dell’ottemperanza, azione di condanna al pagamento di somme a titolo di rivalutazione e interessi maturati dopo il passaggio in giudicato della sentenza, nonché azione di risarcimento dei danni connessi all’impossibilità o comunque alla mancata esecuzione in forma specifica, totale o parziale, del giudicato o alla sua violazione o elusione”.

Sul punto la giurisprudenza ha chiarito che con le modifiche apportate con il D. Lgs n. 195/2011, “l’azione risarcitoria in sede di giudizio di ottemperanza può essere utilizzata soltanto per far valere quei danni successivi alla formazione del giudicato, in quanto ‘connessi all’impossibilità o comunque alla mancata esecuzione in forma specifica, totale o parziale del giudicato o alla sua violazione o elusione’ (art. 112, comma 3, c.p.a.). In questo senso milita anche l’intervenuta abrogazione dell’art. 112, comma 4, c.p.a., che precedentemente sembrava consentire una simile possibilità” (Cons. Stato, sez III, 4 novembre 2013, n. 5301).

Questa interpretazione della disposizione conferma l’assunto per il quale, mentre prima della riforma il ricorrente poteva proporre dinanzi al giudice dell’ottemperanza l’azione di risarcimento per i danni derivanti sia dall’illegittimità del provvedimento annullato dalla sentenza da ottemperare, sia dalla mancata esecuzione, violazione od elusione del giudicato, in base al novellato art. 112, co. 3, c.p.a. chi agisce potrà richiedere, dinanzi a tale organo giudiziario, soltanto il risarcimento per i danni connessi all’inottemperanza.

Ciò premesso, occorre verificare, ai fini dell’ammissibilità, se, nel caso di specie, l’azione proposta in primo grado dall’odierno appellante era diretta al risarcimento del danno derivante dall’illegittimità del provvedimento annullato oppure dei danni connessi all’impossibilità o, comunque, alla mancata esecuzione in forma specifica, alla violazione o all’elusione del giudicato.

A tal proposito occorre preliminarmente ricordare che, come più volte affermato dalla giurisprudenza di questo Consiglio di Stato, “la qualificazione giuridica dei fatti e della domanda giudiziale ovvero l’interpretazione della stessa, operata dal giudice, non comporta violazione del principio di corrispondenza tra chiesto e pronunciato (ex art. 112 c.p.c.) purché non alteri gli elementi identificativi dell’azione e non trasmodi nella valutazione di atti o fatti che non sono stati neppure indicati dalle parti a fondamento delle proprie pretese” (cfr. Cons. Stato, sez. V, 20 dicembre 2013, n. 6114; Cons. Stato, sez. IV, 10 gennaio 2006, n. 26).

Pertanto, il giudice di prime cure, nell’esaminare la domanda risarcitoria, in virtù del principio della prevalenza della sostanza sulla forma, avrebbe dovuto far riferimento non soltanto alle conclusioni contenute nel ricorso, ma all’intero atto e cioè allo scopo pratico perseguito dal sig. Ve. mediante il ricorso in ottemperanza. In tal modo la domanda di risarcimento per il danno “durevole”, avanzata dall’odierno appellante, sarebbe stata ricondotta nell’alveo dell’art. 112, co. 3, c.p.a., senza la necessità di effettuare alcuna indagine concernente l’entrata in vigore del suo nuovo testo.

Inoltre, è necessario considerare che, nella fattispecie oggetto del presente giudizio, l’improponibilità dell’azione risarcitoria, affermata dal giudice di prime cure, si porrebbe in contrasto con il principio di effettività della tutela giurisdizionale. Infatti, sussiste un’incompatibilità di fondo, alla luce della relazione tecnica dell’U.T.C., fra quanto statuito dal T.A.R. Campania in sede di cognizione e quanto affermato in sede di ottemperanza: la sentenza n. 4266/2012 ha imposto al Comune di emettere i provvedimenti conseguenti all’annullamento del titolo edilizio, al fine di realizzare l’effetto ripristinatorio ordinato con la sentenza di cognizione; tuttavia, poiché è stata chiarita l’impossibilità di eseguire la demolizione del terzo piano del condominio Bo., non può essere preclusa la proponiblità dell’azione di risarcimento per i danni derivanti dalla impossibile esecuzione in forma specifica del giudicato. A ben vedere, infatti, la permanenza del terzo piano del condominio Bo. costituisce una violazione di quanto stabilito dal T.A.R. Campania in sede di cognizione e, pertanto, lo strumento più adeguato a soddisfare l’interesse del sig. Ve. va ravvisato proprio nel risarcimento dei danni patiti dal momento del passaggio in giudicato della sentenza.

La proponibilità dell’azione risarcitoria in esame è, tra l’altro, subordinata alla tipologia del danno lamentato dal ricorrente: nel caso di specie, il danno “durevole” implica la lesione di un diritto del sig. Ve. che rientra senz’altro fra i pregiudizi subiti a causa dell’impossibilità di eseguire in forma specifica il giudicato.

Come chiarito dallo stesso ricorrente, la voce di danno in esame implica la lesione del cd “diritto al panorama”: questo diritto, di matrice prevalentemente pretoria, viene ricondotto nell’ambito delle norme del Codice Civile inerenti alle distanze, alle luci ed alle vedute (artt. 900 – 907 c.c.). In particolare, in tema di diritto al panorama, la Corte di Cassazione ha avuto modo di chiarire che si è in presenza di una “servitù altius non tollendi nella quale l’utilitas è rappresentata dalla particolare amenità di cui il fondo dominante viene ad essere dotato per il fatto che essa attribuisce ai suoi proprietari il godimento di una particolare visuale, esclusa essendo la facoltà del proprietario del fondo servente di alzare costruzioni o alberature – quand’anche per altri versi consentite – che pregiudichino o limitino tale visuale. La servitù in questione è una servitù negativa, perché conferisce al suo titolare non la facoltà di compiere attività o di porre in essere interferenze sul fondo servente, ma di vietare al proprietario di quest’ultimo un particolare e determinato uso del fondo stesso” (Corte Cass., sez. II, 20 ottobre 1997, n. 10250).

Poiché, dunque, il panorama costituisce un valore aggiunto ad un immobile, che ne incrementa la quotazione di mercato e che corrisponde ad un interesse meritevole di tutela secondo l’ordinamento giuridico, la sua lesione, derivante dalla sopraelevazione o costruzione illegittima di un fabbricato vicino, determina un danno ingiusto da risarcire: infatti “il pregiudizio consistente nella diminuzione o esclusione del panorama goduto da un appartamento e tutelato dalle norme urbanistiche, secondo determinati standard edilizi a norma dell’art. 872 c.c., costituisce un danno ingiusto, come tale risarcibile la cui prova va offerta in base al rapporto tra il pregio che al panorama goduto riconosce il mercato ed il deprezzamento commerciale dell’immobile susseguente al venir meno o al ridursi di tale requisito” (Corte Cass., sez. II, 18 aprile 1996, n. 3679).

Nel caso in esame, il sig. Ve. ha agito in sede di ottemperanza per ottenere la tutela del suo diritto, leso dalla sopraelevazione eseguita dal condominio Bo.. Quest’ultimo ha determinato l’insorgere di un danno a carico dell’appellante: l’ingiustizia del suo operato è stata individuata dal T.A.R. Campania nell’illegittimità della concessione edilizia che, in violazione delle norme urbanistiche vigenti al momento della sopraelevazione, hanno causato il deprezzamento del valore del bene di proprietà dell’appellante.

3. Chiarita la necessità di attribuire un equo risarcimento del danno al sig. Ve., occorre individuare i parametri utili per poter quantificare la somma dovuta. A tal fine, la giurisprudenza ha configurato, come termini di paragone, il pregio per il panorama di cui gode l’appartamento e che è riconosciuto dal mercato immobiliare ed il deprezzamento commerciale dell’immobile susseguente al venir meno della panoramicità (cfr. Corte Cass. n. 3679 cit.).

Tuttavia, poiché tale giudizio si risolve nell’accertamento di fatti rilevabili o valutabili con l’ausilio di specifiche cognizioni tecniche, il Collegio ritiene necessario nominare un verificatore ai sensi dell’art. 66 c.p.a.. A tal fine viene individuato quale verificatore un professore di estimo civile presso l’Università di Roma “la Sapienza”, individuato dal Rettore.

Allo stesso viene conferito l’incarico di quantificare il danno cagionato al sig. Ve. dall’illegittima sopraelevazione del terzo piano del condominio Bo. a partire dalla data proposizione dell’azione risarcitoria in primo grado e fino all’effettivo soddisfo.

Nell’esecuzione delle operazioni, il verificatore applicherà i criteri indicati nella presente ordinanza: il danno da lesione del panorama verrà determinato dalla differenza fra il valore dell’immobile prima di subire il danno e, cioè, prima che avvenisse la sopraelevazione abusiva dell’edificio adiacente, e il valore dell’immobile deprezzato dal medesimo.

Ai fini dell’espletamento del proprio incarico, il verificatore è autorizzato ad acquisire documentazione agli atti del presente giudizio presso la Segreteria, nonché a sollecitare l’apporto delle parti, che potranno fargli pervenire documenti e relazioni tecniche; è altresì autorizzato a svolgere accertamenti e acquisire documentazione in copia presso altri uffici pubblici, ove necessario.

Per il compimento delle operazioni e il deposito di apposita relazione viene fissato il termine di novanta giorni, a decorrere dalla data in cui in Segreteria perverrà l’accettazione formale dell’incarico da parte del verificatore e/o l’atto di designazione dello stesso.

Ai sensi del comma 3 dell’art. 66 c.p.a. è liquidata a favore del verificatore la somma di euro 2.500,00 a titolo di anticipo sul compenso spettantegli, da porre a carico del Comune di Lioni e del condominio Bo., in solido, salvo eventuale conguaglio in sede di sentenza definitiva, previa presentazione di apposita notula.

4. Ne consegue l’accoglimento dell’appello principale, il rigetto dell’appello incidentale e la riforma della sentenza impugnata nei sensi di cui si è detto, vale a dire accogliendo nell’an debeatur la domanda risarcitoria spiegata dall’appellante e rinviando al prosieguo la quantificazione del danno risarcibile, id est del quantum debeatur.

P.Q.M.

Il Consiglio di Stato in sede giurisdizionale (Sezione Quarta) riservata ogni ulteriore statuizione in rito, nel merito in ordine alla quantificazione del danno e sulle spese, accoglie l’appello principale e respinge l’appello incidentale e, per l’effetto, in riforma della sentenza impugnata, condanna le parti resistenti, in solido tra loro, al risarcimento dei danni che saranno quantificati in corso di causa, disponendo gli incombenti istruttori nei sensi e nei termini di cui in motivazione.

Fissa per il prosieguo la prima udienza pubblica utile del giugno 2015

Ordina alla segreteria della Sezione di provvedere alla comunicazione della presente ordinanza alle parti e al verificatore.

Fissa il compenso del verificatore come in motivazione.

Ordina che la presente sentenza sia eseguita dall’autorità amministrativa.

Così deciso in Roma nella camera di consiglio del giorno 28 ottobre 2014 con l’intervento dei magistrati:

Goffredo Zaccardi – Presidente

Marzio Branca – Consigliere

Nicola Russo – Consigliere, Estensore

Raffaele Potenza – Consigliere

Andrea Migliozzi – Consigliere

Depositata in Segreteria il 27 gennaio 2015

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