Comunione legale tra i coniugi e lo scioglimento

La Comunione legale tra i coniugi e lo scioglimento

Articolo aggiornato al 20 settembre 2020

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A) Introduzione

          La comunione legale dei beni è il regime che regola i rapporti patrimoniali fra i coniugi in mancanza di una diversa convenzione, così com’è regolamentato con la L. n. 151 del 1975.

          Il regime della comunione legale, appunto, è stato introdotto con la riforma del diritto di famiglia ed è ispirato a principi di solidarietà ed uguaglianza tra i coniugi ed intende trasferire sul piano economico i valori morali del matrimonio.

          Difatti se il matrimonio è espressione di amore e solidarietà allora è opportuno che nell’ambito del menage familiare non vi siano differenze in merito agli apporti economici di ciascun coniuge.

          In altre parole la comunione legale trova il proprio fondamento razionale nell’esigenza di realizzare la comunione di vita tra gli sposi anche sotto il profilo patrimoniale, consentendo l’eguale partecipazione alle ricchezze da loro prodotte durante il matrimonio.

          Il sistema della comunione legale sostituisce, come regime ordinario, quello della completa separazione dei beni, in vigore nella previsione originaria del 1942.

          Non è obbligatorio, ma si applica in automatico qualora la “coppia” non opti per una convenzione matrimoniale diversa.

          Tale istituto in via generale non è assimilabile a quello della comunione ordinaria, sia perché s’instaura automaticamente all’atto stesso del matrimonio, a meno che gli sposi non scelgano di adottare il regime di separazione o altra convenzione nelle forme di cui all’art. 162 del c.c., sia perché i beni che vi ricadono sono specificatamente indicati negli artt. 177 e 178 del c.c., così come sono elencati nell’art. 179 del c.c. quelli che ne sono esclusi.

          Questa automaticità rende tale sistema anche rigido, in quanto la sua accettazione comporta l’adesione integrale al modello predisposto dal legislatore.

          Qualora, pertanto, i coniugi, successivamente vorranno apportare delle modifiche dovranno ricorrere ad una convenzione.

          In effetti, la comunione legale è una forma di comunione specifica e speciale, in cui i coniugi sono titolari solidalmente di un diritto sui beni che vi ricadono e da cui rimangono estranei i soggetti non legati da rapporti di coniugio.

          Parità fra i coniugi anche sul piano economico, in base alla rivalutazione, sempre su una situazione di parità, del lavoro prevalente domestico della moglie in confronto di quello professionale del marito.

          In definitiva si tratta di un regime preferenziale, anche se non assoluto, che trova applicazione anche in mancanza di una diversa convenzione, non esclude una scelta diversa, né la modificazione successiva nel regime della separazione dei beni.

  • Comunione legale e comunione ordinaria[1]

          La comunione fra coniugi si presenta come una fattispecie che opera su un piano dinamico, poiché riguarda gli acquisti futuri che i coniugi effettueranno, insieme o separatamente, fin quando non intervenga lo scioglimento del matrimonio e del regime di comunione.

          La comunione ordinaria, invece, è un istituto che opera su un piano statico, in quanto attiene a diritti, che fanno già parte di un determinato patrimonio e si costituisce mediante un atto negoziale come un contratto o un testamento.

          La comunione legale dei beni tra i coniugi, a differenza da quella ordinaria, è una comunione senza quote, nella quale i coniugi sono solidamente titolari di un diritto avente per oggetto i beni di essa e rispetto alla quale non è ammessa la partecipazione di estranei.

          Ne consegue che, nei rapporti con terzi, ciascun coniuge non può disporre della singola quota, ma soltanto dell’intera comunione, ponendosi il consenso dell’altro coniuge come un negozio unilaterale autorizzativo che rimuove un limite all’esercizio del potere dispositivo sul bene che rappresenta un requisito di regolarità del procedimento di formazione dell’atto di disposizione.

Principio ripreso anche da ultima Cassazione

Corte di Cassazione, sezione I civile, sentenza 5 aprile 2017, n. 8803

secondo la quale, appunto,

1) “la comunione legale dei beni tra i coniugi, a differenza da quella ordinaria, e’ una comunione senza quote, nella quale i coniugi sono solidalmente titolari di un diritto avente per oggetto i beni di essa e rispetto alla quale non e’ ammessa la partecipazione di estranei. Ne consegue che, nei rapporti con i terzi, ciascun coniuge, mentre non ha diritto di disporre della propria quota, puo’ tuttavia disporre dell’intero bene comune, ponendosi il consenso dell’altro coniuge (richiesto dall’articolo 180 c.c., comma 2 per gli atti di straordinaria amministrazione) come un negozio unilaterale autorizzativo che rimuove un limite all’esercizio del potere dispositivo sul bene e che rappresenta un requisito di regolarita’ del procedimento di formazione dell’atto di disposizione, la cui mancanza, ove si tratti di bene immobile o di bene mobile registrato si traduce in un vizio da far valere nei termini fissati dall’art.184 c.c.” (Sez. 1, Sentenza n. 4033 del 2003; Sez. 1, Sentenza n. 4890 del 2006);

2) “la comunione legale dei beni tra i coniugi, a differenza di quella ordinaria, e’ una comunione senza quote, nella quale i coniugi sono solidalmente titolari di un diritto avente per oggetto i beni di essa e rispetto alla quale non e’ ammessa la partecipazione di estranei. Nei rapporti con i terzi ciascun coniuge, mentre non ha diritto di disporre della propria quota, puo’ tuttavia disporre dell’intero bene comune, ponendosi il consenso dell’altro coniuge (richiesto dall’articolo 180 c.c., comma 2 per gli atti di straordinaria amministrazione) come un negozio unilaterale autorizzativo che rimuove un limite all’esercizio del potere dispositivo sul bene; ne consegue che il contratto preliminare di vendita di un immobile stipulato da un coniuge senza la partecipazione e il consenso dell’altro e’ efficace nei confronti della comunione legale, ma annullabile, ai sensi dell’articolo 184 c.c., nel termine di un anno decorrente dalla conoscenza dell’atto o dalla data di trascrizione (Cass. Sez. 2, Sentenza n. 14093 del 2010);

3) “La natura di comunione senza quote della comunione legale dei coniugi comporta che l’espropriazione, per crediti personali di uno solo dei coniugi, di un bene (o di piu’ beni) in comunione abbia ad oggetto il bene nella sua interezza e non per la meta’, con scioglimento della comunione legale limitatamente al bene staggito all’atto della sua vendita od assegnazione e diritto del coniuge non debitore alla meta’ della somma lorda ricavata dalla vendita del bene stesso o del valore di questo, in caso di assegnazione (principio affermato ai sensi dell’articolo 363 c.p.c.).” (Sez. 3, Sentenza n. 6575 del 2013).

 

          Inoltre, l’amministrazione dei beni in comunione legale è disciplinato da uno speciale regime giuridico (artt. 180 e ss. del c.c.) per cui le norme previste per la comunione ordinaria (artt. 1105 e ss. del c.c.) non potranno trovare applicazione.

          Nella comunione legale tra coniugi vige l’inderogabile principio dell’assoluta uguaglianza delle quote (art. 194 e 210 c.c.), mentre nella comunione ordinaria le quote dei partecipanti possono essere diseguali.

          La particolarità della comunione legale emerge soprattutto nel regime degli acquisti regolato dal 1° co. dell’art. 177 del c.c. il quale prevede che costituiscono oggetto della fattispecie gli acquisti compiuti dai due coniugi, insieme o separatamente durante il matrimonio, ad esclusione di quelli relativi ai beni personali.

          Alla luce della disciplina giuridica vigente, gli acquisti effettuati dai coniugi entrano automaticamente in comunione tutte le volte in cui non ricorra una delle eccezioni alla regola generale posta dall’art. 177 del c.c., cosi com’è previsto nell’art. 179 del c.c.

          La regola generale, dunque, è quella dell’indisponibilità degli effetti della comunione legale quale regime a cui il nostro ordinamento ricollega interessi di natura pubblicistica.

 

 

B) Oggetto della comunione

 

 

      Riguardo all’oggetto, la comunione ha carattere generale ma non universale, poiché non comprende i beni personali anteriori o successivi al matrimonio.

 

art. 177 c.c.   oggetto della comunione: costituiscono oggetto della comunione:

A) gli acquisti compiuti dai due coniugi insieme o separatamente durante il matrimonio, ad esclusione di quelli relativi ai beni personali;

B) i frutti dei beni propri di ciascuno dei coniugi, percepiti e non consumati allo scioglimento della comunione;

C) i proventi dell’attività separata di ciascuno dei coniugi se, allo scioglimento della comunione, non siano stati consumati

D) le aziende gestite da entrambi i coniugi e costituite dopo il matrimonio.

Qualora. Si tratti di aziende appartenenti ad uno dei coniugi anteriormente al matrimonio ma gestite da entrambi, la comunione concerne solo gli utili e gli incrementi.

 

          Con il termine acquisti la norma si riferisce al risultato della fattispecie acquisitiva, piuttosto che al negozio in forza del quale la stessa si verifica[2].

          Per una pronuncia di merito[3] ai sensi dell’art. 177 c.c. rientrano nella comunione legale tra i coniugi gli acquisti dagli stessi compiuti, insieme o separatamente, durante il matrimonio, ad esclusione dei beni strettamente personali. Alla luce di detta nozione, si continua a leggere nella sentenza, devono certamente ritenersi oggetto di comunione i titoli acquistati da uno dei coniugi in costanza di matrimonio ed appoggiati sul c/c bancario cointestato anche all’altro coniuge.

          Alcun fondamento può riconoscersi, difatti, alla tesi restrittiva che afferma l’operatività della comunione legale limitatamente ai diritti reali facendo riferimento, la disposizione, ad ogni bene senza alcuna specificazione delimitativa.

          Neppure rileva il richiamo all’istituto della comunione disciplinato dal c.c. per i diritti reali, al fine di delimitare il campo della comunione legale tra i coniugi a detta categoria, trattandosi di una comunione differente, come già scritto, da quella regolata dall’art. 1100 c.c. finalizzata alla tutela della famiglia attraverso forma particolari di protezione della posizione dei coniugi.

          Da ciò discende che nella nozione di comunione legale di cui all’art. 177 c.c. rientrano tutti gli acquisti compiuti in costanza di matrimonio, anche se effettuati con denaro di provenienza esclusiva di uno dei coniugi ove abbiano avuto ad oggetto forme di investimento trasformandosi in un bene diverso il provento dell’attività personale del coniuge utilizzato per l’acquisto.

          Per la S.C.[4] in tema di acquisti effettuati da uno dei coniugi in costanza di matrimonio, al fine di escludere l’applicazione del regime della comunione legale dei beni è necessario, oltre ai requisiti indicati nelle lettere c); d); ed f) del primo co. dell’art. 179 c.c., che l’altro coniuge partecipi all’atto di acquisto e che risulti espressamente tale esclusione. La mancata contestazione o l’esplicita conferma da parte del coniuge non acquirente, pur avendo natura ricognitiva e non negoziale, costituisce tuttavia un atto giuridico volontario e consapevole, cui il legislatore attribuisce l’efficacia di una dichiarazione a contenuto sostanzialmente confessorio, idonea a determinare l’effetto di una presunzione juris et de jure di non contitolarità dell’acquisto, di natura non assoluta ma superabile mediante la prova che la dichiarazione sia derivata da errore di fatto o da dolo e violenza nei limiti consentiti dalla legge.

Ultima Cassazione

Corte di Cassazione, sezione terza civile, sentenza 24 ottobre 2018, n. 26981

ha avuto modo, però di precisare che se un coniuge in regime di comunione legale dei beni utilizza denaro di provenienza “non tracciabile” per il pagamento del prezzo di un suo acquisto, il bene oggetto di tale acquisto è assoggettato al regime di comunione legale dei beni, anche se all’atto di acquisto interviene l’altro coniuge il quale dichiari di consentire l’esclusione di tale acquisto dal regime di comunione legale.

          La previsione normativa contenuta nell’art. 177 lettera a) c.c., secondo la quale entrano a far parte della comunione gli acquisti compiuti dai coniugi anche separatamente durante il matrimonio, ai sensi dell’art. 177 c.c., riguarda esclusivamente gli acquisti provenienti da terzi e non gli atti di disposizione intercorsi tra i coniugi stessi.

          Il regime di comunione legale fra i coniugi non è applicabile ai conviventi more uxorio.

          In regime di comunione ciascuno dei coniugi può acquistare, come personali, beni immobili o mobili, quest’ultimi purché soggetti a trascrizione ex art. 2683 c.c., inclusi i beni relativi all’azienda in comunione, sempreché:

1)     la stipulazione dell’atto non risulti necessaria nell’interesse della famiglia (o dell’azienda);

2)     il coniuge non acquirente al momento dell’acquisto partecipi all’atto, ex art. 179 u.c., c.c., rendendo una mera dichiarazione di scienza relativa all’esclusione dalla comunione di beni acquistati, e non rifiuti, invece, di parteciparvi.

          Rendendosi necessario superare l’inerzia del coniuge non acquirente, ove egli rifiuti d’intervenire per rendere la dichiarazione suddetta, sorge questione, che va risolta in sede contenziosa per l’accertamento dell’illegittimità o meno del rifiuto relativo all’acquisto della quota (pari ad ½ dell’intero) di un diritto sul bene in capo ad uno dei coniugi.

art. 2647 c.c.    costituzione del fondo patrimoniale e separazione di beni: devono essere trascritti, se hanno per oggetto beni immobili, la costituzione del fondo patrimoniale, le convenzioni matrimoniali che escludono i beni medesimi dalla comunione tra i coniugi, gli atti e i provvedimenti di scioglimento della comunione, gli atti di acquisto di beni personali a norma delle lett. c), d), e) ed f) dell’art. 179, a carico, rispettivamente, dei coniugi titolari del fondo patrimoniale o del coniuge titolare del bene escluso o che cessa di far parte della comunione.

Le trascrizioni previste dal precedente co. devono essere eseguite anche relativamente ai beni immobili che successivamente entrano a far parte del patrimonio familiare o risultano esclusi dalla comunione tra i coniugi.

La trascrizione del vincolo derivante dal fondo patrimoniale costituito per testamento deve essere eseguita d’ufficio dal conservatore contemporaneamente alla trascrizione dell’acquisto a causa di morte.

 

 

E’ controverso se rientrino nella comunione legale

1)    Gli acquisti a titolo originario

          Cadono in comunione legale.

          Gli acquisti che avvengono per specificazione, occupazione, invenzione e commistione, dunque, entrano immediatamente nel patrimonio comune, ma sempre che non costituiscano proventi dell’attività separata dei coniugi.

          In quest’ultima ipotesi, infatti, ex art. 177, primo co., lett. c, sarebbero destinati alla comunione de residuo.

          In merito all’ usucapione, si ritiene che assuma rilevanza il momento in cui si realizza l’acquisto, e non quello in cui è iniziato il possesso.

          Mentre, in merito alla costruzione eseguita da uno dei coniugi su un suolo di sua proprietà la prevalente giurisprudenza è nel senso di negare la comunione legale ed è a favore dell’accessione per il coniuge proprietario del suolo, precisando che gli eventuali apporti dell’altro coniuge alla realizzazione della costruzione costituiscano solo ragioni di credito; la costruzione – realizzata in costanza di matrimonio da uno dei coniugi su fondo a lui appartenente in proprietà esclusiva – entra a far parte del suo patrimonio, egualmente a titolo esclusivo; ne segue che la tutela dell’altro coniuge non proprietario del suolo opera non sul piano del diritto reale, ma su quello obbligatorio, riconoscendo a lui solo il diritto di credito per la metà del valore dei materiali e della manodopera impiegati nella costruzione.

          Secondo una prima pronuncia[5] la sopraelevazione compiuta in costanza di matrimonio di un appartamento appartenente prima del matrimonio ad uno dei coniugi non comporta la comunione della parte sopraelevata, ma soltanto un diritto di credito, da parte del coniuge non proprietario, pari alla metà della spesa occorsa per la soprelevazione, onde non sussiste la necessità di integrazione del contraddittorio nei confronti di quest’ultimo, nel giudizio in cui si contesti la legittimità della soprelevazione.

          Ancora secondo altra massima[6] la costruzione realizzata durante il matrimonio sul suolo di proprietà esclusiva di uno dei coniugi appartiene esclusivamente a costui, non potendo riconoscersi alle norme sulla comunione legale fra i coniugi — né in particolare all’art. 177 lett. a) c.c. che assoggetta alla comunione gli acquisti compiuti dai coniugi durante il matrimonio — carattere derogatorio al principio generale dell’accessione di cui all’art. 934 c.c., in base al quale il proprietario del suolo acquista la proprietà delle opere costruite sul suo fondo ipso iure al momento dell’incorporazione, senza necessità di una specifica manifestazione di volontà, potendo l’operatività di tale principio essere derogata soltanto dal titolo o da una specifica disposizione di legge che attribuisca in tutto o in parte la proprietà dell’opera costruita sul suolo ad un soggetto distinto dal proprietario del medesimo.

Principio ripreso da ultima Cassazione

Corte di Cassazione, sezione II, sentenza 28 aprile 2016, n. 8468

L’articolo 177 c.c., comma 1, lettera a, stabilisce che costituiscono oggetto di comunione attuale “gli acquisti compiuti dai coniugi insieme o separatamente durante il matrimonio, ad esclusione di quelli relativi a beni personali”. Confluisce, dunque, immediatamente, nel patrimonio comune l’acquisto che i coniugi effettuino congiuntamente. In regime di comunione legale, peraltro, anche gli acquisti effettuati da un solo coniuge entrano a far parte del patrimonio comune: l’altro coniuge ne diventa ex lege contitolare.

Se poi entrambi i coniugi, oppure uno solo di essi, costruiscono un immobile su un fondo comune, si assume che pure tale fabbricato entri nel patrimonio della comunione legale per accessione. In realta’, la disciplina dell’accessione, contenuta nell’articolo 934 c.c., si riferisce solo alle costruzioni su terreno altrui: essa, pertanto, non trova applicazione nelle ipotesi di costruzioni eseguite da uno dei comproprietari su suolo comune, cui si applica, invece, la normativa in materia di comunione, con la conseguenza che la comproprieta’ della nuova opera sorge anche a favore dei condomini non costruttori, purche’ sia stata realizzata con il rispetto delle norme sui limiti all’uso da parte del comproprietario delle cose comuni (Cass. 27 marzo 2007, n. 7253; Cass. 19 novembre 2004, n. 21901).

Diverso e’ il caso della costruzione, da parte di un coniuge, di un edificio su terreno di proprieta’ esclusiva dell’altro coniuge.

La giurisprudenza di legittimita’ e’ costantemente orientata nel senso di dare prevalenza alle norme sull’accessione, e ha, in piu’ occasioni, affermato che l’immobile costruito su un terreno personale del coniuge deve considerarsi di sua esclusiva proprieta’ (C., S.U., 651/1996; C. 8662/2008; C. 2354/2005; C. 2680/2000; C. 8585/1999). Allo stesso modo, la costruzione realizzata in costanza di matrimonio ed in regime di comunione legale da entrambi i coniugi sul terreno di proprieta’ personale esclusiva di uno di essi e’ a sua volta proprieta’ personale ed esclusiva di quest’ultimo in virtu’ dei principi generali in materia di accessione, mentre al coniuge non proprietario, che abbia contribuito all’onere della costruzione spetta, previo assolvimento dell’onere della prova d’aver fornito il proprio sostegno economico, il diritto di ripetere nei confronti dell’altro coniuge le somme spese (C. 20508/2010).

          Per la Corte Capitolina[7] nel caso di un fabbricato realizzato, con contributi di entrambi i coniugi in regime di comunione legale dei beni, sul suolo di proprietà esclusiva di uno solo di essi, acquisito dunque da quest’ultimo per effetto dell’applicazione dell’istituto dell’accessione ex art. 934 c.c., la tutela del coniuge non proprietario del suolo sul quale è stata realizzata la costruzione opera non sul piano del diritto reale, ma sul piano obbligatorio. Infatti in mancanza di un titolo o di una norma, il coniuge non proprietario del suolo non può vantare alcun diritto di comproprietà anche superficiaria sulla costruzione, ma all’altro coniuge compete un diritto di credito relativo alla metà del valore dei materiali e della manodopera impiegati dall’altro nella costruzione.

          Però secondo parte della dottrina[8] tale orientamento non recepirebbe lo spirito della riforma e non realizzerebbe i principi posti a base del regime patrimoniale della comunione legale.

          Si è sostenuto che se la ratio del regime della comunione è valorizzare o incentivare la cooperazione dei coniugi nella formazione e nella gestione del patrimonio familiare, non si vede perché debba essere operata una discriminazione tra l’ipotesi dell’accessione e tutti gli altri casi in cui la soluzione legislativa è diversa, come ad esempio allorché sul suolo costituente bene aziendale di uno dei coniugi sia realizzata da entrambi una costruzione, la quale, ai sensi dell’ultimo co. dell’art. 177, ricade in comunione come incremento.

Bisogna anche precisare, come ha avuto modo di recente la S.C.

Corte di Cassazione, sezione II, sentenza 30 maggio 2013, n. 13603

che il credito vantato dal coniuge con effetto dell’incorporazione dei materiali e della manodopera impiegati nella costruzione di un immobile su suolo di proprietà esclusiva dell’altro coniuge è un credito di valore, corrispondente al valore dei materiali e della manodopera impiegati nella realizzazione della costruzione stessa che resta di proprietà esclusiva del coniuge titolare del suolo, non avente natura pecuniaria e non essendo pertanto soggetto al principio nominalistico.

          Poi, in tema di usucapione[9], se uno dei coniugi, deducendo una situazione di compossesso con l’altro, propone in via autonoma domanda di usucapione di un bene immobile, il giudicato favorevole produce, in virtù del disposto dell’art. 177 c.c., direttamente effetti nella sfera giuridico-patrimoniale dell’altro coniuge rimasto estraneo al giudizio, facendo sì che egli acquisti la comproprietà di detto immobile. Per converso, in caso di esito negativo di quella azione, il giudicato sfavorevole sarebbe opponibile al coniuge che non sia stato parte del relativo giudizio, se successivamente pretendesse di sentirsi dichiarare proprietario dello stesso bene, in base ad una situazione fattuale identica a quella fatta valere nel precedente giudizio dall’altro coniuge[10].

          Per altra pronuncia[11] gli acquisti di beni immobili per usucapione effettuati da uno solo dei coniugi, durante il matrimonio, in vigenza del regime patrimoniale della comunione legale, entrano a far parte della comunione stessa, non distinguendo l’art. 177, primo co., lettera a) del c.c. tra gli acquisti a titolo originario e quelli a titolo derivativo.

          Ne consegue che il momento determinate l’acquisto del diritto ad usucapionem da parte dell’altro coniuge, attesa la natura meramente dichiarativa della domanda giudiziale, s’identifica con la maturazione del termine legale d’ininterrotto possesso richiesto dalla legge.

2)    La permuta

[12]

          Il bene acquistato con la cessione di altro bene entra a far parte della comunione, a meno che il bene ceduto non sia bene personale e purché siano state osservate le formalità disposte per la surrogazione dei beni personali.

 

3)    Il preliminare

[13]

 

          Per una prima pronuncia della Cassazione[14] nel caso in cui l’immobile promesso in vendita da uno dei coniugi sia divenuto, dopo il preliminare e prima della stipulazione del contratto definitivo di compravendita, di proprietà comune dello altro coniuge, ai sensi dell’art. 228 della legge 19 maggio 1975 n. 151 (sulla riforma del diritto di famiglia), il contratto definitivo anzidetto non può essere concluso senza il consenso di detto coniuge, e, pertanto, in difetto, non può essere proposta la domanda di esecuzione specifica, ai sensi dell’art. 2932 c.c., pur se limitata alla quota di proprietà del promittente venditore, dovendo la sentenza costitutiva, prevista dal citato art. 2932, riprodurre il medesimo assetto di interessi assunto dalle parti quale contenuto del contratto preliminare, senza possibilità di introdurvi modifiche.

          Per un’ultima sentenza di merito[15] la comunione legale di cui all’art. 177 c.c. non riguarda i diritti di credito sorti dal contratto concluso da uno dei coniugi poiché tali diritti di credito, pur se strumentali all’acquisizione di una res, per la loro natura relativa e personale non sono suscettibili di cadere in comunione. Da ciò deriva la conseguenza che, nel caso di contratto preliminare stipulato da uno solo dei coniugi, l’altro coniuge non può vantare alcun diritto al riguardo.

          Orbene in merito all’impossibilità o meno dell’esecuzione specifica del preliminare ex art. 2932 c.c. per il trasferimento del bene senza il consenso dell’altro coniuge

art. 2932 c.c   esecuzione specifica dell’obbligo di concludere un contratto: se colui che è obbligato a concludere un contratto non adempie l’obbligazione, l’altra parte, qualora sia possibile e non sia escluso dal titolo (le parti, nell’esercizio della loro autonomia, possono escludere l’esperibilità di tale rimedio in sede di stipula del contratto preliminare), può ottenere una sentenza che produca gli effetti del contratto non concluso (c.c.2908).
Se si tratta di contratti che hanno per oggetto il trasferimento della proprietà di una cosa determinata o la costituzione o il trasferimento di un altro diritto, la domanda non può essere accolta, se la parte che l’ha proposta non esegue la sua prestazione (c.c.1208 e seguenti) o non ne fa offerta nei modi di legge, a meno che la prestazione non sia ancora esigibile (disp.di att. al c.c. 246).

a)   Secondo parte della dottrina[16], un simile preliminare è annullabile sulla base del combinato disposto degli artt. 180, co 2 e 184 co 1. (Gli atti compiuti da un coniuge senza il necessario consenso dell’altro coniuge e da questo non convalidati sono annullabili se riguardano beni immobili o beni mobili elencati nell’art. 2683) si afferma, infatti, che devono essere considerati atti di straordinaria amministrazione non solo gli atti di disposizione o di alienazione, ma anche ogni altro atto che possa incidere, direttamente o indirettamente, sul patrimonio dei coniugi in comunione legale; pertanto anche la promessa di vendita, suscettibile di esecuzione in forma specifica ex art. 2932, si configura come un atto di straordinaria amministrazione, annullabile, qualora sia stata compiuta da un coniuge senza il consenso dell’altro coniuge.

b)   Secondo altra parte della dottrina[17] sono sbagliati i presupposti teorici della precedente teoria, in quanto l’annullabilità del preliminare  ex art. 184 (atti compiuti senza il necessario consenso) muove dall’assunto secondo cui esso sarebbe senz’altro suscettibile di esecuzione in forma specifica.  In realtà non si è tenuto conto del fatto che il ricorso al rimedio di cui all’art. 2932 c.c. presuppone il sussistere dei requisiti di legittimazione sostanziale delle parti.

c)   Per la S.C.[18] è fermo il principio per cui il coniuge non stipulante non è legittimato all’azione di esecuzione in forma specifica ex art. 2932 c.c., essendo gli effetti di questo negozio obbligatori e personali del coniuge promittente acquirente. E’, invece, necessario litisconsorzio del coniuge non stipulante, contitolare dell’immobile ex art. 177 c.c., nell’ipotesi in cui sia promossa azione di esecuzione specifica da parte del promissario acquirente dell’immobile stesso.

In linea generale per recente Cassazione

Corte di Cassazione, sezione II civile, sentenza 3 giugno 2016, n. 11504

secondo il costante orientamento di questa Corte, non cade in comunione legale l’immobile che, promesso in vendita a persona coniugata in regime di comunione legale, sia coattivamente trasferito ex articolo 2932 cod. civ., a causa dell’inadempimento del promittente venditore, al promissario acquirente, con sentenza passata in giudicato dopo che tra quest’ultimo ed il coniuge era stata pronunciata la separazione (tra le tante, v. Sez. 3, Sentenza n. 12466 del 19/07/2012 Rv. 623485; Sez. 2, Sentenza n. 1548 del 24/01/2008 Rv. 601814; Sez. 2, Sentenza n. 3185 del 2003 in motivazione; Sez. 2, Sentenza n. 1363 del 18/02/1999 Rv. 523338).

E’ stato infatti precisato che la comunione legale fra i coniugi, di cui all’articolo 177 cod. civ., riguarda gli acquisti, cioe’ gli atti implicanti l’effettivo trasferimento della proprieta’ della “res” o la costituzione di diritti reali sulla medesima, non quindi i diritti di credito sorti dal contratto concluso da uno dei coniugi, i quali, per la loro stessa natura relativa e personale, pur se strumentali all’acquisizione di una “res”, non sono suscettibili di cadere in comunione (v. Sez. 2, Sentenza n. 1548/2008 cit.).

               Con con altro intervento la S.C.[19] in merito all’accoglimento dell’eccezione di impossibilità di trasferimento del bene ex art. 2932 c.c. senza il consenso dell’altro coniuge, ha affermato che l’assenza del consenso del coniuge non impedisce il trasferimento del bene, ma lo rende solo annullabile.

               Infatti occorre premettere che le sezioni unite, risolvendo un contrasto insorto tra le sezioni semplici – diversamente da quanto asserito del giudice del gravame – hanno affermato che in caso di contratto preliminare stipulato senza il consenso dell’altro coniuge, quest’ultimo deve considerarsi litisconsorte necessario del giudizio per l’esecuzione specifica del contratto[20], proprio perché detto coniuge è ancora titolare di una situazione giuridica inscindibile che lo rende litisconsorte necessario nel giudizio di esecuzione specifica dell’obbligo di contrarre e l’eventuale decisione in assenza di contraddicono sarebbe inidonea a spiegare i propri effetti, cioè a produrre un risultato utile e pratico, anche nei riguardi delle sole parti presenti, stante la natura plurisoggettiva e concettualmente unica ed inscindibile del rapporto.

               Ciò posto,  la domanda  di esecuzione in forma specifica del contratto è stata respinta dalla corte distrettuale senza che venisse effettuato alcun accertamento sulle eccezioni sollevate circa la nullità ovvero inefficacia del contratto preliminare per mancanza del consenso del coniuge, ma semplicemente sulla base dell’affermazione per la quale l’altro coniuge non aveva alcun interesse, né del resto avrebbe avuto il diritto, di veder annullare il contratto preliminare di compravendita, che ha creato obbligazioni personali in capo al promittente venditore, ma che allo stesso terzo estraneo non è opponibile, proseguendo che doveva essere semplicemente accertato se esistessero o meno le condizioni perché il preliminare di compravendita fosse trasfuso in atto pubblico, nella specie non realizzate per non avere il promittente venditore ottenuto il consenso da parte del coniuge comproprietario a vendere il fondo in questione.

               Nella sentenza si sostiene, in sostanza, che per il trasferimento del bene occorrerebbe il formarsi di un’unica volontà negoziale in capo ai due coniugi in comunione dei beni, data l’unicità e la inscindibilità del bene in comunione e che, quindi, il coniuge stipulante avrebbe potuto cedere la propria quota, ma non cedere anche quella del coniuge non stipulante.

               E’ risultato, pertanto, (si continua a leggere nella sentenza) evidente la violazione dei principi di cui agli artt. 180 e 184[21] c.c., e, in generale, dei principi relativi agli atti di disposizione di beni della comunione legale perché la corte territoriale ha applicato alla comunione legale i diversi principi che regolano la comunione ordinaria e che non si applicano nell’ipotesi di comunione legale tra coniugi.

               Il giudice distrettuale non ha considerato che la comunione legale tra coniugi costituisce una comunione senza quote, nella quale i coniugi sono solidalmente titolari di un diritto avente ad oggetto tutti i beni di essa e rispetto alla quale non è ammessa la partecipazione di estranei; ne consegue che nei rapporti con i terzi ciascun coniuge, mentre non può disporre della propria quota, ben può disporre dell’intero bene comune (contrariamente a quanto ritenuto nella sentenza impugnata), mentre il consenso dell’altro coniuge si configura come un negozio unilaterale autorizzativo che rimuove un limite all’esercizio del potere dispositivo sul bene e si traduce in un vizio da far valere ai sensi dell’art. 184 c.c., nel termine di un anno decorrente dalla conoscenza dell’atto o dalla data di trascrizione[22].

               Ne discende che la mera mancanza di sottoscrizione del contratto da parte del coniuge non era sufficiente per il rigetto della domanda di esecuzione in forma specifica del contratto preliminare, dovendosi esaminare il profilo del consenso e della rilevanza della conoscenza dell’atto da parte dell’altro coniuge.

               L’art. 184 c.c., infatti, per l’esigenza di tutelare la rapidità e la certezza della circolazione dei beni in regime di comunione legale, disciplina il conflitto tra il terzo ed il coniuge pretermesso in modo più favorevole (rispetto alla comunione ordinaria) al primo, con il regime degli effetti tendente alla conservazione del negozio; di conseguenza il contratto, in assenza del consenso del coniuge pretermesso non è inefficace né nei confronti dei terzi, né nei confronti della comunione, ma è solo soggetto alla disciplina dell’art. 184 c.c., co. 1, ed è solamente esposto all’azione di annullamento da parte del coniuge non consenziente, nel breve termine prescrizionale entro cui è ristretto l’esercizio di tale azione, decorrente dalla conoscenza effettiva dell’atto, ovvero, in via sussidiaria, dalla trascrizione o dallo scioglimento della comunione[23] ().

               In conclusione è stata annullata la decisione della Corte distrettuale ed è stato affermato il principio che per l’esecuzione in forma specifica di un preliminare di vendita immobiliare non è necessaria la sottoscrizione di entrambi i coniugi in comunione legale, ma è sufficiente il consenso dell’altro coniuge e la mancanza del suo consenso si traduce in un vizio da far valere ai sensi dell’art. 184 c.c.n. 12923).

               Principio già affermato con una precedente pronuncia della medesima Corte di Cassazione[24]: per l’esecuzione in forma specifica di un preliminare di vendita immobiliare non è necessaria la sottoscrizione di entrambi i coniugi in comunione legale, ma è sufficiente il consenso dell’altro coniuge e la mancanza del suo consenso si traduce in un vizio da far valere ai sensi dell’art. 184 c.c. (nel rispetto del principio generale di buona fede e dell’affidamento) nel termine di un anno decorrente dalla conoscenza dell’atto o dalla data di trascrizione.

               In particolare, come ha avuto occasione di chiarire la Corte a S.U.[25] e come già scritto, il consenso del coniuge pretermesso non è atto autorizzativo nel senso di atto attributivo di un potere, ma piuttosto nel senso di atto che rimuove un limite all’esercizio di un potere e requisito di regolarità del procedimento di formazione dell’atto di disposizione, la cui mancanza, ove si tratti di bene immobile o mobile registrato, si traduce in un vizio del negozio: l’ipotesi regolata dall’art. 184 c.c., co. 1, dunque, si riferisce non ad un caso d’acquisto inefficace perché a non domino, bensì ad un caso d’acquisto a domino in base ad un titolo viziato.

               Ne discende che la mera mancanza di sottoscrizione del contratto da parte del coniuge non era sufficiente per la declaratoria di nullità del contratto, dovendosi esaminare il profilo del consenso e della rilevanza della conoscenza dell’atto.

               L’art. 184 c.c., infatti, per l’esigenza di tutelare la rapidità e la certezza della circolazione dei beni in regime di comunione legale, disciplina il conflitto tra il terzo ed il coniuge pretermesso in modo più favorevole (rispetto alla comunione ordinaria) al primo, con il regime degli effetti tendente alla conservazione del negozio; di conseguenza il contratto, in assenza del consenso del coniuge pretermesso non è inefficace né nei confronti dei terzi, né nei confronti della comunione, ma è solo soggetto alla disciplina dell’art. 184 primo co. c.c. ed è solamente esposto all’azione di annullamento da parte del coniuge non consenziente, nel breve termine prescrizionale entro cui è ristretto l’esercizio di tale azione, decorrente dalla conoscenza effettiva dell’atto, ovvero, in via sussidiaria, dalla trascrizione o dallo scioglimento della comunione[26].

               Tale possibilità (il presupposto), tuttavia, nel caso in esame, va esclusa, in quanto il coniuge promittente venditore non è pieno titolare del diritto promesso in vendita e, pertanto, è esclusa la possibilità di ottenere la sentenza costitutiva ex art. 2932 c.c. dunque un simile contratto preliminare, pur essendo valido, risulta inidoneo ad incidere, in quanto tale, sulla consistenza patrimoniale della comunione legale e, di conseguenza, si presenta come del tutto irrilevante per il coniuge del promittente alienate. L’unico rimedio di cui potrà avvalersi il promissario acquirente, di conseguenza, è quello del risarcimento dei danni.

               Nonostante si propenda per la soluzione positiva, in considerazione dell’orientamento giurisprudenziale contrario e per motivi prudenziali, si consiglia, nel caso in cui un coniuge voglia stipulare un preliminare di vendita di un bene che cade in comunione, la stipulazione non di un preliminare, bensì di una promessa del fatto del terzo (art. 1381).

4)    Cessione in cambio di assistenza

          Il bene acquistato dai coniugi, insieme o separatamente, in cambio dell’obbligo di fornire assistenza  al cedente, è oggetto di comunione immediata.

 

5)    Datio in solutum

          Trattandosi di acquisto oneroso, è preferibile ritenere che il bene è oggetto di comunione immediata, a meno che il credito era personale e siano state osservate le formalità previste di cui all’art. 179.

 

6)    Vendita forzata

          Anche l’immobile aggiudicato ad un coniuge in regime di comunione legale cade in comunione immediata.

 

7)    La fideiussione

          Per la S.C.[27] la fideiussione, prestata da uno solo dei coniugi in regime di comunione legale, è valida ed efficace, indipendentemente dalla inerenza del rapporto ai beni comuni, ed altresì a prescindere dalla sua qualificabilità come atto di ordinaria o straordinaria amministrazione, ferma restando, in entrambi i casi, l’assoggettamento dei beni della comunione alle ragioni del creditore nei limiti della quota di detto coniuge (art. 189 c.c.).

 

8)    Diritto di credito

 

a)    parte della dottrina esclude che il diritto di credito possa cadere in comunione legale, argomentando dal fatto che si tratta di un diritto relativo e personale. Trova, così, miglior tutela il terzo debitore, cui si evita un oneroso accertamento circa lo stato civile del proprio creditore.

b)    Altra parte della dottrina, invece, ammette che i crediti possano fare parte del patrimonio comune dei coniugi. Si sostiene che una diversa soluzione mal si concilierebbe con i principi ispiratori della riforma, considerando che il credito determina pur sempre un incremento patrimoniale. Si afferma, inoltre, che non si rinvengono ostacoli né sistematici, né strutturali, all’inclusione del credito nella comunione legale: tale soluzione, anzi, è compatibile con il regime legale e non costituisce un intralcio ai traffici giuridici.

c)    Altri autori, pur ritenendo che i diritti di credito possano cadere in comunione legale, hanno evidenziato che la nozione di acquisto non può essere estesa indiscriminatamente. Si è, così, formulata una tesi intermedia, secondo la quale il diritto di credito confluisce nel patrimonio comune, ma solo quando si configuri come una forma di investimento, che arricchisce in modo stabile il patrimonio e non ha mero carattere strumentale.

d)    La giurisprudenza di legittimità ha, per lungo tempo, escluso il credito dall’oggetto della comunione, affermando che l’art. 177, primo co., lett. a, riguarda solo gli acquisti, vale a dire gli atti che implicano l’effettivo trasferimento della proprietà della res o la costituzione di diritti reali sulla medesima. Tale tesi, inoltre, era condivisa anche dalle Corti di merito.

Ha, dunque, rappresentato un revirement rispetto al precedente e consolidato orientamento la sentenza con la quale la Suprema Corte ha stabilito che non solo gli acquisti di diritti reali, ma anche quelli che hanno a oggetto crediti, sono suscettibili di entrare in comunione legale.

Per la Cassazione[28] la comunione legale fra coniugi, di cui all’art. 177 c.c., riguarda gli acquisti, cioè gli atti implicanti l’effettivo trasferimento della proprietà della res o la costituzione di diritti reali sulla medesima, non quindi i diritti di credito sorti dal contratto preliminare concluso da uno dei coniugi, i quali, per la loro stessa natura relativa e personale, pur se strumentali rispetto all’acquisizione di una res, non sono suscettibili di cadere in comunione.

        Secondo altra pronuncia[29], la comunione legale fra i coniugi, come regolata dagli artt. 177 e segg. c.c., costituisce un istituto che prevede uno schema normativo non finalizzato, come quello della comunione ordinaria regolata dagli artt. 1100 e segg. c.c., alla tutela della proprietà individuale, ma alla tutela della famiglia attraverso particolari forme di protezione della posizione dei coniugi nel suo ambito, con speciale riferimento al regime degli acquisti, in relazione al quale la ratio della disciplina, che è quella di attribuirli in comunione ad entrambi i coniugi, trascende il carattere del bene della vita che venga acquisito e la natura reale o personale del diritto che ne forma oggetto; ne consegue che anche i crediti – così come i diritti a struttura complessa, come i diritti azionari –  in quanto «beni» ai sensi degli art. 810, 812 e 813 c.c., sono suscettibili di entrare nella comunione, ove non ricorra una delle eccezioni alla regola generale dell’art. 177 c.c. poste dall’art. 179 c.c.

        Pertanto, sempre per la medesima Corte[30], ad esempio, l’indennità di accompagnamento, istituita dalla legge n. 18 del 1980, non è indirizzata al sostentamento dei soggetti minorati nelle loro capacità di lavoro, ma è configurabile come misura di integrazione e sostegno del nucleo familiare, incoraggiato a farsi carico di tali soggetti, evitando così il ricovero in istituti di cura e assistenza, con conseguente diminuzione della relativa spesa sociale. Ne consegue che la somma corrisposta a titolo di indennità di accompagnamento (nella specie arretrati corrisposti in unica soluzione) rientra nella comunione legale tra coniugi, non essendo equiparabile alla pensione attinente alla perdita totale o parziale della capacità lavorativa, prevista dalla lett. e) dell’art. 179 c.c. Né è possibile l’interpretazione analogica di tale disposizione, che contempla ipotesi tassative di eccezione al principio generale di inclusione dei beni nella comunione legale.

 

9)    Divisione

[31]

          Pur essendo un contratto oneroso, non costituisce titolo per l’acquisto di un bene in comunione immediata.

A)    Divisione senza conguaglio, il bene attribuito in proprietà esclusiva, per effetto della divisione, è bene comune o personale, a seconda che la quota in comunione fosse comune o personale;

B)    Divisione con conguaglio;

a)    secondo alcuni il bene attribuito al condividente è bene personale fino a concorrenza del valore della quota di comproprietà, mentre è comune per la parte acquistata versando il conguaglio;

b)    secondo altra opinione, preferibile, anche nell’ipotesi in cui si procede a divisione di beni personali il coniuge debba pagare un conguaglio in denaro, l’altro coniuge non può invocare alcun diritto di comunione per la parte del bene corrispondente al conguaglio versato.

 

10) Conferimento in società

          Il conferimento dei beni in società determina l’acquisto in comunione immediata delle quote di partecipazione.

          Relativamente, poi, all’esercizio dei diritti sociali, il coniuge non acquirente dovrà legittimarsi verso la società secondo le regole ordinarie in tema di trasferimento delle partecipazioni sociali; il coniuge non intestatario delle azioni o quote potrà, quindi, ottenere il riconoscimento della sua posizione di fronte alla società o con il consenso dell’altro coniuge giudizialmente.

          In altri termini, nei confronti della società è socio ed in quanto tale unico legittimato ad esercitare i diritti sociali e patrimoniali ed unico obbligato ai conferimenti, il coniuge che è iscritto nel libro dei soci e risulta intestatario  delle quote di partecipazione sociale.

          Il coniuge non intestatario può ottenere la contestazione della quota e l’iscrizione nel libro dei soci, sia nel caso in cui vi sia il consenso dell’altro coniuge intestatario, sia, nella ipotesi in cui questi non vi consenta, a mezzo di sentenza dichiarativa del suo diritto di comproprietà sulla quota intestata all’altro coniuge.

11) Beni immateriali

[32]

          I beni immateriali, quali i segni distintivi dell’impresa o delle merci, le creazioni della mente o le opere d’ingegno, qualora non rientranti nelle previsioni relative alle aziende, sono stati considerati, in dottrina, ai sensi dell’art. 177 a), c.c., come acquisti compiuti dai coniugi durante il matrimonio, ai sensi dell’art. 177 lett. C), c.c. come proventi dell’attività separata dei coniugi, oppure come beni personali del singolo coniuge[33].

          Secondo altro autore[34], però, bisogna distinguere tra bene immateriale in sé e proventi derivanti dallo stesso.

          Quest’ultimi devono essere inquadrati nella disciplina prevista dall’art. 177 lett. C), c.c. e costituiscono, pertanto, oggetto della comunione residuale.

          Il bene immateriale, invece, dal punto di vista patrimoniale potrebbe ritenersi un acquisto della coppia ed in quanto tale dovrebbe essere sottoposto alla relativa disciplina.

12) Prelazione e riscatto

[35]

          In materia di riscatto agrario, contitolare del relativo diritto, insieme al soggetto di uno dei rapporti contemplati dall’art. 8 della legge n. 590 del 1965, è il coniuge del medesimo, ove ricorra la ipotesi della comunione tacita familiare ex art. 2140 c.c. o della comunione dei beni di cui all’art. 228, secondo co., della legge 19 maggio 1975 n. 151, sulla riforma del diritto di famiglia, dato che, una volta operato il retratto, il bene oggetto dello stesso resterebbe comunque acquisito alla comunione[36].

          In tema di prelazione agraria il principio che la decadenza degli aventi diritto non legittima il concedente a vendere a persona diversa dal promissario acquirente risultante dal preliminare a quelli trasmesso, incidendo detta decadenza soltanto sul preliminare stesso nei termini in cui è stato trasmesso — con la conseguenza che una nuova e diversa ipotesi traslativa del fondo riattiva il diritto di prelazione — trova deroga nell’ipotesi in cui la vendita venga stipulata oltre che con l’originario promissario acquirente anche con il di lui coniuge che non risulti in regime diverso da quello di comunione legale ai termini dell’art. 177 c.c., atteso che, in presenza di tale situazione e della conseguente comunione ex lege da parte del coniuge del fondo acquistato, la detta vendita realizza, nel rapporto reale e nel rapporto agrario, una vicenda dagli effetti traslativi non diversi da quelli valutabili ex ante alla stregua del preliminare[37].

          Mentre, in tema di prelazione ai sensi dell’art. 39 della legge 27 luglio 1978 n. 392[38], qualora l’acquirente di un immobile urbano adibito ad uso diverso da quello di abitazione si trovi in regime di comunione legale dei beni con il coniuge, il giudizio di riscatto iniziato dall’avente diritto alla prelazione deve essere promosso nei confronti di entrambi, ancorché il coniuge sia rimasto estraneo al contratto stipulato dall’acquirente, posto che il coniuge, in forza dell’art. 177 c.c. ed in conformità della previsione contenuta nell’art. 1372 secondo co. c.c., assume ope legis la veste di destinatario diretto dello stesso effetto traslativo verificatosi in favore del contraente[39].

          Nel giudizio di riscatto, promosso dal conduttore di immobile destinato ad uso diverso da quello di abitazione, ai sensi dell’art. 39 della legge 27 luglio 1978 n. 392, nei confronti di colui che dall’atto di vendita risulti acquirente dell’immobile stesso, è litisconsorte necessario il coniuge del predetto acquirente, qualora tra i due coniugi sussista il regime di comunione legale, poiché gli acquisti compiuti da uno dei coniugi, anche separatamente, operano a vantaggio dell’altro, il quale diventa automaticamente proprietario del bene acquistato in ragione della metà; con la conseguenza che tutte le azioni di natura reale avente per oggetto il bene stesso — e quindi anche quelle di riscatto con le quali si tende ad ottenere una sentenza che riconosca il diritto di proprietà dello immobile in capo al conduttore, con effetti reali, validi erga omnes, ed in particolare nei confronti di tutti gli acquirenti dello stesso immobile — debbono essere proposte nei confronti di entrambi i coniugi, giacché, in mancanza, la sentenza, non potendo spiegare effetti nei confronti del coniuge che non abbia partecipato al giudizio, risulterebbe inutilmente pronunciata[40].

Le aziende

[41]

art. 177  lett. d  e co 2 c.c.   oggetto della comunione: ……………….

d) le aziende gestite da entrambi i coniugi e costituite dopo il matrimonio.

Qualora. Si tratti di aziende appartenenti ad uno dei coniugi anteriormente al matrimonio ma gestite da entrambi, la comunione concerne solo gli utili e gli incrementi.

          Dunque acquista rilevanza la gestione di entrambi i coniugi come fattore determinante della comunione sull’azienda nella sua interezza o solo sugli utili e gli incrementi.

          In relazione al disposto dell’art. 230 bis c.c., l’ipotesi di impresa familiare realizzata mediante la partecipazione del coniuge all’attività aziendale si differenzia dalla fattispecie dell’azienda coniugale prevista dall’art. 177 lett. d) c.c., in cui la collaborazione dei coniugi si attua con la gestione comune dell’impresa; ai fini di tale distinzione non ha alcuna rilevanza diretta il regime di comunione dei beni vigente tra i coniugi, che può spiegare effetti solo sul piano della tutela, ex art. 178 c.c., dei diritti sui beni destinati all’esercizio di impresa[42].

art. 182   co 2  c.c.    amministrazione affidata ad uno solo dei coniugi: …………….

Nel caso di gestione comune di azienda, uno dei coniugi può essere delegato dall’altro al compimento di tutti gli atti necessari all’attività dell’impresa.

          Questo art. è posto come rimedio alle difficoltà della continua presenza di entrambi i coniugi nella trattazione di molteplici affari inerenti all’impresi.

 

  • Questioni processuali

          Nella comunione legale tra coniugi, l’agire disgiunto dei medesimi per gli atti che non eccedono l’ordinaria amministrazione è comprensivo della facoltà di agire in giudizio a tutela del bene comune (nella specie, proponendo azione giudiziale a tutela del diritto comune al risarcimento del danno)[43].

          Il coniuge in comunione legale dei beni è litisconsorte necessario nel giudizio relativo alla natura giuridica, l’efficacia e l’esecuzione di un contratto, definito “compromesso divisionale”, relativo ad immobili appartenenti in comproprietà con terzi all’altro coniuge[44].

          In tema di simulazione[45], il coniuge in regime di comunione legale, estraneo all’accordo simulatorio, è terzo, legittimato a far valere la simulazione con libertà di prova, ai sensi degli artt. 1415, secondo co., e 1417 c.c., rispetto all’acquisto di un bene non personale, effettuato dall’altro coniuge durante il matrimonio con apparente intestazione a persona diversa, atteso che tale simulazione impoverisce il patrimonio della comunione legale, sottraendogli il diritto previsto dall’art. 177, lett. a), c.c.[46]

          Per l’esecuzione in forma specifica, a norma dell’art. 2932 c.c., di un preliminare di vendita di un bene immobile rientrante nella comunione legale dei coniugi, non è necessaria la sottoscrizione di entrambi i promittenti venditori, ma è sufficiente il consenso del coniuge non stipulante, traducendosi la mancanza di detto consenso in un vizio di annullabilità, da far valere, ai sensi dell’art. 184 c.c., nel rispetto del principio generale della buona fede e dell’affidamento, entro il termine di un anno, decorrente dalla conoscenza dell’atto o dalla trascrizione[47].

          Secondo una pronuncia delle sezioni unite[48], qualora uno dei coniugi, in regime di comunione legale dei beni, abbia da solo acquistato o venduto un bene immobile da ritenersi oggetto della comunione, il coniuge rimasto estraneo alla formazione dell’atto è litisconsorte necessario in tutte le controversie in cui si chieda al giudice una pronuncia che incida direttamente e immediatamente sul diritto, mentre non può ritenersi tale in quelle controversie in cui si chieda una decisione che incide direttamente e immediatamente sulla validità ed efficacia del contratto. Pertanto, in riferimento all’azione revocatoria esperita, ai sensi sia dell’art. 66 che dell’art. 67 legge fall., in favore del disponente fallito, non sussiste un ipotesi di litisconsorzio necessario, poiché detta azione non determina alcun effetto restitutorio né traslativo, ma comporta l’inefficacia relativa dell’atto rispetto alla massa, senza caducare, ad ogni altro effetto, l’atto di alienazione.

Principio ripreso da altra recente sentenza della S.C.

Corte di Cassazione, sezione III, sentenza 12 dicembre 2014, n. 26168

qualora uno dei coniugi, in regime di comunione legale dei beni, abbia da solo acquistato o venduto un bene immobile da ritenersi oggetto della comunione, il coniuge rimasto estraneo alla formazione dell’atto e’ litisconsorte necessario in tutte le controversie in cui si chieda al giudice una pronuncia che incida direttamente e immediatamente sul diritto dominicale, mentre non puo’ ritenersi tale in quelle controversie in cui si chieda una decisione che incide direttamente e immediatamente sulla validita’ ed efficacia del contratto. Pertanto, in riferimento all’azione revocatoria, esperita ai sensi dell’articolo 2901 c.c., non sussiste un ipotesi di litisconsorzio necessario, poiche’ detta azione non determina alcun effetto restitutorio ne’ traslativo, ma comporta l’inefficacia relativa dell’atto rispetto al creditore, senza caducare, ad ogni altro effetto, l’atto di alienazione. (Cass. n. 2082/13 ed in origine SU n. 9660/09).

Nuovamente sul punto la Cassazione

Corte di Cassazione, sezione II, sentenza 28 aprile 2016, n. 8468

ha precisato che riguardo al tema del litisconsorzio, le Sezioni Unite della Corte di cassazione, con la sentenza del 23.4.2009 n. 9660, hanno statuito che qualora uno dei coniugi, in regime di comunione legale dei beni, abbia da solo acquistato o venduto un bene immobile da ritenersi oggetto della comunione, il coniuge rimasto estraneo alla formazione dell’atto e’ litisconsorte necessario in tutte le controversie in cui si chieda al giudice una pronuncia che incida direttamente e immediatamente sul diritto. Non puo’, invece, ritenersi tale in quelle controversie in cui si chieda una decisione che incide direttamente e immediatamente sulla validita’ ed efficacia del contratto (vedi anche Cass. 29 gennaio 2013, n. 2082).

Nel caso di specie si controverte sul rispetto delle distanze dell’edificio costruito sul fondo in comunione legale ed e’ quindi necessaria la partecipazione del coniuge del ricorrente. L’azione con la quale si chiede, nei confronti di uno dei comproprietari dell’immobile confinante, la rimozione, o comunque l’arretramento a distanza legale, di opere assunte come abusivamente eseguite, da’ luogo ad un litisconsorzio necessario passivo e la mancata citazione di uno dei litisconsorti costituisce vizio rilevabile d’ufficio in ogni stato e grado del processo.

  • Questioni fiscali

        In merito è opportuno segnalare una pronuncia della S.C.[49] secondo la quale nel caso di vendita di appartamento ad uso abitativo in favore di coniugi in regime di comunione legale, la presenza, rispetto ad uno soltanto dei compratori, dei requisiti richiesti dall’art. 1 sesto co. della legge 22 aprile 1982 n. 168 per le agevolazioni contemplate in relazione all’acquisto della «prima casa», rende necessaria la diversificazione della tassazione dell’atto, con il riconoscimento di dette agevolazioni limitatamente alla quota di pertinenza di quel coniuge.

art. 185 c.c. amministrazione dei beni personali del coniuge: all’amministrazione dei beni che non rientrano nella comunione o nel fondo patrimoniale si applicano le disposizioni dei commi secondo, terzo e quarto dell’art. 217

 

 

La normativa in merito ai pesi, oneri ed alle obbligazioni

art. 186 c.c. obblighi gravanti sui beni della comunione: i beni della comunione rispondono:

a) di tutti i pesi ed oneri gravanti su di essi al momento dell’acquisto;

b) di tutti i carichi dell’amministrazione;

c) delle spese per il mantenimento della famiglia e per l’istruzione e l’educazione dei figli e di ogni obbligazione contratta dai coniugi, anche separatamente, nell’interesse della famiglia;

d) di ogni obbligazione contratta congiuntamente dai coniugi.

 

Nella disciplina del diritto di famiglia introdotta dalla legge 19 maggio 1975 n. 151, l’obbligazione assunta da un coniuge in nome proprio e non anche in rappresentanza dell’altro coniuge, per soddisfare bisogni familiari, non pone detto altro coniuge nella veste di debitore solidale, giacché, pure in regime di comunione dei beni, è da escludere una deroga al principio dell’art. 1372 co. secondo c.c., per cui il contratto non produce effetti rispetto ai terzi che nei casi previsti dalla legge[50].

Il suddetto principio opera indipendentemente dal fatto che i coniugi si trovino in regime di comunione dei beni, essendo la circostanza rilevante solo sotto il diverso profilo dell’invocabilità da parte del creditore della garanzia dei beni della comunione o del coniuge non stipulante, nei casi e nei limiti di cui agli artt. 189 e 190 c.c.[51]

 

art. 187 c.c. obbligazioni contratte dai coniugi prima del matrimonio: i beni della comunione , salvo quanto disposto nell’art. 189, non rispondono delle obbligazioni contratte da uno dei coniugi prima del matrimonio

 

art.  188 c.c. obbligazioni derivanti da donazioni o successioni: i beni della comunione , salvo quanto disposto nell’art. 189, non rispondono delle obbligazioni da cui sono gravate le donazioni e le successioni conseguite dai coniugi durante il matrimonio e non attribuite alla comunione

 

art. 189 c.c.  obbligazioni contratte separatamente dai coniugi: i beni della comunione fino al valore corrispondente alla quota del coniuge obbligato, rispondono, quando i creditori non possono soddisfarsi sui beni personali , delle obbligazioni contratte dopo il matrimonio, da uno dei coniugi per il compimento di atti eccedenti l’ordinaria amministrazione senza il necessario consenso dell’altro.

I creditori particolari di uno dei coniugi, anche se il credito è sorto anteriormente al matrimonio, possono soddisfarsi in via sussidiaria sui beni della comunione, fino al valore corrispondente alla quota del coniuge obbligato. Ad essi, se chirografari, sono preferiti i creditori della comunione

 

art. 190 c.c. responsabilità sussidiaria dei beni personali: i creditori possono agire in via sussidiaria sui beni personali di ciascuno dei coniugi, nella misura della metà del credito, quando i beni della comunione non sono sufficienti a soddisfare i debiti su di essa gravanti

C)  I beni de residuo

          Oltre ai beni che entrano immediatamente nella comunione, ve ne sono altri che devono essere considerati in essa solo nel momento in cui si scioglie, al fine della divisione in parti uguali tra i coniugi.

          Tali beni sono indicati dalle lettere b) e c) dell’art. 177 e dall’art. 178 c.c.

art. 177 c.c.   oggetto della comunione: costituiscono oggetto della comunione:………..

B) i frutti dei beni propri di ciascuno dei coniugi, percepiti e non consumati allo scioglimento della comunione;

C) i proventi dell’attività separata di ciascuno dei coniugi se, allo scioglimento della comunione, non siano stati consumati

………..

          Secondo autorevole dottrina[52] è legittimo affermare l’incoerenza del legislatore nell’aver scelto di ritenere alcuni beni personali nel momento in cui vengono prodotti e comuni allorché si deve procedere alla divisione.

          Questa scelta potrebbe spiegarsi con la considerazione che, in costanza di matrimonio, proventi e frutti ed incrementi, che costituiscono l’oggetto della comunione residuale, vengono di fatto gestiti e goduti insieme dai coniugi.

          Le norme in questione non farebbero altro che proiettare questa realtà al momento in cui essa cessa di esser operativa. Ma questa spiegazione, appunto, non convince, in quanto, se il legislatore avesse voluto prendere atto del fatto che, nell’usualità dei comportamenti, proventi e frutti vengono gestiti in comune, avrebbe potuto direttamente includerli nella comunione.

          Appare più convincente, secondo altri autori[53], l’idea che quella adottata dal legislatore sia una soluzione di compromesso, che non ha previsto o tenuto conto dei possibili comportamenti individuali, idonei a frustrare i contenuti delle nuove disposizioni di legge.

          Per la S.C.[54] è chiaro che l’art. 177 lett. c) del codice civile esclude dalla comunione legale i proventi dell’attività separata svolta da ciascuno dei coniugi e consumati, anche per fini personali, in epoca precedente allo scioglimento della comunione.

          Costituiscono oggetto della comunione cosiddetta de residuo, ai sensi dell’articolo 177 lett c) c.c., non solo quei redditi per i quali si riesca a dimostrare che sussistano ancora al momento dello scioglimento della comunione ma anche quelli, percetti e percipiendi, rispetto ai quali il coniuge titolare non riesca a dimostrare che siano stati consumati o per il soddisfacimento dei bisogni della famiglia o per investimenti già caduti in comunione[55].

          Secondo altra pronuncia[56], meno recente, i frutti di un bene che si sottragga al regime di comunione legale tra coniugi, come quello che sia pervenuto ad uno dei coniugi per effetto di successione (art. 179 primo co. lett. b) c.c.), costituiscono oggetto di comunione, e possono di conseguenza essere aggrediti dal creditore dell’altro coniuge ai sensi e nei limiti fissati dall’art. 189, secondo co. c.c., alla duplice condizione che si verifichi lo scioglimento della comunione stessa, a seguito del dissolversi della convivenza coniugale, e che tali frutti, percepiti dal titolare durante la convivenza, non siano stati consumati al momento di detto scioglimento (cosiddetta, appunto, comunione de residuo, a norma dell’art. 177 lett. b) c.c.).

          Per la Corte Palermitana[57] in tema di regime patrimoniale della famiglia, la lett. c dell’art. 177 c.c., nel far rientrare nella comunione de residuo i proventi dell’attività separata di ciascuno dei coniugi se, allo scioglimento della comunione, non siano stati consumati, si riferisce non solo a quei redditi per i quali si riesca a dimostrare che sussistano ancora al momento dello scioglimento della comunione ma anche a quelli, percetti e percipiendi, rispetto ai quali il coniuge titolare non riesca a dimostrare che siano stati consumati o per il soddisfacimento dei bisogni della famiglia o per investimenti già caduti in comunione.

          Per la Corte Capitolina[58] i beni di cui all’art. 178 c.c. devono qualificarsi sulla base dell’oggettivo criterio della loro effettiva finalizzazione, dopo il matrimonio, all’attività imprenditoriale di uno dei coniugi (non di entrambi i coniugi, nel qual caso si applica l’art. 177 lett. d) c.c.), mentre i beni ex art. 179 lett. d) c.c. si caratterizzano per la loro stretta appartenenza alla sfera personale di un coniuge e sono strumentali allo svolgimento di un’attività libero-professionale. Nel primo caso il bene acquistato dal coniuge-imprenditore entra nella comunione legale in modo differito ed eventuale (comunione de residuo), mentre nel secondo caso, invece, i beni acquistati per la professione restano personali, salva l’eccezione di cui al secondo co. dell’art. 179 c.c., che per l’esclusione dalla comunione di alcuni beni richiede quale ulteriore requisito la partecipazione dell’altro coniuge all’atto di acquisto.

          Per alcuni autori[59] rientrano nei beni ex art. 177 lett b) tutte le utilità derivanti da lavoro subordinato o autonomo, siano esse continuative o saltuarie.

          Per altri autori[60] ricadono nella comunione residuale i risparmi liquidi, i depositi su c/c o libretti, bancari o postali, i dividendi le rendite di qualsiasi tipo.

          La Corte di Cassazione[61], invece, ha affermato che il denaro rinvenuto al momento dello scioglimento della comunione, qualora costituisca provento dell’attività separata di ciascuno (o di uno) dei coniugi, è oggetto della comunione in via assoluta, ai sensi dell’art. 177 lett. c) c.c., senza che possa ammettersi una prova contraria a norma dell’ultima parte dell’art. 195 c.c., e di conseguenza deve essere ripartito in parti uguali al momento della divisione dei beni (art. 194, primo co., c.c.) sia che provenga dall’attività di uno solo dei coniugi, sia che provenga dalle singole attività dei due coniugi, ancorché in misura diversa per ciascuno di essi.

La comunione residuale è determinata anche dall’art. 178 c.c.

art. 178 c.c.     beni destinati all’esercizio di impresa: i beni destinati all’esercizio dell’impresa di uno dei coniugi costituita dopo il matrimonio e gli incrementi dell’impresa costituita anche precedentemente si considerano oggetto della comunione solo se sussistono al momento dello scioglimento di questa.

          Gli incrementi consistono nella differenza di valore tra le consistenze dell’inventario all’inizio dell’impresa (per le aziende costituite dopo il matrimonio) o al momento del matrimonio (per le aziende costituite in epoca precedente) e le consistenze valutabili all’epoca dello scioglimento della comunione.

          Secondo, poi, altro autore[62], gli utili non devono essere menzionati nella comunione residuale perché, se precedentemente percepiti, sono stati verosimilmente già consumati oppure si sono tradotti in incrementi, se invece si tratta di utili non distribuiti, e quindi ancora esistenti al momento dello scioglimento, il ritenere che essi debbano avere un regime diverso da quello degli incrementi è privo di giustificazione logiche e viola la ratio che ispira tutto il sistema della comunione residuale.

          Per il Tribunale Euganeo[63] l’art. 177 lett. c) c.c. esclude dalla comunione i proventi dell’attività separata svolta da ciascuno dei coniugi se tali proventi siano stati consumati, anche per fini esclusivamente personali, in epoca precedente allo scioglimento del regime legale.

          Con particolare riferimento al saldo attivo di un conto corrente bancario intestato, in regime di comunione legale dei beni, soltanto ad uno dei coniugi e nel quale siano affluiti proventi dell’attività separata svolta dallo stesso, se ancora sussistente esso entra a far parte della comunione legale dei beni solo al momento dello scioglimento della stessa con la conseguente insorgenza, solo da tale epoca, di una titolarità comune dei coniugi sul predetto saldo.

D)  I beni personali

art. 179 c.c.    beni personali: non costituiscono oggetto della comunione e sono beni personali del coniuge:

a)    i beni di cui, prima del matrimonio , il coniuge era proprietario o rispetto ai quali era titolare di un diritto reale di godimento;

b)    i beni acquisiti successivamente al matrimonio (per effetto dell’esercizio del riscatto) per  effetto di donazione o successione, quando nell’atto di liberalità o nel testamento non è specificato che essi sono attribuiti alla comunione;

c)     i beni di uso strettamente personale di ciascun coniuge ed i loro accessori;

d)    i beni che servono all’esercizio della professione del coniuge, tranne quelli destinati alla conduzione di un’azienda facente parte della comunione;

e)    i beni ottenuti a titolo di risarcimento del danno nonché la pensione attinente alla perdita parziale o totale della capacità lavorativa;

f)     i beni acquisiti con il prezzo del trasferimento dei beni personali sopraelencati o col loro scambio, purché ciò sia espressamente dichiarato all’atto dell’acquisto (2647)

L’acquisto di beni immobili, o di beni mobili elencati nell’art. 2683, effettuato dopo il matrimonio, è escluso dalla comunione, ai sensi delle lett. c), d) ed f) del precedente co., quando tale esclusione risulti dall’atto di acquisto se di esso sia stato parte anche l’altro coniuge.

          Con tale previsione il Legislatore ha, altresì, inteso riconoscere al singolo coniuge una sfera esclusiva, legata alle attività strettamente personali ed all’esercizio della professione.

          È bene anche sottolineare che l’elencazione riportata nel dettato normativo non è esaustiva ma accumulabile all’intero sistema normativo che determina a contrario  da altre voci.

Ad esempio parte della dottrina[64] ha previsto anche che:

1)   i beni immateriali[65], anche se c’è dottrina contraria come già visto;

2)   l’usufrutto legale sui beni del figlio;

3)   l’acquisto jure soli della metà del tesoro o l’acquisto di una servitù in favore di un fondo personale;

4)   il diritto agli alimenti ex art. 433 c.c.;

5)   il diritto di partecipazione ad una società cooperativa;

6)   le somme di denaro ricevute con forme di finanziamento che generano un’obbligazione di restituzione a carico del singolo coniuge;

7)   i diritti di garanzia costituiti ex artt. 2784 e 2808 c.c. su  beni personali;

resterebbero esclusi dalla comunione.

          In merito alla lettera f) per la S.C.[66], la dichiarazione di cui è onerato il coniuge acquirente al fine di conseguire l’esclusione, dalla comunione, dei beni acquistati con il trasferimento di beni strettamente personali o con il loro scambio, non è meramente facoltativa; tuttavia, pur non avendo natura dispositiva, ma ricognitiva della sussistenza dei presupposti per l’acquisto personale, è necessaria solo quando la natura dell’acquisto sia obbiettivamente incerta, per non essere accertato che la provvista necessaria costituisca reinvestimento del prezzo di beni personali. (Nella fattispecie, relativa al deposito di titoli in custodia e amministrazione, che uno dei coniugi riteneva di sua proprietà esclusiva perché acquistati con denaro ricavato dalla vendita di beni personali, pur in mancanza della dichiarazione di cui all’art. 179, primo co., lett. f), c.c., la S.C. ha ritenuto che la contestazione dei titoli anche all’altro coniuge e la sua partecipazione all’atto di contestazione costituissero indici inequivoci della volontà di mettere in comune l’acquisto, con conseguente appartenenza dei titoli alla comunione).

          È stato anche specificato[67] che il denaro ottenuto a titolo di prezzo per l’alienazione di un bene personale rimane nella esclusiva disponibilità del coniuge alienante anche quando esso venga dal medesimo accantonato sotto forma di deposito bancario sul proprio conto corrente, giacché il diritto di credito relativo al capitale non può considerarsi modificazione del capitale stesso, né è d’altro canto configurabile come un acquisto nel senso indicato dall’art. 177, primo co., lettera a), c.c., cioè come un’operazione finalizzata a determinare un mutamento effettivo nell’assetto patrimoniale del depositante. Pertanto, il coniuge può utilizzare le somme accantonate sul di lui conto corrente, provenienti dall’alienazione di un bene personale, ai fini della surrogazione reale di cui all’art. 179, primo co., lettera f), c.c.

          Inoltre, sempre per la giurisprudenza di legittimità[68], al prezzo, che è costituito da denaro, deve equipararsi, per analogia iuris, ai sensi dell’art. 12, co. secondo, delle preleggi, ricorrendo identità di ratio, il danaro che, anziché ricavato dalla vendita di un bene donato o ereditato (art. 179, lett. b), c.c.) sia stato direttamente acquisito a titolo gratuito da uno dei coniugi e poi investito nell’acquisto dei beni. La dichiarazione espressa all’atto di acquisto, prevista dall’art. 179, lett. f), è necessaria, nei confronti dell’altro coniuge (diversa essendo la posizione dei terzi), unicamente quando il suo consorte sia venuto a trovarsi nella disponibilità non solo del denaro (o dei beni) acquisiti per donazione o successione, ma anche di denaro o beni pervenutigli aliunde (per es. frutto del proprio lavoro), e non anche quando l’inesistenza di tale duplicità di mezzi sia ragionevolmente conoscibile dall’altro coniuge (come nel caso di reimpiego di grossi capitali dei quali i coniugi non avrebbero potuto disporre in base alla loro situazione personale).

Di recente la Corte di Legittimità

Corte di Cassazione, sezione I, sentenza 5 giugno 2013, n.14197

dando continuità  ad un indirizzo già espresso (Cass. 4680/1998, cit., in motivaz. Cass. 11327/1997, 4680/1998, 15778/2000), ha riaffermato che la donazione indiretta rientra nella previsione di cui alla lett. b) del primo comma dell’art. 179 c.c., onde non trova applicazione, per precisa scelta legislativa, la disposizione di cui alla lett. f) del medesimo comma, né quella di cui al secondo comma, che alla lett. b) non fa riferimento, considerato anche che non è detto che i criteri dettati dall’art. 179 c.c. per la qualificazione dei beni come personali offrano sempre assoluta certezza .

          Per le sezioni Unite[69] la partecipazione all’atto dell’altro coniuge non acquirente, prevista dall’art. 179, secondo co., c.c., si pone come condizione necessaria ma non sufficiente per l’esclusione del bene dalla comunione, occorrendo a tal fine non solo il concorde riconoscimento da parte dei coniugi della natura personale del bene, richiesto esclusivamente in funzione della necessaria documentazione di tale natura, ma anche l’effettiva sussistenza di una delle cause di esclusione dalla comunione tassativamente indicate dall’art. 179, primo co., lett. c), d) ed f), c.c., con la conseguenza che l’eventuale inesistenza di tali presupposti può essere fatta valere con una successiva azione di accertamento negativo, non risultando precluso tale accertamento dal fatto che il coniuge non acquirente sia intervenuto nel contratto per aderirvi.

          Nella stessa sentenza[70] si continua a leggere che la dichiarazione resa nell’atto dall’altro coniuge non acquirente, ai sensi dell’art. 179, secondo co., c.c., in ordine alla natura personale del bene, si atteggia diversamente a seconda che tale natura dipenda dall’acquisto dello stesso con il prezzo del trasferimento di beni personali del coniuge acquirente o dalla destinazione del bene all’uso personale o all’esercizio della professione di quest’ultimo, assumendo nel primo caso natura ricognitiva e portata confessoria di presupposti di fatto già esistenti, ed esprimendo nel secondo la mera condivisione dell’intento del coniuge acquirente. Ne consegue che l’azione di accertamento negativo della natura personale del bene acquistato postula nel primo caso la revoca della confessione stragiudiziale, nei limiti in cui la stessa è ammessa dall’art. 2732 c.c., e nel secondo la verifica dell’effettiva destinazione del bene, indipendentemente da ogni indagine sulla sincerità dell’intento manifestato.

          Per ultima Cassazione[71] la dichiarazione di assenso ex art. 179, secondo co., c.c. del coniuge formalmente non acquirente, ma partecipante alla stipula dell’atto di acquisto, relativa all’intestazione personale del bene immobile o mobile registrato all’altro coniuge, può assumere natura ricognitiva e portata confessoria – quale fatto sfavorevole al dichiarante e favorevole all’altra parte – sebbene esclusivamente di presupposti di fatto già esistenti, laddove sia controversa, tra i coniugi stessi, l’inclusione del medesimo bene nella comunione legale. Analoga efficacia in favore del coniuge formalmente acquirente non può, invece, attribuirsi ad una tale dichiarazione nel diverso giudizio fra i coeredi di colui che l’aveva resa, terzi rispetto al suddetto atto, in cui si discuta della configurabilità del menzionato acquisto come una donazione indiretta di quello stesso bene in favore del coniuge da ultimo indicato, nonché della sussistenza dei presupposti per il suo conferimento nella massa ereditaria del de cuius.

          In precedenza la Corte[72] aveva statuito che al fine di escludere l’applicazione del regime della comunione legale dei beni è necessario, oltre ai requisiti indicati nelle lettere c); d); ed f) del primo co. dell’art. 179 c.c., che l’altro coniuge partecipi all’atto di acquisto e che risulti espressamente tale esclusione. La mancata contestazione o l’esplicita conferma da parte del coniuge non acquirente, pur avendo natura ricognitiva e non negoziale, costituisce tuttavia un atto giuridico volontario e consapevole, cui il legislatore attribuisce l’efficacia di una dichiarazione a contenuto sostanzialmente confessorio, idonea a determinare l’effetto di una presunzione juris et de jure di non contitolarità dell’acquisto, di natura non assoluta ma superabile mediante la prova che la dichiarazione sia derivata da errore di fatto o da dolo e violenza nei limiti consentiti dalla legge.

          Per ultima pronuncia del Tribunale Milanese[73] la cointestazione di un conto corrente, attribuendo agli intestatari la qualità di creditori o debitori solidali dei saldi del conto, sia nei confronti dei terzi che nei rapporti interni, lascia presumere la contitolarità dell’oggetto del contratto. Una tale presunzione, tuttavia, dà unicamente luogo all’inversione dell’onere probatorio e può essere superata attraverso presunzioni semplici, purché gravi, precise e concordanti, dalla parte che deduca una situazione giuridica diversa da quella risultante dalla cointestazione stessa. Nel caso concreto, contestata la natura personale dell’acquisto immobiliare effettuato da parte convenuta in costanza di matrimonio, con conseguente accertamento della caduta in comunione legale del bene stesso, la suddetta presunzione di contitolarità del saldo del conto corrente deve certamente ritenersi superata dalla consapevolezza dell’attore, dirigente bancario, dell’acquisto da parte della moglie di una ingente somma di denaro per successione ereditaria. Né tale consapevolezza è stata contestata in corso di causa, ove al contrario è emersa la circostanza che la stessa è stata confermata dall’attore al pubblico ufficiale rogante in occasione dell’acquisto dell’immobile per cui è causa, partecipando all’atto pubblico nei termini di legge ex art. 179 c.c., per cui deve escludersi, diversamente da quanto dedotto, che il bene sia caduto in comunione legale.

E)  Amministrazione dei beni

1)   Amministrazione dei beni

Vige l’esclusione dei criteri di maggioranza indicati nell’art. 1105 c.c. riguardo alla comunione in ordinaria.

art. 180 c.c.     amministrazione dei beni della comunione: l’amministrazione dei beni della comunione e la rappresentanza in giudizio per gli atti ad essa relativi spettano disgiuntamente ad entrambi i coniugi.

Il compimento degli atti eccedenti l’ordinaria amministrazione, nonché la stipula dei contratti con i quali si concedono o si acquistano diritti personali di godimento e la rappresentanza in giudizio per le relative azioni spettano congiuntamente ad entrambi i coniugi.

 

          Lo scopo di tale normativa appare quello di garantire la parità tra i coniugi e di assicurare ad essi la possibilità di un reciproco controllo nella gestione del patrimonio comune.

          Per tale disciplina ciascuno dei coniugi è abilitato a compiere gli atti di amministrazione senza la presenza dell’altro, come se fosse titolare esclusivo del bene.

          La legge, però, non dice quali siano gli atti di ordinaria e straordinaria amministrazione ed il compito di individuarli spetterà, se del caso, all’interprete.

          Secondo parte della dottrina sono di ordinaria amministrazione tutti gli atti che assicurano il mantenimento della famiglia, ivi compresi quelli attinenti alla gestione dell’azienda facente parte della comunione, mentre sono di straordinaria amministrazione quegli atti che risultano impegnativi per la comunione legale, anche in ragione della loro intrinseca rischiosità.

          Per altri autori la  distinzione la si può ritrovare in analogia in ordine ai beni degli incapaci.

          Secondo una pronuncia della S.C.[74], ad esempio, nel caso di comunione legale del bene locato il recesso dal relativo contratto di locazione è atto di ordinaria amministrazione che può essere esercitato anche da uno solo dei coniugi comproprietari dell’immobile locato; l’altro coniuge, tuttavia, riveste la qualità di litisconsorte necessario nel giudizio di rilascio ed è l’unico legittimato a far valere l’eventuale difetto di integrità del contraddittorio con intervento in causa o proponendo opposizione di terzo.

          La rappresentanza in giudizio per gli atti relativi alla amministrazione dei beni facenti parte della comunione legale spetta, a norma dell’art. 180 c.c., ad entrambi i coniugi e quindi ciascuno di essi è legittimato ad esperire qualsiasi azione di carattere reale o con effetti reali diretta alla tutela della proprietà e del godimento della cosa comune, senza che sia necessaria la partecipazione al giudizio dell’altro coniuge[75].

  • Per la stipula dei contratti

          Rientrano, pertanto, la locazione[76], l’affitto, il comodato[77], la mezzadria, il leasing e l’anticresi.

          La  necessità del consenso di entrambi i coniugi per la stipulazione dei contratti si giustifica con riferimento a quelli per il loro contenuto, concretano scelte decisionali influenti sull’indirizzo della famiglia ai sensi dell’art. 144 c.c.

          Questa disposizione è stata giudicata contraddittoria in quanto richiede il consenso di entrambi per l’acquisto di diritti personali di godimento, mentre consente al singolo coniuge di determinare da solo l’acquisto di diritti reali.

          Alcuni autori[78] hanno proposto un’interpretazione abrogativa, così ritenendo, in armonia con quanto previsto dall’art. 177 lett a), possibili gli acquisti di diritti di godimento sia nel caso in cui siano compiuti da un solo coniuge, sia nel caso in cui siano compiuti da entrambi.

          Ma secondo altro autore[79] seppure tale interpretazione sia oggi prevalente, le contraddizioni evidenziate dalla dottrina non sarebbero insuperabili e non impedirebbero soluzioni diversi, conformi alla norma.

          Per tale autore la ratio fondamentalmente è da rinvenirsi nella preoccupazione avvertita, dai lavori parlamentari nell’ambito della stesura della riforma, di evitare che il patrimonio comune potesse trovarsi sottoposto ad obbligazioni gravose ed eventualmente periodiche, contratte da un solo coniuge.

  • Questioni processuali

          Le sezioni unite[80] sono intervenute nel dirimere un contrasto giurisprudenziale in ordine alla necessità o meno di integrare il contraddittorio nei confronti dell’altro coniuge rimasto estraneo alla stipulazione del contratto, nelle controversie aventi ad oggetto la revocatoria dell’acquisto di un immobile, compiuto separatamente dal coniuge in regime di comunione legale.

          Orbene la Corte ha affermato il seguente principio di diritto:

          Qualora uno dei coniugi, in regime di comunione legale dei beni, abbia da solo acquistato o venduto un bene immobile oggetto della comunione, il coniuge rimasto estraneo alla formazione dell’atto deve ritenersi litisconsorte necessario nelle controversie in cui si chieda al giudice una decisione che incida direttamente ed immediatamente sul diritto. Non può ritenersi tale, invece, in quelle controversie in cui si chieda una decisione che incida direttamente ed immediatamente sulla validità od efficacia del contratto.

          I termini del contrasto possono riassumersi nel modo che segue.

          Una pronuncia della Corte di Cassazione[81] ha affermato che il contraddittorio non deve essere integrato nel caso in cui il coniuge sia rimasto estraneo alla formazione dell’atto compiuto dall’altro coniuge.

          In particolare, sottolinea la Corte, che l’azione revocatoria è diretta ad ottenere la declaratoria di inefficacia dell’atto di disposizione rimanendo escluso l’accertamento sulla titolarità dell’acquisto del bene. Ebbene, il coniuge rimasto estraneo non può considerarsi parte del negozio solo perché l’acquisto esplica ope legis i suoi effetti anche in capo al medesimo in ragione del regime di comunione.

          In senso contrario altra giurisprudenza[82] ha ritenuto, precedentemente, necessaria l’integrazione del contraddittorio nei confronti del coniuge, in comunione legale, rimasto estraneo alla formazione dell’atto.

          La tesi poggiava sulla seguente considerazione, ovvero, è ininfluente la natura personale e non reale dell’azione revocatoria in quanto è pur sempre destinata a travolgere i diritti che dal negozio scaturiscono, sicché i coniugi non condividono esclusivamente il diritto sulla cosa oggetto del contratto di acquisto, ma condividono entrambi il medesimo titolo d’acquisto.

          Indicato il contrasto giurisprudenziale di cui sopra, le Sezioni Unite riportano le norme che possono rilevare al fine di risolvere il caso di specie.

          In particolare, la Suprema Corte menziona gli artt. 180 e 184 c.c., quest’ultimo dispone, in tema di beni immobili, che gli atti compiuti da un coniuge senza il consenso dell’altro  coniuge e da questo non convalidati sono annullabili e che detta azione può essere proposta dal coniuge il cui consenso era necessario entro un anno dalla data in cui ha avuto conoscenza dell’atto e in ogni caso entro un anno dalla trascrizione.

          Dall’analisi della norma le S.C. conclude con la considerazione secondo cui in tema di alienazione di un immobile posto in essere da uno solo dei contitolari il negozio è efficace pur se sottoposto alla sanzione dell’annullabilità per iniziativa del coniuge pretermesso. Diverse considerazioni valgono, viceversa, per il regime degli acquisti il quale risulta ancor più libero sotto il profilo delle interrelazioni  tra i coniugi.

          In altri termini, la dottrina prevalente, come sostiene la Corte,  esclude l’applicabilità della disciplina di cui all’art. 184 c.c. nell’ipotesi degli acquisti effettuati da uno solo dei coniugi. A tal proposito si argomenta sostenendo che l’art. 180 c.c. usa l’espressione “amministrazione dei beni della comunione” la quale induce l’interprete a ragionare sui beni già facenti parte del patrimonio; inoltre, l’art. 177 c.c., co. 1, lett. a) nel descrivere cosa costituisce oggetto della comunione non dedica alcuna rilevanza alla mancata partecipazione di uno dei coniugi al negozio di acquisto, disponendo, viceversa, che l’acquisto eseguito separatamente da uno dei coniugi comporta parimenti l’effetto ope legis di comproprietà del diritto.

          Le Sezioni Unite, ciò riportato, continuano nel loro argomentare logico-giuridico dedicando ampio spazio ad altre pronunce giurisprudenziali rese dalle Sezioni Unite della Corte di Cassazione in tema rispettivamente di litisconsorzio necessario nell’ipotesi di acquisto e di vendita del bene senza, ovviamente, la partecipazione dell’altro coniuge.

          Ebbene, la S.C. afferma che sia in caso di acquisto che di alienazione, le norme del codice civile non dispongono nel senso di ritenere necessario il litisconsorzio del coniuge pretermesso né a tale convincimento è possibile pervenire seguendo un parallelo percorso interpretativo.

          Invero, bisogna affermare che il contratto ovvero l’atto di disposizione consta di due momenti giuridici differenti pur se inscindibilmente legati e cioè dell’atto e del rapporto.

          L’uno attiene alla formazione dell’atto negoziale l’altro agli effetti (trasferimento ope legis del diritto in misura pari alla metà anche in capo al coniuge che non ha preso parte al negozio).

          Ciò considerato, il litisconsorzio necessario ricorre quando la situazione sostanziale plurisoggettiva dedotta in giudizio debba essere necessariamente decisa, alla stregua di un accertamento da effettuarsi sulla base del risultato perseguito in giudizio dall’attore (petitum), a ciò deve collegarsi che nel giudizio avente ad oggetto la revocatoria del negozio il giudice dovrà incentrare la sua indagine nei requisiti di validità e delle condizioni e limiti di efficacia dell’atto.

          Pertanto, rileva chi ha materialmente preso parte all’atto e non chi in maniera indiretta ne risulterà destinataria ope legis degli effetti.

          In definitiva qualora uno dei coniugi, in regime di comunione legale dei beni, abbia da solo acquistato o venduto un bene immobile da ritenersi oggetto della comunione, il coniuge rimasto estraneo alla formazione dell’atto devesi ritenere litisconsorte necessario nelle controversie in cui si chieda al giudice una decisione, che incida direttamente ed immediatamente sul diritto, mentre non puo’ ritenersi tale in quelle controversie in cui si chieda una decisione che incida direttamente ed immediatamente sulla validità od efficacia del contratto.

          È opportuno a tal’uopo riportare alcune pronunce della S.C.

          Per una prima massima[83] l’art. 180, secondo co., c.c. attribuisce a ciascuno dei coniugi il diritto alla stipula congiunta dei contratti con i quali si concedono o si acquistano diritti personali di godimento, ma non comporta l’ingresso ipso iure, nel contratto stipulato dall’altro coniuge, del coniuge pretermesso il quale, ove non intenda chiedere l’annullamento dell’atto, può convalidare lo stesso (art. 184), acquistando così la qualità di parte nel rapporto contrattuale e quella di litisconsorte necessario nelle azioni proposte contro il coniuge che ha stipulato l’atto.

          Conseguentemente, ad esempio, in mancanza di tale convalida, legittimato passivo nella controversia diretta ad ottenere il recesso del locatore dal contratto di locazione ex art. 59 n. 1 della legge n. 392 del 1978 è unicamente il coniuge che ha stipulato il contratto, anche se la stipulazione sia successiva alla legge n. 151 del 1975 ed in regime di comunione legale.

          Sempre in tema di locazione qualora la risoluzione del rapporto di locazione venga domandata da un coniuge diverso da quello che ha contrattualmente assunto la qualità di locatore, il riconoscimento della legittimazione dell’istante postula, oltre alla ricorrenza di un consenso, anche presunto, di detto locatore, la dimostrazione della comproprietà dei coniugi medesimi del bene locato, e, pertanto, ove si tratti di rapporto anteriore all’entrata in vigore della riforma del diritto di famiglia di cui alla legge 19 maggio 1975 n. 151, con conseguente inapplicabilità del regime di comunione legale fissato da tale legge, la prova del titolo costitutivo della comproprietà medesima (quale la convenzione contemplata dall’allora vigente art. 228 c.c.)[84].

          Altra giurisprudenza di legittimità[85], invece, ha affermato che il coniuge in comunione legale dei beni è litisconsorte necessario nel giudizio relativo alla natura giuridica, l’efficacia e l’esecuzione di un contratto, definito “compromesso divisionale”, relativo ad immobili appartenenti in comproprietà con terzi all’altro coniuge.

          Anche perché secondo altra pronuncia[86] la divisione[87] di un bene comune va annoverata tra gli atti eccedenti l’ordinaria amministrazione. Pertanto, ai sensi dell’art. 180, secondo co., c.c., come sostituito dalla legge n. 151 del 1975 sulla riforma del diritto di famiglia, qualora del bene da dividere siano comproprietari, assieme ad altri, due coniugi in regime di comunione legale, la rappresentanza spetta congiuntamente ad entrambi, con la conseguenza che entrambi sono litisconsorti necessari, ex art. 784 c.p.c., nel giudizio divisionale da chiunque promosso.

          In merito poi al contratto preliminare di vendita di bene immobile, per giurisprudenza di merito[88], (che, ai sensi dell’art. 180, co. 2, c.c., è atto di straordinaria amministrazione, giacché si pone quale momento originario di una sequenza obbligatoria e successiva il cui esito necessitato è il trasferimento della proprietà del bene) stipulato da un coniuge senza la partecipazione o il consenso dell’altro, è soggetto alla disciplina dell’art. 184, co. 1, c.c. e non è pertanto inefficace nei confronti della comunione, ma solamente esposto all’azione di annullamento da parte del coniuge non consenziente, nel breve termine prescrizionale entro cui è ristretto l’esercizio di tale azione, decorrente dalla conoscenza effettiva dell’atto, ovvero, in via sussidiaria, dalla trascrizione o dallo scioglimento della comunione.

          Non di poca importanza è il principio dell’apparenza applicabile alla fattispecie in esame.

          Ovvero, per la S.C.[89] in materia di rapporti patrimoniali tra coniugi, il contraente che ha contrattato con uno solo dei coniugi può invocare il principio dell’apparenza del diritto, al fine di sostenere il suo ragionevole affidamento sul fatto che questi agisse anche in nome e per conto dell’altro coniuge solo qualora si verifichino le seguenti condizioni:

a) uno stato di fatto non corrispondente allo stato di diritto;

b) il ragionevole convincimento del contraente, derivante da errore scusabile, che lo stato di fatto rispecchiasse la realtà giuridica.

          Ne consegue che, per poter invocare il principio dell’apparenza del diritto, il terzo deve comunque provare la propria buona fede e la ragionevolezza dell’affidamento, non essendo invocabile il principio in questione da chi versi in colpa per aver omesso di accertare, in contrasto con la stessa legge oltre che con le norme di comune prudenza, la realtà delle cose.

2)   Il disaccordo

art. 181 c.c.    rifiuto di consenso: se uno dei coniugi rifiuta il consenso per la stipulazione di un atto di straordinaria amministrazione o per gli altri atti per cui il consenso è richiesto, l’altro coniuge può rivolgersi al giudice per ottenere l’autorizzazione nel caso in cui la stipulazione dell’atto è necessaria nell’interesse della famiglia o dell’azienda che a norma della lett. d) dell’art. 177 fa parte della comunione.

          Questa disposizione rientra tra quelle che vogliono, o cercano, di impedire che l’attività economica della famiglia resti paralizzata in una situazione di stallo dal veto imposto da uno dei coniugi o da veti incrociati.

          L’autorizzazione, che ha carattere preventivo, è data con decreto, osservato il procedimento in camera di consiglio ai sensi degli artt. 737 e seg. c.p.c.

          L’istanza è sottoscritta dal coniuge consenziente e diretta al tribunale ordinario in composizione collegiale della residenza della famiglia.

          Il provvedimento è reclamabile avanti alla corte d’appello anche dal p.m.

          L’atto compiuto senza l’autorizzazione giudiziale deve ritenersi soggetto alla stessa disciplina posta per gli atti compiuti senza il necessario consenso dell’altro coniuge (art. 184 c.c.)

          Secondo una delle poche pronunce della S.C.[90] sul tema l’art. 181 c.c. prevede l’emanazione di provvedimenti autorizzativi, nell’ambito di un procedimento non contenzioso (di volontaria giurisdizione), al fine di superare il rifiuto di consenso che uno dei coniugi frapponga al compimento di atti di straordinaria amministrazione od alla stipula di contratti per la concessione o per l’acquisto di diritti reali di godimento, e non è pertanto invocabile dal coniuge che, sostituendosi all’altro nell’ azione nascente da un contratto preliminare, intenda conseguire ex art. 2932 c.c. una sentenza sostitutiva del contratto definitivo non concluso.

3)   L’impedimento

art. 182 c.c.    amministrazione affidata ad uno solo dei coniugi: in caso di lontananza o di altro impedimento di uno dei coniugi l’altro, in mancanza di procura del primo risultante da atto pubblico (2699) o da scrittura privata autenticata (2703), può compiere, previa autorizzazione del giudice e con le cautele eventualmente da questo stabilite, gli atti necessari per i quali è richiesto, a norma del l’art. 180, il consenso di entrambi i coniugi.

Nel caso di gestione comune di azienda, uno dei coniugi può essere delegato dall’altro al compimento di tutti gli atti necessari all’attività dell’impresa.

          La procura generale o speciale può essere rilasciata da un coniuge all’altro con l’unico limite della procura generale irrevocabile.

          Questa autorizzazione è ammessa solo per gli atti necessari e non anche per quelli che potrebbero essere giustificati da ragioni di opportunità o di utilità evidente.

          Inoltre, ciò che rileva non è la ragione per cui il coniuge è assente, ma il fatto che si trovi in un luogo dal quale non può, agevolmente e senza pregiudizio, far ritorno per occuparsi del menage familiare.

          Anche in questo caso si osserva il procedimento in camera di consiglio ai sensi degli artt. 737 e seg. c.p.c.

          Atto introduttivo il ricorso ed il giudice decide con decreto motivato.

          Non può essere chiesta, né essere autorizzata un’attività generica, corrispondente al rilascio di una procura generale ad agire.

          Il giudice, ove autorizzi il compimento dell’atto senza il consenso del coniuge, che è lontano o per qualche causa impedito, alfine di tutelare gli interessi di quest’ultimo, può, disporre le cautele del caso, le quali consistono nel vincolare le somme riscosse con l’alienazione del bene in comunione, o nel porre vincoli al loro impiego.

4)   Esclusione dall’amministrazione

 

art. 183 c.c.      esclusione dall’amministrazione: se uno dei coniugi  1)   è minore   o  2)  non può amministrare ovvero  3)   se ha male amministrato, l’altro coniuge può chiedere al giudice di escluderlo dall’amministrazione.

Il coniuge privato dell’amministrazione può chiedere al giudice di esservi reintegrato, se sono venuti meno i motivi che hanno determinato l’esclusione.

La esclusione opera di diritto riguardo al coniuge interdetto e permane sino a quando non sia cessato lo stato di interdizione.

 

 

Permanente incapacità, o impossibilità, oppure inidoneità ad amministrare.

          Mentre con le disposizioni degli articoli precedenti (181 e 182 c.c.) uno dei coniugi può essere escluso da singoli atti di amministrazione, l’art. 183 c.c. prevede un’esclusione a tempo indefinito da tutta la gestione.

          L’esclusione opera di diritto per il coniuge interdetto, mentre è disposta su istanza dell’altro coniuge con provvedimento del giudice (tribunale ordinario in composizione collegiale) nei confronti del minore d’età – o colui che non può amministrare, previo accertamento dell’inidoneità o dell’impossibilità a gestire i beni della comunione.

          Nel caso che anche l’altro genitore non sia stato ancora interdetto (con l’interdizione si produce lo scioglimento della comunione legale), sebbene in condizione di totale incapacità sopravvenuta al matrimonio, nel corso del procedimento d’interdizione, non può operare il citato 183, in quanto la competenza è del giudice tutelare, il quale in via d’urgenza potrà adottare, ex art. 361 c.c., in favore del figlio minore, su istanza di un parente, o di un affine, o del p.m., i provvedimenti cautelari più idonei sia alla sua cura, che alla conservazione del suo patrimonio.

          Il provvedimento non ha natura contenziosa.

          La cattiva amministrazione è stata individuata nei casi di

1)  Prodigalità

2)  Incapacità

3)  Mala fede

4)  Abuso

5)   Reintegrazione nell’amministrazione

art. 183 c.c.      esclusione dall’amministrazione: …………

II co.. Il coniuge privato dell’amministrazione può chiedere al giudice di esservi reintegrato, se sono venuti meno i motivi che hanno determinato l’esclusione.

          Con lo stesso procedimento, il coniuge privato dell’amministrazione può chiedere di essere reintegrato, quando siano venuti meno i motivi che hanno determinato l’esclusione.

          Si tratta sostanzialmente di revoca ai sensi dell’art. 742 c.p.c..

 

art. 742 c.p.c.     revocabilità dei provvedimenti:  i decreti possono essere in ogni tempo modificati o revocati, ma restano salvi i diritti acquistati in buona fede dai terzi in forza di convenzioni anteriori alla modificazione o alla revoca.

6)   Annullamento degli atti di amministrazione compiuti senza il consenso dell’altro coniuge

          Gli atti compiuti  senza il necessario consenso dell’altro coniuge, se non da questo convalidati, possono essere annullati, quando riguardano beni immobili o beni mobili registrati

art. 184 c.c.      atti compiuti senza il necessario consenso: gli atti compiuti da un coniuge senza il necessario consenso dell’altro coniuge e da questo non convalidati sono annullabili se riguardano beni immobili o beni mobili elencati nell’art. 2683.

L’istanza  può essere proposta dal coniuge il cui consenso era necessario entro  1 anno (2964) dalla data in cui ha avuto conoscenza dell’atto e in ogni caso entro un  1  dalla data di trascrizione. Se l’atto non sia stato trascritto e quando il coniuge non ne abbia avuto conoscenza prima dello scioglimento della comunione l’azione non può essere proposta oltre l’anno dallo scioglimento stesso.

Se gli atti riguardano beni mobili diversi da quelli indicati nel primo co., il coniuge che li ha compiuti senza il consenso dell’altro è obbligato su istanza di quest’ultimo a ricostruire la comunione nello stato in cui era prima del compimento dell’atto o, qualora ciò non sia possibile, al pagamento dell’equivalente secondo i valori correnti all’epoca della ricostituzione della comunione.

 

          Le conseguenze, pertanto, sono diverse a seconda che si tratti di beni immobili o mobili registrati oppure di beni mobili.

          Solo nel primo caso è prevista la possibilità di annullare l’atto, mentre nel secondo si determina un obbligo interno alla coppia, di ricostituzione della comunione o pagamento dell’equivalente.

          L’annullamento è una prerogativa del coniuge pretermesso, che è l’unico legittimato ad agire.

          Nel caso, però, egli abbia deciso di dar eseguito all’operazione a mezzo della convalida ex art. 1444 c.c., non può effettuare un cambio di rotta e chiedere, poi, che l’atto venga annullato tranne nei casi in cui, logicamente, la convalida sia stata viziata da errore, violenza o dolo.

          La disciplina, stabilita in funzione del bene oggetto dell’atto, è da applicare anche al contratto preliminare, al patto di opzione e a quello di prelazione.

          L’istanza è presentata ovviamente in sede contenziosa.

          Azione di annullamento avente natura costitutiva.

  • Il termine annuale[91]

          L’azione prevista dall’art. 184, secondo co., c.c. — secondo cui l’annullamento degli atti di disposizione compiuti da un coniuge senza il consenso dell’altro può essere chiesto nel termine annuale di prescrizione — è un’azione speciale di annullamento avente natura costitutiva; ne consegue che il coniuge che intenda far valere la mancanza del proprio consenso in ordine a tale atto di disposizione, al fine di sottrarre la propria quota all’espropriazione forzata promossa dai creditori del terzo acquirente, non può limitarsi a proporre l’opposizione di terzo all’esecuzione — di per sé non idonea a giustificare la situazione di comproprietà — ma è tenuto ad agire, congiuntamente o autonomamente, con l’apposita azione di annullamento[92].

          Con riguardo all’azione di annullamento proposta da un coniuge contro l’atto con cui l’altro coniuge abbia disposto di un bene immobile, oggetto di comunione legale, senza il necessario consenso di esso istante, il termine di un anno, fissato dall’art. 184 secondo co. c.c. con decorso dalla data della conoscenza dell’atto stesso, ed in ogni caso dalla data della sua trascrizione non è soggetto alla sospensione nel rapporto fra coniugi contemplata dall’art. 2941 c.c. per la prescrizione in considerazione del carattere speciale della prima delle citate norme, e manifestamente non si pone in contrasto con l’art. 24 della Costituzione, tenuto conto che il termine medesimo, nonostante la sua brevità, giustificata dal contemperamento delle esigenze del coniuge leso con quelle del terzo, ha consistenza e decorrenza idonee ad assicurare un adeguato esercizio del diritto di difesa[93].

          Il termine annuale previsto dall’art. 184 c.c. per l’esercizio dell’azione di annullamento degli atti compiuti dal coniuge in regime di comunione legale senza il necessario consenso dell’altro è di prescrizione, e non di decadenza, al pari del termine previsto dall’art. 1442 c.c. per la generale azione di annullamento dei contratti, dal quale si distingue solo per la diversa durata; tale termine inizia dalla data in cui il coniuge che non ha prestato il suo necessario consenso ha avuto conoscenza dell’atto o dalla data della eventuale trascrizione di questo atto nei registri della conservatoria[94].

          È stato poi posta l’attenzione[95] su di un apparente paradosso, ovvero che, nei rapporti con i terzi, ciascun coniuge, mentre non ha diritto di disporre della propria quota, può tuttavia disporre dell’intero bene comune.

          Ma come affermato dalla Corte cost., con la sentenza n. 311 del 1988, la comunione legale dei beni tra i coniugi, a differenza da quella ordinaria, è una comunione senza quote, nella quale i coniugi sono solidalmente titolari di un diritto avente per oggetto i beni di essa e rispetto alla quale non è ammessa la partecipazione di estranei.

          Ne consegue che, nei rapporti con i terzi, ciascun coniuge, mentre non ha diritto di disporre della propria quota, può tuttavia disporre dell’intero bene comune, ponendosi il consenso dell’altro coniuge (richiesto dal secondo co. dell’art. 180 c.c. per gli atti di straordinaria amministrazione) come un negozio unilaterale autorizzativo che rimuove un limite all’esercizio del potere dispositivo sul bene e che rappresenta un requisito di regolarità del procedimento di formazione dell’atto di disposizione, la cui mancanza (ove si tratti di bene immobile o di bene mobile registrato) si traduce in un vizio da far valere nei termini fissati dall’art. 184 c.c.

          Per altra pronuncia[96] nella comunione legale dei beni, ciascun coniuge ha il potere di disporre dei beni stessi, ed il consenso dell’altro (richiesto dal modulo dell’amministrazione congiuntiva adottato dall’art. 180, co. secondo, c.c. per gli atti straordinaria amministrazione) non è un negozio (unilaterale) autorizzativo, nel senso di atto attributivo di un potere, ma è piuttosto un atto che rimuove un limite all’esercizio di un potere; sicché, esso è un requisito di regolarità del procedimento di formazione dell’atto dispositivo, la cui mancanza, ove si tratti di bene immobile o mobile registrato, si traduce in un vizio del negozio (cfr. Corte cost. 10 marzo 1988, n. 311).

          Da tale premessa consegue che l’atto di disposizione del bene in comunione, posto in essere da uno solo dei coniugi, esplica i suoi effetti anche in relazione alla «quota» di comunione spettante al coniuge che sia eventualmente fallito, successivamente al compimento del menzionato atto, senza avere proposto l’azione d’annullamento prevista dal co. secondo dell’art. 184 c.c.; con l’ulteriore conseguenza che è ammissibile l’azione revocatoria fallimentare, quale unico rimedio esperibile dalla curatela per ottenere la declaratoria d’inefficacia dell’atto in relazione alla quota di bene spettante al fallito. All’ammissibilità di tale azione non osta, infatti, la circostanza che il coniuge fallito non abbia partecipato all’atto, in quanto egli, non avendo proposto la menzionata azione d’annullamento, ha assunto, attraverso l’implicita convalida, la posizione di contraente occulto in relazione alla propria quota.

          Per ultima Cassazione[97] in tema di comunione legale tra coniugi, il terzo che abbia acquistato da uno dei coniugi, ante rem iudicatam, la quota di contitolarità di un bene immobile ad essa appartenente, non è vincolato dal successivo giudicato, derivante da sentenze pronunciate tra i coniugi (nella specie, in cause di divorzio e di caduta in comunione di altro bene), le quali abbiano ritenuto inidonea a determinare l’allentamento del legame matrimoniale la sentenza di primo grado di separazione personale in pendenza di appello sul titolo della separazione stessa, l’affidamento dei figli e la misura dell’assegno di mantenimento. Ne consegue che nel successivo giudizio, cui partecipi anche l’acquirente, avente ad oggetto la validità di detta alienazione di quota in relazione alla regola dell’amministrazione congiuntiva dettata dall’art. 184 c.c., il giudice deve stabilire autonomamente quando sia passata in giudicato la sentenza di separazione personale dei coniugi, al fine di determinare il momento di scioglimento del regime di comunione legale.

F)  Scioglimento della comunione – separazione giudiziale – divisione dei beni

Lo scioglimento della comunione legale di beni tra coniugi può avvenire a seguito del mutamento convenzionale del regime patrimoniale, per il verificarsi di determinati fatti estintivi previsti espressamente dalla legge, o ancora a seguito di una pronunzia giurisdizionale.
Alcune delle cause di scioglimento determinano la fine della comunione perché determinano anche la fine del matrimonio, altre, invece, riguardano solo la comunione, lasciando sopravvivere, con un diverso regime patrimoniale, il matrimonio.

I beni restano, tuttavia, comuni e, perché possano essere effettivamente attribuiti ad uno dei coniugi (o ai suoi eredi) in proprietà esclusiva, è necessario un atto di divisione.

L’opinione prevalente è che in questa fase ci si trovi innanzi ad una comunione ordinaria e che i singoli beni facenti parte della comunione legale, nonché i beni risultanti dall’applicazione dell’art. 177 b) e c) (comunione de residuo) siano soggette alle regole stabilite per essa.

Altri autori, invece, sostengono che sul complesso dei beni già facenti parte della comunione legale, anche dopo lo scioglimento, permangono i dettami del regime legale e che continuino ad applicarsi alcune norme, come quelle relative all’amministrazione ed alla responsabilità.

In linea generale, come affermato da ultima Cassazione

Corte di Cassazione, sezione I civile, sentenza 5 aprile 2017, n. 8803

la natura di comunione senza quote della comunione legale dei coniugi permane sino al momento del suo scioglimento, di cui all’articolo 191 c.c., prodottosi il quale effetto i beni cadono in comunione ordinaria e ciascun coniuge, che abbia conservato il potere di disporre della propria quota, puo’ liberamente e separatamente alienarla

art. 191 c.c.scioglimento della comunione: la comunione si scioglie per 

1)    la dichiarazione di assenza o di morte presunta, di uno dei coniugi, 

2)    per l’annullamento,

3)    per lo scioglimento o  

4)    per la cessazione degli effetti civili del matrimonio,

5)    per la separazione personale,

6)    per la separazione giudiziale dei beni, (unica causa di separazione giudiziale con procedimento contenzioso che si celebra con rito ordinario) 

7)    per mutamento convenzionale del regime patrimoniale,

8)    per il fallimento di uno dei coniugi.

Nel caso di azienda di cui alla lett. d) dell’art. 177, lo scioglimento della comunione può essere deciso, per accordo dei coniugi, osservata la forma prevista dall’art. 162.

         Con ultimo intervento normativo, LEGGE 6 maggio 2015, n. 55 (Disposizioni in materia di scioglimento o di cessazione degli effetti civili del matrimonio nonche’ di comunione tra i coniugi. GU n.107 del 11-5-2015,vigente al: 26-5-2015) l‘art. 191 è stato così modificato: dopo il primo comma e’ inserito il seguente: «Nel caso di separazione personale, la comunione tra i coniugi si scioglie nel momento in cui il presidente del tribunale autorizza i coniugi a vivere separati, ovvero alla data di sottoscrizione del processo verbale di separazione consensuale dei coniugi dinanzi al presidente, purche’ omologato. L’ordinanza con la quale i coniugi sono autorizzati a vivere separati e’ comunicata all’ufficiale dello stato civile ai fini dell’annotazione dello scioglimento della comunione».
Tale intervento ha sedato una disputa giurisprudenziale in merito alla cessazione della comunione legale in sede di separazione, stante il vuoto legislativo.
Orbene, per la Corte di Cassazione[98], lo scioglimento della comunione legale dei beni fra coniugi si verificava, con effetto ex nunc, dal momento del passaggio in giudicato della sentenza di separazione ovvero dell’omologazione degli accordi di separazione consensuale, non spiegando, per converso, alcun effetto, al riguardo, il provvedimento presidenziale di cui all’art. 708 del codice di rito autorizzativo dell’interruzione della convivenza tra i coniugi, attesone il contenuto del tutto limitato e la funzione meramente provvisoria.

          Principio già enunciato in altra sentenza della medesima Corte[99] secondo la quale lo scioglimento della comunione legale dei beni fra i coniugi si verificava ex nunc soltanto con il passaggio in giudicato della sentenza di separazione, non spiegando effetti — al riguardo — il precedente provvedimento presidenziale (provvisorio e funzionalmente limitato) con cui i coniugi siano stati autorizzati ad interrompere la convivenza.

          Da ciò conseguiva, secondo questa interpretazione fra l’altro:

1) che, se in pendenza del procedimento di separazione personale il diritto allo scioglimento della comunione legale dei beni dei coniugi non era ancora sorto (per non essersi compiutamente realizzata la correlativa vicenda costitutiva), neppure — evidentemente — esisteva un interesse, attuale e concreto del coniuge a reclamarne la tutela giudiziale;

2) che la declaratoria di scioglimento della comunione non poteva essere quindi richiesta antecedentemente alla formazione del giudicato sulla separazione dei coniugi, e la domanda in tale senso eventualmente formulata prima di tale data andava dichiarata — come tale — improponibile, non potendosi d’altronde — neppure farsi ricorso al provvedimento di sospensione del relativo procedimento, in quanto un provvedimento di tal fatta si sarebbe posto come estraneo al paradigma normativo di cui all’art. 295 c.p.c., il quale rende ricollegabile l’istituto della sospensione solo ad un rapporto «sincronico» di interdipendenza logica tra due coevi giudizi, suscettibili di proseguire altrimenti in modo autonomo, e giammai ad un rapporto «diacronico» di succedaneità logico — giuridica tra due giudizi il secondo dei quali (quello — in tesi — pregiudicato), proprio perché subordinato, nella sua promuovibilità, ad un determinato esito dell’altro, non possa — per definizione — entrare con quello in contraddizione.

          Ancora per altra pronuncia in caso di separazione personale dei coniugi lo scioglimento della comunione legale di beni si verifica con effetto ex nunc, solo con il passaggio in giudicato della sentenza di separazione o con l’omologa degli accordi di separazione consensuale — non spiegando alcun effetto al riguardo il provvedimento presidenziale ex art. 708 c.p.c. — in caso di separazione giudiziale dei beni gli effetti dello scioglimento della comunione retroagiscono invece al giorno in cui è stata proposta la domanda, secondo quanto espressamente prevede il co. quarto dell’art. 193 c.c., il quale, così disponendo, deroga al principio in forza del quale, allorché la pronuncia del giudice ha, come nella specie, valenza costitutiva, gli effetti di tale sentenza non possono prodursi se non dal passaggio in giudicato[100].

              Anche se una pronuncia di merito (a questo punto precorritrice)[101] in precedenza aveva affermato che lo scioglimento ex art. 191 c.c. della comunione legale di beni tra coniugi si verificava in concomitanza con la prima comparizione delle parti avanti al presidente del tribunale e conseguente emanazione dei provvedimenti urgenti e temporanei, previa autorizzazione a vivere separatamente: è questo infatti, secondo questa sentenza di merito, l’incombente che, seppur provvisoriamente, pone termine alla convivenza e rende pertanto oltremodo opportuno il venir meno dell’automatica comunione degli acquisti. Il regime della comunione legale dei beni tra coniugi si sovrappone al regime della comunione ordinaria derivante dalla mera cointestazione di un cespite, sempre realizzabile, per volontà delle parti, anche in presenza di una precedente opzione per il regime di separazione dei beni.

              Tale tesi è stata criticata (critica poi sconfessata dall’intervento normativo) sulla base della considerazione che, al momento dei provvedimenti presidenziali, non è sicuro l’esito del giudizio di separazione e che l’abbandono di esso o la definizione con sentenza di rigetto, determinerebbero problemi di ripristino della comunione, inoltre, non essendo nota ai terzi l’esistenza del provvedimento presidenziale, gli stessi resterebbero sforniti di tutela.

                  Ai fini dell’opponibilità ai terzi degli effetti dello scioglimento della comunione derivante dalla separazione personale dei coniugi, con riferimento ai negozi di acquisto di beni immobili (o mobili registrati) contenenti la dichiarazione del coniuge acquirente del proprio status di separato, deve ritenersi necessaria la sola trascrizione della relativa nota nei registri immobiliari, e non anche l’annotazione del provvedimento di separazione a margine dell’atto di matrimonio (richiesto, invece, ex art. 193 c.c., con riferimento tassativo alle ipotesi di scioglimento della comunione di cui al precedente art. 191)[102].

Mentre, per quanto riguarda i creditori del Coniuge, per ultima Cassazione

Corte di Cassazione, sezione sesta (seconda) civile, Ordinanza 1 settembre 2020, n. 18156.

nel corso del procedimento di separazione, in caso di scioglimento della comunione legale, il coniuge creditore può chiedere all’altro di rimettere nella comunione (non più “legale”) il frutto della vendita unilaterale dei titoli azionari acquistati in costanza di matrimonio. Oppure può anche mutare domanda in corso di causa chiedendone la liquidazione diretta pro quota. A quest’ultima ipotesi però il coniuge debitore può opporsi adducendo il proprio interesse a conferire il ricavato alla comunione in modo da poter più facilmente definire una volta per tutte i rapporti patrimoniali.

art. 192 c.c. rimborsi e restituzioni: ciascuno dei coniugi è tenuto a rimborsare alla comunione le somme prelevate dal patrimonio comune per fini diversi dall’adempimento delle obbligazioni previste dall’art. 186.

E’ tenuto altresì a rimborsare il valore dei beni di cui all’art. 189, a meno che, trattandosi di atto di straordinaria amministrazione da lui compiuto, dimostri che l’atto stesso sia stato vantaggioso per la comunione o abbia soddisfatto una necessità della famiglia.

Ciascuno dei coniugi può richiedere la restituzione delle somme prelevate dal patrimonio personale ed impiegate in spese ed investimenti del patrimonio comune.

I rimborsi e le restituzioni si effettuano al momento dello scioglimento della comunione; tuttavia il giudice può autorizzarli in un momento anteriore se l’interesse della famiglia lo esige o lo consente.

Il coniuge che risulta creditore può chiedere di prelevare beni comuni sino a concorrenza del proprio credito. In caso di dissenso si applica il quarto co.. I prelievi si effettuano sul denaro, quindi sui mobili e infine sugli immobili.

                  Allo scioglimento della comunione legale tra i coniugi, ai sensi dell’art. 192, terzo co., c.c., devono essere restituiti solo gli importi impiegati in spese ed investimenti per il patrimonio comune già costituito, ma non il denaro personale impiegato per l’acquisto di immobile che concorre a formare la comunione, trovando, in tale ipotesi, applicazione l’art. 194, co. primo, c.c., secondo il quale all’atto dello scioglimento l’attivo ed il passivo devono essere ripartiti in quote uguali indipendentemente dalla misura della partecipazione di ciascuno dei coniugi[103].

                  Per la Corte capitolina[104] l’art. 192 c.c. attribuisce a ciascuno dei coniugi, allo scioglimento della comunione legale, soltanto il diritto alla restituzione delle somme prelevate dal patrimonio personale ed impiegate in spese ed investimenti del patrimonio comune e non già il diritto alla ripetizione – totale o parziale – del denaro personale e dei proventi dell’attività separata impiegati per l’acquisto di beni costituenti oggetto della comunione legale ex art. 177, primo co. lett. a), c.c. Rispetto a tali beni trova applicazione il principio inderogabile, posto dall’art. 194, primo co., c.c., secondo cui, in sede di divisione, l’attivo e il passivo sono ripartiti in parti eguali indipendentemente dalla misura della partecipazione di ciascuno dei coniugi agli esborsi necessari per l’acquisto dei beni caduti in comunione.

                  Il Tribunale di Cassino[105], ha stabilito che  le somme giacenti su un contratto di conto corrente intestato ad uno solo dei coniugi, ovvero cointestato ad entrambi, possono essere liberamente gestite ed utilizzate durante il matrimonio, non ricadendo in comunione legale.

                  Quest’ultima, infatti, riguarda i soli acquisti e non i diritti di credito.

                  Conseguentemente, nessun rimborso alla comunione deve essere disposto per le somme giacenti sui conti correnti cointestati ad entrambi i coniugi, o intestate in via esclusiva al marito, prelevate dal terzo prima dello scioglimento della comunione, in quanto non ricadenti in essa, con conseguente inapplicabilità della norma dell’art. 192, c.c.

                  Né si può ritenere che, per effetto di tale principio, il coniuge il quale si ritenga leso dall’atteggiamento distrattivo dell’altro sia sprovvisto di tutela, ben potendo costui agire con gli strumenti ordinari a tutela del credito (azione revocatoria e surrogatoria), nonché per il risarcimento del danno o, in subordine invocare il principio di buona fede ed abuso del diritto.

                  Per il Tribunale Trentino[106] contrasta con la disciplina della comunione legale coniugale, come predisposta dal codice civile, la prospettazione giuridica effettuata dai coniugi nel relativo giudizio di scioglimento qualora l’uno pretenda una ricostruzione e restituzione di tutte le somme percepite ed utilizzate dall’altro, e questi esiga che l’immobile destinato a casa coniugale resti fuori dalla comunione, in quanto asseritamente acquistato solo con i proventi della propria attività professionale. In merito al primo profilo deve, invero, rilevarsi che il disposto normativo di cui all’art. 192, terzo co., c.c. attribuisce a ciascuno dei coniugi il diritto alla restituzione delle somme prelevate dal patrimonio personale ed impiegate in spese ed investimenti del patrimonio comune e non già alla ripetizione – totale o parziale – del denaro personale e dei proventi dell’attività separata, i quali cadono nella comunione de residuo solamente per la parte non consumata al momento dello scioglimento, impiegati per l’acquisto di beni costituenti oggetto della comunione legale ex art. 177, co. primo, lett. a), c.c., rispetto ai quali trova applicazione il principio inderogabile di cui all’art. 194, co. primo, c.c., secondo cui in sede di divisione l’attivo ed il passivo sono ripartiti in parti uguali, indipendentemente dalla misura della partecipazione di ciascuno dei coniugi agli esborsi necessari per l’acquisto del beni caduti in comunione. Quanto al secondo profilo deve, invece, rilevarsi che a norma dell’art. 177 c.c. rientrano nell’oggetto della comunione legale gli acquisti effettuati dai due coniugi insieme o separatamente, durante il matrimonio, mentre rimane del tutto irrilevante, al riguardo, che le somme utilizzate provengano o meno dal lavoro professionale di uno solo di essi.

art. 193 c.c.     separazione giudiziale dei beni: la separazione giudiziale dei beni può essere pronunziata in caso di interdizione (417) o di inabilitazione (414) di uno dei coniugi o di cattiva amministrazione della comunione.

Può altresì essere pronunziata quando il disordine degli affari di uno dei coniugi o la condotta da questi tenuta nell’amministrazione dei beni mette in pericolo gli interessi dell’altro o della comunione o della famiglia, oppure quando uno dei coniugi non contribuisce ai bisogni di questa in misura proporzionale alle proprie sostanze o capacità di lavoro.

La separazione può essere chiesta da uno dei coniugi o dal suo legale rappresentante.

La sentenza che pronunzia la separazione retroagisce al giorno in cui è stata proposta la domanda ed ha l’effetto di instaurare il regime di separazione dei beni regolato nella sezione V del presente capo, salvi i diritti dei terzi.

La sentenza è annotata a margine dell’atto di matrimonio e sull’originale delle convenzioni matrimoniali (2653).

          Cessato lo stato di comunione legale, determinatasi tra i coniugi una normale comunione come già analizzato, ciascuno di loro può chiedere la divisione dei beni, la quale si effettua ripartendo in parti uguali l’attivo ed il passivo, e non i singoli beni.

          Per la S.C.[107] la separazione giudiziale dei beni ex art. 193 c.c., causa di scioglimento della comunione legale dei beni tra coniugi, non è preclusa dalla pendenza del giudizio di separazione personale tra gli stessi coniugi, né dall’avvenuta pronuncia, da parte del presidente del tribunale, dei provvedimenti temporanei ed urgenti di cui all’art. 708 c.p.c.

          Mentre, come già scritto in precedenza ma è utile ripeterlo, in caso di separazione personale dei coniugi lo scioglimento della comunione legale di beni si verifica con effetto ex nunc, solo con il passaggio in giudicato della sentenza di separazione o con l’omologa degli accordi di separazione consensuale[108].

art. 194 c.c.divisione dei beni della comunione: la divisione dei beni della comunione legale si effettua ripartendo in parti eguali l’attivo e il passivo.

Il giudice, in relazione alle necessità della prole e all’affidamento di essa, può costituire a favore di uno dei coniugi l’usufrutto su una parte dei beni spettanti all’altro coniuge.

          La divisione dei beni oggetto della comunione legale fra coniugi, conseguente allo scioglimento di essa, con effetto ex nunc, per annullamento del matrimonio o per una delle altre cause indicate nell’art. 191 c.c., si effettua in parti eguali, secondo il disposto del successivo art. 194, senza possibilità di prova di un diverso apporto economico dei coniugi all’acquisto del bene in comunione, non essendo applicabile la disciplina della comunione ordinaria, nella quale l’eguaglianza delle quote dei partecipanti è oggetto di una presunzione semplice (art. 1101 c.c.), superabile mediante prova del contrario[109].

          All’esito dello scioglimento della comunione legale, ciascun coniuge può domandare la divisione del patrimonio comune, da effettuarsi secondo i criteri stabiliti agli artt. 192 e 194 c.c., e il coniuge rimasto nel possesso esclusivo dei beni fruttiferi (nel caso, bene immobile) già appartenenti alla comunione legale è tenuto, in base ai principi generali (art. 820, terzo co., c.c.), al pagamento, in favore dell’altro coniuge, del corrispettivo pro quota di tale godimento, quali frutti spettanti ex lege, a prescindere da comportamenti leciti o illeciti altrui. Tali frutti civili si acquistano giorno per giorno in ragione della durata del diritto (art. 821, terzo co., c.c.), a far data dalla domanda di divisione, quale momento d’insorgenza del debito di restituzione (pro quota) del bene medesimo (art. 1148 c.c.)[110].

In  merito, poi, al calcolo delle quote, come da ultima pronuncia

Corte di Cassazione, sezione II civile, sentenza 9 settembre 2016, n.17843

è stato chiarito che l’assegnazione del godimento della casa familiare, ex art. 155 c.c. previgente e art. 155 quater c.c., o in forza della legge sul divorzio, non può essere presa in considerazione in occasione della divisione dell’immobile in comproprietà tra i coniugi, al fine di determinare il valore di mercato de/l’immobile, allorquando l’immobile venga attribuito al coniuge che sia titolare del diritto al godimento stesso.

La Cassazione, in commento, senza rimettere gli atti al primo presidente per il contrasto giurisprudenziale creatosi ha così deciso.

In precedenza altra cassazione, contrariamente, (Cass.20319/04, cui ha aderito Cass. 22.4.2016 n. 8202), sul punto statuiva così secondo la quale: ‘L’assegnazione della casa familiare ad uno dei coniugi, cui l’immobile non appartenga in via esclusiva, instaura un vincolo (opponibile anche ai terzi per nove anni, e, in caso di trascrizione, senza limite di tempo) che oggettivamente comporta una decurtazione del valore della proprietà, totalitaria o parziaria, di cui è titolare l’altro coniuge, il quale da quel vincolo rimane astretto, come i suoi aventi causa, fino a quando il provvedimento non venga eventualmente modificato. Ne consegue che di tale decurtazione deve tenersi conto indipendentemente dal fatto che il bene venga attribuito in piena proprietà all’uno o all’altro coniuge, ovvero venduto a terzi in caso di sua infrazionabilità in natura’.

In precedenza altra Corte (Cass. 11630/01) aveva ritenuto che: ‘La assegnazione della casa familiare, di cui i coniugi siano comproprietari, al coniuge affidatario dei figli non ha più ragion d’essere e, quindi, il diritto di abitazione, che ne scaturisce, viene meno nel momento in cui il coniuge, cui la casa sia stata assegnata, ne chiede, nel corso del giudizio per lo scioglimento della comunione conseguente (nel caso di specie) a divorzio, l’assegnazione in proprietà, acquisendo così, attraverso detta assegnazione, anche la quota dell’altro coniuge. In tal caso, il diritto di abitazione (che è un atipico diritto personale di godimento e non un diritto reale) non può essere preso in considerazione, al fine di determinare il valore di mercato dell’immobile, sia perché è un diritto che l’art. 155, comma quarto, c.c. prevede nell’esclusivo interesse dei figli e non nell’interesse del coniuge affidatario degli stessi, sia perché, intervenuto lo scioglimento della comunione a seguito di separazione personale o di divorzio, non può più darsi rilievo, per la valutazione dell’immobile, ad un diritto, che, con l’assegnazione della casa familiare in proprietà esclusiva al coniuge affidatario dei figli, non ha più ragione di esistere’.

Il Collegio – della sentenza n.17843/2016 –  ha ritenuto superfluo investire del contrasto le Sezioni Unite, poiché, rammentati i principi posti da Cass. 18-09-2013, n. 21334 in tema di assegnazione della casa coniugale, ha reputato corretto l’orientamento manifestatosi nel 2001 e rinvigorito dalla sentenza n. 27128/2014, sempre della medesima sezione, la quale ha osservato che: ‘Il diritto di abitazione della casa familiare è un atipico diritto personale di godimento (e non un diritto reale), previsto nell’esclusivo interesse dei figli (art. 155 c.c., comma 5) e non nell’interesse del coniuge affidatario, che viene meno con l’assegnazione della casa familiare in proprietà esclusiva al coniuge affidatario dei figli, non avendo più ragione di esistere’.

Ha aggiunto – ulteriormente – che ‘ove si operasse la decurtazione dal valore in considerazione del diritto di abitazione, il coniuge non assegnatario verrebbe ingiustificatamente penalizzato con la corresponsione di una somma che non sarebbe rispondente alla metà dell’effettivo valore venale del bene: il che è comprovato dalla considerazione che, qualora intendesse rivenderlo a terzi, l’assegnatario in proprietà esclusiva potrebbe ricavare l’intero prezzo di mercato, pari al valore venale del bene, senza alcuna diminuzione’.

  • L’usufrutto[111] a favore di uno dei coniugi

            La disposizione dell’art. 194, secondo co. c.c. — che attribuisce al tribunale per i minorenni il potere di costituire a favore di uno dei coniugi, in relazione alle necessità della prole ed all’affidamento di essa, l’usufrutto su una parte dei beni spettanti all’altro coniuge, pur nella genericità dell’indicazione dell’oggetto di siffatto vincolo, che può, quindi, legittimamente imporsi anche sulla quota di comproprietà della casa familiare, ha carattere eccezionale (con conseguente inapplicabilità fuori del caso espressamente considerato), in quanto si aggiunge ad un compiuto sistema di tutela approntato per i figli in presenza di crisi del vincolo matrimoniale fra i genitori, ed è destinata ad assicurare protezione esclusivamente alla prole minore, non nel contesto dell’adempimento dell’obbligo di mantenimento, ma per soddisfazione di esigenze, anche soltanto morali, che caratterizzano la posizione del soggetto protetto rispetto al bene considerato e che sarebbero compromesse dalla divisione dei beni della comunione legale. Il detto provvedimento giudiziale costitutivo dell’usufrutto ha, pertanto, efficacia limitata nel tempo, non potendo essa eccedere la data di compimento della maggiore età dei figli per la cui tutela siffatto vincolo reale è stato costituito[112].

art. 195 c.c.  prelevamento dei beni mobili: nella divisione i coniugi o i loro eredi hanno diritto di prelevare i beni mobili che appartenevano ai coniugi stessi prima della comunione o che sono ad essi pervenuti durante la medesima per successione o donazione . In mancanza di prova contraria si presume che i beni mobili facciano parte della comunione

art. 196c.c. ripetizione del valore in caso di mancanza delle cose da prelevare: se non si trovano i beni mobili che il coniuge o i suoi eredi hanno diritto di prelevare a norma dell’articolo precedente essi possono ripeterne il valore, provandone l’ammontare anche per notorietà, salvo che la mancanza di quei beni sia dovuta a consumazione per uso o perimento o per altra causa non imputabile all’altro coniuge

art. 197 c.c. limiti al prelevamento nei riguardi dei terzi: il prelevamento autorizzato dagli articoli precedenti non può farsi, a pregiudizio dei terzi, qualora la proprietà individuale dei beni non risulti da atto avente data certa . E’ fatto salvo al coniuge o ai suoi eredi il diritto di regresso sui beni della comunione spettanti all’altro coniuge nonché sugli altri beni di lui

NOTE

[1] Per una maggiore consultazione della comunione in generale aprire il seguente collegamento on-line  La comunione

[2] Santosuosso – Finocchiaro – De Filippis

[3] Tribunale Trento, civile, sentenza 10 febbraio 2012, n. 123

[4] Corte di Cassazione II, sent. 6120 del 6-3-2008 (Nella fattispecie, il coniuge non acquirente, richiedente la contitolarità di un immobile pervenuto all’altro coniuge, per effetto dello scioglimento di società di capitali, aveva partecipato all’atto di acquisto, dichiarandosi in regime di separazione dei beni e nulla opponendo all’espressa qualificazione del cespite come derivato dall’assegnazione di beni personali. In mancanza della prova della non veridicità di tale dichiarazione, è stata confermata la natura di bene personale dell’immobile acquistato).

[5] Corte di Cassazione 26-10-94, n. 8776

[6] Corte di Cassazione 16-2-93, n. 1921

[7] Corte d’Appello Roma, Sezione 4 civile, sentenza 5 ottobre 2011, n. 4092

[8] Di Martino – Dalia – Quadri

[9] Per una maggiore consultazione sull’usucapione aprire il seguente collegamento on-line L’usucapione

[10] Corte di Cassazione 3-11-2000, n. 14347

[11] Corte di Cassazione II, sent. 20296 del 23-7-2008

[12] Per una maggiore consultazione sulla permuta aprire il seguente collegamento on-line  Il contratto di permuta

[13] Per una maggiore consultazione sul contratto preliminare aprire il seguente collegamento on-line  Le trattative ed il contratto preliminare

[14] Corte di Cassazione 19-5-88, n. 3483

[15] Corte d’Appello Roma, Sezione 2 civile, sentenza 13 settembre 2012, n. 4284

[16] Caravaglios – Gazzoni

[17] Regine

[18] Corte di Cassazione, sentenza 7 luglio 2006, n. 4823; Corte di Cassazione, sentenza 4 marzo 2003, n. 3185

[19] Corte di Cassazione, sezione II, sentenza 30 gennaio 2013, n. 2202

[20] Cass. SS.UU. 24 agosto 2007 n. 17952

[21] Vedi par.fo E) – Amministrazione dei beni – punto 6) Annullamento degli atti di amministrazione compiuti senza il consenso dell’altro coniuge  –  pag.  55 e ss

[22] v., di recente, Cass. 21 maggio 2008 n. 12849; Cass. 11 giungo 2010 n. 14093; Cass. 24 luglio 2012. Il consenso del coniuge pretermesso non è atto autorizzativo nel senso di atto attributivo di un potere, ma piuttosto nel senso di atto che rimuove un limite all’esercizio di un potere e requisito di regolarità del procedimento di formazione dell’atto di disposizione, la cui mancanza, ove si tratti di bene immobile o mobile registrato, si traduce in un vizio del negozio: l’ipotesi regolata dall’art. 184 c.c., c.c. 1, dunque, si riferisce non ad un caso di acquisto inefficace perché a non domino, bensì ad un caso di acquisto a domino in base ad un titolo viziato

[23] in tal senso, v. Corte di Cassazione 21 dicembre 2001 n. 16177; Corte di Cassazione 31 gennaio 2012 n. 1385

[24] Per la consultazione del testo integrale aprire il seguente collegamento Corte di Cassazione, sezione II, sentenza 24 luglio 2012, n. 12923

[25] Cass. S.U. 24/8/2007 n. 17952 cit.

[26] Corte di Cassazione, sentenza 21/12/2001 n. 16177; Corte di Cassazione, sentenza 11/6/2010 n. 14093; Corte di Cassazione, sentenza 31/1/2012 n. 1385)

[27] Corte di Cassazione 10-5-91, n. 5244

[28] Corte di Cassazione 9-7-94, n. 6493, rv. 487346 (conf. Cass. 27-1-95, n. 987, rv. 490033 e Cass. 11-9-91, n. 9513, rv. 473807).

[29] Corte di Cassazione I, sent. 21098 del 9-10-2007. Nella specie la S.C. ha confermato la decisione della Corte di merito che ha ritenuto costituenti oggetto della comunione i titoli obbligazionari acquistati da un coniuge con i proventi della propria attività personale

[30] Corte di Cassazione I, sent. 8758 del 27-4-2005

[31] Per una maggiore consultazione sulla divisione aprire il seguente collegamento on-line  La divisione

[32] Vedi par.fo D) Beni personali – pag. 38

[33]  Corsi – Santosuosso

[34] De Filippis

[35] Per una maggiore consultazione sulla prelazione aprire il seguente collegamento on-line  La prelazione volontaria e legale

[36] Corte di Cassazione 7-3-81, n. 1289

[37] Corte di Cassazione 17-1-86, n. 300

[38] Per una maggiore consultazione sulla prelazione in tema di un immobile urbano adibito ad uso diverso da quello di abitazione il seguente collegamento on-line La locazione – par.fo 12) La disciplina dei fondi immobili ed urbani – punto B)   Disciplina speciale

[39] Corte di Cassazione 29-7-95, n. 8341

[40] Corte di Cassazione 5-5-90, n. 3741

[41] Per una maggiore consultazione dell’azienda in generale aprire il seguente collegamento on-line L’azienda

[42] Corte di Cassazione 18-12-92, n. 13390

[43] Corte di Cassazione III, sent. 19167 del 29-9-2005

[44] Corte di Cassazione II, sent. 12849 del 21-5-2008

[45] Per una maggiore consultazione della simulazione in generale aprire il seguente collegamento on-line  La simulazione

[46] Per la consultazione del testo integrale aprire il seguente collegamento on-line   Corte di cassazione, sezione II, sentenza 24 gennaio 2013, n. 1737

[47] Corte di Cassazione, Sezione 2 civile, sentenza 24 luglio 2012, n. 12923

[48] Corte di Cassazione, Sez. Un., sent. 9660 del 23-4-2009

[49] Corte di Cassazione 4-4-96, n. 3159

[50] Corte di Cassazione 28-4-92, n. 5063

[51] Corte di Cassazione 18-6-90, n. 6118

[52] Orsi

[53] De Filippis – Shlesinger

[54] Corte di Cassazione I, sent. 2597 del 7-2-2006

[55] Corte di Cassazione 17-11-2000, n. 14897. Nella specie la S.C. ha confermato la decisione di merito secondo cui ricadevano in comunione de residuo le somme depositate su un conto corrente cointestato, ritirate prima della separazione e asseritamente utilizzate per l’attività d’impresa del coniuge prelevante

[56] Corte di Cassazione 2-8-86, n. 4966

[57] Corte d’Appello Palermo, Sezione 1 civile, sentenza 18 giugno 2012, n. 940

[58] Corte d’Appello Roma, Sezione 3 civile, sentenza 7 febbraio 2012, n. 647

[59] Per tutti Barbiera

[60] Di Martino – De Paola

[61] Corte di Cassazione 22-2-92, n. 2182

[62] De Filippis

[63] Tribunale Padova, Sezione 1 civile, sentenza 6 settembre 2011, n. 1981

[64] De Paola

[65] Vedi par.fo B) Oggetto della comunione – punto 10 – Beni immateriali – pag. 23

[66] Corte di Cassazione I, sent. 24061 del 25-9-2008. Conforme Corte di Cassazione II, sent. 10855 del 5-5-2010. In tema di regime della comunione legale fra i coniugi, la dichiarazione di cui è onerato il coniuge acquirente, ai sensi dell’art. 179, primo c.c., lett. f), cod. civ., al fine di conseguire l’esclusione, dalla comunione, dei beni acquistati con il trasferimento di beni strettamente personali o con il loro scambio, è necessaria solo quando possano sorgere dubbi circa la natura personale del bene impiegato per l’acquisto (ivi compreso il denaro); ne consegue che, in caso di acquisto di un bene mediante l’impiego di altro bene di cui sia certa l’appartenenza esclusiva al coniuge acquirente prima del matrimonio, l’acquisto dovrà ritenersi escluso dalla comunione legale senza che sia necessario rendere la menzionata dichiarazione.

[67] Corte di Cassazione I, sent. 1197 del 20-1-2006

[68] Corte di Cassazione 18-8-94, n. 7437

[69] Corte di Cassazione Sez. Un., sent. 22755 del 28-10-2009

[70] Principio ripreso, poi, da altra sentenza – Corte di Cassazione, Sezione 1 civile, sentenza 17 luglio 2012, n. 12197 – secondo la quale in caso di acquisto di un immobile effettuato dopo il matrimonio da uno dei coniugi in regime di comunione legale, la dichiarazione resa nell’atto dall’altro coniuge non acquirente, ai sensi dell’art. 179, secondo c.c., in ordine alla natura personale del bene, si atteggia diversamente a seconda che la personalità dell’acquisto dipenda dal pagamento con provvista proveniente dal prezzo del trasferimento di beni personali del coniuge acquirente, o invece dalla destinazione del bene all’uso personale o all’esercizio della professione propria di quest’ultimo. Nel primo caso, la dichiarazione riveste natura cognitiva e portata confessoria dei presupposti di fatto già esistenti (la provenienza del denaro utilizzato per l’acquisto): con la conseguenza che l’azione di accertamento negativo della natura personale del bene postula la revoca della confessione stragiudiziale resa dall’altro coniuge, nei limiti in cui la stessa è ammessa dall’art. 2732 c.c., e cioè per errore di fatto o violenza. Laddove, nell’ipotesi alternativa, la verifica dell’effettiva destinazione consente la prova contraria libera, indipendentemente dall’indagine sulla sincerità dell’intento manifestato.

[71] Corte di Cassazione, Sezione 2 civile, sentenza 9 novembre 2012, n. 19513.Nella specie, la S.C. ha confermato la sentenza impugnata, che aveva qualificato come donazione indiretta, conseguentemente assoggettandola a collazione, l’acquisito di un immobile successivamente al matrimonio da parte di uno dei coniugi, in relazione al quale era stato provato il diretto versamento del prezzo all’alienante ad opera dell’altro, negando rilievo alla contraria dichiarazione di quest’ultimo contenuta nell’atto di acquisto

[72] Corte di Cassazione II, sent. 6120 del 6-3-2008. Nella fattispecie, il coniuge non acquirente, richiedente la contitolarità di un immobile pervenuto all’altro coniuge, per effetto dello scioglimento di società di capitali, aveva partecipato all’atto di acquisto, dichiarandosi in regime di separazione dei beni e nulla opponendo all’espressa qualificazione del cespite come derivato dall’assegnazione di beni personali. In mancanza della prova della non veridicità di tale dichiarazione, è stata confermata la natura di bene personale dell’immobile acquistato

[73] Tribunale Milano, Sezione 9 civile, sentenza 3 maggio 2012, n. 5105

[74] Corte di Cassazione 17-8-90, n. 8379

[75] Corte di Cassazione II, sent. 75 del 9-1-2006

[76] Per una maggiore consultazione sulla locazione in generale aprire il seguente collegamento on-line  La locazione

[77] Per una maggiore consultazione sul comodato in generale aprire il seguente collegamento on-line  Il contratto di comodato

[78] Cattaneo – Shlesinger

[79] De Filippis

[80] Corte di Cassazione, Sezioni Unite, Sentenza 23 aprile 2009, n. 9660

[81] Cass. sent. n. 24051 del 2006

[82] Cass. sent. 12313 del 2004

[83] Cass. 18-7-83, n. 4969, rv. 429844 (conf. Cass. 15-12-81, n. 6634 e Cass. 24-2-86, n. 1136).

[84] Corte di Cassazione 4-6-85, n. 3319

[85] Corte di Cassazione Sezione II civile, sentenza 21 maggio 2008, n. 12849

[86] Corte di Cassazione 21-1-2000, n. 648

[87] Per una maggiore consultazione sulla divisione in generale aprire il seguente collegamento on-line La  divisione

[88] Corte d’Appello Roma, Sezione 2 civile, sentenza 17 novembre 2011, n. 4913

[89] Corte di Cassazione III, sent. 3471 del 15-2-2007Nella specie la S.C. ha confermato la sentenza di merito che, in riferimento ad un contratto di mutuo concesso da una sorella al fratello, aveva rigettato la domanda della mutuante volta a ritenere obbligata anche la moglie del mutuatario, non avendo addotto elementi fattuali sufficienti a ritenere che potesse incolpevolmente ritenersi che questi agisse anche in nome e per conto della moglie

[90] Corte di Cassazione 11-9-91, n. 9513

[91] Vedi par.fo B) oggetto della comunione – Ammissibilità dell’esecuzione in forma specifica del contratto preliminare sottoscritto da un solo coniuge – pag.  15 e ss

[92] Corte di Cassazione III, ord. 20392 del 22-9-2009

[93] Corte di Cassazione 22-7-87, n. 6369

[94] Corte di Cassazione 19-2-96, n. 1279

[95] Corte di Cassazione 14-1-97, n. 284

[96] Corte di Cassazione I, sent. 15177 del 24-11-2000

[97] Corte di Cassazione, Sezione 2 civile, sentenza 16 aprile 2012, n. 5972

[98] Corte di Cassazione, Sezione 6 civile, ordinanza 12 gennaio 2012, n. 324

[99] Corte di Cassazione 23-6-98, n. 6234 (conf. Cass. 27-2-2001, n. 2844)

[100] Corte di Cassazione I, sent. 2844 del 27-2-2001

[101] Trib. Milano 20-7-89

[102] Corte di Cassazione 28-11-98, n. 12098

[103] Corte di Cassazione, Sezione 1 civile, sentenza 9 novembre 2012, n. 19454

[104] Corte d’Appello Roma, Sezione 3 civile, sentenza 4 luglio 2012, n. 3572

[105] Tribunale Cassino, civile, sentenza 27 ottobre 2011, n. 752

[106] Tribunale Trento, civile, sentenza 29 settembre 2011, n. 823

[107] Corte di Cassazione I, sent. 12293 del 10-6-2005

[108] Corte di Cassazione I, sent. 2844 del 27-2-2001

[109] Corte di Cassazione I, sent. 11467 del 24-7-2003

[110] Corte di Cassazione I, sent. 10896 del 24-5-2005. La S.C., dando atto che la corte di merito, facendo esercizio dei poteri ad essa spettanti, aveva nell’impugnata sentenza correttamente interpretato la domanda, dall’appellante incidentale erroneamente qualificata come di risarcimento danni, ha enunziato il principio di cui in massima

[111] Per una maggiore consultazione sull’usufrutto in generale aprire il seguente collegamento on-line  L’usufrutto

[112] Corte di Cassazione 9-4-94, n. 335

Avv. Renato D’Isa

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