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La massima

Il credito vantato dal coniuge con effetto dell’incorporazione dei materiali e della manodopera impiegati nella costruzione di un immobile su suolo di proprietà esclusiva dell’altro coniuge è un credito di valore, corrispondente al valore dei materiali e della manodopera impiegati nella realizzazione della costruzione stessa che resta di proprietà esclusiva del coniuge titolare del suolo, non avente natura pecuniaria e non essendo pertanto soggetto al principio nominalistico.

 

SUPREMA CORTE DI CASSAZIONE

sezione II

SENTENZA 30 maggio 2013, n. 13603

Ritenuto in fatto

Con atto di citazione notificato l’11 marzo 1992 D.L.A. evocava, dinanzi al Tribunale di Taranto, A..N. e premesso di avere sposato la convenuta nel 1973, in corso il giudizio di separazione giudiziale con la stessa, esponeva che quest’ultima aveva ricevuto in donazione dal padre, An..Ni. , un terreno in agro di (…), sul quale egli, con proprio denaro, aveva costruito la casa di abitazione e realizzato altre opere accessorie, immobile che la N. aveva messo in vendita, per cui ove non ritenute le opere rientrare nella comunione legale, ne chiedeva la condanna al pagamento del valore.
Instaurato il contraddittorio, nella resistenza della convenuta che assumeva essere stato edificato l’immobile con denaro del proprio genitore, il giudice adito, espletata istruttoria con c.t.u. e assunzione di prova orale, condannava la convenuta a pagare all’attore indennizzo ai sensi dell’art. 936 c.c., oltre accessori.
In virtù di rituale appello interposto dalla N. , nel quale ribadiva le difese esposte in primo grado, la Corte di appello di Lecce – Sezione distaccata di Taranto, nella resistenza del D.L. , accoglieva parzialmente l’appello e in parziale riforma della decisione di primo grado, condannava l’appellante a pagare all’appellato la somma di Euro 19.968,00, oltre interessi. A sostegno della decisione adottata la corte distrettuale evidenziava che l’acquisto del proprietario del suolo ex art. 934 c.c. era da ritenere ipso iure a titolo originario, al momento dell’incorporazione della costruzione edificata, principio che trovava applicazione anche nella disciplina della comunione legale tra coniugi, con la conseguenza che la costruzione realizzata in regime di comunione legale su terreno di proprietà esclusiva di uno di essi doveva ritenersi di proprietà esclusiva di quest’ultimo, con diritto per il coniuge non proprietario che aveva contribuito all’onere della costruzione di ripetere nei confronti dell’altro le somme spese, ai sensi dell’art. 2033 c.c., non dimostrato che la N. all’epoca fosse titolare di redditi. Aggiungeva che la natura di detto diritto non era di tipo risarcitorio, per cui al creditore competevano solo gli interessi dal giorno della domanda, dovendosi presumere la buona fede nell’accipiens, salva la possibilità di ottenere, se dimostrato, il maggiore danno ex art. 1224, comma 2, c.c..
Concludeva che ai materiali acquistati dal D.L. per la costruzione dell’immobile non poteva essere applicata la disciplina dell’art. 177, lett. a), c.c., essendo divenuti nell’immediato, ai sensi dell’art. 934 c.c., di proprietà della N. ed essendo il D.L. terzo rispetto alla proprietaria del terreno.
Avverso l’indicata sentenza della Corte di appello di Lecce – Sezione distaccata di Taranto ha proposto ricorso per cassazione il D.L. , articolato su un unico motivo, al quale ha resistito la N. con controricorso, la quale ha presentato anche ricorso incidentale affidato a tre motivi.
Il ricorrente principale ha depositato memoria illustrativa.

Motivi della decisione

Il ricorso principale ed il ricorso incidentale vanno preliminarmente riuniti, a norma dell’art. 335 c.p.c., concernendo la stessa sentenza.

Ciò posto, l’unico motivo del ricorso principale lamenta la violazione e falsa applicazione dell’art. 936 c.c. in relazione all’art. 2033 c.c. con riferimento all’art. 360 nn. 3 e 5 c.p.c. per non avere attribuito la corte di merito natura di credito di valore all’obbligazione restitutoria della N. , attenendo al concetto di indebito di cui all’art. 2033 c.c. e pone, a conclusione, il seguente quesito di diritto: ‘Dica l’Ecc.ma Corte se il credito vantato dal coniuge con effetto dell’incorporazione dei materiali e della manodopera impiegati nella costruzione di un immobile su suolo di proprietà esclusiva dell’altro coniuge sia o meno credito di valore, come tale non avente natura pecuniaria e quindi non soggetto al principio nominalistico per cui è necessario esprimere, in termini attuali al momento della decisione, il valore del bene, stimato nel momento in cui si perfeziona la fattispecie acquisita. Dica ancora se, sulla somma via via rivalutata (utilizzando indici annuali medi di svalutazione), in assenza di diversi elementi probatori, vadano calcolati gli interessi, come criterio di determinazione del danno sofferto per il ritardato conseguimento dell’equivalente monetario dei materiali e della manodopera’.

Con il primo motivo del ricorso incidentale la N. denuncia la violazione e falsa applicazione dell’art. 936 c.c. con riferimento al’art. 360 nn. 3 e 5 c.p.c. per non avere la corte di merito tenuto conto dell’eccezione sollevata in sede di appello di carenza di legittimazione passiva in relazione alla domanda per la condanna al pagamento delle somme che erano state impiegate dal coniuge per l’acquisto di materiali e di manodopera prima che ella divenisse proprietaria del terreno. Il motivo culmina con il seguente quesito: ‘Dica l’Ecc.ma corte di cassazione se legittimato passivo al pagamento delle somme spettanti per la realizzazione della costruzione su suolo altrui sia colui che risulta essere proprietario nel momento dell’accessione e incorporazione’.

Con il secondo motivo del ricorso incidentale viene dedotta la violazione e falsa applicazione degli artt. 177, 179, 192, 194 e 936 c.c. con riferimento all’art. 360 nn. 3 e 5 c.p.c. giacché l’affermazione del giudice di appello circa l’impiego dei soli proventi del D.L. nella realizzazione della costruzione sarebbe in contrasto con il principio fondante della riforma del diritto di famiglia che individua un pari apporto dei coniugi alla famiglia, sia per il coniuge che svolge attività lavorativa esterna sia a quello che la presta nella famiglia. A conclusione del motivo viene posto il seguente quesito di diritto: ‘Dica l’Ecc.ma corte di cassazione se le somme frutto dell’attività separata di ciascuno dei coniugi, in applicazione dei principi ispiratori della riforma entrino a far parte immediata della comunione tra coniugi, con la conseguenza che quelli di essi impiegati nella costruzione di un immobile su suolo in proprietà esclusiva di uno solo dei coniugi, al momento dello scioglimento della comunione, devono essere rimborsati alla comunione in virtù del disposto di cui all’art. 192 c.c. e, quindi, divisi secondo il disposto dell’art. 194 c.c. Spetterà, pertanto, al coniuge che ha realizzato con i proventi della sua attività lavorativa una costruzione sul suolo in proprietà esclusiva dell’altro coniuge una tutela di natura obbligatoria che lo fa divenire titolare, in mancanza della prova di avere realizzato nella costruzione con suoi beni personali tassativamente elencati nell’art. 179 c.c., di un diritto di credito pari alla metà del valore dei materiali e della manodopera impiegati nella costruzione’.

Con il terzo motivo del ricorso incidentale viene lamentata la violazione e falsa applicazione dell’art. 936 c.c. e la omessa motivazione con riferimento all’art. 360 nn. 3 e 5 c.p.c., per non avere i giudici di merito nella liquidazione dell’indennità tenuto conto della natura abusiva di gran parte della costruzione, autorizzata la realizzazione di sola casa rurale per complessivi mq. 150, mentre era stato edificato un fabbricato per uso abitativo di mq. 181,62, con locale deposito ed autorimessa di mq. 58,80; con la conseguenza che trattandosi di opere precarie, andavano ritenute non indennizzabili. Ad illustrazione del motivo viene posto il seguente quesito di diritto: ‘Dica l’Eccma corte di cassazione se le opere realizzate in difformità del nulla osta per costruire siano indennizzabili in favore di colui che le ha realizzate su suolo in proprietà di altri’.

Appare pregiudiziale l’esame del primo mezzo del ricorso incidentale, che pone una questione di legittimazione passiva con riferimento all’avvicendarsi dei proprietari del fondo incorporante, da valutarsi alla luce degli artt. 934 e 936 c.c..

Il motivo non merita accoglimento.

Nell’ipotesi, infatti, di opera realizzata da un terzo su terreno altrui (tale dovendo ritenersi il coniuge non proprietario del suolo, per quanto di seguito si dirà), ove l’originario proprietario abbia trasferito il terreno su cui insiste l’opera realizzata ad altro soggetto, il rapporto tra l’obbligo di corrispondere l’indennizzo, gravante ex art. 936 c.c. sul proprietario del fondo il quale intenda esercitare il diritto di ritenzione, ed il diritto ad ottenerlo – non diversamente dall’inverso rapporto tra il diritto di chiedere la rimozione dell’opera e l’obbligo di provvedere al riguardo – devesi riconoscere non più tra detto originario proprietario ed il terzo bensì tra quest’ultimo e l’acquirente del fondo, (incorporante anche il diritto sull’opera), trovandosi l’uno a subire il depauperamento e l’altro a beneficiare dell’arricchimento in ragione dei quali la ratio della norma tende a ristabilire una situazione di relativo equilibrio (v. in termini, seppure a parti invertite, Cass. 4 febbraio 2000 n. 1246). Nella considerata ipotesi, pertanto, l’originario proprietario del suolo non è litisconsorte necessario ovvero parte da evocare in giudizio in luogo della controricorrente.

Precisato quanto sopra, l’unico motivo del ricorso principale, con il quale viene criticata la decisione impugnata per non avere attribuito natura di valore al credito riconosciuto in capo al ricorrente, è da ritenere fondato.

Osserva il collegio che per costante orientamento di questa Corte, cui si ritiene di dare continuità, ai sensi dell’art.935 c.c., il terzo, proprietario dei materiali utilizzati per costruire, è titolare di un credito di valore, commisurato al valore di mercato dei materiali stessi ed al prezzo della manodopera al momento in cui si è verificata l’accessione. Su queste posizioni si era già attestata la giurisprudenza prima della riforma del diritto di famiglia nelle ipotesi, allora possibili di comunione convenzionale tra coniugi, affermando che il coniuge, non proprietario del suolo, non vanta alcun diritto reale sulla costruzione bensì un diritto di credito relativo al valore dei materiali impiegati nella costruzione (Cass. 14 giugno 1966 n.1545) nel senso che ‘il credito che la moglie vanta per effetto dell’incorporazione di tali materiali al suolo non ha natura pecuniaria e non è pertanto soggetto al principio nominalistico’. Una soluzione non diversa è stata, poi, adottata anche dopo la riforma del diritto di famiglia, in cui la tutela del coniuge in regime di comunione legale, se non raggiunge il livello di natura reale, per la presenza di un sistema normativo, proprio di quel particolare modo d’acquisto della proprietà costituito dall’accessione (art. 934 e ss), non intaccato dal tessuto normativo della riforma del diritto di famiglia, tuttavia integra un diritto di credito corrispondente al valore dei materiali e della manodopera impiegati nella realizzazione della costruzione stessa che resta di proprietà esclusiva del coniuge titolare del suolo (cfr Cass. SS.UU. 27 gennaio 1996 n. 651).

La riconosciuta natura di credito di valore comporta la cassazione della sentenza sul punto.

Passando all’esame delle ulteriori censure del ricorso incidentale, con il secondo mezzo la N. denuncia violazione di legge e vizio di motivazione, assumendo come non sia possibile sostenere che la costruzione dell’abitazione sarebbe avvenuta con i soli proventi del coniuge, ciò in contrasto con gli artt.177, 179, 192, 194 c.c..

Il motivo non è fondato.

Si osserva al riguardo che i redditi individuali dei coniugi, tanto che si tratti di redditi di capitali (art. 177, lettera ‘b’, c.c.), quanto che si tratti di proventi della loro attività separata (art. 177, lettera ‘c’, c.c.), non cadono automaticamente in comunione, ma rimangono di pertinenza del rispettivo titolare, salvo a diventare comuni, nella misura in cui non siano stati già consumati, al verificarsi di una causa di scioglimento della comunione. In questo senso l’assunto posto a fondamento della sentenza impugnata, che ha ritenuto essere stato il solo reddito del D.L. ad avere concorso alla realizzazione dell’opera, in tal senso deponendo le risultanze istruttorie, peraltro non specificatamente fatto oggetto del motivo in esame, va esente dalle critiche dedotte dalla controricorrente, incentrate sul contrario rilievo che ‘i proventi siano per sé comuni’, dal momento che non si pongono nella specie neanche accertamenti circa l’esistenza di eventuali limiti o controlli alla facoltà della loro consumazione, per essere stati investiti a favore della moglie.

Del pari non può trovare ingresso neanche il terzo mezzo con il quale la ricorrente incidentale denuncia la non indennizzabilità della costruzione per essere in gran parte abusiva, circostanza che non risulta essere stata mai prima dedotta in sede di merito, secondo quanto è dato di evincere dal tenore stesso della sentenza impugnata, là dove questa, non altrimenti censurata in proposito dalla N. sotto le specie dell’omessa pronuncia o come violazione dell’art. 112 e 360 n. 4 c.p.c., per un verso, riporta (alla pagina 4 e ss) le doglianze dell’appellante relative, rispettivamente, alla esistenza del diritto di credito preteso ovvero al difetto di legittimazione passiva, quanto meno per una parte dell’obbligazione, mentre, per altro verso, disattende poi (alla pagina 6 e ss) le richieste di riduzione del quantum con riferimento all’art. 177, lettere b) e c), c.c., accogliendo l’appello limitatamente alla deduzione della mancata prova del maggior danno, onde, in questo senso, il vizio dedotto dalla ricorrente involge un profilo della controversia nuovo e, come tale, appunto inammissibile.

In conclusione, va accolto il ricorso principale, rigettato quello incidentale, con cassazione della sentenza impugnata relativamente al solo ricorso principale. La cassazione va disposta tuttavia senza rinvio, perché, non essendo necessari ulteriori accertamenti di fatto, questa corte può decidere nel merito, statuendo che decorrono dalla domanda, dovendosi ritenere la N. in buona fede, la rivalutazione monetaria e gli interessi legali sulla somma liquidata, in cumulo tra loro.

La sentenza impugnata può essere confermata quanto alle restanti statuizioni, anche per ciò che attiene alla regolazione delle spese, tenuto conto del complessivo esito del giudizio.

Le spese del giudizio di cassazione seguono il principio della soccombenza.

P.Q.M.

La Corte, riuniti i ricorsi, accoglie il ricorso principale e rigetta quello incidentale;

cassa la sentenza impugnata limitatamente all’omessa rivalutazione del credito del ricorrente e pronunziando nel merito, dispone che tale credito sia rivalutato secondo gli indici ISTAT dalla domanda, oltre ad interessi legali, decorrenti dalla stessa epoca, sulla somma come rivalutata annualmente, sino al soddisfo.

Conferma la sentenza di appello per il resto, anche quanto al regolamento delle spese processuali dei due gradi di giudizio;

condanna parte controricorrente al pagamento delle spese di questo grado che liquida in complessivi Euro 2.700,00, di cui Euro 200,00 per esborsi.

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