Comodato a vita termine certo e durata incerta

Corte di Cassazione, civile, Ordinanza|9 gennaio 2025| n. 573.

Comodato a vita termine certo e durata incerta

Massima: La concessione in comodato di un immobile per tutta la vita del comodatario è un contratto a termine, di cui è certo l’”an” ed incerto il “quando”, atteso che, con l’inserimento di un elemento accidentale per l’individuazione della precisa durata, il comodante ha limitato la possibilità di recuperare, quando voglia, la disponibilità materiale dell’immobile, rafforzando, al contempo, la posizione del comodatario, a cui viene garantito il godimento per tutto il tempo individuato.

 

Ordinanza|9 gennaio 2025| n. 573. Comodato a vita termine certo e durata incerta

Integrale

Tag/parola chiave: Comodato d ‘uso – Termine finale – Desunzione ex art. 1810 cod. civ. dall’uso di destinazione della cosa – Mancanza di tale destinazione – Uso del bene a tempo indeterminato – Comodato precario – Revocabilità ad nutum da parte del proprietario – Destinazione della casa familiare – Cessazione con il dissolversi delle necessità familiari legittimanti – Sezioni Unite sentenza 29 settembre 2014 n. 20448 – Assenza di elementi – Applicazione della soluzione più favorevole alla sua cessazione

REPUBBLICA ITALIANA

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE TERZA CIVILE

Composta dai Signori Magistrati:

Dott. FRASCA Raffaele Gaetano Antonio – Presidente

Dott. SCODITTI Enrico – Pres. Sezione

Dott. CIRILLO Francesco Maria – Consigliere Rel.

Dott. ROSSETTI Marco – Consigliere

Dott. TASSONE Stefania – Consigliere

ha pronunciato la seguente
ORDINANZA

sul ricorso iscritto al n. 16714/2023 R.G. proposto da:

Fe.Gi., rappresentato e difeso dall’avvocato BO.DO. (omissis), elettivamente domiciliato presso l’indirizzo PEC indicato dal difensore;

– ricorrente –

contro

Fe.Ro., rappresentato e difeso dall’avvocato CA.DO. (omissis), elettivamente domiciliato presso l’indirizzo PEC indicato dal difensore;

– controricorrente –

avverso la SENTENZA della CORTE D’APPELLO di TORINO n. 500/2023 depositata il 30/05/2023.

Udita la relazione svolta nella camera di consiglio del 15/11/2024 dal Consigliere FRANCESCO MARIA CIRILLO.

Comodato a vita termine certo e durata incerta

FATTI DI CAUSA

1. Fe.Gi., in qualità di trustee del “Trust famiglia Fe.Gi. e Ma.”, convenne in giudizio, davanti al Tribunale di Torino, Fe.Ro., chiedendo che fosse dichiarata la cessazione del contratto di comodato del 30 ottobre 2009, con conseguente condanna del convenuto al rilascio dell’appartamento sito a T, con il pagamento di una penale pari ed Euro 36.010.

A sostegno della domanda espose, tra l’altro, che tra i beni appartenenti al trust di famiglia, costituito in data 4 dicembre 2010, vi era anche l’appartamento suindicato, concesso a suo tempo in comodato al convenuto. Di quel bene l’attore dichiarava di aver chiesto la restituzione al comodatario, non avvenuta; e poiché il contratto prevedeva il pagamento di una penale giornaliera per il ritardo, l’attore chiese che il convenuto fosse condannato, oltre che al rilascio, anche al pagamento della somma suindicata a titolo di penale.

Si costituì in giudizio il convenuto, chiedendo il rigetto della domanda.

Il Tribunale rigettò la domanda e condannò l’attore al pagamento delle spese di lite.

2. La decisione è stata impugnata dall’attore soccombente e la Corte d’Appello di Torino, con sentenza del 30 maggio 2023, ha rigettato il gravame e ha condannato l’appellante alla rifusione delle ulteriori spese del grado.

Esaminando congiuntamente il primo e il secondo motivo di appello, la Corte territoriale li ha ritenuti entrambi infondati. Concordando con l’impostazione data dal Tribunale, la Corte ha affermato che, nel caso specifico, il contratto di comodato non prevedeva il diritto di Fe.Ro. a rimanere nell’immobile fino al momento in cui fosse esistita una sua famiglia. Prevedeva, invece, la possibilità, per il comodatario, di servirsi del bene per l’uso specifico di “vivere con la propria famiglia”, cosi che il termine implicito di durata discendeva dalla destinazione impressa al bene.

La sentenza ha ricordato che, per costante giurisprudenza, esistono due forme di comodato: quello propriamente detto, disciplinato dagli artt. 1803 e 1809 cod. civ., e quello c.d. precario, disciplinato dall’art. 1810 cod. civ. sotto la rubrica “comodato senza determinazione di durata”. Nel primo caso, il comodato sorge con la consegna della cosa per un tempo determinato o per un uso che consente di stabilire la scadenza contrattuale; e la restituzione immediata può essere chiesta solo in caso di sopravvenienza di un urgente e imprevisto bisogno (art. 1809, secondo comma, cit.). Nel secondo caso, regolato dall’art. 1810 cod. civ., la mancata pattuizione di un termine consente al comodante di richiedere ad nutum al comodatario la restituzione del bene. Il contratto in esame, secondo la Corte torinese, rientrava nella prima ipotesi, trattandosi di comodato destinato a soddisfare le esigenze abitative della famiglia del comodatario; destinazione, questa, di per sé incompatibile con un godimento caratterizzato dall’incertezza e avente per sua natura una determinazione della durata. E in simile ipotesi, per costante giurisprudenza, il comodante non può chiedere la restituzione del bene ad nutum, né il comodante aveva dimostrato che il comodatario avesse smesso di usare l’immobile per viverci con la propria famiglia.

Comodato a vita termine certo e durata incerta

Rispetto a tale ricostruzione la Corte torinese non ha ritenuto incompatibile l’art. 2 del contratto, in base al quale il comodatario si impegnava a restituire il bene entro trenta giorni dalla richiesta dei comodanti; l’art. 2, infatti, ad avviso della Corte, non prevedeva un termine espresso di durata del comodato, destinato a soddisfare esigenze di per sé incompatibili con una durata limitata nel tempo.

La sentenza, infine, ha affermato essere irrilevante la circostanza, prospettata dall’appellante, secondo cui il bisogno imprevisto e urgente era costituito dal mutamento del beneficiario del trust, riferendosi la legge alla comparsa di esigenze impreviste e serie, non identificabili con un desiderio voluttuario o capriccioso.

3. Contro la sentenza della Corte d’Appello di Torino ha proposto ricorso Fe.Gi., in qualità di trustee del “Trust famiglia Fe.Gi. e Ma.”, con atto affidato a due motivi.

Ha resistito con controricorso Fe.Ro.

Il ricorso è stato ritenuto inammissibile con una proposta di definizione anticipata ai sensi dell’art. 380-bis cod. proc. civ., depositata dal Consigliere relatore in data 16 aprile 2024.

Avverso tale decisione il ricorrente ha proposto opposizione, chiedendo che il ricorso venga deciso, e la trattazione è stata fissata ai sensi dell’art. 380-bis 1 cod. proc. civ. e il Pubblico Ministero non ha depositato conclusioni.

Il ricorrente ha depositato memoria.

RAGIONI DELLA DECISIONE

1. Con il primo motivo di ricorso si lamenta, in relazione all’art. 360, primo comma, n. 3), cod. proc. civ., violazione e falsa applicazione dell’art. 1809 cod. civ. e omessa applicazione dell’art. 1810 cod. civ., in relazione alla figura del comodato precario.

Sostiene il ricorrente che, in mancanza di particolari prescrizioni sulla durata, l’uso corrispondente alla generica destinazione dell’immobile configura un comodato a tempo indeterminato e, di conseguenza, un comodato precario in quanto revocabile ad nutum. Ammettere un comodato per tutta la durata di vita di una famiglia equivale a costituire una sorta di diritto reale sulla cosa non tipizzato dalla legge. Poiché il termine “famiglia” è generico e indeterminato, il comodato potrebbe essere prolungato per tutta la vita del comodatario.

2. Con il secondo motivo di ricorso si lamenta, in relazione all’art. 360, primo comma, n. 3), cod. proc. civ., violazione o falsa applicazione degli artt. 1362, 1371 e 1372 cod. civ. e dei criteri di interpretazione dei contratti.

Secondo il ricorrente, la Corte d’Appello avrebbe confuso due contenuti, perché nel caso specifico la durata del contratto è espressamente regolata dall’art. 2, che prevede appunto che il comodatario sia tenuto a restituire il bene entro i trenta giorni dalla richiesta. Il diritto di recesso, quindi, ha una sua regolazione contrattuale, che la Corte d’Appello non ha nella specie applicato, e che conferma trattarsi di un comodato precario. L’interpretazione della Corte d’Appello, inoltre, sarebbe in contrasto con l’art. 1371 cod. civ., perché finirebbe col rendere il contratto più gravoso per l’obbligato, che è il contrario di quanto la suindicata norma prevede.

3. La Corte ritiene opportuno, innanzitutto, trascrivere i passaggi più significativi della proposta di definizione anticipata redatta, ai sensi dell’art. 380-bis cod. proc. civ., dal Consigliere delegato in data 16 aprile 2004.

Si legge in detta proposta, tra l’altro, che “ove il comodato di un bene immobile sia stato stipulato senza limiti di durata in favore di un nucleo familiare, si versa nell’ipotesi del comodato a tempo indeterminato, caratterizzato dalla non prevedibilità del momento in cui la destinazione del bene verrà a cessare; in tal caso, per effetto della concorde volontà delle parti, si è impresso allo stesso un vincolo di destinazione alle esigenze abitative familiari (e perciò non solo e non tanto a titolo personale del comodatario) idoneo a conferire all’uso – cui la cosa deve essere destinata – il carattere implicito della durata del rapporto, anche oltre la eventuale crisi coniugale e senza possibilità di far dipendere la cessazione del vincolo esclusivamente dalla volontà, ad nutum, del comodante, salva la facoltà di quest’ultimo di chiedere la restituzione nell’ipotesi di sopravvenienza di un bisogno, ai sensi dell’art. 1809, comma 2, cod. civ., segnato dai requisiti della urgenza e della non previsione (Cass. Sez. U., Sentenza n. 13603 del 21/07/2004, Rv. 575657; Cass. Sez. 2, Sentenza n. 3072 del 13/02/2006, Rv. 592981)”.

La citata proposta rileva, inoltre, che “il ricorrente peraltro non si confronta con la motivazione addotta in sentenza, ma anzi inammissibilmente insiste nell’assunto difensivo esplicitamente confutato dai giudici a quibus, tenendo in non cale quanto al riguardo da essi rilevato, là dove rimarcano che, “a differenza di quanto afferma l’appellante”, il Tribunale non ha affermato che “il comodato “abbia durata fino a quando esista una ‘famiglia’ del signor Fe.Ro.” ma che sia destinato a consentire che il comodatario si serva del bene per l’uso specifico di “vivere con la propria famiglia”, con termine implicito di durata correlato alla destinazione impressa e quindi fissato per relationem all’avvenuto dissolversi di tale esigenza”.

Comodato a vita termine certo e durata incerta

Il ricorrente, nel chiedere che il ricorso venisse deciso ai sensi del secondo comma dell’art. 380-bis cod. proc. civ., ha insistito nelle proprie argomentazioni, inserendo in memoria la suggestiva argomentazione secondo cui ammettere la validità di un contratto di comodato “per tutta la vita di una famiglia” significherebbe “creare un’abnormità giuridica”, di fatto costituendosi in tal modo un diritto reale atipico, in contrasto con la natura chiusa dei diritti reali.

4. La Corte rileva, intanto, che è corretta la distinzione richiamata dalla Corte torinese tra comodato propriamente detto, regolato dagli artt. 1803 e 1809 cod. civ., e comodato c.d. precario di cui all’art. 1810 cod. civ., definito dalla legge comodato senza destinazione di durata. La differenza tra le due ipotesi acquista importanza decisiva per quanto riguarda la facoltà di chiedere la restituzione del bene, perché nel primo caso l’obbligo di restituzione e regolato dall’art. 1809 cit., mentre nel secondo il comodatario è tenuto alla restituzione non appena il comodante gliene faccia richiesta (ad nutum).

Si tratta, quindi, di stabilire se, pacifica essendo tale distinzione, la Corte subalpina abbia fatto corretta applicazione del sistema normativo, alla luce dei numerosi precedenti di questa Corte in argomento.

Giova rammentare, in proposito, che, ferma la giurisprudenza indicata nella proposta di definizione anticipata, le Sezioni Unite di questa Corte hanno stabilito che nel contratto di comodato il termine finale può risultare dall’uso cui la cosa deve essere destinata, in quanto tale uso abbia in sé connaturata una durata predeterminata nel tempo; per cui, in mancanza di tale destinazione, l’uso del bene risulta qualificato a tempo indeterminato, divenendo in tale ipotesi il comodato precario e, perciò, revocabile ad nutum da parte del proprietario (sentenza 9 febbraio 2011, n. 3168, ribadita, tra le altre, dalla sentenza 25 giugno 2013, n. 15877).

Successivamente le Sezioni Unite di questa Corte, con la sentenza 29 settembre 2014, n. 20448 – ripercorrendo i vari orientamenti in materia e dando continuità alla precedente sentenza 21 luglio 2004, n. 13063 – hanno stabilito, tra l’altro, che il comodato di bene immobile stipulato per la soddisfazione di esigenze abitative familiari del comodatario, pur inquadrabile nello schema del “comodato a termine indeterminato”, non è, in punto di disciplina, riconducibile al comodato senza determinazione di durata (altrimenti denominato precario) regolato dall’art. 1810 cod. civ., bensì alla figura prevista dall’art. 1809 cod. civ., in quanto la determinazione della durata della concessione, non ancorata ad un termine prefissato, è comunque desumibile per relationem dall’uso convenuto. Ed hanno poi aggiunto che a questo genere di comodato, ispirato da finalità solidaristiche, “mal si attaglia la natura instabile della situazione negoziale di cui all’art. 1810 cod. civ.”.

L’insegnamento contenuto nella sentenza n. 20448 del 2014 è stato ripreso e confermato in più occasioni (v., tra le decisioni più recenti, le ordinanze 29 settembre 2023, n. 27634, e 22 luglio 2024, n. 20118) e deve essere ulteriormente ribadito nella pronuncia odierna.

La richiamata giurisprudenza, peraltro, ha specificamente concentrato la propria attenzione – tentando di dare risposta ad un problema di pressante attualità – alle sorti del comodato per le esigenze della famiglia in caso di sopravvenienza di figli e di crisi della coppia.

Tale situazione non trova riscontro nella vicenda odierna, nella quale si tratta di stabilire come vada interpretata una clausola secondo cui il comodatario può servirsi del bene immobile per l’uso specifico di “vivere con la propria famiglia”. È opportuno ricordare che questa Corte ha già affermato – con un orientamento al quale l’odierna pronuncia intende dare continuità – che la concessione in comodato di un immobile per tutta la vita del comodatario è un contratto a termine, di cui è certo l’an ed incerto il quando, atteso che, con l’inserimento di un elemento accidentale per l’individuazione della precisa durata (nella specie, la massima possibile, ossia per tutta la durata della vita del beneficiario), il comodante ha limitato la possibilità di recuperare, quando voglia, la disponibilità materiale dell’immobile, rafforzando, al contempo, la posizione del comodatario, a cui viene garantito il godimento per tutto il tempo individuato (sentenza 18 marzo 2014, n. 6203). E la Corte d’Appello, infatti, ha chiarito che la clausola doveva essere interpretata non nel senso di garantire la durata del comodato fino a quando esista una famiglia di Fe.Ro., in quanto il collegamento con la vita della propria famiglia conteneva in sé, per implicito, l’idea di un termine correlato con quella destinazione.

Comodato a vita termine certo e durata incerta

È indubbio, d’altra parte, che il riferimento alla vita del comodatario, contrariamente a quanto sostenuto dal ricorrente, permette pur sempre di individuare un termine finale, per quanto anche molto lontano, nel quale il contratto avrà termine; per cui la disciplina da applicare non può che essere quella dell’art. 1809 cod. civ., come correttamente stabilito dalla Corte d’Appello, non potendo il comodato in questione essere connotato dalla precarietà. Ed è appena il caso di evidenziare come sia improprio, da parte del ricorrente, il richiamo all’ordinanza 15 ottobre 2020, n. 22309, di questa Corte, avendo detta pronuncia ad oggetto un comodato destinato ad uso commerciale.

Si deve, inoltre aggiungere, che l’esclusione della precarietà trova riscontro anche in queste altre considerazioni suggerite dal tenore delle clausole contrattuali.

In particolare:

a) l’indicazione nella clausola 1.3. dello scopo del comodato nel “vivere con la propria famiglia”, esprimendo un evidente interesse ad assicurare gratuitamente il godimento in funzione della convivenza della famiglia del comodatario, se confrontato con la clausola che prevede l’obbligo di restituzione entro trenta giorni dalla richiesta, giustifica – proprio per la particolarità dello scopo contemplato – che quest’ultima clausola non debba interpretarsi nel senso di assicurare la sua mortificazione ad arbitrio del comodante (come nella logica della precarietà), ma, all’evidenza alla cessazione della vivenza della famiglia del comodatario nell’immobile, cioè all’impiego di esso per un uso diverso;

b) milita nello stesso senso l’espressa previsione – nel secondo inciso della clausola 2.1. – della immediata risoluzione nel caso di separazione coniugale o di decesso del comodatario: l’una e l’altra ipotesi integrano fattispecie di cessazione della vivenza della famiglia nell’immobile e la prima può essere integrata anche dalla permanenza nel godimento del bene del solo comodatario.

5. Il ricorso, pertanto, è rigettato.

Ritiene la Corte, tuttavia, in considerazione della delicatezza della vicenda, della serietà delle argomentazioni proposte dal ricorrente e della non sempre pacifica univocità degli orientamenti della giurisprudenza, che le spese del giudizio di cassazione debbano essere compensate.

Sussistono tuttavia i presupposti processuali di cui all’art. 13, comma 1-quater, del D.P.R. 30 maggio 2002, n. 115, per il versamento, da parte del ricorrente, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello versato per il ricorso, se dovuto.

P.Q.M.

La Corte rigetta il ricorso e compensa le spese.

Ai sensi dell’art. 13, comma 1-quater, del D.P.R. 30 maggio 2002, n. 115, dà atto della sussistenza dei presupposti processuali per il versamento, da parte del ricorrente, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello versato per il ricorso, se dovuto.

Così deciso in Roma, nella camera di consiglio della Terza Sezione Civile, il 15 novembre 2024.

Depositata in cancelleria il 9 gennaio 2025.

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