Strategia legale condivisa nessuna responsabilità avvocato

Corte di Cassazione, civile, Ordinanza|9 gennaio 2025| n. 469.

Strategia legale condivisa nessuna responsabilità avvocato

Massima: La scelta concordata tra cliente e difensore relativa al momento e alla sede per proporre determinate domande, qualora suffragata da elementi di prova che dimostrino una strategia processuale corretta, esclude la responsabilità professionale del difensore per omissioni o errori asseritamente commessi in altre sedi o momenti del processo.

 

Ordinanza|9 gennaio 2025| n. 469. Strategia legale condivisa nessuna responsabilità avvocato

Integrale

Tag/parola chiave: Avvocati – Responsabilità professionale – Per aver omesso il ricorso – Strategia concordata con il cliente – Esclude la responsabilità

REPUBBLICA ITALIANA

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE TERZA CIVILE

composta dai signori magistrati:

Dott. TRAVAGLINO Giacomo – Presidente

Dott. FIECCONI Francesca – Consigliera

Dott. IANNELLO Emilio – Consigliere

Dott. POSITANO Gabriele – Consigliere

Dott. TATANGELO Augusto – Consigliere-Relatore

ha pronunciato la seguente
ORDINANZA

sul ricorso iscritto al numero 19397 del ruolo generale dell’anno 2023, proposto

da

Bo.Em. (C.F.: (Omissis))

Bo.Eu. (C.F.: (Omissis))

Vi.Gi. (C.F.: (Omissis))

rappresentati e difesi dall’avvocato Ro.Ba. (C.F.: (Omissis)

-ricorrenti-

nei confronti di

Qu.Pa. (C.F.: (Omissis))

Qu.En. (C.F.: (Omissis))

rappresentati e difesi dagli avvocati Pa.Di. (C.F.: (Omissis)) e Pa.Di. (C.F.: (Omissis))

GE.IT. Spa (C.F.: (Omissis), in persona del rappresentante per procura, Marco Porzio

rappresentata e difesa dall’avvocato Mi.Ro. (C.F.: (Omissis))

-controricorrenti-

nonché

Bo.Cr. (C.F.: (Omissis))

Bo.Ra.(C.F.: (Omissis))

-intimate-

per la cassazione della sentenza della Corte d’Appello di Torino D n. 676/2023, pubblicata in data 5 luglio 2023 (e notificata in data 11 luglio 2023);

udita la relazione sulla causa svolta alla camera di consiglio del 22 novembre 2024 dal consigliere Augusto Tatangelo.

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FATTI DI CAUSA

Bo.Em. (erede di To.Fe.), Bo.Eu., Vi.Gi. (erede di To.Or.) e To.Ma. (quest’ultima deceduta nel corso del giudizio di merito ed alla quale è subentrato l’erede Bo.Ra., a sua volta successivamente deceduto ed al quale sono, a loro volta succeduti, gli eredi Bo.Em., Bo.Eu., Bo.Cr. e Bo.Ra.), hanno agito in giudizio nei confronti degli avvocati En.E., onde ottenere la risoluzione, per grave inadempimento di questi ultimi, di un contratto d’opera professionale con gli stessi intervenuto, avente ad oggetto l’incarico difensivo relativo a due giudizi civili nei confronti del Comune di F riguardanti una procedura di espropriazione per pubblica utilità di un loro immobile, nonché il risarcimento dei conseguenti danni. Il convenuto Qu.En. ha chiamato in giudizio la propria assicuratrice della responsabilità civile, GE.IT. Spa, per essere garantito in caso di soccombenza.

La domanda degli attori è stata rigettata dal Tribunale di Torino. La Corte d’Appello di Torino ha confermato la decisione di primo grado.

Ricorrono Bo.Em. ed Bo.Eu., nonché Vi.Gi., sulla base di tre motivi.

Resistono, con distinti controricorsi: a) En.E.; b) GE.IT. Spa

Non hanno svolto attività difensiva in questa sede gli altri intimati.

E stata disposta la trattazione in camera di consiglio, in applicazione degli artt. 375 e 380-bis 1 c.p.c.

Le parti hanno depositato memorie ai sensi dell’art. 380-bis 1 c.p.c.

Il Collegio si è riservato il deposito dell’ordinanza decisoria nei sessanta giorni dalla data della camera di consiglio.

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RAGIONI DELLA DECISIONE

1. Con il primo motivo del ricorso si denunzia “violazione: -dell’art. 20 legge n. 865/1971 (in relazione dell’art. 360 n. 3 c.p.c.) – dell’artt. 115 e 116 c.p.c. (in relazione dell’art. 360 n. 3 c.p.c.) laddove la corte di merito ha affermato che i proprietari avrebbero potuto proporre il giudizio di opposizione alla indennità di occupazione temporanea solo dopo che fosse spirato il termine finale, anziché dal termine finale di ogni singolo anno (o frazione) di occupazione temporanea”. Il motivo è infondato.

1.1 La Corte d’Appello non ha espressamente affermato quanto sostengono i ricorrenti e, cioè, “che i proprietari avrebbero potuto proporre il giudizio di opposizione alla indennità di occupazione temporanea solo dopo che fosse spirato il termine finale, anziché dal termine finale di ogni singolo anno (o frazione) di occupazione temporanea”.

Ha semplicemente affermato quanto segue: “Tale giudizio è stato introdotto con atto di citazione notificato in data 7.2.2005, quando il periodo di occupazione legittima indicato non era ancora terminato; gli avvocati non avrebbero pertanto potuto proporre con l’atto di citazione la domanda di pagamento dell’indennità per il periodo dal 29.8.2002 al 9.3.2005 indicata dagli appellanti”.

In altri termini, i giudici di appello si sono limitati a dare atto che non avrebbe potuto essere proposta la domanda relativa all’intero periodo di occupazione legittima, in un momento in cui la stessa non si era ancora verificata.

Hanno comunque aggiunto, in proposito: a) che gli attori non avevano dedotto “che gli avvocati avrebbero dovuto introdurre una modifica della domanda in corso di causa”; b) che “gli avvocati hanno comunque correttamente proposto la domanda in questione nel secondo giudizio”; c) che “non potendosi ipotizzare, in spregio alle regole sulla litispendenza e al contrasto tra giudicati, che gli attori intendessero proporre la medesima domanda avanti a due giudici diversi, è logico inferire che la scelta di proporre una sola volta la domanda avanti alla Corte d’Appello dell’Aquila, competente funzionalmente e in unico grado per le controversie inerenti a diritti di natura indennitaria connessi a provvedimenti di espropriazione, sia stato frutto di strategia processuale concordata con i clienti e non di una mera dimenticanza”.

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Hanno, altresì, precisato che “a conferma del fatto che si sia trattato di scelta concordata dai professionisti con i clienti e non di mera dimenticanza, nel primo atto di citazione (introduttivo del primo giudizio) è stato esposto con chiarezza l’oggetto delle domande, espressamente limitato al periodo fino al 29.8.2002, il fatto che con delibere del 2002 il Comune aveva nuovamente disposto l’occupazione del compendio immobiliare dal 29.8.2002, ed è stata espressamente fatta salva e impregiudicata ogni utile tutela avverso i nuovi provvedimenti come da ultimo assunti dal Comune” e che non risultava affatto, “contrariamente a quanto affermato dagli appellanti, che la domanda in questione sia stata poi proposta nel primo giudizio in sede di appello”.

1.2 Orbene, in primo luogo, è opportuno osservare che la questione relativa alla possibilità di chiedere l’indennità per il periodo di occupazione legittima “dal termine finale di ogni singolo anno (o frazione) di occupazione temporanea” non risulta affrontata nella decisione impugnata e i ricorrenti non precisano se essa era stata già posta nel corso del giudizio di merito, in violazione dell’art. 366, comma 1, n. 6, c.p.c. In ogni caso, deve ritenersi assorbente, in proposito, la considerazione che quanto meno le affermazioni della Corte d’Appello sopra richiamate sub b) e sub c), in ordine alla circostanza che la domanda relativa all’indennità per il secondo periodo di occupazione legittima era stata richiesta nel secondo giudizio, direttamente instaurato davanti alla Corte d’Appello, in base a strategia concordata tra clienti e difensori, costituiscono una autonoma ratio decidendi, sul punto in contestazione, da sola sufficiente a sostenere la statuizione impugnata. 1.3 Con riguardo a tali affermazioni i ricorrenti si limitano ad affermare quanto segue: “… la violazione denunciata non è scalfita dalla circostanza (non contestata) che i difensori abbiano successivamente proposto la domanda di indennità per la seconda occupazione temporanea (dal 29.8.2002 al 9.3.2005) nel successivo giudizio di opposizione alla stima introdotto dinanzi alla Corte di Appello dell’Aquila…… La circostanza è infatti superata dalla constatazione che su quella domanda la Corte di Appello ha poi omesso di pronunciarsi e che i difensori hanno omesso di informare i clienti in ordine alla pubblicazione della citata sentenza e di consigliare termini e modalità del rimedio esperibili avverso la stessa (questo punto è oggetto del seguente secondo motivo del presente ricorso)”. In sostanza, i ricorrenti, in primo luogo, non contestano specificamente l’accertamento di fatto secondo il quale la proposizione della domanda relativa all’indennità per il secondo periodo di occupazione legittima nel secondo giudizio, instaurato davanti alla Corte d’Appello (cioè il giudice effettivamente competente a decidere su di essa, come essi stessi riconoscono) era stato frutto di una strategia concordata tra clienti e difensori; neanche negano che tale domanda potesse (anzi, dovesse) effettivamente essere posta alla Corte d’Appello in unico grado, in sede di opposizione alla stima; si limitano a sostenere che la Data questione sarebbe assorbita dalla pretesa responsabilità dei medesimi difensori, in relazione alla mancata impugnazione dell’omissione di pronuncia in proposito verificatasi in quel secondo giudizio.

1.4 Orbene, in tal modo, resta in realtà confermata, con riguardo alla mancata proposizione della predetta domanda nel primo giudizio, instaurato davanti al Tribunale, la conformità a diritto della ritenuta esclusione della responsabilità professionale dei convenuti, non avendo essi omesso di proporre la predetta domanda in quel giudizio per negligenza ma perché avevano ritenuto opportuno proporla nel secondo giudizio, sulla base di una strategia processuale corretta e, comunque, concordata con i loro assistiti (salva, ovviamente, l’eventuale responsabilità per non avere adeguatamente coltivato la suddetta domanda nel giudizio in cui era stata avanzata, che però è oggetto di diversa statuizione della Corte d’Appello, a sua volta oggetto di diverse censure, formulate nei successivi motivi di ricorso e che saranno di seguito esaminate). 2. Con il secondo motivo si denunzia “violazione dell’art. 1218 c.c., dell’art. 1176 c.c. e dell’art. 115 c.p.c. (in relazione all’art. 360/1 n. 3 c.p.c.) laddove la corte di merito ha affermato che i difensori avessero assolto non solo all’obbligo di informazione ai clienti della pubblicazione della sentenza ma anche all’obbligo di consiglio sulla opportunità o meno del ricorso per cassazione con la certezza che i clienti avessero ben compreso le implicazioni, i rischi ed i vantaggi della impugnazione ed avessero deciso consapevolmente di non proporla”. Con il terzo motivo si denunzia “falsa applicazione degli artt. 2727 e 2729 c.c. (in relazione all’art. 360 n. 3 c.p.c.) laddove la corte di merito ha fondato la presunzione (secondo cui i difensori avrebbero assolto all’obbligo di informazione della pubblicazione della sentenza ed all’obbligo di consiglio sulla opportunità o meno del ricorso per cassazione) su fatti storici D privi di gravità, di precisione e di concordanza ai fini della inferenza dal fatto noto della conseguenza ignota, incorrendo così in un ragionamento decisorio affetto da manifesta illogicità ed intrinseca contraddittorietà”.

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Il secondo ed il terzo motivo del ricorso pongono questioni connesse logicamente e giuridicamente; possono pertanto essere esaminati congiuntamente.

I ricorrenti sostengono che l’affermazione della Corte d’Appello secondo la quale i professionisti convenuti avevano fornito sufficiente prova di averli informati della avvenuta pubblicazione della sentenza della Corte d’Appello relativa al secondo dei giudizio instaurati e dell’opportunità di proporre ricorso per cassazione sarebbe stata adottata sulla base di “prove non offerte e introdotte dalle parti” e considerando “come facenti piena prova, recependoli senza il necessario apprezzamento critico, elementi di prova soggetti invece a valutazione” (secondo motivo) e, comunque, sulla base di una “falsa applicazione dell’art. 2729 c.c. in materia di presunzioni semplici” (terzo motivo). I motivi in esame sono infondati

2.1 La Corte d’Appello ha operato una prudente valutazione delle prove emergenti dagli atti e, all’esito di tale valutazione, ha concluso che “gli avv.ti Qu., tenuti a offrire la prova dell’adempimento alle proprie obbligazioni professionali, hanno allegato plurimi e concordanti elementi logico-documentali che costituiscono presunzioni univocamente convergenti nel provare che l’informativa ai clienti del deposito della sentenza è stata resa e che la decisione sulla mancata impugnativa è stata discussa e condivisa con i clienti”; ha, inoltre, dettagliatamente indicato i suddetti elementi logico-documentali, ritenuti precisi, univoci e convergenti nel senso della sussistenza dei fatti da provare, nonché le ragioni del proprio convincimento in ordine all’effettiva concludenza degli stessi.

Va, dunque, certamente escluso che, come sostenuto dai ricorrenti, la Corte d’Appello abbia giudicato sulla base di “prove non offerte e introdotte dalle parti” e, tanto meno, che abbia considerato “come facenti piena prova, recependoli senza il necessario apprezzamento critico, elementi di prova soggetti invece a valutazione”.

2.2 D’altra parte, per quanto emerge dalla stessa sentenza impugnata, non risulta posta nel corso del giudizio di merito la specifica questione (che certamente richiede anche accertamenti di fatto) relativa alla correttezza, adeguatezza e completezza dell’informazione fornita dai difensori in ordine alle prospettive del possibile ricorso per cassazione e, nel ricorso, non vi è un adeguato richiamo al contenuto degli atti difensivi che possa eventualmente consentire di ritenere il contrario. In ogni caso, da una lettura complessiva della motivazione della decisione impugnata, con riguardo alla questione in contestazione, emerge in modo chiaro – anche se in parte anche implicito – che la Corte d’Appello, nell’affermare che i “plurimi e concordanti elementi logico-documentali…… univocamente convergenti nel provare che l’informativa ai clienti del deposito della sentenza è stata resa e che la decisione sulla mancata impugnativa è stata discussa e condivisa con i clienti”, abbia inteso dare atto che agli attori erano state adeguatamente prospettate, dai professionisti convenuti, le possibili ragioni di impugnativa della sentenza della Corte d’Appello emessa in unico grado nel secondo giudizio, onde la decisione condivisa di non proporre il ricorso per cassazione fosse stata assunta in base ad una adeguata informazione delle relative prospettive. Gli stessi ricorrenti, in realtà, sembrano riconoscerlo, in quanto essi danno atto, proprio nel sintetizzare le censure formulate con i motivi di ricorso in esame, che “la corte di merito ha affermato che i difensori avessero assolto non solo all’obbligo di informazione ai clienti della pubblicazione della sentenza ma anche all’obbligo di consiglio sulla opportunità o meno del ricorso per cassazione con la certezza che i clienti avessero ben Dat compreso le implicazioni, i rischi ed i vantaggi della impugnazione ed avessero deciso consapevolmente di non proporla”.

2.3 Per quanto attiene alla censura di violazione degli art. 2727 e 2729 c.c., i ricorrenti affermano che la Corte d’Appello avrebbe “sussunto sotto la citata norma fatti storici privi di gravità, precisione e concordanza”, peraltro “senza aver considerato e valutato comparativamente, ai fini dell’inferenza probabilistica, le citate ulteriori circostanze pacificamente acquisite agli atti”, alla luce delle quali “la corretta applicazione degli artt. 2727 e 2729 c.c. avrebbe dovuto indurre la corte di merito ad affermare che i difensori non avessero mai informato i clienti della pubblicazione della sentenza n. 961/2011 della Corte di Appello dell’Aquila né fornito loro, nel rispetto dell’obbligo di consiglio, tutte le informazioni necessarie a decidere responsabilmente e con consapevolezza se interporre o meno il ricorso per cassazione”.

In realtà, la sostanza delle censure formulate con il motivo di ricorso in esame è quella di una contestazione dell’accertamento di fatto e della valutazione svolti dalla corte in ordine alla gravità, precisione e concordanza degli elementi presuntivi presi in considerazione.

I ricorrenti sostengono che tali elementi non fossero sufficientemente gravi, precisi e concordanti ai fini della prova dei fatti allegati dai professionisti convenuti e indicano altri elementi che, a loro dire, avrebbero dovuto indurre a ritenere, al contrario, del tutto inverosimili tali fatti.

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In tal modo, però, essi, in sostanza, muovono alla statuizione impugnata delle critiche che finiscono per risolversi nella diversa ricostruzione delle circostanze fattuali ovvero nella prospettazione di inferenze probabilistiche degli elementi considerati diverse da quelle ritenute applicabili dal giudice di merito, il che non è consentito nel giudizio di legittimità.

Secondo il consolidato indirizzo di questa Corte, che il ricorso non offre ragioni idonee ad indurre a rimeditare, infatti, “in tema di prova per presunzioni, la valutazione della ricorrenza dei requisiti di precisione, gravità e concordanza richiesti dall’art. 2729 c.c. e dell’idoneità degli elementi presuntivi dotati di tali caratteri a dimostrare, secondo il criterio dell'”id quod plerumque accidit”, i fatti ignoti da provare, costituisce attività riservata in via esclusiva all’apprezzamento discrezionale del giudice di merito” (Cass., Sez. 1, Ordinanza n. 27266 del 25/09/2023, Rv. 669130 – 01; Sez. L, Ordinanza n. 22366 del 05/08/2021, Rv. 662103 – 01), mentre “la denuncia, in cassazione, di violazione o falsa applicazione del citato art. 2729 c.c., ai sensi dell’art. 360, comma 1, n. 3, c.p.c., può prospettarsi quando il giudice di merito affermi che il ragionamento presuntivo può basarsi su presunzioni non gravi, precise e concordanti ovvero fondi la presunzione su un fatto storico privo di gravità o precisione o concordanza ai fini dell’inferenza dal fatto noto della conseguenza ignota e non anche quando la critica si concreti nella diversa ricostruzione delle circostanze fattuali o nella mera prospettazione di una inferenza probabilistica diversa da quella ritenuta applicata dal giudice di merito o senza spiegare i motivi della violazione dei paradigmi della norma” (Cass., Sez. 2, Ordinanza n. 9054 del 21/03/2022, Rv. 664316 – 01), ciò in quanto “la censura per vizio di motivazione in ordine all’utilizzo o meno del ragionamento presuntivo non può limitarsi ad affermare un convincimento diverso da quello espresso dal giudice di merito, ma deve fare emergere l’assoluta illogicità e contraddittorietà del ragionamento decisorio, restando peraltro escluso che la sola mancata valutazione di un elemento indiziario possa dare luogo al vizio di omesso esame di un punto decisivo” (Cass., Sez. 6 – 1, Ordinanza n. 5279 del 26/02/2020, Rv. 657231 – 01; in senso analogo: Sez. L, Sentenza n. 18611 del 30/06/2021, Rv. 661649 – 01, secondo cui “la critica deve con- Data centrarsi sull’insussistenza dei requisiti della presunzione nel ragionamento condotto nella sentenza impugnata, mentre non può svolgere argomentazioni dirette ad infirmarne la plausibilità, criticando la ricostruzione del fatto ed evocando magari altri fatti che non risultino dalla motivazione”).

3. Il ricorso è rigettato.

Per le spese del giudizio di cassazione si provvede, sulla base del principio della soccombenza, come in dispositivo. Deve darsi atto della sussistenza dei presupposti processuali (rigetto, ovvero dichiarazione di inammissibilità o improcedibilità dell’impugnazione) di cui all’art. 13, co. 1-quater, del D.P.R. 30 maggio 2002 n. 115.

P.Q.M.

– rigetta il ricorso;

– condanna i ricorrenti a pagare le spese del giudizio di legittimità in favore dei controricorrenti, liquidandole: a) in favore di Qu.Pa ed Qu.En., in complessivi Euro 5.000,00, oltre Euro 200,00 per esborsi, nonché spese generali ed accessori di legge; b) in favore di GE.IT. Spa, in complessivi Euro 5.000,00, oltre Euro 200,00 per esborsi, nonché spese generali ed accessori di legge.

Si dà atto della sussistenza dei presupposti processuali (rigetto, ovvero dichiarazione di inammissibilità o improcedibilità dell’impugnazione) di cui all’art. 13, comma 1-quater, del D.P.R. 30 maggio 2002 n. 115, per il versamento al competente ufficio di merito, da parte dei ricorrenti, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello dovuto per il ricorso (se dovuto e nei limiti in cui lo stesso sia dovuto), a norma del comma 1-bis dello stesso art. 13.

Così deciso in Roma, in data 22 novembre 2024.

Depositato in Cancelleria il 9 gennaio 2025.

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