Ammessa l’astratta possibilita’ di applicare l’istituto della particolare tenuita’ alla fattispecie di reato di guida in stato di ebbrezza

Corte di Cassazione, sezione quarta penale, Sentenza 24 settembre 2018, n. 40926.

La massima estrapolata:

Ammessa l’astratta possibilita’ di applicare l’istituto della particolare tenuita’ alla fattispecie di reato di guida in stato di ebbrezza, ritenuta del tutto compatibile con la previsione normativa di cui all’articolo 131 bis c.p., fermo restando il necessario apprezzamento delle condizioni che permettono di valutare, nel caso concreto, il tenue “impatto pregiudizievole per il bene tutelato”.
Ai fini dell’applicazione dell’istituto, deve farsi riferimento a tutte le complessive peculiarita’ della fattispecie concreta, tenuto conto, ai sensi dell’articolo 133 c.p., comma 1, delle modalita’ della condotta, del grado di colpevolezza da esse desumibile e dell’entita’ del danno o del pericolo.
Non risulta ostativa al riconoscimento dell’istituto la presenza di altri precedenti penali non specifici a carico dell’imputato: ai fini della configurabilita’ della abitualita’ del comportamento, ostativa all’applicazione della causa di non punibilita’ l’identita’ dell’indole dei reati eventualmente commessi deve essere valutata dal giudice in relazione al caso esaminato, verificando se in concreto i reati presentino caratteri fondamentali comuni.

Sentenza 24 settembre 2018, n. 40926

Data udienza 30 maggio 2018

REPUBBLICA ITALIANA

IN NOME DEL POPOLO ITALIANO

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE QUARTA PENALE

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. CIAMPI Francesco Maria – Presidente

Dott. MICCICHE’ Loredana – Consigliere

Dott. BRUNO Mariarosar – rel. Consigliere

Dott. CENCI Daniele – Consigliere

Dott. PAVICH Giuseppe – Consigliere

ha pronunciato la seguente:

SENTENZA
sul ricorso proposto da:
(OMISSIS), nato a (OMISSIS);
avverso la sentenza del 15/01/2018 della CORTE APPELLO di MILANO;
visti gli atti, il provvedimento impugnato e il ricorso;
udita la relazione svolta dal Consigliere MARIAROSARIA BRUNO;
udito il Pubblico Ministero, in persona del Sostituto Procuratore Dott. ZACCO Franca, che ha concluso chiedendo, escluse le aggravanti contestate, l’annullamento senza rinvio per la particolare tenuita’ del fatto.

RITENUTO IN FATTO

1. Con sentenza resa in data 15/1/2018, la Corte di appello di Milano ha confermato la pronuncia emessa dal Tribunale di Monza con cui (OMISSIS), ritenuto responsabile del reato di cui all’articolo 186, comma 7, cod. strada era condannato alla pena di mesi due, giorni venti di arresto ed Euro 1000 di ammenda.
Dalla ricostruzione offerta dai giudici di merito risulta che il ricorrente, fermato dalla polizia per un controllo alla guida del veicolo, dapprima rifiuto’ di sottoporsi all’alcoltest e, successivamente, dopo essersi consultato telefonicamente con il suo difensore, mutato proposito, decise di eseguire il test.
Dagli accertamenti effettuati risulto’ un tasso alcolemico pari a 0,32g/I, inferiore al tasso minimo previsto dalla norma perche’ si configuri la condizione della guida in stato di ebbrezza.
2. Avverso tale sentenza ha proposto ricorso per Cassazione il difensore dell’imputato che ha rassegnato i seguenti motivi, in sintesi, giusta il disposto di cui all’articolo 173 disp. att. c.p.p., comma 1.
Primo motivo: vizio di motivazione. La difesa lamenta contraddittorieta’ e manifesta illogicita’ della motivazione. Sebbene il reato di rifiuto di sottoporsi all’accertamento dell’alcoltest sia reato di natura istantanea, rappresenta che (OMISSIS) era stato fermato solo per un controllo; che non era stato previamente avvisato della facolta’ di farsi assistere da un difensore; che l’alcoltest aveva dato esito negativo; che l’imputato non aveva provocato incidenti stradali o tenuto una condotta di guida pericolosa. Pertanto, non sussisterebbe la responsabilita’ del ricorrente in ordine al reato a lui ascritto.
Secondo motivo: violazione di legge in relazione alla mancata disapplicazione dell’articolo 186 C.d.S., comma 2 sexies, contestata nella imputazione. La difesa rammenta che l’articolo 186 C.d.S., comma 7, prevede che, salvo che il fatto costituisca piu’ grave reato, in caso di rifiuto dell’accertamento di cui ai commi 3, 4 o 5, il conducente e’ punito con le pene di cui al comma 2, lettera c) del medesimo articolo.
La disposizione fa espresso riferimento solo al comma 2, lettera c), del medesimo articolo e non anche al comma 2 sexies, che prevede l’aggravante di aver commesso il fatto tra le ore 22 e le ore 7.00. In una problematica applicativa analoga, afferma la difesa, le Sezioni Unite della Cassazione, (Sez. U. n. 46625 del 29/10/2015, Zucconi, Rv. 265025) hanno stabilito che, nell’ambito dell’articolo 186 C.d.S., e’ da escludere che il mancato esplicito riferimento del comma 7, al comma 2 bis, sia il risultato di un difetto di coordinamento, affermando che la circostanza aggravante dell’aver provocato un incidente stradale non sia configurabile rispetto al reato di rifiuto di sottoporsi all’accertamento per la verifica dello stato di ebbrezza. Dalle disposizioni citate emergerebbe la diversita’ ontologica esistente tra il concetto di “conducente in stato di ebbrezza” e quello di “conducente che si rifiuti di sottoporsi all’accertamento”. Analogo ragionamento andrebbe svolto con riferimento all’aggravante di cui all’articolo 186 C.d.S., comma 2 sexies, che sarebbe inapplicabile al caso in esame.
Terzo e quarto motivo: mancata applicazione della causa di esclusione della punibilita’ ex articolo 131 bis c.p..
La difesa deduce che la motivazione espressa sul punto dalla Corte territoriale e’ illogica e contraddittoria. Le Sezioni Unite della Cassazione hanno stabilito in materia la compatibilita’ dell’istituto della causa di non punibilita’ per particolare tenuita’ del fatto con il reato di rifiuto di sottoporsi all’accertamento alcoolimetrico (Sez. U, n. 13682 del 25/02/2016, Coccimiglio, Rv. 266595).
Nel caso in esame, la condotta serbata dal ricorrente, diversamente da quanto argomentato dalla Corte territoriale, presenterebbe i caratteri della particolare tenuita’ del fatto: l’imputato veniva fermato per un normale controllo di polizia; la sua condotta era stata priva di conseguenze sulla circolazione stradale e non aveva leso in alcun modo il bene giuridico tutelato dalla norma; l’imputato dopo essersi rifiutato di sottoporsi al test, si ravvedeva immediatamente ed a distanza di soli 19 minuti, dopo avere conferito con il suo difensore, dava la propria disponibilita’ a sottoporsi all’esame che sortiva esito negativo; i precedenti annoverati dal ricorrente, tutti molto risalenti, non riguardavano condanne per fatti analoghi.
Quinto motivo: violazione di legge con riferimento all’articolo 168 c.p..

CONSIDERATO IN DIRITTO

1. Fondato e’ il motivo di ricorso riguardante la mancata applicazione della causa di non punibilita’ di cui all’articolo 131 bis c.p., per le ragioni di seguito illustrate.
2. Deve in primo luogo rilevarsi come la censura proposta nel primo motivo di ricorso, attinente alla responsabilita’ dell’imputato, sia manifestamente infondata avendo la Corte territoriale offerto congrua motivazione in ordine alla ricorrenza del reato contemplato dall’articolo 186 C.d.S., comma 7. Trattandosi di reato istantaneo che si consuma con l’opposizione del rifiuto, e’ del tutto irrilevante che l’imputato abbia deciso successivamente di aderire alle richieste del personale operante di sottoporsi all’alcoltest. Quanto al mancato avviso della facolta’ di farsi assistere da un difensore di fiducia, la difesa introduce l’argomento allo scopo di sostenere la insussistenza del reato. La circostanza, tuttavia, non e’ suscettibile di incidere su tale aspetto ma, eventualmente, sulla nullita’ dell’atto che deve essere comunque eccepita fino ai momento della deliberazione della sentenza di primo grado (cosi’ Sez. U, n. 5396 del 29/01/2015, Rv. 263025).
Occorre quindi ribadire che il reato sussiste, come gia’ affermato dalla Corte territoriale.
3. Fondato risulta, invece, il motivo di ricorso attinente al difetto di punibilita’ a norma dell’articolo 131 bis c.p., e quello riguardante la esclusione dell’aggravante contestata.
La Corte d’appello di Milano, esaminando la specifica questione sollevata dalla difesa, cosi’ ha argomentato l’inapplicabilita’ della causa di non punibilita’: “non puo’ trovare applicazione la causa di non punibilita’, trattandosi di fatto tutt’altro che trascurabile commesso da un pluripregiudicato per violazione della disciplina degli stupefacenti e furto, che non ha mai manifestato il minimo segno di ravvedimento in relazione ad un’ipotesi di reato grave e connessa alla sicurezza della circolazione stradale”.
Orbene, deve ritenersi che il caso oggetto del giudizio, rientri nel perimetro di applicazione dell’articolo 131 bis c.p., diversamente da quanto sostenuto dalla Corte territoriale che rigetta la richiesta con argomentazioni non idonee sul piano logico e giuridico.
Ed invero, in primo luogo, come ricordato nel ricorso, le Sezioni Unite di questa Corte, hanno ammesso l’astratta possibilita’ di applicare l’istituto della particolare tenuita’ alla fattispecie di reato in esame, ritenuta del tutto compatibile con la previsione normativa di cui all’articolo 131 bis c.p., fermo restando il necessario apprezzamento delle condizioni che permettono di valutare, nel caso concreto, il tenue “impatto pregiudizievole per il bene tutelato”.
Il principio stabilito dalle Sezioni Unite, risulta cosi’ massimato: “La causa di non punibilita’ della particolare tenuita’ del fatto di cui all’articolo 131 bis c.p., applicabile ad ogni fattispecie criminosa, e’ compatibile con il reato di rifiuto di sottoporsi all’accertamento alcoolimetrico, previsto dall’articolo 186 C.d.S., comma 7, posto che, accertata la situazione pericolosa e dunque l’offesa, resta pur sempre uno spazio per apprezzare in concreto, alla stregua della manifestazione del reato, ed al solo fine della valutazione della gravita’ dell’illecito, quale sia lo sfondo fattuale in cui la condotta si iscrive e quale sia, in conseguenza, il possibile impatto pregiudizievole per il bene tutelato”. (Sez. U, n. 13682 del 25/02/2016, Coccimiglio, Rv. 266595).
Secondo il consolidato orientamento di legittimita’, ai fini dell’applicazione dell’istituto, deve farsi riferimento a tutte le complessive peculiarita’ della fattispecie concreta, tenuto conto, ai sensi dell’articolo 133 c.p., comma 1, delle modalita’ della condotta, del grado di colpevolezza da esse desumibile e dell’entita’ del danno o del pericolo (cosi’ Sez. U, Sentenza n. 13681 del 25/02/2016, Tushaj, Rv. 266590). Non risulta ostativa al riconoscimento dell’istituto la presenza di altri precedenti penali non specifici a carico dell’imputato: ai fini della configurabilita’ della abitualita’ del comportamento, ostativa all’applicazione della causa di non punibilita’ l’identita’ dell’indole dei reati eventualmente commessi deve essere valutata dal giudice in relazione al caso esaminato, verificando se in concreto i reati presentino caratteri fondamentali comuni (Sez. 4, n. 27323 del 4/5/2017, Rv. 270107).
Orbene, valutato il caso concreto alla luce dei suddetti principi e’ fondata la doglianza afferente al vizio di motivazione lamentato dalla difesa del ricorrente nella sentenza impugnata.
Ai fini dell’inquadramento del fatto nell’ambito della previsione di cui all’articolo 131 bis c.p., risultano significative le seguenti circostanze.
Il ricorrente pur essendosi rifiutato in un primo momento di sottoporsi all’accertamento ha, nel volgere di breve tempo, acconsentito all’effettuazione dell’alcoltest, con cio’ dimostrando un sia pur tardivo ripensamento rispetto alla iniziale inottemperante condotta.
L’accertamento aveva sortito un esito negativo quanto alla condizione di guida in stato di ebbrezza, essendo il tasso alcolemico rilevato inferiore alla soglia minima prevista dall’articolo 186 C.d.S., comma 2, lettera a).
Quindi, in concreto, il bene tutelato dalla norma della sicurezza nella circolazione stradale non era stato messo in pericolo dalla condotta serbata dal ricorrente.
L’aggravante contestata di cui all’articolo 186 C.d.S., comma 2 sexies, come lamentato dal difensore nel secondo motivo di ricorso, per costante giurisprudenza di questa Corte, non e’ compatibile con il reato di rifiuto contemplato dall’articolo 186 C.d.S., comma 7, (cosi’ ex multis Sez. 4, n. 6531 del 9/1/2018, Beretta, Rv. 272191). Essa, pertanto, andava esclusa.
I precedenti da cui risulta gravato il ricorrente, di epoca risalente e di natura non specifica, diversamente da quanto ritenuto dalla Corte territoriale, non consentono di ritenere integrata l’abitualita’ del comportamento.
4. E’ stato affermato che, in applicazione della regola fissata dall’articolo 129 c.p.p., in presenza di un ricorso ammissibile, la causa di non punibilita’ di cui all’articolo 131 bis c.p., puo’ essere dichiarata dalla Corte di cassazione, anche se non accolta nel corso del giudizio di merito, quando i presupposti per la sua applicazione siano immediatamente rilevabili dagli atti e non siano, quindi, necessari ulteriori accertamenti in fatto (cosi’ Sez. 1, n. 27752 del 09/05/2017, Rv. 270271).
Nel caso in esame, pertanto, deve giungersi alla indicata pronuncia di non punibilita’ poiche’ emerge che il fatto rientra nei canoni normativi di cui all’articolo 131 bis c.p..
5. Resta assorbito nella decisione assunta il quinto motivo di ricorso.

P.Q.M.

Annulla senza rinvio la sentenza impugnata per essere il reato ascritto non punibile per particolare tenuita’ del fatto.

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