L’elemento soggettivo del delitto di bancarotta fraudolenta per distrazione e’ costituito dal dolo generico

Corte di Cassazione, sezione quinta penale, Sentenza 16 maggio 2018, n. 21677.

Le massime estrapolate:

L’elemento soggettivo del delitto di bancarotta fraudolenta per distrazione e’ costituito dal dolo generico, per la cui sussistenza non e’ necessaria la consapevolezza dello stato di insolvenza dell’impresa, ne’ lo scopo di recare pregiudizio ai creditori, essendo sufficiente la consapevole volonta’ di dare al patrimonio sociale una destinazione diversa da quella di garanzia delle obbligazioni contratte.
La bancarotta fraudolenta documentale di cui alla L. Fall., articolo 216, comma 1, n. 2, prevede due fattispecie alternative, quella di sottrazione o distruzione dei libri e delle altre scritture contabili, che richiede il dolo specifico, e quella di tenuta della contabilita’ in modo da rendere impossibile la ricostruzione del movimento degli affari e del patrimonio della fallita, che richiede il dolo generico.

Sentenza 16 maggio 2018, n. 21677

Data udienza 23 febbraio 2018

REPUBBLICA ITALIANA

IN NOME DEL POPOLO ITALIANO

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE QUINTA PENALE

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. VESSICHELLI Maria – Presidente

Dott. CATENA Rossell – rel. Consigliere

Dott. SETTEMBRE Antonio – Consigliere

Dott. GUARDIANO Alfredo – Consigliere

Dott. BORRELLI Paola – Consigliere

ha pronunciato la seguente:

SENTENZA
sul ricorso proposto da:
(OMISSIS), nato a (OMISSIS);
avverso la sentenza della Corte di Appello di Trento emessa in data 14/10/2016;
visti gli atti, il provvedimento impugnato ed il ricorso;
udita la relazione svolta dal Consigliere Dott.ssa Rossella Catena;
udito il Pubblico Ministero, in persona del Sostituto Procuratore Generale Dott.ssa Filippi Paola, che ha concluso per l’inammissibilita’ del ricorso.

RITENUTO IN FATTO

1.Con la sentenza impugnata la Corte di Appello di Trento, in riforma della sentenza emessa dal Tribunale di Trento in data 19/02/2015, con cui (OMISSIS) era stato condannato a pena di giustizia in relazione al delitto di cui al Regio Decreto n. 267 del 1942, articolo 216, nn. 1 e 2 e articolo 223 – perche’, quale amministratore di fatto della (OMISSIS) s.r.l., dichiarata fallita dal Tribunale di Trento con sentenza del 14/06/2012, distraeva beni della societa’, in particolare: il (OMISSIS) si recava a giocare al casino’ di (OMISSIS), contraeva debiti per Euro 6.400,00, che pagava con assegni bancari tratti sul conto corrente della societa’ aperto presso la (OMISSIS), su cui era delegato ad operare; tra il (OMISSIS) prelevava dal conto corrente della societa’, aperto presso la (OMISSIS), su cui era delegato ad operare, 28.900,00 Euro in contanti, che destinava al pagamento di spese personali; tra (OMISSIS) effettuava dal conto corrente della societa’ aperto presso l'(OMISSIS), e su cui era delegato ad operare, pagamenti bancomat in favore del casino’ di (OMISSIS), della Cassa gioco italiana (OMISSIS), di una casa da gioco di Bolzano, (OMISSIS), per un totale di Euro 17.190,00; inoltre, teneva le scritture contabili in modo da non rendere possibile la ricostruzione del patrimonio e degli affari, in quanto non teneva le scritture contabili obbligatorie, il libro inventari, non predisponeva il bilancio d’esercizio 2011 ne’ lo presentava al registro delle imprese, non presentava le dichiarazioni fiscali relative al detto esercizio; in Trento il 14/06/2012, con la recidiva reiterata – assolveva l’imputato dal reato di bancarotta fraudolenta riferibile agli episodi tra il (OMISSIS) perche’ il fatto non sussiste e, formulato in termini di equivalenza il giudizio di comparazione tra la circostanza attenuante di cui al Regio Decreto n. 267 del 1942, articolo 219, u.c., e la contestata recidiva, a seguito dell’appello del pubblico ministero, rideterminava la pena inflitta all’imputato.
2. Con ricorso depositato in data 11/01/2017 (OMISSIS) ricorre personalmente per:
2.1. violazione di norme sancite a pena di nullita’, ai sensi dell’articolo 606 c.p.p., lettera c), in riferimento all’articolo 417 c.p.p., comma 1, lettera b), articolo 178 c.p.p., comma 1, lettera b) e c) e articolo 180 c.p.p., per essere nullo il decreto di fissazione dell’udienza preliminare e tutti gli atti successivi, alla luce della genericita’ e lacunosita’ del capo di imputazione, eccezione formalizzata e coltivata dalla difesa sin da primo grado di giudizio; in particolare, il capo di imputazione non menzionava affatto il ruolo di (OMISSIS), inizialmente sottoposto ad indagini quale amministratore di diritto della societa’, con conseguente lesione del diritto di difesa del ricorrente che, ignorando la veste processuale in cui sarebbe stato escusso il (OMISSIS) – se come teste, coimputato, chiamante in correita’, indagato o coimputato in procedimento connesso – non ha potuto adeguatamente predisporre la propria linea difensiva, considerato che le dichiarazioni del (OMISSIS), pur connotate da illogicita’ in chiave di autodifesa, sono state utilizzate dai giudici di merito nei confronti del ricorrente;
2.2. violazione di legge, ex articolo 606 c.p.p., lettera b), in riferimento alla affermata responsabilita’ del (OMISSIS) per episodi di distrazione, benche’ il debito, che aveva determinato il fallimento della societa’, era relativo ad un contratto di leasing, per un importo non cospicuo, e che il solo credito insinuato al passivo fallimentare fosse riferibile al citato contratto di leasing, di cui si ignora la data di sottoscrizione e le modalita’ di formazione del debito; in ogni caso, in assenza di altri creditori, non apparirebbe possibile ravvisare il pregiudizio derivante dalla destinazione delle somme per fini diversi da quelli sociali, ne’ sotto l’aspetto oggettivo, potendosi parificare detta situazione a quella di lecita distribuzione di utili, ne’ sotto l’aspetto soggettivo, non potendo il ricorrente prevedere che l’azienda fallisse;
2.3. violazione di legge, ex articolo 606 c.p.p., lettera b), in riferimento alla L. Fall., articolo 216, n. 2 e articolo 223, in quanto la sentenza impugnata non ha in alcun modo motivato circa la sussistenza del dolo specifico del ricorrente, dovendosi, al piu’, inquadrare la condotta dell’imputato in quella di bancarotta documentale semplice, con conseguente rideterminazione della pena;
2.4. violazione di legge, ex articolo 606 c.p.p., lettera b), in riferimento agli articoli 69, 99 e 133 c.p., ed alla L. Fall., articolo 219, avendo la Corte di merito, in accoglimento dell’appello incidentale del pubblico ministero, riformulato il giudizio di bilanciamento tra la circostanza attenuante e la recidiva, considerando anche una circostanza aggravante ulteriore mai contestata, ossia quella di cui alla L. Fall., articolo 219, comma 1 e comma 2, n. 1, e della cui mancata contestazione neanche il pubblico ministero si era doluto; in ogni caso, non si comprende come potrebbe sussistere l’aggravante del danno patrimoniale di rilevante gravita’, posto che e’ stata riconosciuta la omologa circostanza attenuante del danno patrimoniale di particolare tenuita’, con conseguente illogicita’ della motivazione; infine la Corte di merito non avrebbe considerato l’intervenuta assoluzione dell’imputato per il fatto di bancarotta economicamente piu’ rilevante, circostanza che non avrebbe potuto non essere considerata incidente sul trattamento sanzionatorio.

CONSIDERATO IN DIRITTO

Il ricorso e’ infondato e va, pertanto, rigettato.
1.Quanto al primo motivo di ricorso, come si evince dal verbale dell’udienza dibattimentale del 19/02/2015 – che questa Corte puo’ legittimamente verificare, attesa la natura processuale dell’eccezione sollevata in ricorso – (OMISSIS) era stato escusso come teste; il pubblico ministero, in particolare, aveva dato atto che il (OMISSIS) era stato indagato in relazione ad un altro procedimento per il reato di truffa, e non era mai stato, quindi, indagato nell’ambito del processo di bancarotta per cui si procedeva, con la conseguenza che, a parere del pubblico ministero, si trattava di un semplice teste, a tutti gli effetti.
Di tale circostanza la sentenza impugnata da’ chiaramente atto, alla pag. 4.
Peraltro, la motivazione della sentenza impugnata, alla pag. 8, ha fornito una motivazione del tutto immune da censure logiche, avendo affermato che il reato era stato addebitato al (OMISSIS) come amministratore di fatto, le condotte erano state puntualmente indicate, e la circostanza che l’amministratore di diritto non fosse stato coinvolto nell’imputazione non aveva comportato alcuna lesione del diritto della difesa, perfettamente a conoscenza delle condotte ascritte al (OMISSIS), chiaramente descritte nel capo di imputazione, come dimostrato anche dal pieno esperimento dell’attivita’ difensiva, anche in riferimento all’aspetto relativo al coinvolgimento dell’amministratore di diritto.
D’altra parte la doglianza difensiva non coglie nel segno, perche’, qualora l’amministratore di diritto non fosse stato escusso in diversa veste processuale, cio’, senza alcun dubbio, non sarebbe affatto dipeso da un’incompletezza del capo di imputazione, bensi’ avrebbe comportato la violazione di altre norme processuali, che sarebbe stato onere della difesa individuare specificamente, oltre che eccepire tempestivamente, nel corso del compimento dell’atto di assunzione della deposizione, al contrario di quanto e’ avvenuto.
Il ricorso, inoltre, non specifica affatto neanche sotto quale aspetto sarebbero stati violati i diritti della difesa, limitandosi ad una doglianza assolutamente generica sul punto.
2. Il secondo ed il terzo motivo di ricorso appaiono incentrati su circostanze relative alla ricostruzione della vicenda sotto l’aspetto del suo inquadramento fattuale.
Va anzitutto rilevato che questo Collegio non ritiene di discostarsi dall’orientamento espresso dalle Sezioni Unite, con sentenza n. 19601 del 28/02/2008, Niccoli, Rv. 239398, in cui e’ stata affermata l’insindacabilita’ della sentenza dichiarativa di fallimento, da parte del giudice penale investito del giudizio relativo a reati di bancarotta, sia quanto al presupposto oggettivo dello stato di insolvenza dell’impresa, sia quanto ai presupposti soggettivi inerenti alle condizioni previste per la fallibilita’ dell’imprenditore.
In motivazione questa Corte nel suo massimo consesso ha chiaramente indicato come la dichiarazione di fallimento assuma rilevanza nella sua natura di provvedimento giurisdizionale, che vincola il giudice penale in quanto i presupposti di fatto accertati con la sentenza stessa non costituiscono questioni pregiudiziali, di cui possa ritenersi investito il giudice penale.
Le Sezioni Unite hanno chiarito che “quando un atto giuridico e’ assunto quale dato della fattispecie penale (non importa se come elemento costitutivo del reato o come condizione di punibilita’), esso e’ sindacabile dal giudice penale nei soli limiti e con gli specifici mezzi previsti dalla legge”.
Pertanto se l’atto giuridico e’ un provvedimento legislativo, esso potra’ essere sindacato solo e nella misura in cui se ne ravvisi un possibile contrasto con parametri costituzionali, salva, in ogni caso, la possibilita’ di un’interpretazione costituzionalmente orientata, mentre se si tratta di un provvedimento amministrativo, esso puo’ essere incidentalmente sindacato da giudice penale, in quanto illegittimo; se elemento della fattispecie e’ un atto negoziale privato, il giudice penale potra’ escludere l’illiceita’ solo in presenza di un negozio nullo, ad esempio perche’ avente causa illecita, dato che in tal caso la relativa obbligazione non e’ idonea, in assoluto, a produrre effetti giuridici, e quindi non puo’ integrare nemmeno una condotta incriminabile, non bastando che esso sia solo annullabile, dovendo il negozio ritenersi produttivo di effetti giuridici fino a che esso non sia annullato dal giudice civile. Laddove, infine, come nel caso della sentenza dichiarativa di fallimento, si tratti di un provvedimento giudiziale, il giudice penale non ha alcun potere di sindacato, dovendo limitarsi a verificare l’esistenza dell’atto e la sua validita’ formale, non potendo compiere alcuna valutazione, neppure incidentale, sulla legittimita’ di essa, perche’ le sentenze, a prescindere dalla loro definitivita’, hanno un valore che puo’ essere messo in discussione solo con i mezzi ordinari o straordinari di impugnazione previsti dalla disciplina processuale.
Ne discende la totale irrilevanza di ogni questione concernente l’importo delle somme non pagate a seguito della stipulazione del contratto di leasing, ed i dati concernenti la scadenza e gli importi di dette rate.
Sotto l’aspetto della sussistenza del reato, sia nella sua componente oggettiva che in quella soggettiva, va ribadito il principio affermato da questa Corte nel suo massimo consesso, secondo cui “L’elemento soggettivo del delitto di bancarotta fraudolenta per distrazione e’ costituito dal dolo generico, per la cui sussistenza non e’ necessaria la consapevolezza dello stato di insolvenza dell’impresa, ne’ lo scopo di recare pregiudizio ai creditori, essendo sufficiente la consapevole volonta’ di dare al patrimonio sociale una destinazione diversa da quella di garanzia delle obbligazioni contratte.” (Sez. U, sentenza n. 224747 del 31/03/2016, Passarelli ed altro, Rv. 2666805).
Quanto alla contestata bancarotta documentale – consistita nell’aver tenuto le scritture contabili in modo da non rendere possibile la ricostruzione del patrimonio e del movimento degli affari – pacificamente, al contrario di quanto indicato in ricorso, l’elemento soggettivo e’ costituito dal dolo generico.
Costituisce, infatti, ius receptum quello secondo cui la bancarotta fraudolenta documentale di cui alla L. Fall., articolo 216, comma 1, n. 2, prevede due fattispecie alternative, quella di sottrazione o distruzione dei libri e delle altre scritture contabili, che richiede il dolo specifico, e quella di tenuta della contabilita’ in modo da rendere impossibile la ricostruzione del movimento degli affari e del patrimonio della fallita, che richiede il dolo generico (Sez. 5, sentenza n. 43966 del 28/06/2017, Rossi, Rv. 271611; Sez. 5, sentenza n. 18634 del 01/02/2017, Autunno ed altro, Rv. 269904; Sez. 5, sentenza n. 17084 del 09/12/2014, dep. 23/04/2015, Caprara ed altri, Rv. 263242).
3. Infondato e’ anche il motivo concernente la determinazione della pena, atteso che il pubblico ministero aveva impugnato la quantificazione della pena inflitta dal primo giudice, sotto il profilo inerente il giudizio di prevalenza della circostanza attenuante del danno patrimoniale di speciale tenuita’ e la contestata recidiva.
La Corte di merito, sotto detto aspetto, alla pag. 12 della motivazione, ha premesso come al ricorrente fosse stata contestata, ancorche’ in fatto, la circostanza aggravante costituita dalla pluralita’ di fatti di bancarotta, ai sensi della L. Fall., articolo 219, comma 2, n. 1, per la quale, in ogni caso, il primo giudice non aveva applicato alcun aumento di pena, per effetto dell’indicato giudizio di prevalenza.
La Corte di merito, quindi, in accoglimento del gravame, ha ritenuto di riformulare, in termini di equivalenza, il giudizio di bilanciamento tra la circostanza attenuante di cui all’articolo 219, u.c., L.F. e la contestata recidiva, sia alla luce delle precedenti condanne riportate dal (OMISSIS), sia tenuto conto del vantaggio che questi aveva ottenuto per effetto della mancata considerazione della circostanza aggravante della pluralita’ di fatti di bancarotta, in fatto contestata.
Ne discende, pertanto, la corretta e congrua motivazione del giudizio di equivalenza tra circostanze, formulato sulla scorta della valutazione della capacita’ criminale dell’imputato e, come tale, insindacabile in sede di legittimita’. Del tutto fuori fuoco, quindi, appare il motivo di ricorso, basato sull’erroneo presupposto della contestazione della circostanza del danno patrimoniale di particolare rilevanza che, nel caso di specie, non risulta in alcun modo contestata.
Dall’accoglimento del gravame della parte pubblica, e dalla conseguente riformulazione del giudizio tra le circostanza in termini di equivalenza, discende che, del tutto correttamente, la pena e’ stata valutata nel minimo edittale, non potendosi ritenere che la Corte di merito abbia violato il divieto di reformatio in peius, atteso che, pur non essendo stata censurata dal pubblico ministero la quantificazione della pena, la nuova determinazione della pena da parte della Corte territoriale e’ scaturita automaticamente dalla riformulazione del giudizio tra le circostanze intermini di equivalenza e dal contenimento della pena nel minimo edittale (Sez. 2, sentenza n. 35011 del 09/06/2010, Scalzo ed altro, Rv. 248180).
Dal rigetto del ricorso discende, ai sensi dell’articolo 616 c.p.p., la condanna del ricorrente al pagamento delle spese processuali.

P.Q.M.

Rigetta il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese processuali.

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