In tema di responsabilità professionale dell’avvocato non accoglibili le domande risacitorie poste da un cliente contro il proprio Legale, reo di non aver tempestivamente depositato una richiesta di costituzione di parte civile, ravvisando come tale indadempimento non avesse comportato, nel caso concreto, nessun danno per l’assistito

 

Suprema Corte di Cassazione

sezione III civile

sentenza 18 luglio 2016, n. 14644

REPUBBLICA ITALIANA
IN NOME DEL POPOLO ITALIANO
LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE
SEZIONE TERZA CIVILE
Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:
Dott. AMENDOLA Adelaide – Presidente
Dott. RUBINO Lina – rel. Consigliere
Dott. ESPOSITO Antonio Francesco – Consigliere
Dott. TATANGELO Augusto – Consigliere
Dott. DI MARZIO Fabrizio – Consigliere
ha pronunciato la seguente:
SENTENZA
sul ricorso 15553/2013 proposto da:
(OMISSIS), (OMISSIS), domiciliato ex lege in ROMA, presso la CANCELLERIA DELLA CORTE DI CASSAZIONE, rappresentato e difeso dall’avvocato (OMISSIS) giusta procura speciale a margine del ricorso;
– ricorrente –
contro
(OMISSIS), elettivamente domiciliato in (OMISSIS), presso lo studio dell’avvocato (OMISSIS), rappresentato e difeso dall’avvocato (OMISSIS) giusta procura speciale a margine del controricorso e dall’avvocato (OMISSIS) difensore di se’ medesimo;
– controricorrente –
avverso la sentenza n. 515/2012 della CORTE D’APPELLO di L’AQUILA, depositata il 26/04/2012;
udita la relazione della causa svolta nella pubblica udienza del 05/04/2016 dal Consigliere Dott. LINA RUBINO;
udito il P.M. in persona del Sostituto Procuratore Generale Dott. SGROI Carmelo, che ha concluso per il rigetto del ricorso.

I FATTI

Nel 2005, (OMISSIS) conveniva in giudizio l’avv. (OMISSIS), chiedendone al condanna al risarcimento del danno (nella misura di Euro 250.000,00) per responsabilita’ professionale, conseguente alla mancata reiterazione, da parte del professionista, della richiesta di costituzione di parte civile in favore del (OMISSIS) in un procedimento penale dinanzi alla Pretura di Rieti, costituzione che era stata dichiarata inammissibile.
L’avv. (OMISSIS) proponeva a sua volta domanda riconvenzionale ex articolo 96 c.p.c., comma 1, chiedendo il risarcimento del danno all’immagine.
La sentenza di primo grado rigettava le domande di entrambe le parti.
La Corte d’Appello de L’Aquila, con la sentenza impugnata, rigettava la domanda dell’attuale ricorrente, concordando con il Tribunale di Chieti laddove questo aveva escluso la sussistenza del nesso causale tra la condotta del professionista e i danni che sarebbero asseritamente derivati alla parte lesa dalla impossibilita’ di agire, in sede penale, per il loro risarcimento stante la possibilita’, per la parte lesa dal reato, di ottenere il medesimo risultato attraverso l’esperimento dell’azione risarcitoria dinanzi al giudice civile. Accoglieva invece la riconvenzionale dell’avv. (OMISSIS), ritenendo l’azione proposta non solo temeraria ma anche foriera di danni per il professionista, condannando il (OMISSIS) a corrispondergli l’importo di Euro 10.000,00 a titolo di risarcimento del danno. (OMISSIS) propone un motivo di ricorso per cassazione illustrato da memoria nei confronti dell’avv. (OMISSIS), per la cassazione della sentenza n. 515 del 2012 depositata dalla Corte d’Appello de L’Aquila in data 26.4.2012.
L’avv. (OMISSIS) resiste con controricorso.

LE RAGIONI DELLA DECISIONE

Con l’unico suo motivo di ricorso, il ricorrente deduce la omessa, insufficiente o contraddittoria motivazione su un fatto controverso e decisivo per il giudizio.
Il ricorrente espone di aver presentato richiesta di costituzione di parte civile, tramite il suo avvocato, alla prima udienza dibattimentale dinanzi al pretore, il quale pero’ si e’ astenuto e per questo motivo non l’ha esaminata. Alla successiva udienza dinanzi al nuovo pretore l’avvocato del (OMISSIS) non ha reiterato la richiesta in apertura di dibattimento, e la stessa e’ stata giudicata inammissibile in quanto tardiva. Sostiene di aver subito, in conseguenza della sua esclusione dal procedimento penale, un danno, integrato dal fatto stesso dello svolgimento di una condotta professionale in cui sia intervenuto un errore.
Il ricorso e’ infondato.
Preliminarmente, con esso si denuncia solo la presenza di un vizio di motivazione senza neppure efficacemente illustrare quali sarebbero le lacune motivazionali in cui sarebbe incorsa la sentenza impugnata.
Non si censura invece la principale ratio decidendi della sentenza impugnata, che e’ incentrata sulla necessita’ della esistenza di un pregiudizio concretamente subito dal patrocinato affinche’ dall’errore del professionista consegua l’obbligo di risarcire il danno al proprio assistito (conformemente alla costante giurisprudenza di questa Corte: v. Cass. n. 12354 del 2009; Cass. n. 2638 del 2013) e sulla esclusione del pregiudizio stesso nel caso concreto.
La motivazione (all’interno della quale si richiama anche il principio della immanenza della costituzione di parte civile, che rendeva non necessaria una rinnovazione della costituzione gia’ effettuata) infatti e’ incentrata principalmente sulla mancanza di ogni pregiudizio in capo al (OMISSIS) conseguente alla declaratoria di inammissibilita’ della costituzione di parte civile nel procedimenti) penale, sotto il duplice profilo dell’assoluzione dell’imputato in appello con sentenza passata in giudicato in mancanza di impugnazione da parte del P.M. e della libera riproponibilita’ della domanda risarcitoria in sede civile. La corte territoriale pertanto esclude che il ricorrente abbia potuto subire un pregiudizio a causa dell’operato del suo avvocato, in primo luogo, perche’ l’inammissibilita’ della costituzione di parte civile non gli impediva in alcun modo di introdurre un autonomo giudizio civile, ed inoltre perche’ la definitiva assoluzione dell’imputato escludeva la configurabilita’ di un danno correlato alla responsabilita’ penale di questi. La sentenza di appello, non impugnata sotto questo profilo, e’ pertanto passata in giudicato sul punto.
Parimenti infondato e’ il ricorso laddove critica, sempre sotto il profilo del difetto di motivazione, la sentenza impugnata per l’accoglimento dell’appello incidentale del (OMISSIS), con conseguente accoglimento della domanda riconvenzionale di risarcimento danni per lite temeraria (ex articolo 96 c.p.c., comma 1) proposta dall’avv. (OMISSIS) in quanto la sentenza motiva adeguatamente in ordine al difetto quanto meno della normale diligenza (connessa alla acquisizione dell’esatta conoscenza di norme e di principi giurisprudenziali unanimemente condivisi) cd alla sussistenza del danno, liquidato in via equitativa nella misura di Euro 10.000,00 facendo riferimento al discredito professionale che la proposizione di una azione risarcitoria per responsabilita’ professionale manifestamente infondata puo’ comportare nei confronti del professionista, quanto meno per la conoscibilita’ di essa nel suo ambito professionale, che e’ quello del Foro, dei giudici e del personale amministrativo con i quali egli si trova ad operare abitualmente, che giustifica una condanna ex articolo 96 c.p.c., sebbene per un importo significativamente piu’ ridotto rispetto a quanto richiesto dall’avv. (OMISSIS).
Le spese seguono la soccombenza e si liquidano come al dispositivo.
Atteso che il ricorso per cassazione e’ stato proposto in tempo posteriore al 30 gennaio 2013, ed in ragione della soccombenza del ricorrente, la Corte, ai sensi del Decreto del Presidente della Repubblica n. 115 del 2002, articolo 13, comma 1 quater, da’ atto della sussistenza dei presupposti per il versamento da parte del ricorrente, di un ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello dovuto per il ricorso principale, a norma dello stesso articolo 13, comma 1 bis.

P.Q.M.

La Corte rigetta il ricorso. Pone a carico del ricorrente le spese di giudizio sostenute dalla controricorrente, che liquida in complessivi Euro 5.800,00, di cui 200,00 per spese, oltre contributo spese generali ed accessori.
Da’ atto della sussistenza dei presupposti per il versamento da parte del ricorrente, di un ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello dovuto per il ricorso principale.

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