Suprema Corte di Cassazione
sezione lavoro
sentenza 9 luglio 2015, n. 14301
REPUBBLICA ITALIANA
IN NOME DEL POPOLO ITALIANO
LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE
SEZIONE LAVORO
Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:
Dott. VIDIRI Guido – Presidente
Dott. NOBILE Vittorio – Consigliere
Dott. MAISANO Giulio – rel. Consigliere
Dott. BALESTRIERI Federico – Consigliere
Dott. DORONZO Adriana – Consigliere
ha pronunciato la seguente:
SENTENZA
sul ricorso 13201/2012 proposto da:
(OMISSIS) S.P.A. C.F. (OMISSIS), in persona del legale rappresentante pro tempore, elettivamente domiciliato in (OMISSIS), presso lo studio dell’avvocato (OMISSIS), che la rappresenta e difende unitamente agli avvocati (OMISSIS), (OMISSIS), giusta delega in atti;
– ricorrente –
contro
(OMISSIS) C.F. (OMISSIS), elettivamente domiciliato in (OMISSIS), presso lo studio dell’avvocato STUDIO (OMISSIS) & PARTNERS AVVOCATI ROMA, rappresentato e difeso dagli avvocati (OMISSIS), (E ALTRI OMISSIS)
– controricorrente –
avverso la sentenza n. 93/2012 della CORTE D’APPELLO di BRESCIA, depositata il 03/03/2012 r.g.n. 506/2011;
udita la relazione della causa svolta nella pubblica udienza del 19/02/2015 dal Consigliere Dott. GIULIO MAISANO;
udito l’Avvocato (OMISSIS) per delega (OMISSIS);
udito l’Avvocato (OMISSIS) per delega (OMISSIS);
udito il P.M. in persona del Sostituto Procuratore Generale Dott. CERONI Francesca, che ha concluso per l’inammissibilita’ in subordine rigetto.
SVOLGIMENTO DEL PROCESSO
Con sentenza del 3 marzo 2012 la Corte d’appello di Brescia ha confermato la sentenza del Tribunale di Bergamo del 7 luglio 2011 con la quale era stata dichiarata l’illegittimita’ della sanzione disciplinare della sospensione di un giorno comminata in data 19 dicembre 2005 dalla (OMISSIS) s.p.a. a (OMISSIS) dirigente amministrativo della societa’, e l’illegittimita’ del licenziamento intimato allo stesso (OMISSIS) in data 13 marzo 2006, e la stessa (OMISSIS) era stata condannata al pagamento in favore del (OMISSIS) dell’indennita’ di mancato preavviso, dell’indennita’ supplementare, oltre che a differenze retributive a titolo di premio BMV per l’anno 2005, indennita’ di trasferta, indennita’ sostituiva delle ferie, scatti di anzianita’ e TFR, ed al risarcimento del danno alla persona liquidato in euro 40.000,00 per il mobbing attuato nei confronti del dipendente. La Corte territoriale, dopo avere dettagliatamente esaminato tutti gli addebiti mossi dalla societa’ (OMISSIS) al (OMISSIS), e dopo avere esaminato dettagliatamente tutti gli elementi istruttori sia testimoniali che documentali, ha ritenuto provati i soli addebiti relativi al mancato reperimento del dipendente presso il suo domicilio durante un’assenza per malattia, e ad una telefonata con una dipendente relativa alle sue mansioni, e tali addebiti non sono stati ritenuti sufficienti per configurare giusta causa o giustificato motivo oggettivo del licenziamento del (OMISSIS). La stessa Corte territoriale ha pure ritenuto sussistente la condotta mobizzante da parte della societa’ datrice di lavoro, che ha posto in essere comportamenti atti a svilire il ruolo aziendale del direttore amministrativo (OMISSIS) ad iniziare dallo scavalcamento di questi nella gestione dell’assunzione di nuovo personale.
La (OMISSIS) s.p.a. ha proposto ricorso per cassazione avverso tale sentenza affidato a due motivi.
Resiste il (OMISSIS) con controricorso.
Entrambe le parti hanno presentato memoria.
Con il primo motivo si lamenta violazione e falsa applicazione di norme di diritto e dei contratti collettivi nazionali di lavoro con riferimento agli articoli 1375 e 1175 c.c., e dell’articolo 19 CCNL dei dirigenti industriali, ex articolo 360 c.p.c., comma 1, n. 3. In particolare si deduce che la sentenza impugnata, nel considerare la mancanza di giusta causa e di giustificato motivo soggettivo ai fini della dichiarazione di illegittimita’ del licenziamento, non avrebbe considerato la giustificatezza del licenziamento che, trattandosi di licenziamento di dirigente, assumerebbe rilevanza anche in presenza di semplice dissidio sulle linee di politica aziendale compromettendo il rapporto di fiducia.
Con il secondo motivo si assume violazione di norme di diritto con riferimento agli articoli 2097 e 2103 c.c., ex articolo 360 c.p.c., comma 2, n. 5. In particolare si lamenta che sarebbe stata considerata sussistente la condotta mobizzante della societa’ pur dandosi atto di una profonda riorganizzazione della societa’ a seguito dell’acquisto dell’ (OMISSIS), azienda dalla quale era stato assunto il (OMISSIS) nel 1978, e che ha dato luogo ad una ridistribuzione dei ruoli all’interno dell’azienda.
Il primo motivo e’ infondato. Quanto alla violazione di legge denunciata, deve rilevarsi in tema di licenziamento del dirigente che, secondo la giurisprudenza di questa Corte, la nozione di “giustificatezza” del licenziamento del dirigente, per la particolare configurazione del rapporto di lavoro dirigenziale, non si identifica con quella di giusta causa o giustificato motivo ex articolo 1 della legge n. 604 del 1966, potendo rilevare qualsiasi motivo, purche’ apprezzabile sul piano del diritto, idoneo a turbare il legame di fiducia con il datore (Cass. n. 6110 del 17 marzo 2014, Cass. n. 15496 dell’11 giugno 2008) correlativamente, il licenziamento del dirigente puo’ fondarsi su ragioni oggettive concernenti esigenze di riorganizzazione aziendale, che non debbono necessariamente coincidere con l’impossibilita’ della continuazione del rapporto o con una situazione di crisi tale da rendere particolarmente onerosa detta continuazione, dato che il principio di correttezza e buona fede, che costituisce il parametro su cui misurare la legittimita’ del licenziamento, deve essere coordinato con la liberta’ di iniziativa economica, garantita dall’articolo 41 Cost. (Cass. n. 3628 dell’8 marzo 2012, Cass. 21748 del 22 ottobre 2010, secondo la quale, per stabilire se sia giustificato il licenziamento di un dirigente intimato per ragioni di ristrutturazione aziendale, non e’ dirimente la circostanza che le mansioni da questi precedentemente svolte vengano affidate ad altro dirigente in aggiunta a quelle sue proprie, in quanto quel che rileva e’ che presso l’azienda non esista piu’ una posizione lavorativa esattamente sovrapponibile a quella del lavoratore licenziato).
Quanto fin qui detto, tuttavia, presuppone pur sempre che il licenziamento rechi motivazione coerente e sia fondato su ragioni apprezzabili sul piano del diritto, che escludano l’arbitrarieta’ del recesso: in altri termini, il recesso deve pur sempre ricollegarsi ad interessi meritevoli di tutela secondo l’ordinamento e dunque a ragioni obiettive ed effettive (che permettano la verifica dei detti interessi), operando sempre il principio di buona fede e correttezza (ex articoli 1175 e 1375 c.c.) quale limite al potere datoriale di recesso. Per altro verso, la liberta’ di iniziativa economica non e’ in grado ex se di offrire copertura a licenziamenti immotivati o pretestuosi.
Nella specie, la corte territoriale ha accertato, con valutazione correttamente motivata, che dei numerosi fatti addebitati al (OMISSIS), sono risultati confermati solo l’assenza alla visita medica di controllo, e l’avere anticipato ad una dipendente la circostanza non vera per cui non le sarebbe stato rinnovato il contratto di lavoro. Come detto, la Corte territoriale e’ pervenuta a tale conclusione attraverso una dettagliata analisi delle risultanze istruttorie riferite a ciascuno degli addebiti mossi al (OMISSIS), e tale accertamento non e’ rivisitabile in questa sede di legittimita’.
Successivamente la Corte ha valutato se tali due episodi di illecito disciplinare configurino la giustificatezza del licenziamento nei sensi sopra indicati e, con valutazione congrua e logica, ha escluso che tali due episodi siano di tale entita’ e gravita’ da giustificare il licenziamento, anche di un dirigente. Anche tale valutazione, operata in un corretto iter motivazionale, non e’ rivisitabile in sede di legittimita’ stante, si ripete, la sua correttezza e logicita’. In altri termini il ricorrente pretende un’inammissibile diversa valutazione dei fatti di causa al fine di far ritenere giustificato il licenziamento in questione.
Anche il secondo motivo e’ infondato. La Corte territoriale, come dato atto anche dal ricorrente, ha dato rilievo al contesto che ha originato il conflitto tra le parti, tuttavia, contrariamente a quanto affermato dal ricorrente non doveva necessariamente trarre la conseguenza della legittimita’ del comportamento dell’azienda. Dalla dettagliata e logica motivazione della sentenza impugnata risulta che le reali ragioni del licenziamento non erano da ricondurre in alcun modo ad una riorganizzazione. Il giudice dell’appello ha descritto dettagliatamente gli episodi che hanno concretizzato il comportamento mobizzante ed il conseguente danno per il lavoratore (numerosi addebiti rivelatisi infondati, scambi di mail con gli impiegati che travalicano il semplice dissidio o la semplice polemica). Tali episodi, a giudizio della Corte d’appello, insindacabile in questa sede, comprovano una volonta’ persecutoria generatrice di ansia e di malessere nel lavoratore che concretizza la ritenuta condotta mobizzante. In altri termini non e’ possibile in sede di legittimita’ operare una diversa valutazione relativa al carattere mobizzante del comportamento datoriale ed agli effetti dannosi sul lavoratore, una volta accertata la sussistenza dei fatti stessi astrattamente idonei a tale configurazione.
Le spese del presente giudizio di legittimita’, liquidate in dispositivo, seguono la soccombenza.
P.Q.M.
La Corte di Cassazione rigetta il ricorso;
Condanna la ricorrente al pagamento delle spese di giudizio liquidate in euro 100,00 oltre euro 4.000,00 per compensi professionali oltre accessori di legge.
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