Cassazione 10

Suprema Corte di Cassazione

sezione lavoro

sentenza 9 luglio 2015, n. 14302

REPUBBLICA ITALIANA

IN NOME DEL POPOLO ITALIANO

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE LAVORO

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. VIDIRI Guido – Presidente

Dott. NOBILE Vittorio – Consigliere

Dott. MAISANO Giulio – rel. Consigliere

Dott. BALESTRIERI Federico – Consigliere

Dott. DORONZO Adriana – Consigliere

ha pronunciato la seguente:

SENTENZA

sul ricorso 12522/2014 proposto da:

(OMISSIS) C.F. (OMISSIS), elettivamente domiciliata in (OMISSIS), presso lo studio dell’avvocato (OMISSIS), che la rappresenta e difende giusta delega in atti;

– ricorrente –

contro

(OMISSIS) S.P.A. C.F. (OMISSIS), in persona del legale rappresentante pro tempore, elettivamente domiciliata in (OMISSIS), presso lo (OMISSIS), rappresentata e difesa dagli avvocati (OMISSIS), (OMISSIS), (OMISSIS), giusta delega in atti;

– controricorrente –

avverso la sentenza n. 254/2014 della CORTE D’APPELLO di MILANO, depositata il 10/03/2014 R.G.N. 4594/2013;

udita la relazione della causa svolta nella pubblica udienza del 19/02/2015 dal Consigliere Dott. GIULIO MAISANO;

udito l’Avvocato (OMISSIS);

udito l’Avvocato (OMISSIS) per delega (OMISSIS);

udito il P.M. in persona del Sostituto Procuratore Generale Dott. CERONI Francesca, che ha concluso per l’inammissibilita’ in subordine rigetto.

SVOLGIMENTO DEL PROCESSO

Con sentenza del 10 marzo 2014 la Corte d’appello di Milano ha confermato la sentenza del Tribunale di Milano n. 4594/2014 con la quale era stato rigettato il ricorso proposto da (OMISSIS) avverso l’ordinanza emessa dal medesimo Tribunale in data 18 giugno 2013 con la quale era stato a sua volta rigettato il ricorso inteso ad ottenere la dichiarazione di nullita’ del licenziamento intimatole dalla (OMISSIS) s.p.a. il 20 novembre 2012. La Corte d’appello ha ritenuto provate le circostanze addotte a motivo del licenziamento disciplinare in questione e, in particolare, la condotta tenuta dalla lavoratrice tra il 4 ed il 16 ottobre 2012 allorquando, in piu’ riprese, ha negato la necessaria collaborazione per consentire l’inserimento nel computer di cui era dotata del sistema applicativo necessario per operare on line, e la condotta consistita nell’atteggiamento offensivo e derisorio tenuto dalla stessa (OMISSIS) nei confronti della sua superiore (OMISSIS), in occasione della discussione creatasi per la necessita’ della suddetta attivazione nel computer della lavoratrice del sistema applicativo necessario, seguito dalle vie di fatto consistite nell’avere spinto la lavoratrice con il proprio corpo per tre volte la superiore (OMISSIS) contro il muro. La Corte territoriale ha considerato il licenziamento sanzione proporzionata alla gravita’ di tali atti di insubordinazione.

La (OMISSIS) ha proposto ricorso per cassazione avverso tale sentenza affidato ad un unico motivo.

Resiste la (OMISSIS) con controricorso. Entrambe le parti hanno presentato memoria.

MOTIVI DELLA DECISIONE

Con l’unico motivo la ricorrente lamenta omessa, contraddittoria e insufficiente motivazione su un punto decisivo della controversia. In particolare si deduce che la Corte territoriale non avrebbe valutato correttamente il comportamento della (OMISSIS) non considerando, in particolare, lo stato d’animo della lavoratrice che era stata oggetto di una precedente sanzione disciplinare contestata; inoltre la ricorrente contesta il giudizio di proporzionalita’ della sanzione inflitta e l’inosservanza della procedura disciplinare indicata dalla Legge n. 300 del 1970, articolo 7.

Il motivo di ricorso, cosi’ come formulato, appare inammissibile contenendo censure relative all’applicazione di legge che, oltre a non essere state oggetto del giudizio di appello, mal si conciliano con il motivo di censura costituito dal difetto di motivazione. Comunque l’articolato motivo e’ infondato. Infatti la ricorrente censura, in primo luogo l’accertamento e la valutazione del fatto addebitato e che ha dato luogo al licenziamento. Tale censura non puo’ trovare spazio nel giudizio di legittimita’, una volta verificata la logicita’ e congruita’ della motivazione che, nel caso in esame, ha tenuto conto di tutti i fatti addebitati provvedendo alla loro dettagliata ricostruzione sulla base delle prove testimoniali dettagliatamente considerate. Il rifiuto della lavoratrice di far intervenire il tecnico per l’inserimento nel proprio computer del necessario sistema operativo, e la successiva discussione con il superiore gerarchico seguita da vie di fatto, costituiscono fatti accertati cosi’ come riferiti dal giudice dell’appello e, in presenza di tale compiuta ricostruzione dei fatti, non e’ possibile una rivisitazione in questa sede. Ne’ e’ possibile una diversa valutazione della proporzionalita’ della sanzione, censurata dalla ricorrente in questa sede, costituendo tale valutazione anche una valutazione di fatto riservata al giudice del merito che puo’ essere vagliata in sede di legittimita’ solo in presenza di una motivazione non completa o illogica, circostanza, per quanto sopra detto, insussistente nel caso in esame (per tutte v. Cass. 13 dicembre 2010, n. 25144).

In ordine al procedimento disciplinare, ripercorso dettagliatamente nella sua previsione normativa, in molte pagine del ricorso, va considerato che non risulta alcuna censura al riguardo nei precedenti gradi di giudizio per cui si tratterebbe di motivi nuovi il cui esame e’ precluso in questa sede.

Le spese del presente giudizio di legittimita’, liquidate in dispositivo, seguono la soccombenza.

P.Q.M.

La Corte di Cassazione rigetta il ricorso;

Condanna la ricorrente al pagamento delle spese di giudizio liquidate in euro 100,00 oltre euro 3.500,00 per compensi professionali oltre accessori di legge.

Ai sensi del Decreto del Presidente della Repubblica n. 115 del 2002, articolo 13, comma 1 quater, da atto della sussistenza dei presupposti per il versamento, da parte del ricorrente principale, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello dovuto per il ricorso principale, a norma dello stesso articolo 13, comma 1 bis.

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