Violenza Morale: Consenso Estorto, Prova Cruciale

Corte di Cassazione, civile, Ordinanza|4 febbraio 2025| n. 2612.

Violenza Morale Consenso Estorto e Prova Cruciale

Massima: La violenza morale può estrinsecarsi secondo una fenomenologia varia ed indefinita, e quindi anche in modo non esplicito ma indeterminato o indiretto, sempreché sussista il requisito – indefettibile per la rilevanza di tale forma di violenza – che la minaccia sia specificamente diretta al fine di estorcere il consenso per l’atto di cui si chieda l’annullamento. La valutazione – alla stregua del materiale probatorio – della sussistenza della minaccia di un male ingiusto, nonché del rapporto di causalità tra questa ed il compimento dell’atto impugnato, costituisce un accertamento di fatto riservato al giudice del merito e non censurabile in sede di legittimità, se adeguatamente motivato. (Nel caso di specie, ha osservato la Suprema Corte, la Corte d’appello ha esplicitato le ragioni per le quali ha ritenuto che non fosse stato soddisfatto l’onere probatorio in merito alla sussistenza della violenza morale – la sentenza penale si era conclusa con l’estinzione del reato per prescrizione, assenza di rilievo in sede civile delle dichiarazioni delle parti lese che agivano come attori, mancata allegazione delle modalità con cui si sarebbe estrinsecata la violenza e del male ingiusto e notevole, inidoneità della prova orale articolata dagli attori in relazione a circostanze utili approvare la dedotta violenza morale -. Non sussiste peraltro nessuna violazione del minimo costituzionale riguardo alla motivazione, mentre la censura avverso la parte motiva si risolve in una inammissibile richiesta di rivalutazione del merito).

Ordinanza|4 febbraio 2025| n. 2612. Violenza Morale Consenso Estorto e Prova Cruciale

Integrale

Tag/parola chiave: CONTRATTO – Annullabilità – Violenza – Morale – Estrinsecazione – Accertamento del giudice del merito – Fattispecie. (Cc, articolo 1435; Cpc, articolo 360)

REPUBBLICA ITALIANA

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE SECONDA CIVILE

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati

Dott. BERTUZZI Mario – Presidente

Dott. FORTUNATO Giuseppe – Consigliere

Dott. MONDINI Antonio – Consigliere

Dott. TRAPUZZANO Cesare – Consigliere

Dott. GRASSO Gianluca – Relatore

ha pronunciato la seguente
ORDINANZA

sul ricorso iscritto al n. 19231/2019 R.G. proposto da

Sc.An., Sc.An., Sc.Br., Sc.Gi., rappresentati e difesi dagli avvocati Pa.Tr. e An.Ca., elettivamente domiciliati in Roma Via De.Fo., presso lo studio dell’avvocato Si.Mo.;

-ricorrenti-

contro

Sc.Ca., rappresentata e difesa dall’avvocato Cl.Sa., elettivamente domiciliata in Roma Piazza De.Vi., presso lo studio dell’avvocato Gi.Ga.;

-controricorrente-

nonchè contro

Sc.Fr., Sc.Al., Cr.An., rappresentati e difesi dall’avvocato Vi.Pa., con domicilio digitale presso il proprio indirizzo di posta elettronica certificata;

-controricorrenti-

nonchè contro

Sc.Sa.;

-intimato-

per la cassazione della sentenza della Corte di appello di Napoli n. 1963/2019, depositata il 9 aprile 2019.

Udita la relazione svolta nella camera di consiglio del 21 novembre 2024 dal Consigliere Gianluca Grasso.

Violenza Morale Consenso Estorto e Prova Cruciale

FATTI DI CAUSA

1. – Con atto di citazione ritualmente notificato il 15 aprile 2003, Ma.Ge., Sc.An., Sc.Ca., Sc.An., Sc.Br. e Sc.Gi. – premesso che con atto pubblico di compravendita per Notaio Ma. del 29 maggio 1996 (rep. 17625 e racc. 5253) avevano venduto al prezzo dichiarato di allora Lire 400.000.000 ai sigg.ri Sc.Ca., Sc.Vi. (nato nel (Omissis) e deceduto il (Omissis)) e Sc.Vi. nato nel (Omissis) un compendio immobiliare in C – convenivano innanzi al Tribunale di Napoli, sezione di Afragola, i menzionati acquirenti, tra i quali gli eredi di Sc.Vi. (Omissis), nonché Sc.Fr., Sc.Al. e Sc.Sa. per sentir dichiarare l’inefficacia del contratto nei confronti dei convenuti in quanto persone interposte rispetto ai veri compratori dell’immobile indicati nei convenuti Sc.Al., Sc.Sa. e Sc.Fr. e, per l’effetto, sentir dichiarare nullo o comunque annullare e/o rescindere il contratto. In via gradata, gli attori chiedevano che, previa stima effettuata da un consulente tecnico d’ufficio, i convenuti fossero condannati a corrispondere una somma pari all’effettivo valore attuale dell’immobile, oltre al risarcimento dei danni. Gli attori deducevano, richiamando quanto già accertato dalla sentenza di condanna per il reato di usura n. 130/2002, emessa dalla sezione penale del Tribunale di Napoli, che alcuni di loro, in particolare Sc.An., Sc.Ca. e Sc.Br., nel periodo 1988/1989 chiesero numerosi prestiti in denaro ai sigg. Sc.Fr., Sc.Al. e Sc.Sa., cugini del padre Sc.Fr., somme che furono consegnate a un tasso di interesse del 5% mensile. Sc.Sa., Sc.Fr. e Sc.Al., zii degli attori, e cugini del loro padre Sc.Fr., defunto, venivano, quindi, condannati per il reato di usura nei loro confronti. Gli attori, ancora, esponevano che nell’agosto del 1992, quando i prestiti degli zii cessarono, il debito nei loro confronti ammontava ad allora Lire 150.000.000 ma che furono costretti da Sc.Sa. ad accendere un’ipoteca volontaria sui loro beni per un valore di Lire 400.000.000 e poi ancora un’ulteriore ipoteca del valore di Lire 180.000.000. Essi, infine, narravano che, agli inizi del 1996, non essendo riusciti a estinguere il debito, acconsentirono al trasferimento di proprietà dei loro beni a favore dei convenuti Sc.Ca., Sc.Vi. (nato nel (Omissis)) e Sc.Vi. (nato nel (Omissis)) al prezzo, risultante da scrittura, di Lire 700.000.000, di cui, una volta decurtata la somma di Lire 518.000.000, pari al loro debito garantito dalle due ipoteche, ricevettero solo Lire 200.000.000. Gli attori, quindi, ritenuti sussistenti tutti gli elementi dell’interposizione di persona e dell’illiceità del negozio previa dichiarazione di inefficacia del contratto del 29 maggio 1996 per simulazione, concludevano per la declaratoria di nullità e/o la rescissione dello stesso, o, in via subordinata per la condanna dei convenuti al pagamento del valore reale nonché al risarcimento del danno.

Ammessa CTU contabile, con la sentenza n. 710 del 2009, il Tribunale di Napoli, sezione distaccata di Afragola, rilevava la nullità della compravendita per illiceità della causa in quanto il trasferimento dei beni immobili del 29 maggio 1996 aveva realizzato l’illecita funzione economico-sociale del conseguimento di vantaggi usurari, punita dall’art. 644, comma 1, cod. pen. Il Tribunale, infatti, riteneva l’illiceità del mutuo usurario e, di conseguenza, la nullità del contratto di compravendita ad esso funzionalmente collegato, per illiceità della causa. Dichiarava pertanto l’intervenuta interposizione fittizia di persona, nonché la nullità della compravendita del 29 maggio 1996; ordinava la retrocessione degli immobili oggetto del contratto in capo agli attori. In parziale accoglimento della domanda riconvenzionale proposta da Sc.Al., Sc.Fr. e Sc.Sa., condannava gli attori alla restituzione in favore dei predetti convenuti della somma di Euro 221.043,55, oltre interessi legali dalla domanda, prai al prezzo pagato; condannava i convenuti alla corresponsione agli attori della somma di Euro 50.000,00, a titolo di danno morale, e alle spese.

2. – Avverso la sentenza hanno proposto appello Sc.Fr., in proprio e quale avente causa dal figlio Sc.Ca., Cr.An. quale avente causa dal figlio Sc.Ca., Sc.Al. e Sc.Vi.

Si sono costituiti Sc.Sa. e Sc.Ca., quest’ultima in proprio e quali erede di Sc.Vi. (nato nel (Omissis)), i quali hanno proposto appello incidentale.

Si sono, infine, costituiti Sc.An., Sc.Ca., Sc.An., Sc.Br. e Sc.Gi., in proprio e quali eredi di Ma.Ge., nata il 26.10.1936 e deceduta il 12.12.2009, i quali hanno chiesto il rigetto degli appelli proposti dalle altre parti e hanno proposto appello incidentale.

La Corte d’Appello di Napoli, con sentenza n. 1824/2017 in data 26 aprile 2017, non definitivamente pronunciando sull’appello principale proposto da Sc.Fr., in proprio e quale avente causa dal figlio Sc.Ca., Cr.An., quale avente causa dal figlio Sc.Ca., Sc.Al. e Sc.Vi. nonché sull’appello incidentale proposto da Sc.Sa. e Sc.Ca., in parziale riforma della sentenza impugnata, cosi provvedeva a) rigettava la domanda diretta alla declaratoria di nullità del contratto di compravendita del 29 maggio 1996; b) rigettava la domanda diretta all’annullamento per violenza morale del contratto; c) rimetteva la causa sul ruolo con separata ordinanza, per la necessaria attività istruttoria in ordine alla domanda di rescissione per lesione ultra dimidium.

All’udienza dell’8 giugno 2017, immediatamente successiva al deposito della sentenza non definitiva, gli appellati formulavano, ai sensi dell’art. 340 cod. proc. civ. riserva di impugnazione.

Con sentenza n. 1963/2019, depositata in data 9 aprile 2019, la Corte d’Appello di Napoli, all’esito dell’espletata CTU, in riforma della sentenza impugnata, ha rigettato la domanda di rescissione per lesione ultra dimidium, compensando le spese di giudizio.

3. – Avverso tale sentenza Sc.An., Sc.Ca., Sc.An., Sc.Br. Scuotto e Sc.Gi., in proprio e nella qualità di eredi di Ma.Ge., hanno proposto ricorso per cassazione affidato a tre motivi.

Sc.Ca. si è costituita con controricorso, così come Sc.Vi., Sc.Al. e Cr.An.

Sc.Sa. non ha svolto attività difensiva.

4. – Il ricorso è stato avviato alla trattazione camerale ai sensi dell’art. 380-bis.1 cod. proc. civ.

Violenza Morale Consenso Estorto e Prova Cruciale

RAGIONI DELLA DECISIONE

1. – Con il primo motivo di ricorso, in relazione alla sentenza non definitiva, si deduce la violazione e falsa applicazione dell’art. 1322 cod. civ. in riferimento all’art. 1418 e 1419 cod. civ. e congiuntamente nullità della sentenza per error in procedendo per evidente vizio logico e giuridico della decisione impugnata (art. 360, comma 1, n. 3 e 4, cod. proc. civ.). I giudici della Corte territoriale, dopo una dettagliata esposizione dei fatti, sono pervenuti alla decisione, non definitiva, sulla nullità del contratto di compravendita, che a parere dei ricorrenti è stata pronunciata sulla scorta di una errata applicazione delle norme di riferimento. In particolare, si evidenzia che i giudici avrebbero perso di vista il punto focale della vicenda e il presupposto stesso che la ha accompagnata, il profitto del reato di usura, che gli appellanti hanno definitivamente realizzato con l’atto di compravendita, correttamente dichiarato nullo dal Tribunale. Fermarsi alla fattispecie del collegamento negoziale (peraltro non correttamente inquadrato), per poi escludere ogni collegamento tra il mutuo usuraio e la compravendita sarebbe il frutto di un errore logico-giuridico, frutto di una errata applicazione delle norme giuridiche di riferimento, in particolare degli artt. 1322 e 1418 cod. civ., che mina del tutto la sentenza, imponendone la sua cassazione. In particolare, l’aver negato che i due contratti siano collegati significa aver voluto negare la sussistenza di un unico motivo conduttore che lega la vicenda negoziale. In questi termini non sarebbe condivisibile l’inquadramento effettuato dai giudici della Corte territoriale, laddove il richiamo al collegamento negoziale (anche sulla scorta dei richiami giurisprudenziali indicati in sentenza), non è ammissibile. Nel caso in esame, il collegamento tra il mutuo e la vendita, riconosciuto dal giudice di prime cure, non potrebbe essere inquadrato secondo i criteri seguiti nella sentenza impugnata, ma piuttosto nella vicenda negoziale, del tutto patologica, motivata da un presupposto illecito ottenere il profitto di un reato da parte dei finti acquirenti. Sotto diverso profilo, anche a voler considerare ammissibile il richiamo al collegamento negoziale operato dalla Corte territoriale, la decisione andrebbe comunque censurata, in quanto, sarebbe configurabile la nullità del contratto di compravendita stipulato il 29 maggio 1996 in quanto il prestito usurario sarebbe stato preordinato all’acquisto del bene compravenduto.

1.1. – Il motivo è infondato.

Affinché possa configurarsi un collegamento negoziale in senso tecnico, che impone la considerazione unitaria della fattispecie, è necessario che ricorra sia un requisito oggettivo, costituito dal nesso teleologico tra i negozi, volti alla regolamentazione degli interessi reciproci delle parti nell’ambito di una finalità pratica consistente in un assetto economico globale ed unitario, sia un requisito soggettivo, costituito dal comune intento pratico delle parti di volere non solo l’effetto tipico dei singoli negozi in concreto posti in essere, ma anche il coordinamento tra di essi per la realizzazione di un fine ulteriore, che ne trascende gli effetti tipici e che assume una propria autonomia anche dal punto di vista causale. Accertare la natura, l’entità, le modalità e le conseguenze del collegamento negoziale realizzato dalle parti rientra nei compiti esclusivi del giudice di merito, il cui apprezzamento non è sindacabile in sede di legittimità, se sorretto da motivazione congrua ed immune da vizi logici e giuridici (Cass., Sez. III, 17 maggio 2010, n. 11974; Cass., Sez. II, 16 marzo 2006, n. 5851).

Nel caso di specie la Corte d’Appello – con specifica motivazione, congrua e immune da vizi logici e giuridici – ha esplicitato le ragioni in base alle quali ha escluso il collegamento negoziale tra i due contratti, evidenziando una contraddizione nel ragionamento del Tribunale, tenuto conto di alcuni elementi ritenuti significativi, tra cui il lungo lasso di tempo intervenuto tra i contratti asseritamente collegati e l’avvenuta vendita dell’immobile dopo il consolidamento del credito derivante dal mutuo.

2. – Con il secondo motivo di ricorso si prospetta, in relazione alla sentenza non definitiva, la violazione e falsa applicazione degli) artt. 1434 e segg. cod. civ. e congiuntamente nullità della sentenza per error in procedendo per evidente vizio logico e giuridico della decisione impugnata nella parte in cui nega la sussistenza della violenza ex art. 1434 cod. civ. (art. 360,1 comma, nn. 3 e 4, cod. proc. civ.). I ricorrenti deducono che i giudici della corte territoriale avrebbero licenziato la questione dell’annullabilità del contratto per violenza privata ex art. 1434 cod. civ. – e anche ex art. 1438 cod. civ. – con una scarna motivazione, deducendone la totale mancanza di prova, in contraddizione con le risultanze emerse nel processo. L’iter logico-giuridico percorso dai giudici nella sentenza impugnata apparirebbe dunque del tutto viziato, contraddittorio e incoerente con le risultanze emerse nel processo. Al contrario, nella fattispecie che ci occupa, ben potrebbe ritenersi configurabile la predetta ipotesi di annullabilità del contratto; il consenso dei ricorrenti alla stipula del contratto di vendita in favore dei resistenti sarebbe stato, infatti, estorto mediante la minaccia, perpetrata ai loro danni da parte dei resistenti. I ricorrenti sottolineano che potrebbe dubitarsi della reale efficacia intimidatoria della stessa, atteso che la stessa fosse proveniente da persone che da una cifra iniziale esigua avevano moltiplicato in maniera esponenziale il credito che dicevano di vantare; la stessa, pertanto, sarebbe stata senza alcun dubbio idonea a viziare la volontà e il consenso di quest’ultimo in ordine alla conclusione del negozio giuridico, alla quale egli mai sarebbe pervenuto, laddove non fosse stato a ciò costretto, anche in riferimento alla minaccia di mettere in esecuzione forzata i titoli in loro possesso (art. 1438 cod. civ.).

2.1. – Il motivo è infondato.

La violenza morale può estrinsecarsi secondo una fenomenologia varia e indefinita, e quindi anche in modo non esplicito ma indeterminato o indiretto, sempreché sussista il requisito – indefettibile per la rilevanza di tale forma di violenza – che la minaccia sia specificamente diretta al fine di estorcere il consenso per l’atto di cui si chieda l’annullamento (Cass., Sez. IV, 16 gennaio 1984, n. 368; Cass., Sez. IV, 4 maggio 1979, n. 2567). La valutazione – alla stregua del materiale probatorio – della sussistenza della minaccia di un male ingiusto, nonché del rapporto di causalità tra questa ed il compimento dell’atto impugnato, costituisce un accertamento di fatto riservato al giudice del merito e non censurabile in Sede di legittimità, se adeguatamente motivato (Cass., Sez. IV, 6 settembre 2003, n. 13035).

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Nel caso di specie, la Corte d’Appello ha esplicitato le ragioni per le quali ha ritenuto che non fosse stato soddisfatto l’onere probatorio in merito alla sussistenza della violenza morale (la sentenza penale si era conclusa con l’estinzione del reato per prescrizione, assenza di rilievo in sede civile delle dichiarazioni delle parti lese che agivano come attori, mancata allegazione delle modalità con cui si sarebbe estrinsecata la violenza e del male ingiusto e notevole, inidoneità della prova orale articolata dagli attori in relazione a circostanze utili approvare la dedotta violenza morale). Non sussiste peraltro nessuna violazione del “minimo costituzionale” riguardo alla motivazione, mentre la censura avverso la parte motiva si risolve in una inammissibile richiesta di rivalutazione del merito.

3. – Con il terzo motivo di ricorso, riguardo alla sentenza definitiva, si denuncia la nullità della sentenza per error in judicando – Decisione fondata su relazione di CTU palesemente errata – Difetto di motivazione – Omesso esame sui rilievi e le impugnative alla CTU formulate dagli appellati ed oggetto di discussione tra le parti – Fatto decisivo per la decisione del giudizio (art. 360, n. 4 e 5, cod. proc. civ.). I giudici delia Corte territoriale hanno ritenuto di dover rigettare la domanda proposta dagli originari attori anche con riferimento alia rescissione per lesione ultra dimidium, e ciò sulla scorta delle risultanze di una CTU viziata e alla quale, sia il CTP che il difensore nel verbale di udienza dell’11 gennaio 2018 e nelle comparse conclusionali, avevano proposto puntuali osservazioni e critiche con la richiesta di rinnovazione della stessa.

3.1. – Il motivo è inammissibile.

Il giudice di merito, quando aderisce alle conclusioni del consulente tecnico che nella relazione abbia tenuto conto, replicandovi, dei rilievi dei consulenti di parte, esaurisce l’obbligo della motivazione con l’indicazione delle fonti del suo convincimento, e non deve necessariamente soffermarsi anche sulle contrarie allegazioni dei consulenti tecnici di parte, che, sebbene non

espressamente confutate, restano implicitamente disattese perché incompatibili, senza che possa configurarsi vizio di motivazione, in quanto le critiche di parte, che tendono al riesame degli elementi di giudizio già valutati dal consulente tecnico, si risolvono in mere argomentazioni difensive (Cass., Sez. I, 16 novembre 2022, n. 33742; Cass., Sez. VI-3, 2 febbraio 2015, n. 1815).

La Corte d’Appello ha esaminato puntualmente le risultanze della consulenza d’ufficio alla luce dei rilievi del consulente di parte (pp. 4-6), giungendo a ritenere che risultanze della relazione tecnica d’ufficio sono sorrette da argomentazioni fondate sugli elementi obiettivi acquisiti ed esaurientemente motivati anche in risposta ai rilievi dei consulenti di parte, per cui il valore complessivo di mercato dei beni (lire 771.810.000) non raggiungeva la soglia della rescindibilità del contratto per lesione ultra dimidium, stante il prezzo contrattuale pattuito (lire 718.810.000). Le censure formulate in questa sede risultano pertanto inammissibili perché tese a conseguire una nuova valutazione del compendio istruttorio.

4. – Il ricorso va dunque respinto.

Le spese seguono la soccombenza e si liquidano come da dispositivo.

Poiché il ricorso è stato proposto successivamente al 30 gennaio 2013, stante il tenore della pronuncia, va dato atto, ai sensi dell’art. 13, comma 1-quater D.P.R. n. 115 del 2002, della sussistenza dei presupposti processuali per il versamento, da parte della ricorrente, di un ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello previsto per il ricorso, a norma dell’art. 13, comma 1-bis, del D.P.R. n. 115 del 2002, se dovuto.

Violenza Morale Consenso Estorto e Prova Cruciale

P.Q.M.

La Corte rigetta il ricorso.

Condanna il ricorrente al pagamento delle spese del giudizio di legittimità che liquida, in favore di ciascuna delle due parti controricorrenti, in Euro 6.000,00 per compensi, oltre Euro 200,00 per esborsi e rimborso delle spese generali (15%) ed accessori come per legge.

Ai sensi dell’art. 13, comma 1-quater D.P.R. n. 115 del 2002, sussistono i presupposti processuali per il versamento, da parte della ricorrente, di un ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello previsto per il ricorso, a norma dell’art. 13, comma 1 -bis, del D.P.R. n. 115 del 2002, se dovuto.

Così deciso in Roma il 21 novembre 2024.

Depositato in Cancelleria il 4 febbraio 2025.

In caso di diffusione omettere le generalità e gli altri dati identificativi dei soggetti interessati nei termini indicati.

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