Valutazione del requisito della continenza

Corte di Cassazione, sezione quinta penale, Sentenza 1 marzo 2019, n. 8828.

La massima estrapolata:

Nella valutazione del requisito della continenza, necessario ai fini del legittimo esercizio del diritto di critica, si deve tenere conto del complessivo contesto dialettico in cui si realizza la condotta e verificare se i toni utilizzati dall’agente, pur aspri e forti, non siano gravemente infamanti e gratuiti, ma siano, invece, comunque pertinenti al tema in discussione . Di guisa che il requisito della continenza, quale elemento costitutivo della causa di giustificazione del diritto di critica, attiene alla forma comunicativa ovvero alle modalita’ espressive utilizzate e non al contenuto comunicato.
Il limite della continenza e’, dunque, superato in presenza di espressioni che, in quanto gravemente infamanti e inutilmente umilianti, trasmodino in gratuite aggressioni verbali o in iperboli espressive, di guisa che anche il contesto nel quale la condotta si colloca puo’ essere valutato ai limitati fini del giudizio di stretta riferibilita’ delle espressioni potenzialmente diffamatorie al comportamento del soggetto passivo oggetto di critica, ma non puo’ in alcun modo scriminare l’uso di espressioni che si risolvano nella offesa non solo della persona offesa in quanto tale.
In altri termini, il requisito della continenza postula una forma espositiva corretta della critica rivolta – e cioe’ strettamente funzionale alla finalita’ di disapprovazione e che non trasmodi nella gratuita ed immotivata aggressione dell’altrui reputazione – e deve ritenersi superato in presenza dell’utilizzo di termini che abbiano accezioni indubitabilmente offensive e non abbiano, alla luce del complessivo contesto in cui il termine viene utilizzato, significato di mero giudizio critico negativo

Sentenza 1 marzo 2019, n. 8828

Data udienza 23 gennaio 2019

REPUBBLICA ITALIANA

IN NOME DEL POPOLO ITALIANO

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE QUINTA PENALE

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. MORELLI Francesca – Presidente

Dott. DE MARZO Giuseppe – Consigliere

Dott. TUDINO A. – rel. Consigliere

Dott. BORRELLI Paola – Consigliere

Dott. BRANCACCIO Matilde – Consigliere

ha pronunciato la seguente:

SENTENZA
sul ricorso proposto da:
(OMISSIS) nato a (OMISSIS);
(OMISSIS) nato a (OMISSIS);
(OMISSIS) nato a (OMISSIS);
(OMISSIS) ANTONIO nato a (OMISSIS);
avverso la sentenza del 21/05/2018 della CORTE APPELLO di MESSINA;
visti gli atti, il provvedimento impugnato e il ricorso;
udita la relazione svolta dal Consigliere ALESSANDRINA TUDINO;
udito il Pubblico Ministero, in persona del Sostituto Procuratore MIGNOLO OLGA;
Il Proc. Gen. conclude per l’inammissibilita’ di tutti i ricorsi;
il difensore presente illustra alla Corte i motivi di gravame e insiste per l’accoglimento del ricorso.

RITENUTO IN FATTO

1.Con sentenza del 21 maggio 2018, la Corte d’appello di Messina ha riformato solo in relazione al trattamento sanzionatorio la decisione del tribunale in sede del 1 marzo 2017, con la quale e’ stata affermata la responsabilita’ penale di (OMISSIS), (OMISSIS), (OMISSIS) e (OMISSIS) in ordine al reato di diffamazione aggravata loro ascritto.
I fatti riguardano l’affissione di manifesti, nel (OMISSIS), recanti in calce l’indicazione dei nominativi degli imputati, amministratori locali, e contenenti espressioni lesive della reputazione di esponenti della famiglia (OMISSIS), imprenditori nel settore laterizio, in quanto contenenti l’attribuzione ai medesimi di reati edilizi ed ambientali, violazioni fiscali e falsi.
2. Avverso la sentenza hanno proposto ricorso, con distinti atti, tutti gli imputati.
2.1. Con il primo motivo proposto nell’interesse di (OMISSIS) dal difensore, avv. (OMISSIS), nell’unico motivo proposto nell’interesse di (OMISSIS) dal difensore, avv. (OMISSIS), e nel primo motivo proposto nell’interesse di (OMISSIS) e (OMISSIS) dal difensore, avv. (OMISSIS), articolato ai sensi dell’articolo 606 c.p.p., lettera b), c) e d), si deduce violazione delle regole che governano il procedimento probatorio e vizio della motivazione per avere il giudice di merito attribuito il fatto agli imputati alla sola stregua della indicazione nominativa stampata sui manifesti ed alla mancata ricusazione della paternita’ del medesimo nel dibattito politico che lo aveva generato, traendo erroneamente elementi confermativi da un articolo postumo di commento della vicenda e travisando la prova orale assunta in primo grado.
La corte territoriale ha, poi, ritenuto insussistente escluso i presupposti di applicazione della causa di non punibilita’ ex articolo 131-bis c.p., richiesta in favore dell’imputato (OMISSIS), apoditticamente escludendo la particolare tenuita’ della condotta.
2.2. Con il secondo motivo, proposto nell’interesse di (OMISSIS) e (OMISSIS) dal difensore, avv. (OMISSIS), si deduce mancata assunzione di prova decisiva per avere la corte territoriale omesso di valutare la deduzione di inutilizzabilita’ della querela sporta da (OMISSIS), acquisita mediante lettura nel procedimento di primo grado fuori dei casi previsti dalla legge nonostante l’opposizione della difesa non essendo imprevedibile l’irripetibilita’ delle dichiarazioni del medesimo, nonagenario all’epoca.
2.3. Con il secondo motivo proposto nell’interesse di (OMISSIS) dal difensore, avv. (OMISSIS), si deduce la prescrizione del reato.

CONDIDERATO IN DIRITTO

1. Il ricorso e’ manifestamente infondato.
2. Sono inammissibili le censure, articolate con diverse argomentazioni, riguardo l’attribuzione della pubblicazione agli imputati, formulate nel primo motivo proposto nell’interesse di (OMISSIS), nell’unico motivo proposto nell’interesse di (OMISSIS) e nel primo motivo proposto nell’interesse di (OMISSIS) e (OMISSIS).
2.1. Dal testo della sentenza impugnata risulta che l’affissione dei manifesti di cui all’imputazione si colloca nel contesto di una campagna di contestazione all’amministrazione locale, promossa dai sindacati degli addetti al settore laterizio e che era stata portata all’attenzione della pubblica opinione mediante pubblicazione di manifesti, con i quali venivano mosse accuse relative alla mancanza di iniziative di sostegno che avevano determinato la progressiva cessazione delle attivita’ manifatturiere.
I fatti per cui si procede si pongono quale replica alle predette accuse, e si sostanziano nell’attribuzione della responsabilita’ delle crisi del settore alle improvvide iniziative della famiglia (OMISSIS) che, nelle sue diverse articolazioni, gestiva il monopolio delle manifatture locali.
Nel quadro cosi’ delineato, risulta – ancora – che l’indicazione dei nominativi riferiti agli imputati, all’epoca amministratori del comune di (OMISSIS), trascritti in calce ai medesimi manifesti, non fu mai pubblicamente ricusata, cosi’ come non risultano contestazioni all’articolo di stampa che aveva ricostruito la vicenda, iscrivendosi, peraltro, il contenuto nella linea politica sostenuta dalla maggioranza all’epoca insediata.
2.2. L’attribuzione della paternita’ dei manifesti agli imputati risulta, pertanto, giustificata attraverso il richiamo a validate massime d’esperienza, secondo le quali la mancata contestazione della spendita del nome equivale all’attribuzione del fatto riferito, non implicando siffatto giudizio inferenziale che da una circostanza certa – la mancata contestazione nell’immediatezza risale ad un fatto incerto – l’identificazione dell’autore – alcuna impropria inversione dell’onere della prova, avendo peraltro la corte territoriale rimarcato come solo in sede processuale i ricorrenti avessero preso le distanze dalla pubblicazione.
Non e’, pertanto, censurabile il percorso argomentativo in punto di attribuzione del fatto agli imputati.
3. Nel resto, i ricorsi rivendicano l’irrilevanza penale del fatto richiamando il contesto politico nel quale si collocano le pubblicazioni, omettendo di confrontarsi con la sentenza impugnata che ha dato atto dell’insussistenza degli elementi della causa di giustificazione dell’esercizio del diritto di critica con argomentazione corretta in diritto e rispondente a logica consequenzialita’.
3.1. Il testo dei manifesti contestati, formulato quale j’accuse indirizzato agli imprenditori del settore laterizio di (OMISSIS), nominativamente indicati in (OMISSIS), (OMISSIS), (OMISSIS) e (OMISSIS), contiene un catalogo di addebiti che vanno dalla devastazione del territorio di (OMISSIS) alla consumazione di gravi reati in materia ambientale, urbanistica, finanziaria e contro la fede pubblica, con la formulazione conclusiva dell’insinuazione di “mascherarsi dietro la faccia pulita degli operai”.
La pubblicazione – come gia’ rilevato – ha seguito l’affissione di manifesti di protesta degli addetti al medesimo settore, rivolti all’amministrazione comunale.
3.2. Ebbene, e’ evidente dallo stesso tenore dei testi estrapolati come gli imputati – nella qualita’ di amministratori locali – abbiano inteso non gia’ declinare gli addebiti loro attribuiti nell’ambito della protesta in atto, che pure si era avvalsa del medesimo strumento di pubblicazione, bensi’ rivolgere accuse, sostanziate nell’attribuzione di gravi e reiterati reati, agli imprenditori del settore nominativamente indicati e che non risulta avessero, a loro volta, preso parte al pubblico confronto, mai accertati dall’autorita’ giudiziaria.
Attraverso un mezzo unidirezionale avulso da forme di contraddittorio si e’, pertanto, portata alla pubblica attenzione non gia’ una vicenda ben delineata nei suoi contorni fattuali, al fine di provocare una approfondita riflessione su di un tema di rilevante interesse, quale e’ senz’altro quello relativo alla salvaguardia dei livelli occupazionali e dell’ambiente, bensi’ la calunniosa attribuzione di gravi reati.
3.3. Cosi’ ricostruite le coordinate fattuali dell’imputazione, s’appalesa evidente l’insussistenza della invocata scriminante dell’esercizio del diritto di critica politica, in difetto della verita’ degli addebiti e della continenza espressiva.
Invero, in tema di esimenti del diritto di critica e di cronaca, la giurisprudenza di questa Corte si esprime ormai in termini consolidati in riferimento ai requisiti caratterizzanti il necessario bilanciamento dei beni in conflitto, individuati nell’interesse sociale all’informazione, nella continenza del linguaggio e nella verita’ del fatto narrato.
Nella delineata prospettiva, e’ stato evocato anche il parametro dell’attualita’ della notizia, nel senso che una delle ragioni fondanti della esclusione della antigiuridicita’ della condotta lesiva della altrui reputazione deve essere ravvisata nell’interesse generale alla conoscenza del fatto nel momento storico, e dunque nell’attitudine della informazione a contribuire alla formazione della pubblica opinione, in modo che il cittadino possa liberamente orientare le proprie scelte nel campo della formazione sociale, culturale e scientifica (tra le tante, Sez. 5, n. 39503 del 11/05/2012, Clemente, Rv. 254789).
3.4. Con specifico riferimento al diritto di critica, il rispetto del principio di verita’ si declina peculiarmente, in quanto la critica, quale espressione di opinione meramente soggettiva, ha per sua natura carattere congetturale e non puo’, per definizione, pretendersi rigorosamente obiettiva ed asettica (Sez. 5, Sentenza n. 25518 del 26/09/2016 – dep. 2017, Volpe, Rv. 270284, Sez. 5, Sentenza n. 7715 del 04/11/2014 – dep. 2015, Caldarola), purche’ sia comunque rispettato il necessario requisito della verita’ del fatto storico, ove tale fatto sia posto a fondamento della elaborazione critica (Sez. 5, Sentenza n. 8721 del 17/11/2017 – dep. 2018, Coppola). Nella delineata prospettiva, il diritto di manifestare liberamente il proprio pensiero che si specifichi nell’esercizio del diritto di critica ovvero di asserzione di verita’ deve, comunque, essere contemperato con i principi costituzionali di cui agli articoli 2 e 3 Cost., sicche’ qualora esso si concretizzi nell’attribuire anche la circostanza vera del coinvolgimento in procedimenti penali, e’ comunque necessario che siffatto riferimento si inserisca in un contesto in cui sia necessario e pertinente (Sez. 5, Sentenza n. 475 del 02/07/2014 – dep. 2015, Giorgio, Rv. 262167) e non sia soggettivamente (re)interpretato. In questo senso, anche l’errore sulla veridicita’ dei fatti o sulla correttezza dei giudizi oggetto della condotta incriminata non esclude, tuttavia, il dolo richiesto dalla norma perche’ non ricade sugli elementi costitutivi della fattispecie, potendo il reato essere consumato anche propalando la verita’, ed essendo sufficiente, ai fini della configurabilita’ dell’elemento soggettivo, la consapevolezza di formulare giudizi oggettivamente lesivi della reputazione della persona offesa (Sez. 5, Sentenza n. 47973 de 107/10/2014, De Salvo, Rv. 261205).
Di guisa che anche la formulazione del pensiero critico non puo’ ritenersi avulsa dalla necessaria correlazione con la veridicita’ del fatto storico sottoposto a censura, non potendo il medesimo essere travisato, deformato o sottoposto ad ipotetiche ricostruzioni congetturali e, su tale superfetazione, pretendere di esercitare forme di biasimo e di riprovazione.
3.5. Siffatta impostazione si pone in linea con la giurisprudenza della Corte Europea dei diritti dell’uomo, secondo cui la incriminazione della diffamazione costituisce una interferenza con la liberta’ di espressione e quindi contrasta, in principio, con l’articolo 10 CEDU, a meno che non sia “prescritta dalla legge”, non persegua uno o piu’ degli obiettivi legittimi ex articolo 10 par. 2 e non sia “necessaria in una societa’ democratica”.
In riferimento agli enunciati limiti, la Corte EDU ha, in varie pronunce, sviluppato il principio inerente la “verita’ del fatto narrato” per ritenere “giustificabile” la divulgazione lesiva dell’onore e della reputazione: ed ha declinato l’argomento in una duplice prospettiva, distinguendo tra dichiarazioni relative a fatti e dichiarazioni che contengano un giudizio di valore, sottolineando come anche in quest’ultimo sia comunque sempre contenuto un nucleo fattuale che deve essere sia veritiero che oggettivamente sufficiente per permettere di trarvi il giudizio, versandosi, altrimenti, in affermazione offensiva “eccessiva”, non scriminabile perche’ assolutamente priva di fondamento o di concreti riferimenti fattuali. In tal senso, la Corte Europea si riferisce principalmente al diritto di critica, politica, etica o di costume e, in generale, a quel diritto strettamente contiguo, sempre correlato con il diritto alla libera espressione del pensiero, che e’ il diritto di opinione, indicando quali siano i limiti da non travalicare nel caso di critica politica.
Nella delineata prospettiva si pone la sentenza CEDU Mengi vs. Turkey, del 27.2.2013, che costituisce la piu’ avanzata ricognizione della posizione della Corte in materia di articolo 10 della Carta nella distinzione tra diritto di critica e diritto di cronaca, distinguendo tra statement of facts (oggetto di prova) e value judgements (non suscettibili di dimostrazione), rilevando come nel secondo caso il potenziale offensivo dell’articolo o dello scritto, nel quale e’ tollerabile – data la sua natura – “exaggeration or even provocation”, sia neutralizzato dal fatto che lo scritto si basi su di un nucleo fattuale (veritiero e rigorosamente controllabile) sufficiente per poter trarre il giudizio di valore negativo; se il nucleo fattuale e’ insufficiente, il giudizio e’ “gratuito” e pertanto ingiustificato e diffamatorio.
3.6. Nel quadro cosi’ sommariamente delineato, ove il giudice pervenga, attraverso l’esame globale del contesto espositivo, a qualificare quest’ultimo come prevalentemente valutativo, i limiti dell’esimente sono costituiti dalla rilevanza sociale dell’argomento e dalla correttezza di espressione (Sez. 5, n. 2247 del 02/07/2004, Rv. 231269; Sez. 1, n. 23805 del 10/06/2005, Rv. 231764), sempre che sussista un rapporto di leale confronto tra l’opinione critica ed il fatto che la genera. Il limite immanente all’esercizio del diritto di critica e’, pertanto, costituito dal fatto che la questione trattata sia di interesse pubblico, abbia a fondamento un fatto comunque veritiero e che, comunque, non si trascenda in gratuiti attacchi personali (Sez. 5, n. 8824 del 01/12/2010, Rv. 250218).
4. Applicando gli enunciati principi al caso in esame, si appalesa evidente la corretta applicazione dell’articolo 51 c.p. e la incensurabilita’ della motivazione della sentenza impugnata in ordine alla insussistenza della scriminante.
4.1.A margine del – non meglio circostanziato – tema, di indubbio interesse pubblico, della crisi del settore e delle (cor)responsabilita’ ipotizzate a carico degli amministratori locali dagli addetti e dai sindacati, gli imputati hanno inteso ricusarle non gia’ esercitando il diritto di replica, sul medesimo campo sul quale erano stati chiamati al confronto, bensi’ coinvolgendo unilateralmente gli imprenditori del settore sui quali veniva traslata ogni responsabilita’, rivolgendo loro gravi accuse circostanziate, indimostrate, del tutto esuberanti rispetto al profilo di responsabilita’ politica formulato nel precedente manifesto nei riguardi del sindaco e della giunta, utilizzando espressioni non funzionali alla espressione di valutazioni critiche rispetto alla sottesa vicenda, ma concretizzatesi nell’attribuzione di specifici e gravi reati, destituite da fondamenti di veridicita’.
4.2. Difettano, pertanto, tanto il (pre)requisito della formulazione di un pensiero critico, che la veridicita’ dei fatti storici tout court attribuiti, che la necessaria adeguatezza del linguaggio.
Sotto l’ultimo profilo evidenziato, e’ appena il caso di ribadire come nella valutazione del requisito della continenza, necessario ai fini del legittimo esercizio del diritto di critica, si deve tenere conto del complessivo contesto dialettico in cui si realizza la condotta e verificare se i toni utilizzati dall’agente, pur aspri e forti, non siano gravemente infamanti e gratuiti, ma siano, invece, comunque pertinenti al tema in discussione (Sez. 5, Sentenza n. 4853 del 18/11/2016 – dep.2017, Rv. 269093). Di guisa che il requisito della continenza, quale elemento costitutivo della causa di giustificazione del diritto di critica, attiene alla forma comunicativa ovvero alle modalita’ espressive utilizzate e non al contenuto comunicato (Sez. 5, Sentenza n. 18170 del 09/03/2015, Rv. 263460, N. 36602 del 2010 Rv. 248432).
Il limite della continenza e’, dunque, superato in presenza di espressioni che, in quanto gravemente infamanti e inutilmente umilianti, trasmodino in gratuite aggressioni verbali o in iperboli espressive, di guisa che anche il contesto nel quale la condotta si colloca puo’ essere valutato ai limitati fini del giudizio di stretta riferibilita’ delle espressioni potenzialmente diffamatorie al comportamento del soggetto passivo oggetto di critica, ma non puo’ in alcun modo scriminare l’uso di espressioni che si risolvano nella offesa non solo della persona offesa in quanto tale (Sez. 5, Sentenza n. 15060 del 23/02/2011, Rv. 250174).
In altri termini, il requisito della continenza postula una forma espositiva corretta della critica rivolta – e cioe’ strettamente funzionale alla finalita’ di disapprovazione e che non trasmodi nella gratuita ed immotivata aggressione dell’altrui reputazione – e deve ritenersi superato in presenza dell’utilizzo di termini che abbiano accezioni indubitabilmente offensive e non abbiano, alla luce del complessivo contesto in cui il termine viene utilizzato, significato di mero giudizio critico negativo (Sez. 5, Sentenza n. 37397 del 24/06/2016).
4.3. Anche sotto tale profilo, giuridicamente corretta ed adeguatamente motivata s’appalesa la sentenza impugnata, avendo gli imputati formulato specifici addebiti, arbitrariamente ritenuti ed unidirezionalmente manifestati al di fuori di qualsivoglia contesto confutativo, mediante forme di espressione verbali affatto rispondenti ai parametri di proporzione e misura, atteso che sono continenti “quei termini che non hanno equivalenti e non sono sproporzionati rispetto ai fini del concetto da esprimere e alla controllata forza emotiva suscitata dalla polemica su cui si vuole instaurare un lecito rapporto dialogico e dialettico” (Sez. 5, n. 3356 del 27/10/2010).
4.4. Le conclusioni cui e’ pervenuta la Corte d’appello di Messina sono, dunque, insindacabili in questa sede di legittimita’, poiche’ la critica e’ stata formulata con modalita’ che esorbitano dalla liberta’ di manifestazione del pensiero e che non rientra nella scriminante dell’esercizio del diritto tutelato dall’articolo 21 Cost. e articolo 51 c.p..
5. E’ inammissibile per genericita’ la doglianza proposta nell’interesse di (OMISSIS) in riferimento alla ritenuta insussistenza dei presupposti di applicazione della causa di non punibilita’ ex articolo 131-bis c.p..
La corte territoriale ha esplicitamente valutato la gravita’ degli addebiti contenuti nella comunicazione con motivazione logica e coerente, che si sottrae a censure nella presente sede di legittimita’, costituendo l’apprezzamento della particolare tenuita’ del fatto la precondizione per l’applicazione dell’istituto.
Peraltro, l’assenza dei presupposti per l’applicabilita’ della causa di non punibilita’ per la particolare tenuita’ del fatto puo’ essere rilevata anche con motivazione implicita (Sez. 5, n. 24780 del 08/03/2017, Tempera, Rv. 270033, N. 48317 del 2016 Rv. 268499) mentre, nel caso in esame, la stessa e’ stata esclusa con argomentazione non illogica ed aderente alla obiettiva offensivita’ della condotta.
6. E’, altresi’, generica la deduzione – formulata quale mancata assunzione di prova decisiva – di inutilizzabilita’ della querela sporta da (OMISSIS), acquisita mediante lettura nel procedimento di primo grado fuori dei casi previsti dalla legge, contenuta nel secondo motivo di ricorso proposto nell’interesse di (OMISSIS) e (OMISSIS).
Oltre alla formulazione perplessa del motivo – che introduce censure di inutilizzabilita’ per poi invocare la mancata assunzione di una prova decisiva devesi rilevare come i ricorrenti non abbiano illustrato l’incidenza dell’eventuale eliminazione dell’elemento di prova di cui si deduce l’inutilizzabilita’ ai fini della cosiddetta “prova di resistenza”, in quanto gli elementi di prova acquisiti illegittimamente diventano irrilevanti ed ininfluenti se, nonostante la loro espunzione, le residue risultanze risultino sufficienti a giustificare l’identico convincimento (Sez. 2, n. 7986 del 18/11/2016 – dep. 2017, La Gumina, Rv. 269218, N. 3207 del 2014 Rv. 262011, N. 18764 del 2014 Rv. 259452), ponendo la doglianza nell’alveo della inammissibilita’ per aspecificita’.
7. L’inammissibilita’ del ricorso preclude il rilievo della intervenuta prescrizione del reato, in assenza della costituzione di un valido rapporto processuale (Sez. U. n. 12602 del 17/12/2015 – dep. 2016, Ricci, Rv. 266818).
8. Alla inammissibilita’ del ricorso consegue, ex articolo 616 c.p.p., la condanna dei ricorrenti al pagamento delle spese processuali e di una somma, che si stima equo determinare in Euro. 3000,00 ciascuno, in favore della Cassa delle ammende.

P.Q.M.

Dichiara inammissibili i ricorsi e condanna i ricorrenti ciascuno al pagamento delle spese del procedimento e della somma di Euro 3000,00 a favore della Cassa delle ammende.

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