Suprema Corte di Cassazione sezione I sentenza 26 febbraio 2015, n. 8566 Rilevato in fatto 1. Con sentenza emessa il 05/06/2012 il Giudice dell’udienza preliminare presso il Tribunale di Venezia, procedendo con rito abbreviato, condannava L.B. alla pena di anni cinque e mesi quattro di reclusione, ritenendolo colpevole di concorso nel tentato omicidio mediante accoltellamento,...
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L'art. 4, secondo comma, legge 18 aprile 1975 n. 110, nell'equiparare alle armi improprie alcuni strumenti la cui destinazione naturale non è l'offesa alla persona, ma che tuttavia sono occasionalmente atti ad offendere, ne individua in modo specifico alcuni
Corte di Cassazione, sezione I, sentenza 12 febbraio 2015, n. 6261. L’art. 4, secondo comma, legge 18 aprile 1975 n. 110, nell’equiparare alle armi improprie alcuni strumenti la cui destinazione naturale non è l’offesa alla persona, ma che tuttavia sono occasionalmente atti ad offendere, ne individua in modo specifico alcuni che, per le loro caratteristiche,...
Corte di Cassazione, sezione I, sentenza 10 febbraio 2015, n. 5966. La circostanza aggravante di cui all'art. 61 n. 9 c.p. trova il suo fondamento nell'esigenza di tutela del corretto svolgimento dell'attività, a rilevanza pubblica, svolta da determinati soggetti pubblici (pubblico ufficiale, incaricato di pubblico servizio ai sensi, rispettivamente, degli artt. 357 e 358 c.p. Ai fini della configurabilità dell'aggravante in esame, occorre una connessione tra l'abuso e l'illecito ovvero un nesso funzionale tra qualifica posseduta e reato, nel senso che il soggetto agente deve avere deviato dal fine istituzionale il potere attribuitogli dalla legge o violato il dovere impostogli per realizzare il fatto criminoso. Nel caso in esame (l'imputato, Appuntato scelto dei Carabinieri in servizio, esplodeva con la propria pistola di ordinanza, in rapida successione e da breve distanza, undici colpi all'indirizzo della parte offesa, mentre si trovava seduto a bordo della propria autovettura. Il decesso si verifica quasi immediatamente a causa delle gravissime lesioni riportate in parti vitali del corpo, il movente del gesto veniva individuato nel risentimento e nella gelosia maturate dall'imputato nei confronti della vittima, un suo caro amico d'infanzia, che, dopo avere allacciato una relazione sentimentale con la moglie della parte offesa, era andato a vivere con lei) non sussiste la connessione tra l'abuso – inteso come uso dei poteri per finalità diverse da quelle per le quali gli stessi sono stan conferiti – e l'illecito, atteso che il delitto di omicidio volontario si colloca in una dimensione squisitamente privata e che l'imputato ha agito al di fuori dell'ambito delle sue funzioni. Non ricorre, neppure, un nesso funzionale tra qualità di pubblico ufficiale rivestita dall'imputato e il delitto di omicidio volontario, non sussistendo alcun nesso di strumentalità tra il potere conferito dalla legge al Carabiniere e la consumazione del reato.
Suprema Corte di Cassazione sezione I sentenza 10 febbraio 2015, n. 5966 Ritenuto in fatto 1. Il 20 agosto 2013 il giudice dell’udienza preliminare del Tribunale di Sanremo, all’esito di giudizio abbreviato, dichiarava S. C. colpevole del delitto di omicidio volontario, aggravato dalla premeditazione, ed, esclusa l’aggravante di cui all’art. 61 n. 9 c.p., riconosciute...
Corte di Cassazione, sezione I, sentenza 4 dicembre 2014, n. 50903. La struttura normativa del tentativo è contraddistinta da due elementi, l'idoneità e l'univocità della condotta, laddove l'idoneità indica un requisito di capacità causale di produrre il risultato del perfezionamento del delitto ed il requisito dell'univocità degli atti attiene al proposito dell'agente soggettivamente diretto alla realizzazione del delitto, ma in senso oggettivo, nel senso che la condotta deve aver raggiunto un grado di sviluppo tale da renderla sufficientemente prossima al momento consumativo
Suprema Corte di Cassazione sezione I sentenza 4 dicembre 2014, n. 50903 Ritenuto in fatto 1. Con sentenza del 16.7.2013 la Corte d’appello di Reggio Calabria, in riforma della sentenza del gup del Tribunale di Palmi, escludeva l’aggravante della premeditazione e riaffermazione di colpevolezza di R.C. e L.F. in ordine al reato di tentato omicidio...
Corte di Cassazione, sezione I, sentenza 20 novembre 2014, n. 48298. Le condizioni e i presupposti per l'applicazione di una misura cautelare restrittiva della libertà personale siano apprezzati e motivati dal giudice sulla base della situazione concreta, alla stregua dei ricordati principi di adeguatezza, proporzionalità e minor sacrificio, così da realizzare una piena individualizzazione della coercizione cautelare. Ed è del tutto evidente che i postulati della flessibilità e della individualizzazione che caratterizzano l'intera dinamica delle misure restrittive della libertà, non possono che assumere connotazioni "bidirezionali", nel senso di precludere tendenzialmente qualsiasi automatismo. L'ordinanza impugnata, nel caso di specie, non ha fatto corretta applicazione di tali principi. Infatti, richiamando le esigenze cautelari in precedenza descritte, le ha apoditticamente definite di eccezionale rilevanza sulla base degli stessi elementi (la falsa versione dei fatti concordata da riferire agli inquirenti, la predisposizione del piano di fuga in Albania, il precedente tentativo di aborto realizzato in occasione della prima gravidanza) utilizzati per ritenerle configurabili i parametri descritti dall'art. 274, lett. a), b), e), c.p.p.. Muovendo da tale impropria sovrapposizione il Tribunale, con automatismo argomentativo, ha ritenuto unica misura adeguata la custodia cautelare in carcere senza preventivamente porre in correlazione logica fra loro le regole generali poste dal codice a presidio della coercizione cautelare e le peculiarità del caso concreto.
Suprema Corte di Cassazione sezione I sentenza 20 novembre 2014, n. 48298 Ritenuto in fatto 1. Con ordinanza del 4 giugno 2014 il Tribunale di Milano, costituito ex art. 309 c.p.p., respingeva l’istanza di riesame avanzata da N.K. e, per l’effetto, confermava l’ordinanza di custodia cautelare in carcere, emessa nei suoi confronti il 9 maggio...
Corte di Cassazione, sezione I, sentenza del 7 novembre 2014, n. 46085. Il criterio adottato dal legislatore per stabilire se determinate cartucce siano da considerarsi munizioni da guerra o da arma comune da sparo è quello indicato dal complesso delle disposizioni della L. 18 aprile 1975, n. 110, art. 1, comma 3, secondo cui sono munizioni da guerra le cartucce destinate al caricamento delle armi da guerra, nonchè dalla citata Legge, art. 2, comma 4, in virtù del quale non possono essere munizioni per armi comuni da sparo quelle costituite con pallottole a nucleo perforante o aventi le altre caratteristiche di particolare capacità offensiva indicate nel predetto articolo. In altri termini, l'unico criterio valido per stabilire se munizioni, utilizzabili indifferentemente sia per armi da guerra che per armi catalogate armi comuni da sparo possano o meno qualificarsi munizioni da guerra occorre far riferimento, non esistendo alcun tipo di munizioni legislativamente riservato per calibro od altro, (blindatura del proiettile), alle sole armi da guerra, integrandole fra loro, alla definizione che di munizioni da guerra dalla L. n. 110 del 1975, art. 2 e la disposizione di cui successivo art. 2, comma 4 per il quale "le munizioni a palla destinate alle armi comuni non possono comunque essere costituite con pallottole a nucleo perforante, traccianti, incendiarie, a carica esplosiva, autopropellenti…". Se, pertanto, le munizioni hanno caratteristiche vietate per il munizionamento civile resta provato che esse sono destinate all'armamento bellico
Suprema Corte di Cassazione sezione I sentenza del 7 novembre 2014, n. 46085 LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE SEZIONE PRIMA PENALE Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati: Dott. GIORDANO Umberto – Presidente – Dott. CAVALLO Aldo – rel. Consigliere – Dott. BONITO Francesco M.S – Consigliere – Dott. CAPRIOGLIO Piera M.S. – Consigliere – Dott. CENTONZE...
Corte di Cassazione, sezione I, sentenza 6 novembre 2014, n. 46030. L'integrale soddisfazione del credito garantito dal «sequestro conservativo», estinguendo la pretesa, comporta la revoca del vincolo. Tuttavia, esaurito il giudizio penale, nel caso in cui la misura cautelare sia stata disposta a garanzia dell'azione civile, la competenza a revocare il vincolo non compete al giudice penale ma spetta a quello civile. Se però l'azione civile è estinta, e la misura è ancora efficacie, allora vi provvedere il giudice penale con «le forme dell'incidente di esecuzione»
Suprema Corte di Cassazione sezione I sentenza 6 novembre 2014, n. 46030 REPUBBLICA ITALIANA IN NOME DEL POPOLO ITALIANO LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE SEZIONE PRIMA PENALE Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati: Dott. GIORDANO Umberto – Presidente Dott. DI TOMASSI M. – rel. Consigliere Dott. CAPRIOGLIO Piera M.S. – Consigliere Dott. ROCCHI Giacomo – Consigliere...
Corte di Cassazione, sezione I, sentenza 7 novembre 2014, n. 46093. In un errore di diritto sono incorsi i giudici di merito nell'operare la assimilazione della sosta dell'imputato dentro la sala bingo, durante il tragitto di ritorno dal luogo di lavoro a casa, all'allontanamento dal luogo di esecuzione degli arresti domiciliari, che, a norma dell'articolo 276, comma I-ter, cod. proc. pen., comporta inderogabilmente la revoca della misura e la sua sostituzione colla custodia in carcere. Mentre è corretta l'equiparazione del Tribunale tra l’allontanamento dal luogo degli arresti domiciliari e l’allontanamento dal diverso luogo ove il soggetto, sottoposto alla misura coercitiva, sia stato autorizzato a svolgere l'attività lavorativa
Suprema Corte di Cassazione sezione I sentenza 7 novembre 2014, n. 46093 Osserva Rileva: 1. – Con ordinanza deliberata il 6 giugno 2014 e depositata il 12 giugno 2014, il Tribunale ordinario di Bolzano, in funzione di giudice dell’appello dei provvedimenti incidentali de libertate, in accoglimento del gravame del Pubblico Ministero avverso la ordinanza del...
Corte di Cassazione, sezione I, sentenza 9 ottobre 2014, n. 42051. La differenza tra gli artt. 575 e 584 cod. pen. va individuata nella diversità dell'elemento psicologico, che nell'omicidio preterintenzionale consiste nella volontarietà delle percosse o delle lesioni alle quali consegue la morte dell'aggredito come evento non voluto
SUPREMA CORTE DI CASSAZIONE SEZIONE I SENTENZA 9 ottobre 2014, n. 42051 Ritenuto in fatto Con sentenza del 17.4.2013 la Corte di assise di appello di Catania rideterminava in anni ventuno di reclusione la pena inflitta dalla Corte di primo grado che condannava, con le circostanze attenuanti generiche equivalenti alle circostanze aggravanti contestate della premeditazione...