Cassazione 3

SUPREMA CORTE DI CASSAZIONE

SEZIONE I

SENTENZA 9 ottobre 2014, n. 42051

Ritenuto in fatto

  1. Con sentenza del 17.4.2013 la Corte di assise di appello di Catania rideterminava in anni ventuno di reclusione la pena inflitta dalla Corte di primo grado che condannava, con le circostanze attenuanti generiche equivalenti alle circostanze aggravanti contestate della premeditazione e dei motivi abietti, M.V. per il reato di omicidio aggravato, ex artt. 575 e 577 comma 1 n. 3) e 4) cod. pen. perché gettava indosso alla moglie, S.G., liquido infiammabile e le dava fuoco cagionandone la morte.
  2. Avverso la citata sentenza ha proposto ricorso per cassazione l’imputato, a mezzo del difensore di fiducia.

2.1. Con il primo motivo deduce la violazione di legge ed il vizio della motivazione in relazione alla mancata rinnovazione dell’istruttoria dibattimentale aa fini/di disporre nuova perizia in ordine alla capacità di intendere di volere del ricorrente, nonché, avuto riguardo alla valutazione operata dai giudici di appello che hanno confermato la piena capacità dell’imputato.

Assume che la necessità della perizia emerge dallo stridente contrasto tra le conclusioni del perito nominato dal giudice in sede di incidente probatorio e quelle del consulente di parte. Le emergenze processuali delineano un quadro univoco dello stato d’incapacità, alla luce della documentazione clinica in atti, dei numerosi ricoveri presso il reparto psichiatrico del policlinico di Catania e dei tentativi di suicidio che sono stati assertivamente considerati a scopo dimostrativo. Inoltre, si rileva che al momento dell’ingresso in carcere il ricorrente era stato sottoposto a visita psichiatrica all’esito della quale veniva applicato il regime della massima sorveglianza e il trattamento terapeutico con farmaci che assume da oltre un decennio, in particolare, ansiolitici e antidepressivi, dato oggettivo che la Corte di assise di appello ha omesso di valutare, così come ha sottovalutato l’incidenza dell’insonnia sulla capacità di intendere di volere e di autodeterminarsi.

2.2. Con il secondo motivo di ricorso si denuncia la violazione di legge in relazione alla esclusione dei dolo della preterintenzione.

Si rileva che, nella specie, la condotta del ricorrente era finalizzata a minacciare la moglie per costringerla a riprendere la convivenza; pertanto, doveva escludersi la sussistenza del dolo dell’omicidio, essendo stato accertato che la benzina era stata portata su richiesta del figliola sera precedente perché la macchina della madre era rimasta a secco. La Corte avrebbe dovuto valutare la prova della volontà omicida alla luce degli elementi della fattispecie e, in particolare, di quelli sintomatici dell’atteggiamento psicologico dell’imputato, mentre ha finito col confondere tale valutazione con quella della premeditazione, pur non risultando dagli atti la prova dei dolo diretto.

2.3. Con il terzo motivo di ricorso si denuncia il vizio della motivazione della sentenza impugnata relativamente alla prova della responsabilità dei ricorrente in ordine alla dinamica dell’incendio alla luce delle risultanze medico-legali.

2.4. Lamenta, inoltre, la violazione di legge ed il vizio della motivazione in ordine al mancato riconoscimento dei vizio parziale di mente sul quale la Corte di appello non ha in alcun modo motivato.

2.5. Il ricorrente contesta, altresì, la configurabilità della circostanza aggravante della premeditazione sotto il profilo della violazione di legge e del vizio di motivazione.

Assume, in particolare, che nella specie non può configurarsi la premeditazione sottoposta a condizione, come ritenuto dalla Corte d’appello, affermando che la stessa richiede che l’agente subordini l’esecuzione dell’azione ad un accadimento certo anche se indeterminato nel tempo e non meramente eventuale. Inoltre, nel caso concreto il momento di consumazione del reato evidenzia la preponderanza della sua occasionalità con esclusione della aggravante.

2.6. Con un ulteriore motivo di ricorso si lamenta la violazione di legge e il vizio della motivazione avuto riguardo alla sussistenza della circostanza aggravante dei motivi abietti, avendo i giudici di merito frainteso il contesto in cui si è svolta la vicenda, individuando la spinta criminosa nel senso di possesso che il ricorrente avrebbe manifestato con la propria condotta, non essendo emerso dall’istruzione dibattimentale che l’azione sia stata caratterizzata da tali sentimenti, tenuto conto che l’imputato, depresso cronico, è soggetto incapace di alcun tipo di reazione ed incline al suicidio.

2.7. Infine, si denuncia la violazione di legge ed il vizio della motivazione in ordine al giudizio di bilanciamento delle circostanze attenuanti generiche riconosciute ed alla determinazione dell’entità della pena, rilevando, in particolare, la mancata motivazione in ordine alla causale dell’azione ed alla personalità dell’imputato, così come inequivocabilmente emersa nel giudizio, psichicamente debole e socialmente disadattato.

 Considerato in diritto

  1. Sono infondati i rilievi mossi dalla ricorrente in ordine al rigetto della richiesta di rinnovazione dibattimentale ed al mancato riconoscimento del vizio totale o parziale di mente.

Quanto alle doglianze relative al mancato accoglimento della richiesta di integrazione probatoria, finalizzata ad effettuare una perizia psichiatrica sulla prospettazione che l’imputato presentava una situazione psicologica di sofferenza tale da integrare una grave menomazione della capacità di intendere di volere riferibile anche al momento dei fatto, il giudice di secondo grado, concordando con la valutazione della sentenza impugnata, ha evidenziato che il giudice per le indagini preliminari aveva disposto la perizia psichiatrica, conferendo incarico a due specialisti, al fine di verificare la predetta capacità e che in dibattimento era stato anche esaminato il consulente della difesa il quale aveva redatto una relazione sul punto. Conseguentemente, la Corte di appello, con motivazione immune da vizi, ha ritenuto già acquisiti tutti gli elementi necessari ai fini della valutazione in oggetto, escludendo la necessità di ulteriori accertamenti. Del resto, il giudice d’appello ha l’obbligo di motivare espressamente sulla richiesta di rinnovazione del dibattimento solo nel caso di suo accoglimento, mentre, ove ritenga di respingerla, può anche motivarne implicitamente il rigetto, evidenziando la sussistenza di elementi sufficienti ad affermare o negare la responsabilità del reo (Sez. 3, n. 24294 dei 07/04/2010, rv. 247872).

Con discorso giustificativo logico ed ancorato a quanto acquisito è stata esplicitata adeguatamente la valutazione in ordine al grado d’incidenza dei fatti accertati sulla capacità d’intendere e di volere che si deve riferire sia al vizio parziale che a quello totale di mente il cui presupposto comune è rappresentato da una infermità che incida sulla sfera psichica dei soggetto e sulla di lui capacità volitiva che deve essere valutato in concreto poiché le patologie mentali e le alterazioni della psiche hanno portata diversa sui singoli organismi e si ripercuotono, quindi, in modo più o meno grave sulle facoltà intellettive dei singoli soggetti (Sez. 1, n. 4861 del 04/02/1988, Leuzzi, rv. 178197).

La Corte territoriale, invero, ha precisato la irrilevanza dell’omesso riferimento da parte dei periti ai tentativi di suicidio dell’imputato, trattandosi di episodi a scopo dimostrativo, evidenziando che la perizia ha esaminato tutta la storia clinica dell’imputato anche in riferimento ai periodi di ricovero. Ha rilevato, altresì, come gli attacchi di panico e la sindrome ansioso-depressiva debbano ritenersi ben lontani da una vera e propria patologia psichiatrica di gravità tale da essere considerata infermità mentale rilevante sotto il profilo della responsabilità penale e della esclusione del imputabilità. In particolare, è stato dato atto che l’imputato aveva conservato integra la capacità di comprendere il significato dei gesti posti in essere, di valutarne il significato, la rilevanza sociale oltre che giuridica e la capacità di scegliere se compierli o meno. La visita psichiatrica alla quale era stato sottoposto non appena commesso il fatto contraddice, secondo i giudici di merito, l’ipotizzato crollo fisico ricondotto dalla difesa alla reiterata privazione di sonno, essendo stato descritto come persona lucida ed essendo stata esclusa la necessità del ricovero, ovvero di particolare sorveglianza.

  1. Ugualmente infondate si devono ritenere le censure relative alla valutazione della prova del dolo di omicidio ed alla ricostruzione della dinamica del fatto.

Naturalmente, la motivazione della sentenza impugnata – trattandosi di doppia conforme – deve essere valutata in uno con il discorso giustificativo dei giudice di prime cure che ha messo in evidenza (pp. 36 e 40) la sussistenza di elementi univoci, idonei ad affermare il dolo diretto di omicidio, posto che il ricorrente era uscito di casa alle prime ore del mattino, intorno alle quattro e mezza, aveva comprato la benzina, aveva bussato alla porta della moglie pretendendo di discutere con lei, cosa che aveva fatto appena uscito di casa il figlio maggiorenne e dopo avere allontanato in un’altra stanza i bambini. Con argomenti logici non è stata ritenuta plausibile dai giudici di merito la giustificazione fornita dal V. secondo il quale aveva portato a casa la benzina perché l’autovettura della moglie era rimasta in panne.

E’ stato, altresì, ritenuto accertato alla luce di quanto emerso dal dibattimento/ che l’imputato, pur avendo subito il tradimento, voleva in ogni modo ricongiungersi alla famiglia ed, in particolare, alla moglie che aveva conosciuto quando erano giovanissimi. Quindi, quando aveva deciso di comprare la benzina, aveva già elaborato il progetto di uccidere la moglie, sia pure a condizione che non fosse tornata a vivere con lui; condizione che non si era verificata avendo la moglie affermato – come riferito dal figlio – ‘io non ti voglio’.

La Corte di appello, pertanto, ha fatto corretta applicazione dei principi di diritto più volte affermati in ordine all’accertamento dell’elemento psicologico del reato di omicidio ed alla distinzione tra le fattispecie previste dagli artt. 575 e 584 cod. pen. che va individuata nella diversità dell’elemento psicologico che nell’omicidio preterintenzionale consiste nella volontarietà delle percosse o delle lesioni alle quali consegue la morte dell’aggredito come evento non voluto, neppure nella forma eventuale ed indiretta della previsione o del rischio. Quindi, l’ipotesi preterintenzionale presuppone l’accertata esistenza di volontà unicamente diretta a ledere o percuotere.

  1. Per quanto si è detto, il dolo di omicidio che le Corti di merito hanno ritenuto accertato è compatibile con la circostanza aggravante della premeditazione cd. condizionata che ricorre anche quando l’attuazione del proposito criminoso è subordinata al verificarsi o meno di un determinato evento che, nella specie, come è stato compiutamente argomentato, era rappresentato dalla decisione di ricostruire il rapporto coniugale (Sez. 1, n. 7766 del 30/01/2008, Dettori, Rv. 239232).

E’, infatti, configurabile l’aggravante della premeditazione se il soggetto agente abbia condizionato l’attuazione del proposito criminoso alla mancata verificazione di un evento ad opera della vittima, quando la condizione risolutiva si pone come un avvenimento previsto, atto a far recedere la più precisa e ferma risoluzione criminosa dei reo (Sez. 1, n. 19974 dei 12/02/2013, Zuica, Rv. 256180).

Pertanto, le doglianze si sostanziano in censure di fatto, già proposte con l’atto di appello, sulle quali la Corte di secondo grado ha fornito argomentazioni ancorate ai fatti emersi nel processo.

  1. Ritiene il Collegio che sia, invece, fondato il ricorso relativamente alla valutazione della sussistenza della circostanza aggravante dei motivi abietti, sotto il profilo dei vizio della motivazione.

Invero, deve essere ribadito che l’aggravante dei motivi abietti ricorre – come affermato dai giudici di motivo – laddove la condotta dell’agente sia originata non da ragioni di gelosia, ma da senso di appartenenza e da spirito punitivo nei confronti dei coniuge o dell’ex coniuge che abbia mostrato insofferenza (Sez. 1, n. 1489 del 29/11/2012 – dep. 2013, Titta, Rv. 254269; Sez. 1, n. 18779 del 27/03/2013, Filocamo, Rv. 256015).

Tuttavia, nella specie, la Corte di appello ha ritenuto che, al di là dei motivi di gelosia nei confronti della donna per avere scoperto una relazione con altra persona, il ricorrente avesse agito per rivendicare il senso di appartenenza, di signoria sulla moglie con motivazione scarsamente perspicua e non ancorata alle circostanze di fatto emerse dal processo, risultando dalla ricostruzione dei fatti delle sentenze di primo e secondo grado elementi di segno opposto.

Per tale ragione la sentenza impugnata deve essere annullata con rinvio ad altra sezione della Corte di assise di appello di Catania limitatamente alla ritenuta circostanza aggravante dei motivi abietti.

Restano assorbiti, all’evidenza, i rilievi in ordine al giudizio di bilanciamento delle circostanze attenuanti generiche riconosciute ed alla determinazione dell’entità della pena.

 P.Q.M.

Annulla la sentenza impugnata limitatamente all’aggravante dei motivi abietti e rinvia per nuovo giudizio al riguardo ad altra sezione della Corte di assise di appello di Catania; rigetta nel resto il ricorso.

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