Cassazione 6

Suprema Corte di Cassazione

sezione I

sentenza 10 febbraio 2015, n. 5966

Ritenuto in fatto

1. Il 20 agosto 2013 il giudice dell’udienza preliminare del Tribunale di Sanremo, all’esito di giudizio abbreviato, dichiarava S. C. colpevole del delitto di omicidio volontario, aggravato dalla premeditazione, ed, esclusa l’aggravante di cui all’art. 61 n. 9 c.p., riconosciute le circostanze attenuanti generiche dichiarate equivalenti alla residua aggravante, tenuto conto della riduzione del rito, lo condannava alla pena di quattordici anni di reclusione, oltre alla pena accessoria della interdizione perpetua dai pubblici uffici e al risarcimento dei danni in favore delle costituite parti civili.
Disponeva che, a pena espiata, l’imputato venisse sottoposto alla libertà vigilata per la durata di cinque anni.
2. Dalla sentenza emergeva che, il 14 dicembre 2011, l’imputato, Appuntato scelto dei Carabinieri in servizio presso la Stazione di Vallecrosia, esplodeva con la propria pistola di ordinanza, in rapida successione e da breve distanza, undici colpi all’indirizzo di A. L., mentre si trovava seduto a bordo della propria autovettura. Il decesso si verifica quasi immediatamente a causa delle gravissime lesioni riportate in parti vitali del corpo.
Subito dopo C. ammetteva le proprie responsabilità e consegnava l’arma in suo possesso al Vigile urbano accorso sul luogo del fatto.
Il movente del gesto veniva individuato nel risentimento e nella gelosia maturate dall’imputato nei confronti della vittima, un suo caro amico d’infanzia, che, dopo avere allacciato una relazione sentimentale con la moglie di C., era andato a vivere con lei.
L’aggravante dell’art. 61 n. 9 c.p. veniva esclusa, in base alla considerazione che la detenzione o l’uso dell’arma in servizio non costituivano manifestazione dell’abuso dei poteri o della violazione dei doveri istituzionali e che la commissione del reato non era stata facilitata dalla qualità soggettiva dell’imputato.
Le circostanze attenuanti generiche venivano riconosciute in considerazione delle difficoltà di elaborazione del vissuto manifestate dall’imputato, del suo stato di incensuratezza, del comportamento successivo al reato, della occasionalità del gesto.
3.Avverso la sentenza ha proposto ricorso per cassazione il Procuratore della Repubblica presso il Tribunale di Imperia il quale formula le seguenti censure.
Lamenta mancanza, manifesta illogicità della motivazione con riferimento alla dosimetria della pena che è stata modulata senza considerare i parametri indicati dall’art. 133 c.p. in relazione alla fattispecie concreta, contraddistinta da un particolare intensità del dolo, comprovata anche dalla ritenuta sussistenza della premeditazione.
Denuncia erronea applicazione della legge penale con riguardo all’esclusione dell’aggravante di cui all’art. 61 n. 9 c.p. considerato che la qualifica rivestita e il porto della pistola di ordinanza anche al di fuori del servizio aveva facilitato o, comunque, agevolato la commissione dell’omicidio.
4.11 12 novembre 2014 il difensore dell’imputato ha depositato una memoria difensiva con la quale confuta le argomentazione del Pubblico ministero ricorrente.

Osserva in diritto

Il ricorso del Procuratore della Repubblica di Imperia è manifestamente infondato.
1.La circostanza aggravante di cui all’art. 61 n. 9 c.p. trova il suo fondamento nell’esigenza di tutela del corretto svolgimento dell’attività, a rilevanza pubblica, svolta da determinati soggetti pubblici (pubblico ufficiale, incaricato di pubblico servizio ai sensi, rispettivamente, degli artt. 357 e 358 c.p.
Ai fini della configurabilità dell’aggravante in esame, occorre una connessione tra l’abuso e l’illecito ovvero un nesso funzionale tra qualifica posseduta e reato, nel senso che il soggetto agente deve avere deviato dal fine istituzionale il potere attribuitogli dalla legge o violato il dovere impostogli per realizzare il fatto criminoso.
2.Nel caso in esame non sussiste la connessione tra l’abuso – inteso come uso dei poteri per finalità diverse da quelle per le quali gli stessi sono stan conferiti – e l’illecito, atteso che il delitto di omicidio volontario si colloca in una dimensione squisitamente privata e che l’imputato ha agito al di fuori dell’ambito delle sue funzioni.
Non ricorre, neppure, un nesso funzionale tra qualità di pubblico ufficiale rivestita dall’imputato e il delitto di omicidio volontario, non sussistendo alcun nesso di strumentalità tra il potere conferito dalla legge a C. e la consumazione del reato.
A conclusioni analoghe deve giungersi qualora, in adesione ad un’autorevole dottrina, si ritenga che, ai fini della configurabilità dell’aggravante, è sufficiente che l’abuso dei poteri (o la violazione dei doveri) abbia reso possibile o, quanto meno, facilitato la commissione del reato, esulando la condotta posta in essere dal ricorrente da qualsiasi dimensione di servizio.
Non può neppure ritenersi, secondo altra prospettiva teorica e giurisprudenziale (Sez. 1, n. 24894 del 28 maggio 2009; Sez. 2, n. 13435 del 19 aprile 1989; Sez. 6, n. 9209 dell’ 1 giugno 1988; Sez. 2, n. 10458 del 13 giugno 1985; Sez. 3, n. 128 del 3 novembre 1983; Sez. 1, n. 424 del 21 marzo 1972), che l’imputato, pur agendo al di fuori dell’ambito delle sue funzioni, abbia comunque approfittato delle mansioni affidategli, atteso che la presenza di C. sul luogo del fatto e l’azione dal medesimo realizzata non avevano alcuna attinenza con la qualità soggettiva rivestita e con le funzioni ad essa inerenti.
3.Manifestamente infondate sono anche le censure concernenti il complessivo trattamento sanzionatorio che è stato modulato nel rispetto dei principi costantemente enunciati dalla giurisprudenza di legittimità, valorizzando, in particolare, il comportamento dell’imputato immediatamente dopo il fatto, la sua personalità immune da precedenti penali, la difficoltà di elaborazione del vissuto conseguente alla fine del rapporto matrimoniale e di un’antica amicizia.
4.Non deve essere disposta la liquidazione dei compensi e delle spese in favore delle costituite parti civili, in quanto le loro tesi sono rimaste soccombenti.

P.Q.M.

Dichiara inammissibile il ricorso.

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