Suprema Corte di Cassazione sezione lavoro sentenza 18 marzo 2015, n. 5424 REPUBBLICA ITALIANA IN NOME DEL POPOLO ITALIANO LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE SEZIONE LAVORO Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati: Dott. STILE Paolo – Presidente Dott. DE RENZIS Alessandro – Consigliere Dott. BANDINI Gianfranco – Consigliere Dott. MAISANO Giulio – rel. Consigliere Dott. DORONZO...
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Corte di Cassazione, sezione V, sentenza 2 aprile 2015, n. 13997. Nella presentazione di un esposto, con il quale si richieda l’intervento della autorità amministrativa su fatto del dipendente “ritenuto” contrario alla deontologia, anche se nel comunicato vengono usate espressioni oggettivamente aspre e polemiche, non è configurabile il delitto di diffamazione. Infatti, nel bilanciamento tra due beni costituzionalmente protetti, il diritto di critica (art. 21 Cost.) e quello alla dignità personale (artt. 2 e 3 Cost.), occorre dare la prevalenza alla libertà di parola, senza la quale la dialettica democratica non potrebbe realizzarsi. Pertanto, ussiste l’esimente del diritto di critica quando il fatto riportato sia conforme allo stato accertato della realtà al momento della propalazione, sempre che sia rispettato il canone della continenza e della rilevanza sociale dell’informazione
Suprema Corte di Cassazione sezione V sentenza 2 aprile 2015, n. 13997 Ritenuto in fatto 1. Con sentenza del 5.4.2013 il Tribunale di Napoli, in riforma della sentenza emessa dal locale Giudice di Pace in data 22.2.2010, con Sa quale G.M. era stato condannato alla pena di Euro 1600,00 di multa, oltre al risarcimento danni,...
Corte di Cassazione, sezione VI, sentenza 31 marzo 2015, n. 13798. Allorquando venga in rilievo l’attribuzione al dichiarante della qualità di indagato o di persona informata sui fatti
Suprema Corte di Cassazione sezione VI sentenza 31 marzo 2015, n. 13798 Ritenuto in fatto 1. T.R. ricorre per cassazione avverso la sentenza della Corte d’appello di Bologna, in data 13-6-2014,nella parte in cui è stata confermata la sentenza di condanna emessa in primo grado, in ordine, in primo luogo, al delitto di cui all’art....
Corte di Cassazione, sezione V, sentenza 1 aprile 2015, n. 13886. E’ legittima la c.d. “valutazione frazionata” delle dichiarazioni della persona offesa, quando la parte di tali dichiarazioni ritenuta non credibile presenti carattere di marginalità rispetto al nucleo essenziale del narrato
Suprema Corte di Cassazione sezione V sentenza 1 aprile 2015, n. 13886 Rilevato in fatto Con la sentenza impugnata fu confermato il giudizio di penale responsabilità di F.G. in ordine al reato di lesioni personali volontarie in danno della figlia F. D. per avere, secondo l’accusa, colpito quest’ultima al volto cagionandole “trauma cranico non commotivo,...
Corte di Cassazione, sezione V, sentenza 1 aprile 2015, n. 13908. Integra il delitto di riduzione o mantenimento in schiavitù colui che proceda alla vendita ad altri di un essere umano, atteso che, in tal modo, egli esercita sullo stesso un potere corrispondente al diritto di proprietà. Inoltre, anche volendo considerare la seconda ipotesi considerata dall’art. 600, comma primo, cod. pen., va ribadito che non è necessaria un’integrale negazione della libertà personale, ma è sufficiente una significativa compromissione della capacità di autodeterminazione della persona offesa, idonea a configurare lo stato di soggezione rilevante ai fini dell’integrazione della norma incriminatrice. Pertanto, lo stato di soggezione continuativa – richiesto dall’art. 600 cod. pen. – deve essere rapportato all’intensità del vulnus arrecato all’altrui libertà di autodeterminazione, nel senso che esso non può essere escluso qualora si verifichi una qualche limitata autonomia della vittima, tale da non intaccare il contenuto essenziale della posizione di supremazia del soggetto attivo del reato. Ne discende, pertanto, anche sotto tale profilo la sussistenza dei reato contestato, in quanto risponde del delitto di riduzione o mantenimento in schiavitù colui che sfrutta la prostituzione della persona offesa eccedendo il normale rapporto di meretricio
Suprema Corte di Cassazione sezione V sentenza 1 aprile 2015, n. 13908 Ritenuto in fatto 1. Con ordinanza del 31710/2014, il Tribunale di Lecce ha rigettato la richiesta di riesame proposta, nell’interesse di G.A., nei confronti dell’ordinanza applicativa della misura cautelare della custodia in carcere, in relazione al delitto di cui all’art. 600 cod. pen....
Corte di Cassazione, sezione VI, sentenza 10 marzo 2015, n. 10133. Ai fini del perfezionamento del reato di abuso d’ufficio, quale reato d’evento, è irrilevante l’adozione di atti amministrativi illegittimi da parte del pubblico ufficiale agente, essendo necessario il concreto verificarsi di un ingiusto vantaggio patrimoniale che il soggetto attivo procura a sé stesso o ad altri con propri atti, ovvero un danno ingiusto provocato a terzi dai medesimi atti
SUPREMA CORTE DI CASSAZIONE SEZIONE VI SENTENZA 10 marzo 2015, n. 10133 Ritenuto in fatto 1. Con sentenza del 19.11.2013 la Corte di appello di Perugia – a seguito di gravame interposto dall’imputato S.A. , rinunciante alla prescrizione, avverso la sentenza emessa il 27.4.2009 dal locale Tribunale – ha confermato detta sentenza con la...
Corte di Cassazione, sezione I, sentenza 2 aprile 2015, n. 6673. Il giudicato sostanziale conseguente alla mancata opposizione di un decreto ingiuntivo copre non soltanto l’esistenza del credito azionato, del rapporto di cui esso è oggetto e del titolo su cui il credito ed il rapporto stessi si fondano, ma anche l’inesistenza di fatti impeditivi, estintivi e modificativi del rapporto e del credito precedenti al ricorso per ingiunzione e non dedotti con l’opposizione, mentre non si estende ai fatti successivi al giudicato ed a quelli che comportino un mutamento del “petitum” ovvero della “causa petendi” in seno alla domanda rispetto al ricorso esaminato dal decreto esecutivo
SUPREMA CORTE DI CASSAZIONE SEZIONE I SENTENZA 2 aprile 2015, n. 6673 Rilevato che: Con citazione del 18 dicembre 1998 A.B. ha chiesto la condanna della ditta BS di B.S. & C. snc all’eliminazione dei vizi nell’esecuzione dei lavori di rifacimento della pavimentazione del suo terrazzo eseguiti nel contesto dei lavori commissionati dal condominio dello...
Corte di Cassazione, sezione I, sentenza 25 marzo 2015, n. 6025. Il rifiuto di sottoporsi ad indagini ematologiche costituisce un comportamento valutabile da parte del giudice, ex art. 116 secondo comma c.p.c., di cosi elevato valore indiziario da poter da solo consentire la dimostrazione della fondatezza della domanda di accertamento della paternità. Nel giudizio promosso per la dichiarazione giudiziale di paternità naturale, la prova della fondatezza della domanda può trarsi anche unicamente dal comportamento processuale delle parti, da valutarsi globalmente, tenendo conto delle dichiarazioni della madre e della portata delle difese del convenuto. Le dichiarazioni della madre vengono ad assumere un rilievo probatorio integrativo, ex art. 116 cod. proc. civ., quale elemento di fatto di cui non si può omettere l’apprezzamento ai fini della decisione, indipendentemente dalla qualità di parte o dalla formale posizione di terzietà della dichiarante, con la conseguente inapplicabilità dell’art. 246 cod. proc. civ. 14.
SUPREMA CORTE DI CASSAZIONE SEZIONE I SENTENZA 25 marzo 2015, n. 6025 Fatto e diritto Rilevato che: 1. S.M. , nata a (omissis) da S.S. , ha proposto domanda di accertamento di paternità nei confronti degli eredi di F.F.P., nato il (omissis) e deceduto il (omissis). 2. Il Tribunale di Salerno, con sentenza del 7...
Corte di Cassazione, sezione tributaria, sentenza 2 aprile 2015, n. 6743. Il comma 4 dell’art. 28 del dlgs. n. 175 del 2014, recante disposizioni di natura sostanziale sulla capacità della società cancellata dal registro delle imprese, non ha efficacia retroattiva e, pertanto, il differimento quinquennale (operante nei soli confronti dell’amministrazione finanziarla e degli altri enti creditori o di riscossione, indicati nello stesso comma, con riguardo a tributi o contributi) degli effetti dell’estinzione della società derivanti dall’art. 2495, secondo comma, cod. civ. si applica esclusivamente ai casi in cui la richiesta di cancellazione della società dal registro delle imprese (richiesta che costituisce il presupposto di tale differimento) sia presentata nella vigenza di detto decreto legislativo (cioè il 13 dicembre 2014 o successivamente)
Suprema Corte di Cassazione sezione tributaria sentenza 2 aprile 2015, n. 6743 Ritenuto in fatto 1. – Con sentenza n. 100/27/08> depositata il 29 settembre 2008 e non notificata, la Commissione tributaria regionale del Lazio (hinc. «CTR») rigettava, «nei sensi di cui in motivazione», l’appello proposto dalla s.n.c. R.C. di BAT in liquidazione nei confronti...
Corte di Cassazione, sezione tributaria, sentenza 31 marzo 2015, n. 6501. Al fine di essere esclusi dal novero dei soggetti residenti in Italia ricade su di essi l’onere di provare di risiedere effettivamente in quei Paesi o territori. In altri termini: avere la sede principale dell’attività, sicché il centro degli interessi vitali del soggetto va individuato dando prevalenza al luogo in cui la gestione di detti interessi viene esercitata abitualmente in modo riconoscibile dai terzi. Le relazioni affettive e familiari al fine della residenza fiscale – non hanno una rilevanza prioritaria ai fini probatori della residenza fiscale, venendo in rilievo solo unitamente ad altri probanti criteri che univocamente attestino il luogo col quale il soggetto ha il più stretto collegamento
Suprema Corte di Cassazione sezione tributaria sentenza 31 marzo 2015, n. 6501 Svolgimento del processo L’Agenzia delle Entrate notificava al dott. G.K. cittadino elvetico, già cittadino italiano iscritto all’AIRE dal 1978, avviso di accertamento ai fini dell’Irpef per omessa dichiarazione dei redditi da lavoro autonomo anno 1999 (compensi quale amministratore unico U. srl), ai sensi...