Corte di Cassazione bis

Suprema Corte di Cassazione

sezione tributaria

sentenza 2 aprile 2015, n. 6743

Ritenuto in fatto

1. – Con sentenza n. 100/27/08> depositata il 29 settembre 2008 e non notificata, la Commissione tributaria regionale del Lazio (hinc. «CTR») rigettava, «nei sensi di cui in motivazione», l’appello proposto dalla s.n.c. R.C. di BAT in liquidazione nei confronti dell’Agenzia delle entrate avverso la sentenza n. 14/16/2007 della Commissione tributaria provinciale di Roma (hinc: «CTP»), con condanna dell’appellante a rimborsare le spese di lite, liquidate in complessivi € 1.000,00.
Il giudice di appello premetteva che: a) con cartella di pagamento emessa ai sensi dell’art. 54-bis del d.P.R. n. 633 del 1972 l’Agenzia delle entrate aveva richiesto alla predetta s.n.c. il pagamento di € 114.001,26 (comprensivi di sanzioni ed interessi) per omessi o ritardati versamenti dell’IVA dichiarata per l’anno 2001 mediante invio telematico il 29 ottobre 2003; b) la contribuente aveva impugnalo l’atto, esponendo di aver iniziato e cessato la propria attività nel 2002; di aver erroneamente presentato la dichiarazione IVA relativa al 2002 sul modello 2002 anziché su quello 2003; di avere omesso di compilare il quadro V.H.; di essersi confusa tra importi in lire ed in euro; e deducendo sia la carenza di prova della pretesa tributaria, oltre che di motivazione della cartella, sia di aver effettuato i versamenti dovuti; c) la sentenza della CTP, di rigetto del ricorso, depositata il 30 marzo 2007, era stata appellata dalla contribuente, la quale aveva eccepito che: c. 1) era stata costituita il 15 aprile 2002, a séguito della scissione, in varie società, della s.r.l. R.C.; c. 2) la cartella era stata notificata il 9 settembre 2005, quando la società era già estinta per cancellazione dal registro delle imprese, cancellazione effettuata sin dal 24 dicembre 2002; c.3) nel 2002 aveva pagato € 1.269.944,00, come da modelli F24 allegati al ricorso in appello e, quindi aveva corrisposto l’IVA dovuta (pari alla differenza tra il credito di € 264.041,00 di cui era titolare ed il debito dichiarato di € 1.533.985,00); d) l’ufficio appellato aveva eccepito: d. 1) la novità e l’irrilevanza della deduzione della effettuazione della notificazione della cartella quando la società era stata già cancellata dal registro delle imprese; d. 2) che il modello 2003 (relativo all’anno d’imposta 2002) era già disponibile al momento della dichiarazione; d. 3) era inverosimile che la contribuente non avesse dichiarato (neppure con dichiarazione integrativa) un credito d’imposta di € 264.041,00; d.4) le imprecisioni e gli errori compiuti nella dichiarazione (come l’uso di un modello riguardante il 2001 e non il 2002) avevano ostacolato il controllo, ma era comunque evidente che la cartella, pur riferendosi formalmente (come la dichiarazione) al 2001, riguardava in realtà il 2002 (unico anno in cui la s.n.c. aveva operato); d. 5) la parte dei credito IVA spettante alla s.r.l. R.C. e che la s.n.c, pretendeva di utilizzare a séguito della sua scissione dalla società di capitali non era stata dichiarata dalla medesima s.n.c. e non era compatibile con quanto da quest’ultima giudizialmente vantato.
Su queste premesse, la CTR, pronunciando sull’appello, rilevava che: a) le somme iscritte a ruolo riguardavano il 2002 (unico periodo di attività della s.n.c.) e non il 2001 (come erroneamente indicato anche dalla dichiarante); b) l’eccezione di nullità della notificazione della cartella perché effettata nei confronti di società cancellata dal registro delle imprese era nuova e comunque detta cancellazione non esimeva la società stessa dal pagamento dei debiti tributari contratti nell’esercizio della sua attività; c) il credito di imposta della s.r.l. R.C. non era stato dichiarato dalla s.n.c. (neppure con dichiarazione integrativa) e quest’ultima non aveva provato (neppure giudizialmente) che il credito le era stato trasferito nella misura indicata nelle sue difese.
2. – Avverso la sentenza di appello, la s.n.c. ha proposto ricorso per cassazione affidato a due motivi e notificato il 9-10 giugno 2009.
3. – L’Agenzia delle entrate resiste con controricorso notificato il 18-20 luglio 2009.

Considerato in diritto

1. – Occorre preliminarmente rilevare d’ufficio (la questione è stata prospettata dal Collegio nella discussione pubblica) che il ricorso è inammissibile, perché la ricorrente s.n.c. R.C. di B.A.T. ha instaurato il giudizio in primo grado quando era già estinta.
1.1. – Va ricordato in proposito che questa Cene, a partire dalle pronunce a sezioni unite n. 4060, n. 4061 e n. 4062 del 2010, ha affermato il principio secondo cui, per effetto della riforma societaria di cui al d.lgs. n. 6 del 2003, la cancellazione del registro delle imprese delle società di persone ne comporta (con efficacia dichiarativa e facoltà della prova contraria consistente nella dimostrazione della prosecuzione dell’attività sociale) l’estinzione, con il conseguente venir meno della loro capacità e soggettività; e ciò a decorrere dalla cancellazione, se successiva al 1° gennaio 2004 (data di entrata in vigore del d.lgs. n. 6 del 2003), ovvero a decorrere dal 10 gennaio 2004, se anteriore. Tale principio (fatto derivare dal sistema della riforma, indipendentemente dal fatto che l’art. 2312 cod. civ., relativo alla cancellazione della s.n.c., a differenza dell’art. 2495 dello stesso codice, relativo alla cancellazione delle società di capitali, non è stato modificato) è stato più volte ribadito, con la specificazione che alla cancellazione segue un fenomeno di tipo successorio, in virtù dei quale: a) l’obbligazione della società non si estingue, ma si trasferisce ai soci, i quali ne rispondono, nei limiti di quanto riscosso a seguito della liquidazione o illimitatamente, a seconda che, pendente societate, fossero limitatamente o illimitatamente responsabili per i debiti sociali; b) i diritti e i beni non compresi nel bilancio di liquidazione della società estinta si trasferiscono ai soci, in regime di contitolarità o comunione indivisa, con esclusione delle mere pretese, ancorché azionate o azionabili in giudizio, e dei erediti ancora incerti o illiquidi, la cui inclusione in detto bilancio avrebbe richiesto un’attività ulteriore (giudiziale o extragiudiziale), il cu: mancato espletamento da parte del liquidatore consente di ritenere che la società vi abbia rinunciato, a favore di una più rapida conclusione del procedimento estintivo (sezioni unite, n. 6070, n. 6071 e n. 6072 del 2013; per le applicazioni da parte delle sezioni semplici, v., ex plurimis Cass. n. 1677, n. 9110 e n, 12796 del 2012; n. 24955 del 2013)
1.2. – Nella specie, come accennato, è pacifico in causa (e, del resto, risulta dagli atti) die: a) la s.n.c. ricorrente era stata cancellata dal registro delle imprese sin dal 24 dicembre 2002; b) la medesima società aveva poi impugnato davanti alla CTP una cartella di pagamento relativa all’IVA del 2002 con ricorso depositato «in data 23 maggio 2006» (come riconosciuto nel controricorso dall’Agenzia delle entrate); c) nello stesso ricorso la s.n.c, aveva dichiarato espressamente ci essere ormai estinta; d) il ricorso era stato proposto dalla sola società e non anche dai suoi ex soci (suoi successori nei rapporti ancora pendenti) e non era mai stato integrato il contraddittorio nei confronti di tutti tali ex soci.
Poiché l’impugnazione davanti alla CTP risulta proposta successivamente al 1° gennaio 2004, data nella quale si era prodotto l’effetto estintivo della società di persone, il giudice di primo grado avrebbe dovuto rilevare il difetto di capacità della società e, quindi, l’improponibilità del ricorso stesso. Occorre pertanto – ai sensi dell’art. 382, terzo comma, secondo periodo, cod. proc. civ. – cassare senza rinvio l’impugnata sentenza, perché la causa non poteva essere proposta.
2. – Sulle conclusioni ora raggiunte non incide lo ius superveniens costituito dal comma 4 dell’art. 28 del d.lgs. n. 175 del 2014, entrato in vigere il 13 dicembre 2014 ed emesso in attuazione degli artt. 1 e 7 della legge di delegazione n. 23 del 2014. Occorre infatti rilevare che, a parte ogni altra considerazione, tale disposizione (secondo cui: «4. Ai soli fini della validità e dell’efficacia degli atti di liquidazione, accertamento, contenzioso e riscossione dei tributi e contributi, sanzioni e interessi, l’estinzione della società di cui all’articolo 2495 del codice civile ha effetto trascorsi cinque anni dalla richiesta di cancellazione del Registro delle imprese»), non si applica alla fattispecie di causa. Per giustificare tale conclusione, è necessario procedere ad un sommario esame sia del contenuto della norma, sia, in particolare, della sua efficacia temporale.
2.1 – Con riguardo al contenuto della norma, va innanzi tutto osservato che possono essere agevolmente superate in via interpretativa alcune difficoltà derivanti dall’imprecisione o dall’equivocità della formulazione della disposizione. In particolare, appare un mero refuso l’uso della scorretta espressione «cancellazione del Registro delle imprese» in luogo di quella corretta, cioè «cancellazione dal Registro delle imprese». Altro refuso si rileva nel «dei», in luogo di «relativi a», che collega grammaticalmente gli «atti di liquidazione, accertamento, contenzioso e riscossione» con «tributi e contributi, sanzioni e interessi». Inoltre, per «atti di contenzioso» debbono intendersi gli atti dei processo, perché, nell’impreciso lessico della legge di delegazione n. 23 del 2014 (alla cui stregua, come è noto, deve procedersi nell’interpretazione dei decreti legislativi di attuazione), si intende per «contenzioso tributario» il «processo tributario» e la «tutela giurisdizionale» (espressioni usate promiscuamente nella rubrica e nel testo dell’art. 10 della legge di delegazione). Infine, nell’espressione «l’estinzione della società di cui all’articolo 2495 del codice civile», il «di cui» va ovviamente riferito all’estinzione (e non alla società) ed il richiamo all’art. 2495 ood. civ. non limita la portata della norma alle sole società di capitali. È ben vero che detto art. 2495 (in quanto inserito nel Capo VIII del Titolo V del Libro V del codice civile) riguarda esclusivamente l’estinzione delle società di capitali e (per effetto del richiamo contenuto nell’art. 2519 cod. civ.) le società cooperative, mentre, in tema di società di persone, gli art. 2293, 2312 e 2315 cod. civ. non menzionano espressamente tra le norme applicabili quelle riguardanti le società di capitali; tuttavia valgono sul punto le stesse considerazioni sistematiche del necessario parallelismo, in tema di estinzione, tra società di capitali e di persone; considerazioni che (come visto) hanno indotto le sezioni unite di questa Corte – a partile dalle pronunce a sezioni unite n. 4060, n. 4061 e n. 4062 del 2010 – ad affermare il principio secondo cui, per effetto della riforma societaria di cui al d.lgs. n. 6 del 2003, la cancellazione dal registro delle imprese delle società di persone ne comporta (sia pure con efficacia solo dichiarativa e facoltà della prova contraria consistente nella dimostrazione della prosecuzione dell’attività sociale) l’estinzione: e ciò indipendentemente dal fatto che l’art. 2312 cod. civ., relativo alla cancellazione della s.n.c., a differenza dell’art. 2495 dello stesso codice, relativo alla cancellazione delle società di capitali, non è stato modificato. Dunque, il comma 4 dell’art. 28 del dlgs. n 175 del 2014 si applica anche alle società di persone (anche se la relazione illustrativa al dlgs. menziona solo l’effetto costitutivo dell’estinzione delle società di capitali).
Meno agevole è valutare se il preciso e testuale riferimento alla «richiesta di cancellazione» comporti l’inapplicabilità della norma alle cancellazioni disposte non su «richiesta», ma d’ufficio (come nel caso di iscrizione d’ufficio della cancellazione dal registro delle imprese ai sensi dell’art. 2190 cod. civ., di cui costituisce un esempio l’ipotesi prevista dal sesto comma dell’art. 2490 cod. civ. per le società di capitali) e se tale limitazione sia ragionevole. Non è però qui necessario affrontare il tema, perché nella specie la cancellazione dal registro delle imprese della s.n.c. avvenne su richiesta.
Si deve pertanto ritenere che, in base al menzionato comma 4 dell’art. 28, l’effetto estintivo della società (di persone o di capitali), qualora derivi da una cancellazione dal registro delle imprese disposta su richiesta, sia differito per cinque anni, decorrenti dalla richiesta di cancellazione, con differimento limitato al settore tributario e contributivo («ai soli fini»), nel senso che l’estinzione intervenuta durante tale periodo non fa venir meno la «validità» e l’«efficacia» sia degli atti di liquidazione, di accertamento, di riscossione relativi a tributi e contributi, sanzioni e interessi, sia degli atti processuali afferenti a giudizi concernenti detti tributi e contribuii, sanzioni e interessi. Va sottolineato che il differimento degli effetti dell’estinzione non opera necessariamente per un quinquennio, ma per l’eventuale minor periodo che risulta al netto dello scarto temporale tra la richiesta di cancellazione e l’estinzione.
2.2. – Con riguardo all’ambito temporale di efficacia della norma, giova osservare che questa intende limitare (per il periodo da essa previsto) gli effetti dell’estinzione societaria previsti dal codice civile, mantenendo parzialmente per la società una capacità e soggettività (anche processuali) altrimenti inesistenti, al «solo» fine di garantire (per il medesimo periodo) l’efficacia dell’attività (sostanziale e processuale) degli enti legittimati a richiedere tributi o contributi, con sanzioni ed interessi. Nella relazione illustrativa al d.lgs, si afferma che l’obiettivo della norma è quello di «evitare che le azioni di recupero poste in essere dagli enti creditori possano essere vanificate». Il legislatore, in altri termini, vuole disciplinare l’imputazione alla società di rapporti e situazioni nella sfera di relazioni con i suddetti «enti creditori» durante :i periodo quinquennale successivo alla richiesta di cancellazione della società dal registro delle imprese, stabilendo nei confronti (solo) di tali enti e per i suddetti rapporti la temporanea inefficacia dell’estinzione della società eventualmente verificatasi in quel periodo.
La norma, pertanto (contrariamente a quanto talora sostenuto dall’amministrazione finanziaria nelle sue circolari), opera su un piano sostanziale e non “procedurale”, in quanto non si risolve in una diversa regolamentazione dei termini processuali o dei tempi e delle procedure dì accertamento o di riscossione: il caso in esame, cioè, è del tutto diverso da quello di interventi normativi che, ad esempio, incidano sulla disciplina dei termini del processo tributario o prolunghino i termini di accertamento o introducano nuovi parametri di settore e che, per loro natura, possono applicarsi a fattispecie processuali o sostanziali precedenti. Appare del tutto irrilevante, poi, che il periodo sia stato individuato dal legislatore nella misura di cinque anni facendo riferimento (come si legge nella relazione illustrativa) al termine quinquennale di accertamento previsto dagli artt. 43, comma 2, del d.P.R. n. 600 del 1973 e 57, comma 2, del d.P.R. n. 633 del 1972: è del tutto evidente, infatti, che la fattispecie oggetto del comma 4 dell’art. 28 del d.lgs. n. 175 del 2014 attiene alla capacità della società e non ai termini fissati per l’accertamento (che restano regolati da altra normativa, non toccata dai comma 4).
L’applicazione di una diversa disciplina degli effetti derivanti dall’estinzione della società, dunque, può essere retroattiva o no solo in ragione del contenuto precettivo cella norma che la prevede, la cui penata va, perciò, esaminata in concreto, sotto tale specifico profilo.
In proposito, occorre muovere sia dal generale disposto del primo comma dell’art. 11 delle preleggi (per cui «la legge non dispone che per l’avvenire: essa non ha effetto retroattivo»), sia, in modo pili specifico, dal comma 1 dell’art. 3 dello statuto dei diritti del contribuente (legge n. 212 del 2000), secondo cui «le disposizioni tributarie non hanno effetto retroattivo», salvi i casi di interpretazione autentica. Anche il citato comma 1 dell’art. 3, al pari delle preleggi, pone una cosiddetta “metanorma” (cioè una norma riguardante le norme successive) che, pur polendo essere disattesa da successive norme di pari grado gerarchico, costituisce comunque un criterio interpretativo di fondo, operante per i casi dubbi, allorché la successiva disposizione tributaria di pari grado nulla espressamente preveda circa la sfera temporale della sua efficacia (come nei caso in esame). Nella specie, tuttavia, il legislatore delegato non avrebbe avuto neppure in astratto il potete di derogare sul punto la legge n. 212 del 2000 con il d.lgs. n. 175 del 2014, perché la legge di delegazione n. 23 del 2014 gli ha imposto lo specifico obbligo di rispettare lo suturo dei diritti del contribuente (art. 1 della legge delega) e, quindi, anche il comma 1 dell’art. 3 dello statuto.
Posto che il comma 4 dell’art. 28 del d.lgs. n. 175 del 2014 non ha alcuna valenza interpretativa (dato il suo tenore testuale, che non solo assegna espressamente alla disposizione alcuna natura interpretativa, ai sensi del comma 2 dell’art. 1 dello statuto dei diritti del contribuente, ma neppure in via implicita intende privilegiare una tra le diverse possibili interpretazioni delle precedenti disposizioni in tema di estinzione della società), occorre prendere atto che in concreto, il testo della disposizione non consente di individuare alcun indice di retroattività per la sua efficacia e, pertanto, rispetta il comma 1 dell’art. 3 dello statuto dei diritti del contribuente. Più in dettaglio, l’enunciato della disposizione in esame non autorizza ad attribuire effetti di sanatoria in relazione ad atti notificati a società già estinte per le quali la richiesta di cancellazione e l’estinzione siano intervenute anteriormente al 13 dicembre 2014. La stessa relazione illustrativa al d.igs. non affronta in alcun modo la questione dell’eventuale efficacia retroattiva della norma.
Del resto, il contenuto complessivo del comma 4 dell’art. 28, facendo decorrere il periodo di sospensione degli effetti dell’estinzione dalla richiesta di cancellazione sembra presupporre che: a) alla richiesta di cancellazione segua in tempi brevi la cancellazione dal registro delle imprese; b) alla cancellazione dal registro corrisponda l’estinzione della società. Ora, se la circostanza sub a) appare evenienza normale, quella sub b) riguarda solo il periodo successivo al 2003. Si è già rilevato, infatti, che, in base alla citata consolidata giurisprudenza di questa Corte, l’estinzione della società coincide con la cancellazione dal registro delle imprese solo se questa è successiva al 1° gennaio 2004, mentre ha effetto dal 1° gennaio 2004 se la cancellazione è avvenuta in data anteriore. Ne deriva che l’applicazione retroattiva del comma 4 dell’art. 28 potrebbe portare in alcuni casi alla totale inapplicabilità della norma (ove la richiesta dì cancellazione e la cancellazione siano intervenute fino a tutto il 1998) e, in altri casi, ad un ridotto periodo di sospensione degli effetti dell’estinzione (ove la richiesta di cancellazione e la cancellazione siano anteriori al 1° gennaio 2004), con la necessità di porre rimedio, ora per allora, alle più svariate situazioni (anche processuali) venutesi a creare nel tempo; situazioni che potrebbero essere ulteriormente complicate dal successivo automatico prodursi degli effetti dell’estinzione, una volta compiuto il quinquennio di differimento. Ad esempio, nel caso in esame, gli effetti estintivi della società si sarebbero verificati nel 2007, obbligando il giudice davanti ai quale pendeva il giudizio a dichiararne l’interruzione, posto che la società aveva sempre dichiarato, sostenuto e ribadito in giudizio di essere estinta. Addurre tali inconvenienti non significa, certo, dimostrare l’irretroattività della norma; tuttavia l’interprete, di fronte alla natura sostanziale della norma, al disposta del citato comma 1 dell’art. 3 della legge n. 212 del 2000, alle prescrizioni della legge di delegazione di rispettare detto comma 1 dell’art. 3, nonché all’assenza dì elementi testuali a favore della retroattività della norma, è tenuto anche a dare peso alle difficoltà applicative che potrebbero derivare da tale retroattività.
Occorre perciò concludere che il comma 4 dell’art. 28 del dlgs. n. 175 del 2014, recante disposizioni di natura sostanziale sulla capacità della società cancellata dal registro delle imprese, non ha efficacia retroattiva e, pertanto, il differimento quinquennale (operante nei soli confronti dell’amministrazione finanziarla e degli altri enti creditori o di riscossione, indicati nello stesso comma, con riguardo a tributi o contributi) degli effetti dell’estinzione della società derivanti dall’art. 2495, secondo comma, cod. civ. si applica esclusivamente ai casi in cui la richiesta di cancellazione della società dal registro delle imprese (richiesta che costituisce il presupposto di tale differimento) sia presentata nella vigenza di detto decreto legislativo (cioè il 13 dicembre 2014 o successivamente).
2.3- Per quanto sopra osservato, il menzionato bus superveniens non si applica alla fattispecie di causa, perché – come visto – è pacifico che la s.n.c. ricorrerne era stata cancellala dal registro delle imprese, a sua richiesta, sin dal 24 dicembre 2002, con richiesta di cancellazione avanzata, dunque, ben prima del 13 dicembre 2014,
Tale conclusione di inapplicabilità, ratione temporis, del comma 4 dell’art. 28 del d.lgs. n. 175 del 2014 alla fattispecie di causa impedisce di esaminare, in quanto irrilevanti, tutte le altre questioni che deriverebbero dall’applicazione dell’indicato ius superveniens, tra cui, ad esempio: a) la eventuale sussistenza di una irragionevole disparità di Trattamento tra gli “enti creditori” indicati nella disposizione, aventi titolo a richiedere tributi o contributi (e, correlativamente, sanzioni ed interessi), da un lato, e tutti gli altri creditori sociali, dall’altro, in caso di estinzione della società (tenuto altresì conto che l’art. 1 della legge di delegazione n. 23 del 2014 richiede espressamente il rispetto dell’art. 3 Cost): b) la possibile mancata osservanza, da parte del legislatore delegato, della suddetta legge di delegazione, in quanto di tale legge il dlgs. n. 115 del 2014 richiama a proprio fondamento gli arti. 1 (relativo al rispetto sia degli artt. 3 e 53 Cost, sia del diritto dell’Unione europea, sia della legge n. 212 del 2000) e 7 (relativo all’eliminazione e revisione degli adempimenti dell’amministrazione finanziaria superflui o che diana luogo a duplicazioni, o di scarsa utilità ai fini dell’attività di controllo o di accertamento, o comunque non conformi al principio di proporzionalità; nonché revisione delle funzioni dei centri dì assistenza fiscale, i quali debbono fornire adeguate garanzie di idoneità tecnico-organizzative), articoli che, da un lato, sembrano non consentire di introdurre (sia pure temporaneamente, per alcuni rapporti e nei soli confronti di determinati enti, anche diversi dall’«amministrazione finanziaria») una disciplina degli effetti estintivi delle società nuova e differenziata a seconda dei creditori e, dall’altro rendono difficile far rientrare la notificazione dì un atto impositivo o di riscossione ad una società estinta tra gli «adempimenti superflui», passibili di «revisione» e di eliminazione, menzionati dalla suddetta legge di delegazione.
3. – Il rilievo d’ufficio dell’improponibilità del ricorso in primo grado, nonché il fatto che il consolidamento giurisprudenziale circa gli effetti estintivi della cancellazione della società dal registro delle imprese è avvenuto solo in epoca successiva all’instaurazione del giudizio e, infine, la novità delle questioni concernenti la retroattività del comma 4 dell’art. 28 del d.lgs, n. 175 del 2014 inducono a compensare integralmente tra le parti le spese dell’intero giudizio.

P.Q.M.

Cassa senza rinvio la sentenza impugnata, in quanto la causa non poteva essere proposta in primo grado; compensa integralmente tra le parti le spese dell’intero giudizio.

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