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Corte di Cassazione, sezione lavoro, sentenza 13 gennaio 2015, n. 344. La Corte territoriale ha esaurientemente motivato le ragioni disciplinari specificamente contestate dalla società datrice. Esse sono state individuate dalla sentenza impugnata nell'abuso palese della concessione del benefit dei"l'utilizzo dell'autovettura, ancorché affidata al coniuge, in modo abnorme per lunghe percorrenze in periodi in cui il rapporto era sospeso per malattia" (come appunto oggetto di dettagliata contestazione nella lettera inviata, con puntuale indicazione dei periodi di assenza del lavoratore per malattia e dei rifornimenti di carburante compiuti e dell'entità di chilometri, oltre 4.000, assolutamente ingiustificabile in periodo di malattia), pure rendendo "impossibili i controlli che il datore di lavoro avrebbe potuto richiedere" in tali periodi di malattia per assenza dalla propria abitazione, pure oggetto di specifica contestazione datoriale nella medesima lettera (in cui si legge, come sia "emerso che Ella, nonostante fosse in malattia, ha dichiarato di aver effettuato i seguenti rifornimenti, in occasione dei quali peraltro avrebbe dovuto essere al Suo domicilio per poter essere sottoposto alle eventuali visite di controllo"). A fronte dell'emergenza di tali risultanze, frutto di un adeguato accertamento in fatto del giudice di merito (pure insindacabile in sede di legittimità), appare priva di ogni plausibile fondatezza confutativa del ragionamento della Corte territoriale l'insistita contestazione in ordine alla concessione dell'uso "promiscuo" dell'autovettura, non potendosi seriamente dubitare come essa non rilevi in relazione a periodi così lunghi di assenza per malattia (dal 23 marzo 2008 al 22 giugno 2008 e dal 25 giugno 2008 al 22 agosto 2008, secondo la lettera di contestazione), in cui il numero abnorme di km. percorsi risponde ad un uso "esclusivo" per ragioni non di ufficio, né in alcun modo giustificabile, a fronte dell'obbligo del lavoratore di non allontanarsi dall'abitazione ed anzi in aperta contraddizione con esso. Quanto poi all'assenza da casa in fasce orarie di reperibilità, incontestata e comunque documentata, essa non è stata apprezzata sotto il profilo di rituale modalità del suo accertamento, in supposta violazione dell'art. 5 l. 300/1970, ma piuttosto sotto quello del notevole inadempimento agli obblighi contrattuali di buona fede e diligenza ai sensi degli artt. 2104 e 2110 c.c., indubbiamente sussistenti anche in riferimento al periodo di malattia, in cui il rapporto di lavoro deve ritenersi vigente, ancorché sospeso. Il comportamento accertato è stato quindi, in ragione della ravvisata ripetuta indulgenza datoriale, correttamente ritenuto come integrante, anziché giusta causa, giustificato motivo soggettivo di licenziamento, con una conversione (nel caso di specie, in accoglimento di domanda subordinata del lavoratore) nel potere di qualificazione giuridica del giudice, fermo restando il principio di immutabilità della contestazione.

Suprema Corte Cassazione sezione lavoro sentenza 13 gennaio 2015, n. 344 Svolgimento del processo La Corte d’appello di Milano, in riforma della sentenza di primo grado (che aveva dichiarato illegittimo il licenziamento per giusta causa intimato da C.T.S. s.p.a. il 22 agosto 2008, a seguito di contestazione disciplinare, a C.S.A. , suo dipendente dalla fine...

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Corte di Cassazione, sezione tributaria, sentenza 23 dicembre 2014, n. 27323. La dichiarazione dei redditi congiunta, consentita a coniugi non separati, costituisce una facolta' che, una volta esercitata per libera scelta degli interessati, produce tutte le conseguenze, vantaggiose ed eventualmente svantaggiose, che derivano dalla legge e che ne connotano il peculiare regime" e, con la volontaria, libera scelta di presentare la dichiarazione congiunta, i coniugi dichiaranti hanno accettato "anche i rischi inerenti alla disciplina propria dell'istituto"

Suprema Corte di Cassazione sezione tributaria sentenza 23 dicembre 2014, n. 27323 REPUBBLICA ITALIANA IN NOME DEL POPOLO ITALIANO LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE SEZIONE TRIBUTARIA Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati: Dott. PICCININNI Carlo – Presidente Dott. VALITUTTI Antonio – Consigliere Dott. SCODITTI Enrico – Consigliere Dott. MARULLI Marco – rel. Consigliere Dott. TRICOMI Laura...

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Corte di Cassazione, sezione VI, ordinanza 24 dicembre 2014, n. 27391. Qualora il rapporto fra l’utente e la struttura sanitaria del S.S.N. (o convenzionata) abbia corso con l’espletamento di una serie di prestazioni aggiuntive, il cui costo sia stato posto direttamente a carico dell’utente e non del Servizio Sanitario Nazionale ed anzi con l’espressa esclusione dell’operatività delle procedure del S.S.N., come nel caso – di cui alla fattispecie – di esecuzione di un intervento operatorio espletata da un medico della struttura sanitaria in regime intramurario, con addebito all’utente dei costi della sua prestazione e di altri medici nonché di quelli della struttura, sulla base di un vero e proprio contratto intervenuto fra l’utente e la struttura del S.S.N., salvo per una parte minore che rappresenti il costo aziendale normalmente a carico del S.S.N., trova applicazione alla controversia di risarcimento danni derivanti dall’esecuzione della prestazione, introdotta dall’utente contro la struttura, l’art. 33, comma 2, lett. u), del D.Lgs. . n. 206 del 2005, in quanto nel rapporto, necessariamente da considerarsi su base unitaria, la struttura sanitaria (nella specie, un’Azienda Ospedaliera Universitaria del S.S.N.) si è posta direttamente nei confronti dell’utente come “professionista”

Suprema Corte di Cassazione sezione VI ordinanza 24 dicembre 2014, n. 27391 REPUBBLICA ITALIANA IN NOME DEL POPOLO ITALIANO LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE SEZIONE SESTA CIVILE SOTTOSEZIONE 3 Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati: Dott. FINOCCHIARO Mario – Presidente Dott. VIVALDI Roberta – Consigliere Dott. ARMANO Uliana – Consigliere Dott. FRASCA Raffaele – est. Consigliere...

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Corte di Cassazione, sezioni unite, sentenza 14 gennaio 2015, n. 470. Poiché la responsabilità disciplinare del magistrato può sussistere soltanto per la parte che è diretta conseguenza della sua mancanza di diligenza anche nelle scelte organizzative, e non per cause e circostanze estranee alla sua sfera di controllo, è necessario accertare se le complessive giustificazioni oggettive concernenti le funzioni qualitative e quantitative espletate, le attività e gli incarichi di ufficio svolti dal magistrato, le condizioni e la modalità di lavoro del medesimo non autonomamente scelte, hanno inciso, causalmente, proporzionalmente e specificamente, sui tempi che il magistrato aveva a disposizione per il compimento degli atti ritardati in modo da connotare di ragionevolezza il ritardo. Altri dati fattuali rilevanti, da accertare, sono il raffronto tra i provvedimenti depositati in ritardo e quelli depositati nei termini di legge nel triennio considerato, specificando anche la tipologia e la complessità o meno degli stessi, e l’effettivo numero di essi, stante il notevole divario indicato dalla difesa – 499 provvedimenti – e quello affermato nella sentenza impugnata – 199 – e la conseguente percentuale del ritardo – 70%, secondo quest'ultima – che costituisce indice della sua gravità, e che la Sezione Disciplinare ha escluso come dipendente dalla disorganizzazione dell’ufficio proprio sulla base dell’esiguo numero dei provvedimenti annualmente depositati e delle udienze tenute dal magistrato A. – nonché il numero di quelli mediamente prodotti dagli altri magistrati delle sezioni nel medesimo periodo e a parità di condizioni

Suprema Corte di Cassazione sezioni unite sentenza 14 gennaio 2015, n. 470 Svolgimento del processo A.C. , consigliere della Corte di appello di Torino, era stata incolpata dell’illecito disciplinare di cui agli artt. 1, comma 1 – “Il magistrato esercita le funzioni attribuitegli con imparzialità, correttezza, diligenza, laboriosità, riserbo ed equilibrio e rispetta la dignità...

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Consiglio di Stato, sezione III, sentenza 14 gennaio 2015, n. 58. Nelle ipotesi in cui non è ravvisabile un conflitto tra le delucidazioni fornite dalla stazione appaltante e il tenore delle clausole chiarite, le relative precisazioni costituiscono una sorta di interpretazione autentica, con cui l’Amministrazione aggiudicatrice chiarisce la propria volontà provvedimentale

Consiglio di Stato sezione III sentenza 14 gennaio 2015, n. 58   REPUBBLICA ITALIANA IN NOME DEL POPOLO ITALIANO IL CONSIGLIO DI STATO IN SEDE GIURISDIZIONALE SEZIONE TERZA HA PRONUNCIATO LA PRESENTE SENTENZA sul ricorso numero di registro generale 7993 del 2014, proposto da: Elettronica Bi.Me. S.r.l., rappresentato e difeso dagli avv. Lu.Tu., Fa.Ca., con...

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Corte di Cassazione, sezione III, sentenza 13 gennaio 2015, n. 950. In tema di caccia, è certamente consentito l'uso, a scopo venatorio, di richiami vivi ma deve ritenersi parallelamente vietato che a esseri viventi dotati di sensibilità psico – fisica, come gli uccelli, siano arrecate ingiustificate sofferenze con la conseguenza che la legge n. 157 del 1992 elenca, con carattere meramente esemplificativo, comportamenti da considerarsi vietati ma non legittima l'uso di richiami vivi con modalità altamente offensive e questo perché la legge sulla caccia non esaurisce da sola la tutela della fauna, in quanto, a seguito della successiva e penetrante evoluzione normativa (come in precedenza specificata), la sfera di garanzia si è notevolmente ampliata, attraverso l'introduzione dell'ulteriore divieto di tenere condotte dirette a provocare agli animali strazio o sevizie o comunque la detenzione con modalità incompatibili alla loro natura, con la conseguenza che la legittimità delle pratiche venatorie deve essere verificata anche alla luce delle norme dell'ordinamento che assicurano protezione agli animali, quali esseri viventi. Ne deriva che l'uso di richiami vivi deve ritenersi vietato non solo nelle ipotesi espressamente previste dall'art. 21 lett. r) legge n. 157 del 1992 ma anche quando viene attuato con modalità incompatibili con la natura dell'animale sicché è configurabile il reato di cui all'art. 727 cod. pen., quando nell'esercizio della caccia siano utilizzate allodole imbracate e legate con una cordicella, alla quale venga impresso uno strattone, che le faccia sollevare in volo, e, poi, ricadere pesantemente a terra o su un albero.

Suprema Corte di Cassazione sezione III sentenza 13 gennaio 2015, n. 950 Ritenuto in fatto 1. Il tribunale di Vigevano, con la sentenza in epigrafe, ha condannato O.G. alla pena di 1.500,00 Euro di ammenda per il reato (capo a) previsto dall’art. 727 cod. pen. perché, avendo imbracato quattro allodole e strattonando la fune che...