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Corte di Cassazione, sezione I, sentenza 9 febbraio 2015, n. 2400. E' costituzionalmente legittimo il divieto di contrarre matrimonio tra persone dello stesso sesso, ed è rimessa alla piena discrezionalità del Parlamento individuare forme di garanzia, basate sull’art. 2 della Costituzione, e di riconoscimento delle unioni tra persone omosessuali.

  SUPREMA CORTE DI CASSAZIONE SEZIONE I CIVILE sentenza 9 febbraio 2015, n. 2400 Svolgimento del processo Con il decreto impugnato la Corte d’Appello di Roma, confermando la pronuncia di primo grado, ha rigettato la domanda proposta da A.A. e P.G.D.S. finalizzata a poter procedere alle pubblicazioni di matrimonio da loro richieste e negate dall’ufficiale...

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Consiglio di Stato, sezione III, sentenza 6 febbraio 2015, n. 605. Va ritenuto corretto il provvedimento del Ministero della salute, di concerto con quelli delle politiche agricole e dell'ambiente, con cui è stata vietata la coltivazione della varietà di mais OGM MON 810, sul presupposto che, non prevedendo l'autorizzazione 98/294/CE alcuna misura di gestione, e non avendo la Commissione ritenuto di intervenire per imporne l'attuazione, ai sensi dell'art. 53 del regolamento n. 178/2002, il mantenimento della coltura di detta varietà di mais transgenico senza adeguate misure di gestione non tutelasse a sufficienza l'ambiente e la biodiversità. Del resto, l'applicazione del principio di precauzione postula l'esistenza di un rischio potenziale per la salute e per l'ambiente, ma non richiede l'esistenza di evidenze scientifiche consolidate sulla correlazione tra la causa, oggetto di divieto o limitazione, e gli effetti negativi che ci si prefigge di eliminare o ridurre; e comporta che quando non sono conosciuti con certezza i rischi connessi ad un'attività potenzialmente pericolosa, l'azione dei pubblici poteri debba tradursi in una prevenzione anticipata rispetto al consolidamento delle conoscenze scientifiche, anche nei casi in cui i danni siano poco conosciuti o solo potenziali

Consiglio di Stato sezione III sentenza 6 febbraio 2015, n. 605 REPUBBLICA ITALIANA IN NOME DEL POPOLO ITALIANO IL CONSIGLIO DI STATO IN SEDE GIURISDIZIONALE SEZIONE TERZA ha pronunciato la presente SENTENZA sul ricorso numero di registro generale 4252 del 2014, proposto da: Gi.Fi., rappresentato e difeso dagli avv. Fr.Lo., Ma.Cl., con domicilio eletto presso...

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Consiglio di Stato, sezione VI, sentenza 10 febbraio 2015, n. 714. In materia di accesso della parte datoriale alle dichiarazioni rese dai lavoratori in occasione di ispezioni eseguite presso il luogo di lavoro, ai fini del corretto bilanciamento tra i diritti contrapposti, entrambi costituzionalmente garantiti, alla tutela degli interessi giuridici ed alla riservatezza dei lavoratori e delle dichiarazioni da loro rese in sede ispettiva, il diritto di difesa, per quanto privilegiato in ragione della previsione di cui all'art. 24, comma 7, L. n. 241 del 1990, deve essere contemperato con la tutela di altri diritti, tra cui quello alla riservatezza, anche dei lavoratori che hanno reso dichiarazioni in sede ispettiva (art. 2, comma 1, lett. c), D.M. n. 757 del 1994). Ciò allo scopo di prevenire eventuali ritorsioni o indebite pressioni da parte delle società datrici di lavoro o di quelle obbligate in solido con le medesime e per preservare, in tal modo, l'interesse generale ad un compiuto controllo della regolare gestione dei rapporti di lavoro. In via generale, pertanto, deve attribuirsi tutela prevalente alla necessità di riservatezza delle suddette dichiarazioni contenenti dati sensibili, la cui divulgazione potrebbe comportare azioni discriminatorie o indebite pressioni nei confronti dei lavoratori, i quali devono essere posti in grado di collaborare con le autorità amministrative e giudiziarie, nonché di presentare esposti e denunce, senza temere negative conseguenze nell'ambiente di lavoro in cui vivono

Consiglio di Stato sezione VI sentenza 10 febbraio 2015, n. 714 REPUBBLICA ITALIANA IN NOME DEL POPOLO ITALIANO IL CONSIGLIO DI STATO IN SEDE GIURISDIZIONALE SEZIONE SESTA ha pronunciato la presente SENTENZA sul ricorso numero di registro generale 6240 del 2014, proposto dal Ministero del Lavoro e delle Politiche Sociali in persona del Ministro pro-tempore,...

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Corte di Cassazione, sezione III, sentenza 28 gennaio 2015, n. 3953. ha La tipologia di attività edilizia, introdotte dal c.d. decreto "Sblocca Italia", rientra nella ristrutturazione edilizia e non realizzabile mediante semplice denuncia di inizio attività (oggi, SCIA), atteso il mutamento di destinazione d'uso (da qualificarsi come "rilevante" ai sensi del nuovo art. 23 ter del d.P.R. n. 380/2001, introdotto dalla legge di conversione del predetto decreto, ossia dalla L. 11 novembre 2014, n. 164), che l'intervento è finalizzato ad attuare

Suprema Corte di Cassazione sezione III sentenza 28 gennaio 2015, n. 3953 REPUBBLICA ITALIANA IN NOME DEL POPOLO ITALIANO LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE SEZIONE TERZA PENALE Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati: Dott. FIALE Aldo – Presidente Dott. GRILLO Renato – Consigliere Dott. AMORESANO Silvio – Consigliere Dott. GAZZARA Santi – Consigliere Dott. SCARCELLA Alessio...

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Corte di Cassazione, sezione III, sentenza 28 gennaio 2015, n. 3918. Il reato di emissione di fatture relative ad operazioni inesistenti è configurabile anche in assenza di utilizzazione delle stesse, rendendosi, pertanto, non necessari la dichiarazione fiscale o il conseguimento dell'evasione.

Suprema Corte di Cassazione sezione III sentenza 28 gennaio 2015, n. 3918 REPUBBLICA ITALIANAIN NOME DEL POPOLO ITALIANO LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE SEZIONE TERZA PENALE Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati: Dott. FIALE Aldo – Presidente Dott. AMORESANO Silvio – rel. Consigliere Dott. SAVINO Mariapia Gaetan – Consigliere Dott. GAZZARA Santi – Consigliere Dott. MENGONI...

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Corte di Cassazione, sezione IV, sentenza 27 gennaio 2015, n. 3786. Inammissibilità della costituzione di parte civile nel processo instaurato a carico di persone giuridiche come disciplinato dal D. Lgs. n. 231 del 2001; qualora erroneamente ammessa, ne deve essere dichiarata la nullità involgente le statuizioni di condanna al risarcimento dei danni nei confronti dell'ente

Suprema Corte di Cassazione sezione IV sentenza 27 gennaio 2015, n. 3786 REPUBBLICA ITALIANA IN NOME DEL POPOLO ITALIANO LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE SEZIONE QUARTA PENALE Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati: Dott. ZECCA Gaetanino – Presidente Dott. ROMIS Vincenzo – Consigliere Dott. CIAMPI Francesco M. – Consigliere Dott. GRASSO Giuseppe – Consigliere Dott. DELL’UTRI...

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Corte di Cassazione, sezione VI, sentenza 10 febbraio 2015, n. 6056. La condotta concussiva è pur sempre costituita, dal punto di vista oggettivo, da un abuso costrittivo del pubblico agente che si attua mediante violenza o minaccia, esplicita o implicita, di un danno contra ius da cui deriva una grave limitazione della libertà di determinazione del destinatario che, senza alcun vantaggio indebito per sé, viene posto di fronte all'alternativa di subire un danno o di evitarlo con la dazione o la promessa di una utilità indebita. La minaccia evocata dal concetto di costrizione è modalità della condotta tipica della concussione ed è estranea alla induzione indebita il criterio discretivo tra il concetto di costrizione e quello di induzione, più che essere affidato alla dicotomia male ingiusto-male giusto, la quale può creare, come si preciserà in seguito, qualche equivoco interpretativo, deve essere ricercato nella dicotomia minaccia-non minaccia, che è l'altro lato della medaglia rispetto alla dicotomia costrizione-induzione, evincibile dal dato normativo le modalità della condotta induttiva, pertanto, non possono che concretizzarsi nella persuasione, nella suggestione, nell'allusione, nel silenzio, nell'inganno anche variamente e opportunamente collegati e combinati tra di loro, purché tali atteggiamenti non si risolvano nella minaccia implicita, da parte del pubblico agente, di un danno antigiuridico, senza alcun vantaggio indebito per l'extraneus. Non v'è dubbio che l'elemento della costrizione sia ontologicamente insopprimibile quale fattore fondante della concussione. L'induzione indebita è reato a concorso necessario tra privato e pubblico ufficiale, ed è principio generale quello per il quale non può essere punito colui il quale abbia tenuto un comportamento sotto pressante minaccia di un male ingiusto. Non v'è induzione quando c'è minaccia. E se la sollecitazione di promesse o benefici indebiti non vale per sé a qualificare come minaccia la prospettazione di conseguenze sfavorevoli conformi a diritto, è chiaro che la conformità alle norme procedurali ed al diritto sostanziale del male minacciato costituisce un presupposto in mancanza del quale il male stesso deve considerarsi ingiusto, e si determina un rapporto concussivo

Suprema Corte di Cassazione sezione VI sentenza 10 febbraio 2015, n. 6056 Ritenuto in fatto 1. È impugnata la sentenza in data 29/10/2012 della Corte d’appello di Torino, di parziale riforma, per quel che rileva nella sede presente, della sentenza pronunciata il 5/07/2011 dal Tribunale di Novara nei confronti di S.D. , riguardo ad una...