cassazione

Suprema Corte di Cassazione

sezione III

sentenza 28 gennaio 2015, n. 3918

REPUBBLICA ITALIANAIN NOME DEL POPOLO ITALIANO
LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE
SEZIONE TERZA PENALE
Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:
Dott. FIALE Aldo – Presidente
Dott. AMORESANO Silvio – rel. Consigliere
Dott. SAVINO Mariapia Gaetan – Consigliere
Dott. GAZZARA Santi – Consigliere
Dott. MENGONI Enrico – Consigliere
ha pronunciato la seguente:
SENTENZA
sul ricorso proposto da:
(OMISSIS) nato a (OMISSIS);
avverso la sentenza del 15.5.2014 della Corte di Appello di Milano;
visti gli atti, il provvedimento impugnato ed il ricorso;
udita la relazione svolta dal Consigliere Silvio Amoresano;
udito il P.M.,in persona de Sost. Proc. Gen. Dott. SALZANO Francesco, che ha concluso, chiedendo il rigetto del ricorso.
RITENUTO IN FATTO
1. La Corte di Appello di Milano, con sentenza del 15.5.2014, confermava la sentenza del Tribunale di Milano, in composizione monocratica, emessa in data 30.10.2013, con la quale (OMISSIS) era stato condannato, riconosciuta la diminuente per la scelta del rito, alla pena di anni 1, mesi 1 e giorni 10 di reclusione per il reato di cui all’articolo 81 c.p., Decreto Legislativo n. 74 del 2000, articolo 8, commi 1 e 2, ascritto (con esclusione della fattura n. (OMISSIS) in ordine alla quale veniva dichiarata l’estinzione del reato per prescrizione).
Premetteva la Corte territoriale che dagli accertamenti dell’Agenzia delle Entrate, tramite il sistema informatico dell’anagrafe tributaria, era emerso che la (OMISSIS), di cui il (OMISSIS) era rappresentante legale, aveva emesso negli anni 2006 e 2007 fatture per ingenti importi, nei confronti di (OMISSIS), relative ad operazioni inesistenti.
Dopo aver riportato la motivazione della sentenza di primo grado, riteneva la Corte territoriale destituito di fondamento l’appello dell’imputato.
Non meritevole di accoglimento era, innanzitutto, la richiesta di rinnovazione dell’istruttoria dibattimentale (al fine di acquisire l’intera documentazione contabile delle societa’ coinvolte nella presunta emissione delle false fatturazioni), perfezionandosi il reato di cui al Decreto Legislativo n. 74 del 2000, articolo 8, con la emissione delle fatture (e non essendo quindi necessaria la dichiarazione fiscale). La fattispecie, costruita come figura autonoma di reato, prescinde dalla successiva utilizzazione delle fatture da parte del terzo ed e’ quindi svincolata dal conseguimento da parte di questi di un’evasione di imposta.
Anche l’eccezione di inutilizzabilita’ delle dichiarazioni rese dal (OMISSIS) era infondata, trattandosi di utilizzazione, in sede di giudizio abbreviato, del contenuto della comunicazione di notizia di reato in cui esse erano riportate.
Il reato contestato, sulla base delle risultanze acquisite, doveva poi ritenersi sussistente, risultando la prova della emissione di fatture per operazioni inesistenti.
Non era, infine, certamente maturata la prescrizione, dovendosi ritenere, stante l’unitarieta’ del reato di cui all’articolo 8, che il termine di decorrenza della prescrizione medesima coincidesse con la data ultima di emissione nell’anno solare.
La pena, peraltro corrispondente al minimo edittale, era congrua ed adeguata all’entita’ del fatto.
2. Ricorre per cassazione l’imputato, a mezzo del difensore, denunciando la violazione di legge ed il vizio di motivazione in relazione al mancato accoglimento della richiesta di integrazione probatoria, avanzata prima all’udienza preliminare e poi reiterata in sede di richiesta di rito abbreviato.
Era necessario acquisire l’intera documentazione contabile, in quanto la fattura come mero documento cartaceo non assume rilievo fiscale e non puo’ quindi essere propedeutica a futuri comportamenti evasivi. Una fattura puo’ considerarsi emessa se sia stata consegnata al cliente e registrata; e’ necessaria quindi la contabilizzazione.
Con il secondo motivo denuncia la violazione di legge in relazione alla ritenuta sussistenza del reato contestato.
Per la configurabilita’ del reato e’ necessario che le fatture siano emesse con il fine di evadere il fisco e che siano state anche utilizzate. L’Agenzia delle Entrate non ha neppure accertato se le fatture siano state registrate; la notizia di reato e’ quindi fondata su congetture e supposizioni.
La fattispecie penale non si e’ perfezionata proprio perche’, come rilevato dallo stesso Ufficio, non e’ stata presentata la dichiarazione dei redditi.
Con il terzo motivo denuncia la violazione di legge in relazione all’omessa declaratoria di prescrizione per tutte le fatture emesse nell’anno 2006. Il momento consumativo del reato si ha con la consegna al destinatario, dopo l’annotazione nelle scritture contabili.
Al momento del primo atto interruttivo (avviso di fissazione dell’udienza preliminare notificato il 14.2.2013) la prescrizione era maturata per tutte le violazioni relative all’anno 2006, non potendosi ritenere idoneo atto interruttivo l’accertamento effettuato dall’agenzia delle Entrate; in ogni caso, anche al momento di tale accertamento del 23.2.2006, era maturata la prescrizione.
CONSIDERATO IN DIRITTO
1. Il ricorso e’ manifestamente infondato.
2. Quanto al primo motivo, va innanzitutto rilevato che non risulta che il ricorrente abbia fatto richiesta di rito abbreviato condizionato all’acquisizione della documentazione contabile; sicche’ la richiesta di detta acquisizione risultava, evidentemente, formulata al fine di sollecitare i poteri del giudice ex articolo 441 c.p.p., comma 5, (il ricorrente peraltro genericamente si limita ad affermare di aver formulata tale richiesta “in sede di udienza preliminare e reiterata in sede di richiesta di rito abbreviato”).
Questa Corte ha costantemente affermato che “nel processo celebrato con il rito abbreviato, l’imputato rinunzia definitivamente al diritto di assumere prove diverse da quelle gia’ acquisite agli atti o richieste come condizione a cui subordinare il giudizio allo stato degli atti ai sensi dell’articolo 438 c.p.p., comma 5. I poteri del giudice di assumere gli elementi necessari ai fini della decisione (articolo 441 c.p.p., comma 5), di disporre in appello la rinnovazione dell’istruttoria dibattimentale (articolo 603 c.p.p., comma 3) sono poteri officiosi, che prescindono dall’iniziativa dell’imputato, non presuppongono una facolta’ processuale di quest’ultimo e vanno esercitati solo quando emerga un’assoluta esigenza probatoria” (cfr. Cass. pen. sez. 3 n. 12853 del 13.2.2003).
E’ stato ribadito anche successivamente, in relazione al giudizio di appello, che “a seguito della nuova formulazione dell’articolo 438 c.p.p., deve ritenersi possibile la richiesta di rinnovazione in appello dell’istruttoria dibattimentale da parte dell’imputato che abbia subordinato la richiesta di accedere al rito abbreviato ad una specifica integrazione probatoria, mentre chi abbia richiesto il rito abbreviato alla stato degli atti puo’ solo sollecitare il giudice di appello all’esercizio del potere di ufficio di cui all’articolo 603 c.p.p., comma 3” (cfr. Cass. pen. sez. 3 n. 15296 del 2.3.2004; conf. Cass. pen. sez. 4 n. 15573 del 20.12.2005).
2.1. La Corte territoriale ha dato adeguatamente conto del mancato esercizio dei poteri officiosi, evidenziando che risultava assolutamente inutile l’acquisizione della documentazione contabile, emergendo gia’ dalla notizia di reato dell’Agenzia delle Entrate (documento pienamente utilizzabile, stante la scelta del rito abbreviato) che le fatture di cui alla contestazione erano state emesse dalla (OMISSIS) ed erano relative ad operazioni inesistenti. E tanto era sufficiente per ritenere configurabile il reato contestato.
Il reato di cui al Decreto Legislativo n. 74 del 2000, articolo 8, si perfeziona, invero, al momento della emissione delle fatture e prescinde dalla effettiva utilizzazione della stessa da parte del soggetto a favore del quale e’ stata emessa e dall’effettivo conseguimento di un’evasione di imposta.
Secondo costante giurisprudenza di questa Corte l’emissione di fatture per operazioni inesistenti, gia’ punita dal Decreto Legge n. 429 del 1982, articolo 4, lettera d), conv. in Legge n. 516 del 1982, prevista dal Decreto Legislativo n. 74 del 2000, articolo 8, si configura, infatti, come un reato di pericolo astratto, atteso che mira a tutelare l’interesse dello Stato a non vedere ostacolata la propria funzione di accertamento fiscale, anticipando la soglia dell’intervento punitivo rispetto al momento della dichiarazione ed essendo svincolata dal conseguimento di una effettiva evasione, punendo comportamenti propedeutici connotati da potenzialita’ lesiva del citato interesse erariale (cfr. ex multis Cass. pen. sez. 3 n. 26395 del 13.5.2004; Cass. sez. 3 n. 40172 del 26.9.2006.
Sicche’ non e’ certo necessaria, ai fini della configurabilita’ del reato, la dichiarazione fiscale richiesta e tanto meno il conseguimento dell’evasione fiscale (Cass. sez. 3 n. 33891 del 26.4.2006).
3. I Giudici di merito, poi, con accertamento in fatto, sorretto da adeguata motivazione, hanno ritenuto che le fatture emesse dalla (OMISSIS) srl, indicate nella comunicazione dell’Agenzia delle entrate, erano state emesse benche’ le operazioni relative fossero inesistenti.
Sul punto si era gia’ soffermato ampiamente il Tribunale (cui rinvia la Corte di Appello) che aveva sottolineato come sussistesse sia l’elemento oggettivo che quello soggettivo del reato contestato. Sotto il profilo dell’elemento psicologico, aveva evidenziato il Tribunale che “la natura totalmente fittizia delle operazioni indicate nelle fatture in contestazione, infatti, non trova altra ragionevole giustificazione se non nella volonta’ dell’imputato di emettere documenti fittizi da poter utilizzare nelle dichiarazioni tributarie, condotta tipicamente idonea a mettere in pericolo l’interesse fiscale, anche nel caso in cui il terzo destinatario dei documenti non li utilizzi concretamente nelle dichiarazioni fiscali”.
4. Quanto alla prescrizione, va ricordato che, a norma del Decreto Legislativo n. 74 del 2000, articolo 8, comma 2, ai fini dell’applicazione della disposizione prevista dal comma 1, l’emissione o il rilascio di piu’ fatture o documenti per operazioni inesistenti nel corso del medesimo periodo di imposta si considera come un solo reato.
I dubbi interpretativi manifestatisi sotto l’imperio della precedente disciplina non hanno piu’ ragion d’essere alla luce del chiaro disposto normativo, che considera “unitario” il reato anche in presenza della emissione, nel corso del medesimo periodo di imposta, di una pluralita’ di fatture per operazioni inesistenti.
Tale unitarieta’ del reato non puo’ che ripercuotersi sul momento di consumazione e quindi sulla decorrenza della prescrizione.
Questa Corte ha infatti affermato che “ai fini della individuazione del momento di consumazione del delitto di emissione di fatture per operazioni inesistenti, previsto dal Decreto Legislativo 10 marzo 2000, n. 74, articolo 8, non rileva il momento dell’accertamento, ma quello in cui e’ avvenuta l’emissione della singola fattura ovvero dell’ultima di esse, quando vi sia stata pluralita’ di emissioni nel corso del medesimo periodo di imposta” (cfr. Cass. sez. 3 n. 20787 del 18.4.2002).
Tale principio costituisce attuazione della chiara disposizione che, al Decreto Legislativo 10 marzo 2000, n. 74, articolo 8, in deroga agli ordinari principi previsti dall’articolo 81 cpv. c.p., in tema di continuazione, prevede un regime di favore per l’imputato mediante la riconduzione ad unita’ dei plurimi episodi di emissione di fatture per operazioni inesistenti commessi nell’arco del medesimo arco di imposta. A fronte di tale regime favorevole, che riconduce la pluralita’ ad unico reato e in tal modo esclude l’aumento di pena che sarebbe applicato in via ordinaria, corrisponde la conseguenza che il termine prescrizionale non decorre dalla data di commissione di ciascun episodio, bensi’ dall’ultimo di essi” (cfr. Cass. pen. sez. 3 n. 6264 del 14.1.2010).
4.1. Le violazioni relative all’anno 2006, stante il carattere “unitario” del reato in precedenza evidenziato, debbono ritenersi commesse alla data di emissione dell’ultima di esse (28.12.2006), per cui certamente non era maturata la prescrizione al momento dell’emissione della sentenza impugnata.
Il termine massimo di prescrizione di anni 7 e mesi 6 (tenuto conto anche della interruzione ex articolo 160 c.p.), cui va aggiunto il periodo di sospensione di giorni 89 (rinvio delle udienze del 17.7.2013 e 25.9.2013 su richiesta del difensore), andava infatti a maturare il 25.9.2014.
Correttamente poi la Corte territoriale ha ritenuto che la prescrizione fosse stata interrotta dall’accertamento dell’Agenzia delle Entrate.
A norma del Decreto Legislativo n. 74 del 2000, articolo 17, infatti, “il corso della prescrizione per i delitti previsti dal presente decreto e’ interrotto, oltre che dagli atti indicati nell’articolo 160 c.p., dal verbale di constatazione o dall’atto di accertamento delle relative violazioni”.
5. Il ricorso va quindi dichiarato inammissibile, con condanna del ricorrente al pagamento delle spese processuali, nonche’, in mancanza di elementi atti ad escludere la colpa nella determinazione della causa di inammissibilita’, al versamento in favore della cassa delle ammende di sanzione pecuniaria che pare congruo determinare in euro 1.000,00, ai sensi dell’articolo 616 c.p.p..
E’ appena il caso di aggiungere che l’inammissibilita’ del ricorso preclude la possibilita’ di dichiarare la prescrizione (per le violazioni commesse nel 2006), maturata dopo l’emissione della sentenza impugnata.
P.Q.M.
Dichiara inammissibile il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese processuali ed al versamento della somma di euro 1.000,00 in favore della cassa delle ammende.

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