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Corte di Cassazione, sezione VI, ordinanza 21 luglio 2015, n. 15272. In tema di separazione personale, in caso di revoca dell’assegnazione della casa coniugale, l’ammontare dell’assegno di mantenimento non dev’essere sempre e comunque proporzionale al canone di mercato dell’immobile che il coniuge deve lasciare, potendo ipotizzarsi una diversa sistemazione, in abitazione eventualmente più modesta, ancorché decorosa

Suprema Corte di Cassazione sezione VI ordinanza 21 luglio 2015, n. 15272 REPUBBLICA ITALIANA IN NOME DEL POPOLO ITALIANO LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE SEZIONE SESTA CIVILE SOTTOSEZIONE 1 Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati: Dott. DI PALMA Salvatore – Presidente Dott. DOGLIOTTI Massimo – rel. Consigliere Dott. BISOGNI Giacinto – Consigliere Dott. DE CHIARA Carlo...

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Corte di Cassazione, sezione III, sentenza 31 agosto 2015, n. 17301. Il potere normativo secondario (o, secondo una possibile qualificazione alternativa, di emanazione di atti amministrativi precettivi collettivi) dell’Autorità per l’Energia Elettrica ed il Gas ai sensi dell’art. 2, comma 2, lett. h), si può concretare anche nella previsione di prescrizioni che, attraverso l’integrazione del regolamento di servizio, di cui allo stesso art. 2, comma 37 possono in via riflessa integrare, ai sensi dell’art. 1339 c.c., il contenuto dei rapporti di utenza individuali pendenti anche in senso derogatorio di norme di legge, ma alla duplice condizione che queste ultime siano meramente dispositive e, dunque, derogabili dalle stesse parti, e che la deroga venga comunque fatta dall’Autorità a tutela dell’interesse dell’utente o consumatore, restando, invece, esclusa -salvo che una previsione speciale di legge o di una fonte comunitaria ad efficacia diretta – non la consenta – la deroga a norme di legge di contenuto imperativo e la deroga a norme di legge dispositive a sfavore dell’utente e consumatore”. Dopo di che, sempre con ampia motivazione alla quale nuovamente si rinvia, si è concluso che deve “escludersi che la prescrizione della Delib. A.E.E.G. n. 200 del 1999, art. 6, comma 4, abbia comportato la modifica o integrazione del regolamento di servizio del settore esistente all’epoca della sua adozione e, di riflesso, l’integrazione dei contratti di utenza ai sensi dell’art. 1339 c.c., di modo che l’azione di responsabilità per inadempimento contrattuale esercitata dalla parte attrice risulta priva di fondamento, perché basata su una clausola contrattuale inesistente, perché non risultava introdotta nei contratti di utenza

Suprema Corte di Cassazione sezione III sentenza 31 agosto 2015, n. 17301 I fatti 1. Il Tribunale di Crotone, con sentenza n. 938 del 26 novembre 2010, ha rigettato l’appello proposto dall’Enel Distribuzione s.p.a. avverso la sentenza del Giudice di Pace di Petilia Policastro, che aveva accolto la domanda di B.A. nonché degli altri intimati...

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Corte di Cassazione, sezione lavoro, sentenza 1 settembre 2015, n. 17366. Le gravi violazioni dei doveri fondamentali connessi al rapporto di lavoro, come quelle poste a base del licenziamento oggetto di causa, doveri che sorreggono la stessa esistenza del rapporto, quali sono quelli imposti dagli art. 2104 e 2105 cod. civ. e, specificamente, quelli derivanti dalle direttive aziendali – la cui vigenza equivale per un soggetto preposto ad una filiale di istituto di credito, quanto all’onere di conoscerle, alle norme di comune prudenza ed a quelle del codice penale – comportano che, ai fini della legittimità del provvedimento irrogativo di un licenziamento disciplinare, non è necessario indicarle nel codice disciplinare, così come è sufficiente la previa contestazione dei fatti che implichino la loro violazione, anche in difetto di un’esplicita specificazione delle norme violate. Il comportamento del lavoratore subordinato, consistente nella mancata effettuazione, anche parziale, della prestazione lavorativa è in contrasto con il principio della sinallagmaticità delle prestazioni, sicché assume rilievo sotto il profilo disciplinare senza necessità di espressa previsione nel relativo codice. In caso di licenziamento per giusta causa, ai fini della proporzionalità fra fatto addebitato e recesso, viene in considerazione ogni comportamento che, per la sua gravità, sia suscettibile di scuotere la fiducia del datore di lavoro e di far ritenere che la continuazione del rapporto si risolva in un pregiudizio per gli scopi aziendali, dovendosi ritenere determinante, a tal fine, l’influenza che sul rapporto di lavoro sia in grado di esercitare il comportamento del lavoratore che denoti una scarsa inclinazione ad attuare diligentemente gli obblighi assunti, conformando il proprio comportamento ai canoni di buona fede e correttezza. Spetta al giudice di merito valutare la congruità della sanzione espulsiva non sulla base di una valutazione astratta del fatto addebitato, ma tenendo conto di ogni aspetto concreto della vicenda processuale che, alla luce di un apprezzamento unitario e sistematico, risulti sintomatico della sua gravità rispetto ad un’utile prosecuzione del rapporto di lavoro

Suprema Corte di Cassazione sezione lavoro sentenza 1 settembre 2015, n. 17366 Svolgimento del processo Con sentenza del 15/5 – 8/6/2012 la Corte d’appello di Napoli – sezione lavoro, riformando la sentenza del giudice del lavoro del Tribunale di Napoli che aveva dichiarato l’illegittimità del licenziamento per giusta causa intimato il 29/9/2005 dalla Unicredit s.p.a....

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Corte di Cassazione, sezione lavoro, sentenza 31 agosto 2015, n. 17350. In tema di base di calcolo della pensione integrativa dei dipendenti dell’INPS, ai sensi dell’art. 5 del Regolamento per il trattamento di previdenza e quiescenza dell’ente, adottato con Delibera 12 giugno 1970 e successivamente modificato con Delibera 30 aprile 1982, ai fini della computabilità nella pensione integrativa già erogata dal fondo istituito dall’ente (e ancora transitoriamente prevista a favore dei soggetti già iscritti al fondo, nei limiti dettati dalla L. 17 maggio 1999, n. 144, art. 64) è sufficiente che le voci retributive siano fisse e continuative, dovendosi escludere la necessità di una apposita deliberazione che ne disponga l’espressa inclusione. Non osta che l’elemento retributivo sia attribuito in relazione allo svolgimento di determinate funzioni o mansioni, anche se queste, e la relativa indennità, possano in futuro venire meno, mentre non può ritenersi fisso e continuativo un compenso la cui erogazione sia collegata ad eventi specifici di durata predeterminata oppure sia condizionata al raggiungimento di taluni risultati e quindi sia intrinsecamente incerto

Suprema Corte di Cassazione sezione lavoro sentenza  31 agosto 2015, n. 17350 Svolgimento del processo La sentenza attualmente impugnata accoglie l’appello principale dell’INPS avverso la sentenza del Tribunale di Latina n. 680/2005 e respinge l’appello incidentale di G.L., per l’effetto: 1) in parziale riforma della sentenza appellata, rigetta tutte le domande proposte originariamente da G.L.;...

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Corte di Cassazione, sezione I, sentenza 2 settembre 2015, n. 35784. Non può farsi luogo al differimento facoltativo dell’esecuzione della pena ai sensi dell’art. 147, primo comma, n. 2 cod. pen. quando il condannato si rifiuti, senza plausibile giustificazione, di sottoporsi ai necessari interventi sanitari e l’infermità da cui è affetto è curata con terapia medica, non risolutiva, ma regolarmente effettuata in regime di detenzione. Nel caso di specie laa motivazione finale dei Tribunale di sorveglianza, che ha ritenuto sussistente anche la condizione ostativa della pericolosità del condannato quale esponente di spicco della criminalità organizzata campana, costituisce argomentazione ultronea, atteso che l’accertamento della condizione aggiuntiva di non pericolosità dei condannato prevista dall’art.147 ult.comma cod.pen. è richiesta solo in caso di ritenuta sussistenza dei presupposti previsti dall’art.147 comma 1 n.2 cod.pen. per il differimento facoltativo della esecuzione della pena, presupposti esclusi dal Tribunale di sorveglianza nel caso in esame

Suprema Corte di Cassazione sezione I sentenza 2 settembre 2015, n. 35784 Ritenuto in fatto R.E., detenuto in espiazione della pena dell’ergastolo per i delitti di omicidio volontario e violazione della legge sulle armi aggravati ai sensi dell’art.7 legge n.203 del 1991, presentava istanza di differimento facoltativo della pena per grave infermità ai sensi dell’art.147...

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Corte di Cassazione, sezione III, sentenza 27 luglio 2015, n. 32714. In tema di reati edilizi, il sequestro preventivo perde efficacia con la sentenza di condanna non definitiva e i beni devono essere restituiti all’avente diritto

Suprema Corte di Cassazione sezione III sentenza 27 luglio 2015, n. 32714 REPUBBLICA ITALIANA IN NOME DEL POPOLO ITALIANO LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE SEZIONE TERZA PENALE Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati: Dott. SQUASSONI Claudia – Presidente Dott. GRAZIOSI Chiara – Consigliere Dott. ANDREAZZA Gastone – Consigliere Dott. ACETO Aldo – rel. Consigliere Dott. ANDRONIO...

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Corte di Cassazione, sezione III, sentenza 23 luglio 2015, n. 32352. La valutazione sulla credibilità delle dichiarazioni del minore vittima di abusi sessuali non deve avvenire con riferimento alla sola coerenza interna del racconto, dovendosi tenere conto di ogni altra circostanza che possa influire su tale valutazione. In ordine, poi, alla cd. Carta di Noto, non sussiste alcun obbligo di seguirla nell’esame dei minorenni, non avendo alcun valore normativo, contenendo meri suggerimenti diretti a garantire l’attendibilità delle dichiarazioni del minore e la sua protezione psicologica; con la conseguenza che la sua inosservanza non comporta nullità dell’esame. Infine, la determinazione equitativa del danno morale cagionato dalla commissione di reati sessuali nei confronti di minori deve tener conto dell’intensità della violazione della libertà morale e fisica, del turbamento psichico cagionato, delle conseguenze sul piano psicologico e dell’incidenza del fatto sulla personalità della vittima

Suprema Corte di Cassazione sezione III sentenza 23 luglio 2015, n. 32352 REPUBBLICA ITALIANA IN NOME DEL POPOLO ITALIANO LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE SEZIONE TERZA PENALE Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati: Dott. SQUASSONI Claudia – Presidente Dott. GRILLO Renato – Consigliere Dott. RAMACCI Luca – rel. Consigliere Dott. ROSI Elisabetta – Consigliere Dott. GENTILI...