Suprema Corte di Cassazione sezione III sentenza 30 settembre 2015, n. 39374 Ritenuto in fatto 1. Con ordinanza 23.1.2012 il Tribunale di Firenze, rigettando la richiesta di riesame, ha confermato il sequestro preventivo di un fabbricato in viale B. XX, in relazione ad alcune violazioni edilizie ipotizzate a carico di S.M. (legale rappresentante della società...
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Corte di Cassazione, sezione III, sentenza 30 settembre 2015, n. 39365. Le regole dettate dall’art. 192 comma terzo cod. proc. pen. non si applicano alle dichiarazioni della persona offesa, le quali possono essere legittimamente poste da sole a fondamento dell’affermazione di penale responsabilità dell’imputato, previa verifica, corredata da idonea motivazione, della credibilità soggettiva del dichiarante e dell’attendibilità intrinseca del suo racconto, che peraltro deve in tal caso essere più penetrante e rigoroso rispetto a quello cui vengono sottoposte le dichiarazioni di qualsiasi testimone. La valutazione delle dichiarazioni testimoniali del minore persona offesa di reati sessuali presuppone un esame della sua credibilità in senso onnicomprensivo, dovendo tenersi conto a tal riguardo dell’attitudine, in termini intellettivi ed affettivi, a testimoniare, della capacità a recepire le informazioni, ricordarle e raccordarle, delle condizioni emozionali che modulano i rapporti col mondo esterno, della qualità e natura delle dinamiche familiari e dei processi di rielaborazione delle vicende vissute, con particolare attenzione a certe naturali e tendenziose affabulazioni
Suprema Corte di Cassazione sezione III sentenza 30 settembre 2015, n. 39365 Ritenuto in fatto Con sentenza 20.6.2013 la Corte d’Appello di Brescia ha confermato la colpevolezza di N.M. per una serie di episodi di violenza sessuale (toccamenti vari in parti intime, abbracci, baci) in danno di quattro sue allieve di karaté tutte di età...
Corte di Cassazione, sezione V, sentenza 25 settembre 2015, n. 38946. L’elemento soggettivo del delitto di omicidio preterintenzionale (art. 584 c.p.) non è costituito da dolo misto a colpa, ma unicamente dalla volontà di infliggere percosse o provocare lesioni, a condizione che la morte dell’aggredito sia causalmente conseguente alla condotta dell’agente, il quale, pertanto, risponde per fatto proprio, sia pure per un evento più grave di quello effettivamente voluto che, per esplicita previsione legislativa, aggrava il trattamento sanzionatorio
SUPREMA CORTE DI CASSAZIONE SEZIONE V SENTENZA 25 settembre 2015, n. 38946 Ritenuto in fatto Il difensore di M.S. propone ricorso per cassazione contro la sentenza pronunciata dalla Corte d’Assise d’Appello di Torino, in data 23 aprile 2014, che confermava la decisione emessa dalla Corte d’Assise di Torino, in data 28 gennaio 2013, con la...
Corte di Cassazione, sezione lavoro, sentenza 29 settembre 2015, n. 19304. La prestazione di un’attività lavorativa per oltre sei anni tra due parti legate da una relazione sentimentale, oggettivamente configurabile come di lavoro subordinato, si presume effettuata a titolo oneroso, potendo tuttavia essere ricondotta ad un rapporto diverso, istituito affectionis vel benevolentiae causa, caratterizzato dalla gratuità della prestazione, ove risulti dimostrata la sussistenza della finalità di solidarietà in luogo di quella lucrativa, per una comunanza di vita e di interessi tra i conviventi, che non si esaurisca in un rapporto meramente affettivo o sessuale, ma dia luogo anche alla partecipazione, effettiva ed equa, del convivente alla vita e alle risorse della famiglia di fatto in modo che l’esistenza del vincolo di solidarietà porti ad escludere la configurabilità di un rapporto a titolo oneroso
Suprema Corte di Cassazione sezione lavoro sentenza 29 settembre 2015, n. 19304 Svolgimento del processo Con sentenza 31 luglio 2008, la Corte d’appello di Genova respingeva l’appello di B.P. avverso la sentenza di primo grado, che ne aveva rigettato la domanda di accertamento dell’esistenza di un rapporto di lavoro dal 1992 al 1998 alle dipendenze...
Corte di Cassazione, sezione II, ordinanza interlocutoria 28 settembre 2015, n. 19140. Rimessi gli atti del procedimento al Primo Presidente perché valuti l’esigenza di investire le Sezioni Unite di questa Corte, al fine di precisare l’ambito e le modalità di applicazione dell’istituto della rimessione in termini nei casi di proposizione dell’impugnazione nel termine “lungo” previsto dall’art. 327 cod. proc. civ., in presenza di due date che attestano deposito e pubblicazione della sentenza.
Suprema Corte di Cassazione sezione II ordinanza interlocutoria 28 settembre 2015, n. 19140 Premesso in fatto – che B.M. e B.F. , in qualità di eredi della madre C.A. , hanno proposto ricorso per cassazione avverso la sentenza della Corte d’appello di Reggio Calabria, che ha confermato la decisione del Tribunale di Reggio Calabria, di...
Corte di Cassazione, sezione III, sentenza 30 settembre 2015, n.19532. Nel leasing di godimento, il canone dovuto rappresenta un corrispettivo di finanziamento a scopo di godimento del bene per una durata prestabilita. Nel leasing traslativo, a cui si applica inderogabilmente l’art. 1526 c.c. e non già l’art. 1458 c.c., il canone ha natura di corrispettivo del futuro trasferimento ed ha la funzione di scontare una quota del prezzo in previsione del successivo acquisto; alla scadenza del periodo fissato il bene conserva un valore residuo particolarmente apprezzabile, notevolmente superiore al prezzo di opzione
SUPREMA CORTE DI CASSAZIONE SEZIONE III SENTENZA 30 settembre 2015, n.19532 Ritenuto in fatto Nel febbraio 2001 La Gatta srl, Catarsi ing. Pietro srl, B.G. , D.G. (…), D.C. e Gi. (…) proponevano distinte opposizioni al decreto con il quale venivano ingiunti di pagare a Fime Leasing spa – nella loro qualità di fideiussori, e...
Corte di Cassazione, sezione III, sentenza 30 settembre 2015, n. 19552. In tema di credito al consumo, nella vigenza della disciplina degli articoli 121 e seguenti d.lgs. n. 385/1993, l’art. 124, comma 3, deve interpretarsi come previsione di un collegamento negoziale di fonte legale tra i contratti di credito al consumo – il cui oggetto sia l’acquisto di beni o servizi determinati – contenenti i requisiti ivi indicati, ed i contratti di acquisto degli stessi beni o servizi, a prescindere dalla sussistenza di un accordo che attribuisca al finanziatore l’esclusiva per la concessione di credito ai clienti dei fornitori. In caso di inadempimento del fornitore di beni e servizi, l’azione diretta del consumatore contro il finanziatore, disciplinata dall’art. 125, comma 4, si aggiunge alle azioni che il consumatore può esercitare in base alle disposizioni applicabili ad ogni rapporto contrattuale
SUPREMA CORTE DI CASSAZIONE SEZIONE III SENTENZA 30 settembre 2015, n. 19552 Ritenuto in fatto S.P. citò in giudizio dinanzi al Tribunale di Trieste la SANTANDER CONSUMER BANK S.p.A., già BANCA FINCONSUMO S.p.A., chiedendo accertarsi nulla essere da lui dovuto alla convenuta in forza ed in conseguenza del contratto in data 20 dicembre 2003, nonché...
Corte di Cassazione, sezione III, sentenza 29 settembre 2015, n. 19212. L’acquisizione da parte del medico del consenso informato costituisce prestazione altra e diversa da quella dell’intervento medico richiestogli, assumendo autonoma rilevanza ai fini dell’eventuale responsabilità risarcitoria in caso di relativa mancata prestazione da parte del paziente. Trattasi di due distinti diritti. Il consenso informato attiene al diritto fondamentale della persona all’espressione della consapevole adesione al trattamento sanitario proposto dal medico, e quindi alla libera e consapevole autodeterminazione del paziente, atteso che nessuno può essere obbligato ad un determinato trattamento sanitario se non per disposizione di legge (anche quest’ultima non potendo peraltro in ogni caso violare i limiti imposti dal rispetto della persona umana: art. 32, 2 co., Cost.). Il trattamento medico terapeutico ha viceversa riguardo alla tutela del (diverso) diritto fondamentale alla salute (art. 32, 1 co., Cost.). L’autonoma rilevanza della condotta di adempimento della dovuta prestazione medica ne impone pertanto l’autonoma valutazione rispetto alla vicenda dell’acquisizione del consenso informato. Si è al riguardo precisato che, a fronte dell’allegazione di inadempimento da parte del paziente, è onere del medico provare l’adempimento dell’obbligazione di fornirgli un’informazione completa ed effettiva sul trattamento sanitario e sulle sue conseguenze , senza che sia dato presumere il rilascio del consenso informato sulla base delle qualità personali del paziente, potendo esse incidere unicamente sulle modalità dell’informazione, la quale deve sostanziarsi in spiegazioni dettagliate ed adeguate al livello culturale del paziente, con l’adozione di un linguaggio che tenga conto del suo particolare stato soggettivo e del grado delle conoscenze specifiche di cui dispone. In mancanza di consenso informato l’intervento del medico – al di fuori dei casi di trattamento sanitario per legge obbligatorio o in cui ricorra uno stato di necessità – è pertanto sicuramente illecito, anche quando sia nell’interesse del paziente. Il consenso libero e informato, che è volto a garantire la libertà dell’individuo e costituisce un mezzo per il migliore perseguimento dei suoi interessi, consentendogli di scegliere tra le diverse possibilità di trattamento medico o anche di rifiutare (in tutte le fasi della vita, pure in quella terminale) la terapia e di decidere consapevolmente di interromperla , salvo che ricorra uno stato di necessità non può mai essere presunto o tacito, ma deve essere fornito espressamente, dopo avere ricevuto un’adeguata informazione, anch’essa esplicita. Presuntiva può essere invece la prova che un consenso informato sia stato effettivamente ed in modo esplicito prestato, ed il relativo onere ricade sul medico.
Suprema Corte di Cassazione sezione III sentenza 29 settembre 2015, n. 19212 Svolgimento del processo Con sentenza del 13/11/2012 la Corte d’Appello di Roma ha respinto il gravame interposto dalla sig. E.C.J. in relazione alla pronunzia Trib. Roma n. 39600/03, di rigetto della domanda proposta nei confronti del sig. F.F. e delle chiamate Società Assitalia...
Corte di Cassazione, sezione III, sentenza 28 settembre 2015, n. 39181. La condotta del locatore che concede il proprio immobile ad una prostituta non configura un aiuto all’attività di mercimonio del sesso
Suprema Corte di Cassazione sezione III sentenza 28 settembre 2015, n. 39181 Ritenuto in fatto 1 Con sentenza 31.1.2014 la Corte d’Appello di Milano – per quanto ancora interessa in questa sede – ha confermato la colpevolezza di P.C. per i reati di favoreggiamento e sfruttamento aggravato e continuato della prostituzione di una pluralità di...
Corte di Cassazione, sezione I, sentenza 29 settembre 2015, n. 39357. La pena applicata su richiesta delle parti per i delitti previsti dall’art. 73 D.P.R. n. 309 del 1990 in relazione alle droghe c.d. leggere, con pronuncia divenuta irrevocabile prima della sentenza della Corte Costituzionale n. 32 del 2014 deve essere necessariamente rideterminata in sede di esecuzione, con la precisazione che la pena deve essere rideterminata attraverso la “rinegoziazione” dell’accordo tra le parti, ratificato dal giudice dell’esecuzione, che viene interessato attraverso l’incidente di esecuzione attivato dal condannato o dal pubblico ministero. È stato quindi accolto il principio per cui pena illegale non è solo quella superiore alla sanzione edittale massima reintrodotta per effetto della pronuncia di incostituzionalità, ma anche quella applicata in base alla sanzione prevista dalla norma incostituzionale. Principio applicabile anche in sede esecutiva, la valutazione discrezionale del giudice nella individuazione della pena in concreto da applicare non può prescindere dagli “indicatori astratti” (il minimo e il massimo edittale) che il legislatore gli ha fornito. È nell’ambito di quello spazio sanzionatorio che il giudicante deve compiere la sua valutazione. Con la conseguenza che se detto spazio muta (si restringe o si dilata), mutano inevitabilmente i parametri entro i quali la valutazione in concreto deve essere effettuata. Per altro, in terna di sostanze stupefacenti, tale spazio sanzionatorio, con il ripristino della distinzione tra “droghe leggere” e “droghe pesanti”, conseguente alla sentenza del Giudice delle leggi rr. 32 del 2014, è stato sensibilmente ridisegnato, consentendo, di nuovo, il ricorso ad una forbice edittale (tanto per limitarsi alla sola pena detentiva) – da due a sei anni di reclusione – di gran lunga meno ampia (e meno severa) rispetto a quella posta a base delle statuizioni contestate, vale a dire da sei a venti anni di reclusione (tanto che, come si è anticipato, il massimo della prima corrisponde al minimo della seconda), così da comporre un quadro di riferimento non paragonabile a quello tenuto presente al momento delle pronunzie dei giudici del merito e da realizzare, pertanto; un sostanziale ridimensionamento dello stesso disvalore penale dei fatto
Suprema Corte di Cassazione sezione I sentenza 29 settembre 2015, n. 39357 Rilevato in fatto 1. Con ordinanza del 14 luglio 2014, ii Tribunale di Cagliari accoglieva parzialmente l’istanza di ridete rm inazione della pena formulata da G.Z. m relazione alle sentenze di applicazione della pena n. 26/2012 e n. 181/2013, emesse dal G U...