Cassazione 12

SUPREMA CORTE DI CASSAZIONE

SEZIONE III

SENTENZA 30 settembre 2015, n. 19552

Ritenuto in fatto

S.P. citò in giudizio dinanzi al Tribunale di Trieste la SANTANDER CONSUMER BANK S.p.A., già BANCA FINCONSUMO S.p.A., chiedendo accertarsi nulla essere da lui dovuto alla convenuta in forza ed in conseguenza del contratto in data 20 dicembre 2003, nonché ordinarsi la cancellazione del nominativo dalla centrale rischi e banche dati collegate. L’attore dedusse che aveva stipulato il 20-12-2003, in Trieste, contratto di compravendita con la Mobili San Giusto di Giorgio Dragan & C. s.a.s., relativo all’acquisto di una cabina-armadio per il prezzo di Euro 5.400,00; che contestualmente aveva stipulato con la Banca Finconsumo S.p.A. contratto di finanziamento, collegato al contratto di compravendita, che prevedeva il pagamento del mobile sopra indicato, e puntualmente individuato nel contratto di finanziamento, direttamente a favore del venditore, a fronte della vendita e della consegna; che, malgrado questa non fosse avvenuta, l’istituto finanziatore aveva provveduto al versamento integrale del prezzo al venditore; che, a seguito di diffida ad adempiere, era intervenuta risoluzione del contratto di compravendita, ai sensi dell’art. 1454 cod. civ., per inadempimento del venditore, la Mobili San Giusto s.a.s., che non aveva mai consegnato la cabina-armadio, malgrado le ripetute richieste dell’acquirente; che questa risoluzione aveva comportato il venir meno della causa del contratto di mutuo, da considerarsi come mutuo di scopo funzionalmente collegato al contratto di compravendita, con conseguente insussistenza dell’obbligazione restitutoria a suo carico e rimborso a carico, invece, del venditore, al quale l’importo del finanziamento era stato direttamente versato.
2. Si costituì in giudizio la Santander Consumer Bank S.p.A., già Banca Finconsumo S.p.A., e ricostruiti in termini generali i rapporti intercorrenti tra i soggetti interessati da operazioni di credito al consumo ed invocato l’insegnamento di Cass. n. 12667/2004 (secondo quanto si legge nella sentenza impugnata), dedusse l’insussistenza di collegamento tra il finanziamento oggetto di causa e la compravendita stipulata dallo S. con la Mobili San Giusto s.a.s., per quanto risultava dalla clausola n.3 del testo del contratto di finanziamento. Aggiunse che, in mancanza di una convenzione in esclusiva tra finanziatore e venditore, non poteva trovare spazio applicativo il disposto di cui all’art. 42 del Codice del Consumo, in ordine all’inopponibilità delle eccezioni relative al rapporto di vendita. La convenuta, con domanda riconvenzionale, chiese la condanna dello S. al pagamento delle rate ancora da rimborsare e degli interessi, oltre che delle spese del procedimento.
3. Con sentenza n. 341 del 2011, il Tribunale di Trieste, rigettò la domanda attorea, condannò in via riconvenzionale lo S. al pagamento in favore di Santander Consumer Bank s.p.a. dell’importo di Euro 5.896,34, oltre interessi di mora, al tasso del 18% annuo con decorrenza dal 28-06-2005 a saldo e spese di lite.
4. Avverso la predetta sentenza, lo S. ha proposto appello, ribadendo la domanda formulata in primo grado; l’appellata si è costituita ed ha riproposto le eccezioni e difese già accolte dal primo giudice.
5. Con la decisione ora impugnata, pubblicata il 17 Febbraio 2012, la Corte di Appello di Trieste ha rigettato l’appello ed ha confermato la gravata sentenza, compensando tra le parti le spese di lite.
6. Avverso la sentenza S.P. propone ricorso affidato a cinque motivi, illustrati da memoria. La Santander Consumer Bank S.p.A., già Banca Finconsumo S.p.A. si difende con controricorso.

Motivi della decisione

1.- Col primo motivo il ricorrente deduce violazione e falsa applicazione degli articoli 1322 e 1362 cod. civ. sull’autonomia negoziale e sull’interpretazione del contratto. Il ricorrente critica la sentenza impugnata nella parte in cui la Corte d’Appello – dopo avere ricordato che il collegamento negoziale costituisce un’espressione del principio di autonomia negoziale delle parti sancito dall’art. 1322 c.c. ed è lo strumento con il quale si persegue un risultato economico complesso che viene realizzato attraverso una pluralità di contratti tra loro uniti, connessi e coordinati e tale per cui le vicissitudini dell’uno vanno inequivocabilmente a ripercuotersi sull’altro – in merito al contratto di finanziamento in questione, ha effettuato l’indagine relativa all’interpretazione facendo riferimento ad un unico elemento ossia alla clausola contenuta nell’art. 3 (la quale prevede espressamente l’inopponibilità al finanziatore di eccezioni relative al rapporto con il fornitore), ritenendo ‘non dirimenti’ altre circostanze individuate, invece, dall’appellante quali indici del collegamento negoziale (modello del contratto di finanziamento predisposto direttamente presso il mobilificio del venditore; indicazione dell’importo corrispondente al prezzo pattuito; erogazione di questo direttamente in favore del venditore). Il ricorrente sostiene che, al contrario, tutti tali elementi, considerati unitamente ad altri (convenzione esistente tra venditore e finanziatore; stipulazione contestuale dei due contratti; precisa descrizione del mobilio anche nel contratto di finanziamento), avrebbero dovuto essere valutati come idonei ad evidenziare il collegamento negoziale, e l’esistenza di un mutuo di scopo, come da giurisprudenza di merito e di legittimità richiamata in ricorso.

1.1.- Col secondo motivo il ricorrente deduce violazione e/o falsa applicazione di norme di diritto in relazione all’art. 42 del codice del consumo.

Il ricorrente sostiene che l’inapplicabilità nel caso di specie delle tutele previste dall’art.42 del codice del consumo non è mai stata messa in dubbio (trattandosi di norma invocata dalla controparte), ma che la stessa non avrebbe alcuna interferenza con la questione concernente la sussistenza del collegamento negoziale.

Ed invero, secondo il ricorrente, la carenza del requisito del rapporto di esclusiva, non determinerebbe in alcun modo l’impossibilità per il consumatore di resistere, pur se non di agire, alle pretese del finanziatore in caso di inadempimento del venditore.

Dopo aver evidenziato lo scopo di detta norma, volta ad aumentare la tutela del consumatore, il ricorrente deduce che il fine da lui perseguito sin dal principio non è stato quello di rivalersi, per l’inadempimento del fornitore, sul finanziatore, bensì quello di far valere il collegamento negoziale sussistente tra i due negozi e conseguentemente far valere l’intervenuta risoluzione del contratto di compravendita e quindi la caducazione del collegato contratto di finanziamento, a prescindere da qualsiasi patto di esclusiva. A tale fine, sostiene di aver agito in via ordinaria, avvalendosi di rimedi riconosciuti dal diritto interno, in linea con quanto affermato anche dalla Corte di Giustizia nella causa C-509/07 Scarpelli, che sarebbe stata mal intesa da entrambi i giudici di merito.

1.2.- Col terzo motivo il ricorrente deduce violazione o falsa applicazione di norme di diritto in relazione agli articoli 33 e 36 del codice del consumo.

Il motivo si articola di fatto in due censure.

Con la prima – sostanzialmente complementare al primo motivo di ricorso – si rileva l’errore nel quale sarebbe incorsa la Corte d’Appello nell’attribuire valore determinante, al fine di escludere il collegamento negoziale, alla clausola n. 3 delle condizioni generali del contratto di finanziamento. Secondo la Corte, infatti, questa appare come “diretta a mantenere l’indipendenza dei due contratti”. Al contrario, secondo il ricorrente, la presenza di questa clausola (volta a rendere inopponibili alla banca le eccezioni concernenti il contratto di compravendita) darebbe conferma del collegamento tra i due contratti.

Con una seconda censura si afferma che la clausola in parola avrebbe dovuto essere reputata nulla ai sensi degli articoli 33 e 36 del codice del consumo, dovendo la stessa essere considerata vessatoria, in quanto volta a limitare la facoltà del consumatore di opporre eccezioni fondate sul rapporto negoziale, come da giurisprudenza richiamata in ricorso.

1.3.- Col quinto motivo il ricorrente, sotto l’apparente denuncia del vizio di motivazione, lamenta la mancata considerazione, da parte del giudice del merito, dell’orientamento giurisprudenziale per il quale la fattispecie in esame andrebbe qualificata in termini di collegamento negoziale, così di fatto prospettando come corretto in diritto tale orientamento, invece disatteso da entrambi i giudici di merito.

2.- I primi due motivi ed il quinto, nonché la prima censura del terzo vanno esaminati congiuntamente poiché relativi all’unica fondamentale questione posta dal ricorso che è quella della qualificazione del contratto di finanziamento stipulato tra le odierne parti processuali in data 20 dicembre 2003 e del suo collegamento negoziale con il contratto di compravendita stipulato in pari data tra il ricorrente, soggetto finanziato, ed un terzo soggetto, venditore/fornitore.

Di tale questione, nonché di quella connessa della riconducibilità del finanziamento alla nozione di credito al consumo e delle conseguenze che ne derivano nel caso in cui si ritenga l’applicabilità della relativa disciplina, si è di recente occupata questa Corte con la sentenza n. 20477 del 29 settembre 2014.

Le massime ufficiali sono espresse nei seguenti termini: “Ai sensi degli artt. 121 e 124 del d.lgs. 1 settembre 1993, n. 385, nel testo originario, applicabile ratione temporis, tra i contratti di credito al consumo finalizzati all’acquisto di determinati beni o servizi ed i contratti di acquisto dei medesimi ricorre un collegamento negoziale di fonte legale, che prescinde dalla sussistenza di una esclusiva del finanziatore per la concessione di credito ai clienti dei fornitori”;

“In tema di credito al consumo, nel caso di inadempimento del fornitore di beni e servizi, l’azione diretta del consumatore contro il finanziatore, prevista dall’art. 125, comma 4, del d.lgs. 1 settembre 1993, n. 385, nel testo originario, applicabile ratione temporis, si aggiunge alle comuni azioni contrattuali per le quali non vigono le condizioni stabilite da detta norma, spettando al giudice, in applicazione dei principi generali, individuare gli effetti del collegamento negoziale istituito per legge tra il contratto di finanziamento e quello di vendita”.

Esse comportano l’accoglimento dei detti motivi di ricorso.

3.- Ed invero, anche nel caso di specie, la disciplina di riferimento è quella degli artt. 121 e seg. del decreto legislativo 1 settembre 1993 n. 385 (T.U.B.), poiché i contratti di compravendita e di finanziamento sono stati stipulati entrambi il 20 dicembre 2003, quindi prima dell’entrata in vigore del decreto legislativo 6 settembre 2005 n. 206.

Peraltro, rileva – per come reso evidente dagli esposti motivi di ricorso – anche l’intervento attuato successivamente con le previsioni degli articoli da 40 a 43 di tale decreto legislativo n. 206/2005 (codice del consumo). Rileva altresì, sia pure ai soli fini interpretativi già evidenziati nella sentenza n. 20477/14, l’attuale disciplina risultante dalla sostituzione dell’intero capo 11 del titolo VI del T.U.B. realizzata con l’art. 1, comma 1, del decreto legislativo 13 agosto 2010 n. 141.

Rinviando integralmente alla motivazione della sentenza n. 20477/14 in merito agli orientamenti precedentemente manifestati da questa Corte nell’esaminare casi analoghi al presente (alcuni dei quali richiamati nel quinto motivo di ricorso, altri richiamati nel controricorso – a sostegno delle tesi rispettivamente sostenute dalle parti), è sufficiente qui ribadire che la diversità di soluzioni adottate in situazioni apparentemente analoghe è stata conseguenza dell’applicazione del principio per il quale la sussistenza di un collegamento tra due negozi giuridici si desume dalla volontà delle parti e l’interpretazione di tale volontà costituisce quaestio facti insindacabile in sede di legittimità, se immune da vizi logici e da violazione delle norme ermeneutiche di cui agli artt. 1362 e seguenti cod. civ. (cfr., tra le tante, Cass. n. 14611/05, n. 5851/06, n. 18884/08, n. 24792/08). Come evidenziato nel precedente del 2014 in esame, l’applicazione di questo principio ha portato a soluzioni differenti, poiché differentemente è stata interpretata dai giudici di merito la volontà delle parti espressa nelle diverse clausole contrattuali.

Detto principio – per il quale le parti, nell’esplicazione della loro autonomia negoziale, possono dare vita a più negozi distinti ed indipendenti, ovvero a più negozi tra loro collegati, rientrando nei compiti esclusivi del giudice di merito l’accertamento della natura, dell’entità, delle modalità e delle conseguenze del collegamento negoziale – va ribadito con riguardo al collegamento negoziale attuato per volontà delle parti, ma è da ritenersi non idoneo a regolare la fattispecie di collegamento negoziale in oggetto.

3.1.- Il caso oggetto del presente ricorso ricade sotto la disciplina degli artt. 121 e seg. del decreto legislativo n. 385 del 1993 (essendo stato, come detto, il contratto di finanziamento stipulato il 20 dicembre 2003).

Riguardo a tale disciplina, la sentenza n. 20477/14 così motiva:

“[-] l’art. 121 del decreto legislativo n. 385 del 1993 […] fornisce la seguente nozione di credito al consumo: per credito al consumo si intende la concessione, nell’esercizio di un’attività commerciale o professionale, di credito sotto forma di dilazione di pagamento, di finanziamento o di altra analoga facilitazione finanziaria a favore di una persona fisica che agisce per scopi estranei all’attività imprenditoriale o professionale eventualmente svolta (consumatore), prevedendo anche le categorie di soggetti cui è riservato il relativo esercizio. La disciplina del contratto si rinviene nell’art. 124. Questo, dopo aver previsto a pena di nullità la forma scritta, mediante rinvio all’art. 117, comma 1 e 3, ed aver previsto i requisiti del contratto in genere, differenzia, tra le possibili fattispecie contrattuali, quella prevista dal terzo comma, disponendo che … i contratti di credito al consumo che abbiano a oggetto l’acquisto di determinati beni o servizi contengono a pena di nullità: a) la descrizione analitica dei beni e dei servizi; b) il prezzo di acquisto in contanti, il prezzo stabilito nel contratto e l’ammontare dell’eventuale acconto; c) le condizioni per il trasferimento del diritto di proprietà, nei casi in cui il passaggio della proprietà non sia immediato”.

Nel recepire la direttiva comunitaria 87/102/CEE del 22 dicembre 1986, dapprima con la legge comunitaria 19 settembre 1992 n. 142, poi trasfusa nelle norme del T.U.B., il legislatore italiano, a differenza di quello di altri Paesi Europei, non ha espressamente ricondotto quest’ultima tipologia contrattuale alla nozione del collegamento negoziale, vale a dire che non ha espressamente qualificato il contratto di credito avente ad oggetto l’acquisto di determinati beni o servizi come contratto collegato al contratto di compravendita. Tuttavia il dato normativo sopra riportato, tanto più tenuto conto della normativa di fonte comunitaria con esso recepita e delle successive vicende di questa e della normativa interna derivata, di cui appresso, è inequivocabilmente nel senso di riconoscere l’esistenza di un collegamento tra il contratto di credito al consumo ed il contratto di acquisto; riconoscimento che, essendo di fonte legale, rileva in primo luogo per gli effetti previsti dalla stessa normativa che lo contiene, ma, come si dirà, non esclusivamente.

… omissis…

È […] rilevante evidenziare come sia la legge stessa a configurare un collegamento negoziale a carattere funzionale per il quale, a determinate condizioni (inserimento nel contratto dei requisiti di cui alle lettere a, b, e o), contratto di credito e contratto di acquisto vengono ad essere unitariamente considerati sotto il profilo giuridico (e non solo economico), onde tutelare la parte comune ai due contratti, cioè il consumatore, finanziato ed acquirente. Si tratta di un collegamento negoziale in senso proprio dal momento che il nesso tra i negozi non è affatto occasionale, bensì dipendente dalla genesi stessa del rapporto, dalla circostanza cioè che uno dei due negozi trova la propria causa nell’altro, sicché è la legge stessa che coordina i negozi, facendo assurgere la connessione teleologica ad elemento della fattispecie”.

3.2.- Questa motivazione in tutto e per tutto si attaglia anche alla decisione del presente ricorso. Le ragioni ivi esposte comportano intanto l’accoglimento del primo motivo di ricorso. Infatti, non è conforme a diritto la decisione impugnata che ha escluso proprio quel collegamento tra contratto di compravendita e contratto di finanziamento che avrebbe dovuto essere reputato esistente in quanto collegamento di fonte legale tra contratti, sulla base degli indici come sopra individuati dal legislatore (vale a dire oltre ai requisiti di cui al secondo comma dell’art. 124 T.U.B., anche quelli di cui al terzo comma della stessa norma) tutti presenti nel caso di specie, e mal valutati dalla Corte di merito.

4.- La tutela specifica, nell’ipotesi del detto collegamento negoziale di fonte legale, è assicurata dal quarto e dal quinto comma dell’art. 125, poi trasfusi nell’art. 42 del decreto legislativo n. 206 del 2005, che prevedono: “Nei casi di inadempimento del fornitore di beni e servizi, il consumatore che abbia effettuato inutilmente la costituzione in mora ha diritto di agire contro il finanziatore nei limiti del credito concesso, a condizione che vi sia un accordo che attribuisce al finanziatore l’esclusiva per la concessione di credito ai clienti del fornitore. La responsabilità (prevista dal comma 4) si estende anche al terzo, al quale il finanziatore abbia ceduto i diritti derivanti dal contratto di concessione del credito”.

È corretta l’affermazione posta a base del secondo motivo di ricorso per la quale, disponendo come sopra, il legislatore italiano ha dato attuazione alla previsione dell’art. 11 della direttiva comunitaria 87/102/CEE del 22 dicembre 1986.

Per come si legge nella motivazione della sentenza n. 20477/14, ciò ha fatto “… in termini strettamente conformi al dettato di quest’ultimo, senza avvalersi dello spazio che pure la norma comunitaria aveva lasciato agli Stati membri per garantire una tutela più ampia al consumatore.

Orbene, l’unitarietà della causa economica sottesa alla pluralità dei contratti (di finanziamento e di fornitura) consente di qualificare in termini di collegamento negoziale la fattispecie delineata dal legislatore nel precedente art. 124, comma terzo, a prescindere dall’esistenza dell’accordo che attribuisca al finanziatore l’esclusiva per la concessione di credito ai clienti del fornitore, contemplato nel successivo art. 125. È questa una delle due condizioni poste per consentire l’azione diretta del consumatore nei confronti del finanziatore, ma non è certo condizione necessaria per riconoscere l’esistenza di un contratto di credito al consumo, la cui nozione generale è delineata dall’art. 121. In particolare, la tipologia di contratto di credito al consumo prevista dal terzo comma dell’art. 124 prescinde dal rapporto tra finanziatore e fornitore, spesso peraltro presente in forma di convenzione (non esclusiva), essendo sufficiente che l’operazione di finanziamento risulti finalizzata all’acquisto di un bene (o servizio) determinato, scelto dal consumatore prima di accedere al finanziamento, e perciò individuato già nel contratto di finanziamento e pagato direttamente dal finanziatore al fornitore.

Piuttosto, occorre verificare, per via di interpretazione sistematica, se il delineato collegamento negoziale di fonte legale possa produrre effetti diversi da quelli per i quali esso è stato normativamente previsto. In particolare, per quanto qui rileva, occorre delibare la questione, su cui si è in gran parte basata la difesa della resistente, anche nei gradi di merito, se l’unica possibilità di tutela offerta al consumatore sia quella prevista dal quarto comma dell’art. 125 T.U.B., che gli consente l’azione diretta nei confronti del finanziatore, in caso di inadempimento del fornitore di beni e servizi, soltanto in presenza di messa in mora e di patto di esclusiva; e che, alle stesse condizioni, è da ritenere consentita anche la sospensione del pagamento delle rate con l’exceptio inadimplenti contracrus”.

4.1.- La questione è stata affrontata dalla Corte di Giustizia nei termini dettagliatamente esposti nella motivazione di cui a Cass. n. 20477/14, alla quale qui integralmente si fa rinvio per comodità espositiva. Questa conferma la correttezza in diritto di quanto sostenuto col secondo motivo di ricorso.

Al fine di giustificare l’accoglimento di questo motivo è sufficiente ribadire che la direttiva 87/102/CEE non può certo essere intesa come volta a derogare a disposizioni di diritto interno più favorevoli. Piuttosto, come sostenuto anche nel ricorso, essa consente una tutela interna poziore e questa ben può essere assicurata, nell’ordinamento nazionale, dal ricorso allo schema del collegamento negoziale. Questo è stato invocato appunto, sin dal primo grado di giudizio, dall’odierno ricorrente, il quale ha espressamente escluso di avere agito o di aver inteso fondare la sua azione nei confronti della resistente sull’art. 125 del T.U.B. (poi art. 42 del codice del consumo).

5.- D’altronde sono numerosi i precedenti di legittimità che hanno riconosciuto, in caso di accertato collegamento negoziale, sia pure di fonte volontaria, il diritto di richiedere la risoluzione del contratto di finanziamento a seguito della risoluzione del contratto di compravendita collegato (cfr., da ultimo, Cass. n. 22603/09, n. 3589/10).

Individuato come sussistente un collegamento negoziale derivante da una fonte legale, la diversità della fonte non osta certo a trarre dal collegamento sia gli effetti espressamente previsti dalla legge che istituisce quel collegamento, sia tutti gli altri che, in materia di contratti collegati, la normativa contrattuale consente di riconoscere, quanto alla delibazione di validità delle clausole del contratto di finanziamento e quanto alla regolamentazione delle patologie dello stesso rapporto e di quello derivante dal contratto collegato.

Riscontro normativo della soluzione interpretativa qui raggiunta, in linea di continuità con la sentenza n. 20477/14, si rinviene, a parere del Collegio, nella normativa comunitaria ed interna sopravvenuta, di cui rispettivamente alla direttiva 2008/48/CE del 23 aprile 2008, relativa ai contratti di credito “ai consumatori”, ed al decreto legislativo 13 agosto 2010 n. 141, che ha sostituito l’intero capo del T.U.B. dedicato, nel testo attuale, al “credito ai consumatori”.

Rinviando per l’esame di questi ultimi al menzionato precedente del 2014, e pur dovendosi escludere che la normativa sopravvenuta sia applicabile nel caso di specie, va qui ribadito che essa conferma la correttezza della lettura che della previgente disciplina si è inteso dare in termini di riconoscimento implicito di un collegamento negoziale di fonte legale tra credito al consumo e contratto di acquisto di bene determinato. Al riguardo, è significativo che gli effetti del collegamento negoziale come positivamente disciplinati dal decreto legislativo n. 141 del 2010, finiscano per coincidere con gli effetti del collegamento negoziale, riconoscibili alla stregua dei principi elaborati in materia contrattuale.

6.- Le norme degli artt. 121, comma primo, e 124, comma terzo, del T.U.B. sopra richiamate vanno applicate, dato che sono indiscusse le qualità di consumatore dell’acquirente/finanziato S. e di intermediario finanziario abilitato all’esercizio del credito al consumo della Santander Consumer Bank S.p.A., già Banca Finconsumo S.p.A. e che il contratto di finanziamento, stipulato per iscritto, conteneva le indicazioni previste dal secondo e dal terzo comma dell’art. 124. In punto di fatto non sono contestate le seguenti circostanze:

– il contratto di finanziamento venne concluso mediante la sottoscrizione da parte dello S. , presso la sede della Mobili San Giusto di Giorgio Dragan & C. S.a.s. in XXXXXXX, in data 20-12-2003, di un modulo a stampa predisposto dalla Banca Finconsumo S.p.A. (poi Santander Consumer Bank S.p.A.);

– la richiesta di finanziamento venne avanzata per l’acquisto di un bene determinato, cioè del mobilio cabina-armadio marca Move/Zalf, esattamente descritto nello stesso modulo, ed in questo venne indicato anche il prezzo di acquisto in Euro 5.400,00;

– la somma finanziata venne versata interamente dal finanziatore al venditore nel febbraio del 2004, in forza di una convenzione esistente tra i due, per se non contenente un patto di esclusiva;

– la somma versata al venditore venne richiesta insistentemente al compratore, odierno ricorrente, da parte dell’istituto finanziatore, odierno resistente, malgrado il mobile non fosse stato consegnato dal venditore, frattanto fallito.

Poiché, alla stregua dei principi di cui sopra, è configurabile un collegamento negoziale tra il contratto di credito al consumo ed il contratto di compravendita, è errata e va cassata la sentenza impugnata che ha escluso l’esistenza di questo collegamento negoziale sulla base di un procedimento ermeneutico non conforme alle previsioni dei menzionati artt. 121 e 124 del decreto legislativo n. 385 del 1993.

7.- Resta assorbito il quarto motivo di ricorso, relativo alla valutazione del comportamento dell’istituto di credito finanziatore in base ai criteri di correttezza e buona fede di cui agli artt. 1175 e 1375 cod. civ., mentre la questione della liceità della clausola di cui all’art. 3 del contratto di finanziamento, di cui alla seconda censura del terzo motivo, va rimessa al giudice del rinvio. Questo, data per certa l’esistenza di un collegamento negoziale di fonte legale tra il contratto di compravendita ed il contratto di finanziamento, dovrà infatti procedere all’esame delle clausole di quest’ultimo contratto, per verificarne la liceità, e trarre comunque le conseguenze, in concreto, dell’incidenza della risoluzione contrattuale del contratto di compravendita sul contratto collegato di finanziamento.

Giova precisare che il ricorrente sostiene che il contratto di compravendita si sarebbe risolto a seguito di diffida ad adempiere da lui inviata ai sensi dell’art. 1454 cod. civ., cui non seguì mai la consegna del bene, con conseguente grave inadempimento del venditore, poi fallito. Sebbene la circostanza dell’invio di diffida ad adempiere non sia, in sé, contestata, su di essa non risulta, allo stato, effettuato un accertamento in fatto, che va perciò rimesso al giudice del rinvio. Non rileva, invece – contrariamente a quanto sostenuto nel controricorso – che non sia stata proposta un’apposita domanda di risoluzione del contratto di compravendita, trattandosi di risoluzione operante di diritto, ove si riscontri l’esistenza dei presupposti del richiamato art. 1454 cod. civ..

Va rimessa al giudice di rinvio anche la decisione sulle spese del giudizio di cassazione.

P.Q.M.

La Corte accoglie il ricorso per quanto di ragione, cassa la sentenza impugnata e rinvia alla Corte d’Appello di Trieste, in diversa composizione, anche per la decisione sulle spese del giudizio di cassazione.

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