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Corte di Cassazione,s ezione IV, sentenza 18 marzo 2016, n. 11641. In tema di responsabilità omissiva dei medico per la morte dei paziente, la verifica dell’esistenza del nesso di causalità tra la condotta omissiva dei sanitario e l’evento lesivo presuppone l’effettuazione del cosiddetto “giudizio controfattuale” diretto a stabilire se l’azione o le condotte positive ritenute doverose ed invece omesse, nel caso concreto, ove ipotizzate come poste in essere dall’imputato, sarebbero state idonee ad evitare l’evento od a ritardarne significativamente la sopravvenienza: tale verifica deve in concreto operarsi, in termini di ragionevole certezza (“alto grado di credibilità razionale” o “probabilità logica”), secondo tutte le circostanze che connotano il caso, e non già in termini di mera probabilità statistica pur rivelatrice di “serie ed apprezzabili probabilità di successo” per l’azione impeditiva dell’evento. Ai fini della responsabilità penale per un reato colposo, non è sufficiente che risulti accertata la violazione di una regola cautelare, che essa si ponga in rapporto causale con l’evento prodottosi e che questo costituisca “concretizzazione del rischio” che la regola cautelare si prefigga di contrastare: è infatti necessario anche che l’evento risulti “evitabile” dalla condotta diligente che si è mancato di tenere

Suprema Corte di Cassazione sezione IV sentenza 18 marzo 2016, n. 11641 Ritenuto in fatto La parte civile C.L. ricorre avverso la sentenza di cui in epigrafe che, confermando quella di primo grado, ha rigettato l’appello proposto dalla stessa parte civile nei confronti della sentenza del GUP che aveva mandato B.G. assolto con la formula...

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Corte di Cassazione, sezione IV, sentenza 14 marzo 2016, n. 10720. In tema di custodia di animali, l’obbligo di custodirlo in modo adeguato idoneo ad evitare danni a terzi sorge ogni volta che sussista una relazione di possesso o di semplice detenzione tra l’animale e una data persona, posto che l’articolo 672 c.p. relaziona l’obbligo di non lasciare libero l’animale o di custodirlo le debite cautele al possesso dell’animale e tale obbligo cautelare si correla appunto all’esigenza di evitare rischi a terzi che possano entrare in contatto con l’animale. Sotto questo profilo, nel ricorso si fa erroneo richiamo a quell’orientamento giurisprudenziale che ha affrontato specificamente il tema della custodia di un animale in ambiente recintato dove terzi estranei, non titolari dei diritto di entrare e/o frequentare quel luogo, abbiano fatto accesso e siano venuti in contatto con l’animale. Tale orientamento si giustifica con riferimento a situazioni in cui terzi entrino nella proprietà altrui, dove sono liberi ed incustoditi animali, e mira a disciplinare il comportamento cautelare imposto al titolare dell’animale. Diversa è la questione della custodia di animali lasciati liberi in spazi recintati ma di uso comune [l’ipotesi tipica è quella del condominio chiuso all’esterno e caratterizzato dalla presenza di spazi interni comuni dove, in ipotesi, l’animale può essere lasciato libero]. Rispetto a tali situazioni è evidente che l’obbligo di custodia non può che avere come contenuto quel minimo di regole prudenziali che evitino rischi per l’incolumità degli altri legittimi frequentatori del sito, pur non definibili come estranei nei termini di cui i è detto

Suprema Corte di Cassazione sezione IV sentenza 14 marzo 2016, n. 10720 Ritenuto in fatto P.P. ricorre avverso la sentenza di cui in epigrafe che, riformando in melius quella di primo grado quanto al trattamento sanzionatorio [pur non essendogli state riconosciute le generiche la pena è stata ridotta], ne ha confermato peraltro il giudizio di...

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Corte di Cassazione, sezione I, sentenza 18 marzo 2016, n. 11595. L’art. 116 cod. pen. – che non contempla un’ipotesi di pura responsabilità oggettiva-postula che l’evento più grave debba essere voluto da almeno uno dei concorrenti. La norma incentra la costruzione strutturale del paradigma sulla realizzazione di un “reato diverso”. È un sintagma “aperto” che risulta idoneo ad includere i fatti legati da una relazione specifica tra il delitto eseguito e quello, di converso ed effettivamente, voluto da uno dei partecipi. Deve, innanzitutto, osservarsi che, allorquando il reato “diverso” rappresenti il mezzo o la modalità di esecuzione necessaria, per il conseguimento del risultato collettivamente voluto, esso finisce per rientrare ex se nel programma obiettivo comune. In questi casi non sembra che residui spazio concreto per pensare all’applicazione dell’ad 116 cod. pen.. Ciò accade in tutte le ipotesi in cui il reato “diverso” si pone in un nesso “relazionale” specifico rispetto al piano comune, con crismi di tale connessione strumentale o teleologica, che lo fanno assurgere a “mezzo commissivo esclusivo” dell’ulteriore delitto programmato. In questi casi il concorso si qualifica attraverso la fattispecie di cui all’ad 110 cod. pen., poiché l’adesione all’azione collettiva porta con sé necessariamente la previsione e l’accettazione della modalità d’attuazione dell’iter criminis comune e, dunque, del delitto accessorio ed ulteriore attraverso cui la condotta collettiva deve necessariamente passare per conseguire l’obiettivo finale dell’azione concordata. In questi casi il dolo della partecipazione attrae il dinamismo obiettivo dell’azione, che concretizza l’esecuzione del programma comune e si estende alla necessaria pluralità di fattispecie. Si è, piuttosto, al cospetto di un “reato diverso” allorquando rilevino fattispecie collegate da un nesso di pura eventualità a quella da realizzare o che siano in possibile e consequenziale sviluppo di essa, anche avuto riguardo alla natura dei beni giuridici messi in pericolo o lesi. In questi casi il vincolo relazionale tra fattispecie non è retto da nessi di collegamento necessari ed il reato ulteriore e diverso accede al programma comune, si è detto, con carattere di pura eventualità. In questo ambito va enucleata l’ipotesi in cui il reato diverso sia frutto di eventi o fattori del tutto eccezionali ed atipici.

Suprema Corte di Cassazione sezione I sentenza  18 marzo 2016, n. 11595 Ritenuto in fatto 1. Con sentenza del 9 maggio 2014 la Corte d’assise d’appello di Trieste, in parziale riforma della sentenza emessa dal Giudice per l’udienza preliminare del Tribunale di Trieste in data 4 novembre 2013, concessa a C.V. l’attenuante di cui all’art....

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Corte di Cassazione, sezione III, sentenza 7 marzo 2016, n. 9209. Il concetto di particolare tenuità del fatto previsto all’art. 171 ter, comma terzo, legge sul diritto d’autore implica un giudizio globale del fatto che non può essere circoscritto al solo dato quantitativo del numero di pagine illecitamente fotocopiate, occorrendo prendere in esame altre circostanze previste dall’art. 133 cod. pen. quali le modalità della condotta, i suoi scopi, la sistematicità della stessa e la capacità a delinquere del reo

Suprema Corte di Cassazione sezione III sentenza 7 marzo 2016, n. 9209 REPUBBLICA ITALIANA IN NOME DEL POPOLO ITALIANO LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE SEZIONE TERZA PENALE Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati: Dott. SQUASSONI Claudia – Presidente Dott. GRILLO Renato – rel. Consigliere Dott. GENTILE Andrea – Consigliere Dott. PEZZELLA Vincenzo – Consigliere Dott. ANDRONIO...

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Corte di Cassazione, sezione IV, sentenza 3 marzo 2016, n. 8883. Il datore di lavoro che ha fornito tutti i mezzi idonei alla prevenzione e ha adempiuto a tutte le obbligazioni proprie della sua posizione di garanzia non risponde dell’evento derivante da una condotta imprevedibilmente colposa del lavoratore

Suprema Corte di Cassazione sezione IV sentenza 3 marzo 2016, n. 8883 REPUBBLICA ITALIANA IN NOME DEL POPOLO ITALIANO LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE SEZIONE QUARTA PENALE Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati: Dott. BLAIOTTA Rocco Marco – Presidente Dott. GIANNITI Pasquale – Consigliere Dott. CAPPELLO Gabriella – Consigliere Dott. PEZZELLA Vincenzo – rel. Consigliere Dott....

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Corte di Cassazione, sezione V, sentenza 2 marzo 2016, n. 8648. Poiché il Giudice di pace deve depositare la motivazione entro 15 giorni qualora non la detti a verbale, la motivazione depositata oltre detto periodo deve ritenersi depositata fuori termine ed il relativo termine per impugnare è quello di giorni trenta, decorrenti dal giorno in cui sia avvenuta la notificazione

Suprema Corte di Cassazione sezione V sentenza 2 marzo 2016, n. 8648 REPUBBLICA ITALIANA IN NOME DEL POPOLO ITALIANO LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE SEZIONE QUINTA PENALE Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati: Dott. BRUNO Paolo Antonio – Presidente Dott. SABEONE Gerardo – Consigliere Dott. ZAZA Carlo – rel. Consigliere Dott. SETTEMBRE Antonio – Consigliere Dott....