Corte di Cassazione, civile, Ordinanza|27 gennaio 2025| n. 1877.
Riunione cause e Preclusioni maturate valgono solo per la prima
Massima: Poiché la riunione di cause identiche non realizza una vera e propria fusione dei procedimenti, tale da determinarne il concorso nella definizione dell’effettivo “thema decidendum et probandum”, restando, anzi, intatta l’autonomia di ciascuna causa, il giudice – in osservanza del principio del “ne bis in idem” e allo scopo di non favorire l’abuso dello strumento processuale e di non ledere il diritto di difesa della parte in cui favore sono maturate le preclusioni – deve trattare soltanto la causa iniziata per prima, decidendo in base ai fatti tempestivamente allegati e al materiale istruttorio in essa raccolto, salva l’eventualità che, non potendo tale causa condurre ad una pronuncia sul merito, venga meno l’impedimento alla trattazione della causa successivamente instaurata. (Nella specie, la S.C. ha cassato con rinvio la sentenza impugnata, nella quale i giudici di merito avevano esteso ad un identico giudizio successivamente instaurato le preclusioni maturate nell’ambito di un primo giudizio di opposizione a decreto ingiuntivo, rimasto sostanzialmente privo di definizione, poiché la causa “aveva perso il suo oggetto”, essendo stato il provvedimento monitorio dichiarato inefficace in un autonomo procedimento ex art. 188 disp. att. c.p.c.).
Ordinanza|27 gennaio 2025| n. 1877. Riunione cause e Preclusioni maturate valgono solo per la prima
Integrale
Tag/parola chiave: Procedimento civile – Riunione e separazione di causa riunione di cause identiche – Autonomia delle cause – Decadenze processuali verificatesi nel primo giudizio – Superamento attraverso la trattazione del secondo giudizio – Esclusione – Ambito di applicazione del principio – Limitazione alla trattazione esclusiva del primo giudizio – Fattispecie.
REPUBBLICA ITALIANA
LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE
SEZIONE TERZA CIVILE
Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:
Dott. DE STEFANO Franco – Presidente
Dott. GIANNITI Pasquale – Consigliere
Dott. PELLECCHIA Antonella – Consigliera
Dott. GUIZZI Stefano Giaime – Consigliere-Rel.
Dott. ROSSI Raffaele – Consigliere
ha pronunciato la seguente
ORDINANZA
sul ricorso 17653-2021 proposto da:
Ca.Ca., elettivamente domiciliata in Roma, Corso Vi.Em., presso lo studio dell’Avvocato Da.FO., rappresentata e difesa dall’Avvocato Vi.CA.;
ricorrente
contro
Zu.Ma., elettivamente domiciliato in Roma, via Gi.BE., presso lo studio dell’Avvocato Cl.MO., rappresentato e difeso dall’Avvocato Li.MA.;
controricorrente
Avverso la sentenza n. 843/2021 della Corte d’Appello di Bologna, depositata il 26/01/2021;
udita la relazione della causa svolta nell’adunanza camerale del 02/10/2024 dal Consigliere Dott. Stefano Giaime GUIZZI.
Riunione cause e Preclusioni maturate valgono solo per la prima
FATTI DI CAUSA
1. Ca.Ca. ricorre, sulla base di sei motivi, per la cassazione della sentenza n. 843/21, del 26 gennaio 2021, della Corte d’Appello di Bologna, che – respingendone il gravame avverso la sentenza n. 1142/17, del 6 aprile 2017, del Tribunale di Bologna – ha confermato il rigetto dell’opposizione dalla stessa proposta avverso il decreto n. 7239/12, con cui il medesimo Tribunale bolognese le aveva ingiunto il pagamento, in favore di Zu.Ma., dell’importo di Euro 235.405,61, oltre interessi e spese della fase monitoria.
2. Riferisce, in punto di fatto, l’odierna ricorrente che lo Zu.Ma. – sulla base di copia di una scrittura privata datata 5 dicembre 2002, recante una pretesa dichiarazione con cui essa Ca.Ca. affermava di essere debitrice dello stesso, per l’importo di Lire 450.000.000 – conseguiva dal Tribunale di Bologna un primo decreto ingiuntivo (n. 204/09), oggetto di opposizione ex art. 650 cod. proc. civ.
In particolare, l’allora opponente, oltre ad assumere di non essere venuta a conoscenza del provvedimento monitorio a causa dell’inesistenza della sua notificazione, avvenuta due anni prima (tanto da vedersi accogliere il ricorso ex art. 188 disp. att. cod. proc. civ., con conseguente declaratoria di inefficacia dell’opposto decreto), disconosceva – non appena la scrittura allegata al ricorso per ingiunzione venne prodotta in originale, nel corso dell’instaurato giudizio di opposizione – la propria firma in calce a tale documento, della quale l’opposto, pertanto, chiedeva la verificazione. Inoltre, con la seconda memoria ex art. 183 cod. proc. civ., l’attrice in opposizione allegava una serie di circostanze volte a contrastare le causali della pretesa creditoria azionata in via monitoria dallo Zu.Ma., risultanti dalla suddetta scrittura del 5 dicembre 2022 (la principale delle quali era costituita da un presunto prestito, erogato alla Ca.Ca., per l’acquisto di un immobile, il P), tanto che l’opposto – a dire dell’odierna ricorrente – si vedeva costretto all’indicazione di altre causali. Tale attività assertiva, infatti, era diretta a comprovare che l’acquisto di detto immobile avvenne in virtù di decreto di trasferimento del 6 agosto 2002 del giudice delegato al fallimento di Sa.Cr., previo pagamento, in due tranche, del prezzo di acquisto, ovvero un acconto di Euro 46.500,00, anticipato per l’odierna ricorrente da tale Mo.Sa., nonché il restante importo (pari a Euro 371.620,00) dalla stessa versato in virtù di un mutuo fondiario concessole da un istituto di credito, la Banca di Imola, per l’ammontare di Euro 400.000,00.
Al suddetto giudizio ex art. 650 cod. proc. civ. ne veniva, poi, riunito altro – sempre promosso dall’odierna ricorrente – avverso un secondo decreto ingiuntivo (il n. 7239/12), conseguito dallo Zu.Ma. sulla base della medesima scrittura del 5 dicembre 2002.
Istruite le cause riunite anche mediante lo svolgimento di consulenza tecnica d’ufficio grafologica, all’esito l’opponente esperiva, in via incidentale, querela di falso, assumendo il difetto di autenticità della propria firma in calce alla suddetta scrittura. Rigettata la querela, l’adito Tribunale respingeva l’opposizione avverso il secondo provvedimento monitorio (n. 7239/12), avendo ritenuto tardive – e perciò precluse pure a fini probatori, e ciò pure nel secondo dei due giudizi di opposizione – le allegazioni in fatto, compiute nel primo giudizio, volte a contestare la valenza probatoria della scrittura suddetta.
Esperito gravame dalla già opponente contro il rigetto della querela e dell’opposizione, il giudice d’appello lo respingeva.
3. Avverso la sentenza della Corte felsinea ha proposto ricorso per cassazione la Ca.Ca., sulla base – come giù detto – di sei motivi, che attengono, ella precisa, alla sola reiezione della proposta opposizione ex art. 645 cod. proc. civ., attesa la rinuncia (come attesta il ricorso a pag. 25) a dolersi, nella presente sede di legittimità, del rigetto della querela di falso.
3.1. Il motivo indicato in ricorso come n. 1) denuncia – ex art. 360, comma 1, n. 4), cod. proc. civ., “in relazione all’art. 112 cod. proc. civ.” – “omessa pronuncia sul primo motivo di appello afferente il secondo capo della sentenza impugnata”.
Assume la ricorrente che il giudice d’appello, mentre rigettava il primo motivo d’appello riguardante il primo capo della sentenza allora impugnata (capo concernente la reiezione della querela di falso), avrebbe scrutinato esclusivamente i motivi terzo – con priorità, avendolo ritenuto pregiudiziale – e secondo, relativi, invece, al secondo capo della pronuncia del Tribunale, nel quale si affrontava la questione relativa all’assenza di qualsiasi contributo, offerto dallo Zu.Ma., al pagamento del prezzo di acquisto del “P”.
Nulla, per contro, la Corte bolognese statuiva – si sostiene -in merito al primo motivo d’appello, nella parte diretta a censurare l’affermazione con cui il giudice di prime cure aveva ritenuto “non convincente” la tesi dell’allora attrice, secondo cui l’acquisto del “Podere Gentilina” sarebbe avvenuto in forza di finanziamento rilasciato da un istituto di credito (la Banca di Imola) e grazie a un deposito cauzionale corrisposto dal Mo.Sa.
E ciò in quanto – a dire del Tribunale di Bologna – “il mutuo di Euro 400.000,00 è stato concesso il 5 dicembre 2002, sei mesi dopo l’aggiudicazione del bene a seguito di vendita con incanto e tre mesi dopo l’acquisto della proprietà del podere”. In particolare, il motivo di gravame, del quale è lamentata in questa sede l’omessa pronuncia, era diretto a dimostrare come “la circostanza dell’intervenuta anticipazione bancaria”, oltre che dall’estratto conto prodotto da essa Ca.Ca. e relativo all’emissione di assegni circolari in favore del fallimento per Euro 371.170,00, fosse “provata dalla scrittura privata 6 agosto 2002 allegata dall’opposto alla memoria ex art. 183, n. 3 del 5 settembre 2014”. Tale scrittura, infatti, attesterebbe che l’odierna ricorrente: a) “ha chiesto un affidamento straordinario alla Banca d’Imola di Euro 371.120,00 per poter saldare il prezzo di acquisto dell’immobile”; b) “ha contestualmente chiesto alla Banca d’Imola un mutuo fondiario della durata di dieci anni per l’importo di Euro 400.000,00 per poter ripianare l’anticipazione”; c) “ha ottenuto dalla Banca d’Imola il finanziamento di Euro 371.120,00 (…) che ha immediatamente versato alla curatela fallimentare per il saldo del prezzo di aggiudicazione”.
3.2. Il motivo indicato come n. 1-bis) denuncia – ex art. 360, comma 1, n. 4), cod. proc. civ. – “nullità del procedimento e conseguentemente della sentenza per violazione dell’art. 115 cod. proc. civ.”, oltre che “per erronea applicazione degli artt. 163, 167 e 184 cod. proc. civ. fondanti il sistema preclusivo assertivo e probatorio”, nonché “violazione degli artt. 24 e 111 Cost. in ordine alla “ipotizzata” pronuncia di decadenza dell’intervenuto pagamento della somma di Euro 371.120,00 senza l’apporto di Zu.Ma.”.
Si censura la sentenza impugnata, per aver motivato il rigetto del secondo motivo d’appello in forza della supposizione – indicata come errata – che l’allora appellante avesse dedotto “erronea valutazione delle emergenze processuali in punto dell’avvenuto
pagamento della somma di Euro 371.120,00 con l’apporto di Zu.Ma. Maurizio”, mentre la doglianza proposta investiva, diversamente, il cattivo apprezzamento delle emergenze processuali in relazione alla circostanza esattamente contraria, ovvero che il pagamento fosse avvenuto senza alcun apporto dello Zu.Ma.
Così pronunciandosi, dunque, la Corte territoriale avrebbe affermato una decadenza dalla prova in relazione ad una circostanza fattuale mai dedotta, oltre che favorevole ad essa Ca.Ca.
In ogni caso, anche a ritenere che la declaratoria di decadenza abbia investito la prova che il pagamento avvenne senza l’apporto dello Zu.Ma., la decisione sarebbe egualmente censurabile.
Infatti, la ritenuta decadenza dalla prova ha investito, in violazione dell’art. 115 cod. proc. civ., “una circostanza da ritenersi pacifica per essere stata pacificamente riconosciuta dall’opposto appellato con la scrittura da esso prodotta datata 6 agosto 2002”; inoltre, tale pronuncia integrerebbe violazione delle norme – artt. 163, 167 e 184 cod. proc. civ. – “fondanti il sistema preclusivo assertivo e probatorio”, oltre che dei principi costituzionali del contraddittorio e della parità delle armi, giacché non terrebbe conto del fatto che l’opposizione ex art. 650 cod. proc. civ. da essa ricorrente proposta “non avrebbe mai potuto avere un contenuto di specifica contestazione del credito monitorio vantato”. E ciò perché “il decreto ingiuntivo era aspecifico”, non riproducendo il contenuto della scrittura del 5 dicembre 2002, ignoto, dunque, ad essa Ca.Ca. al momento della proposizione dell’opposizione, e tale rimasto anche successivamente, visto che alla prima udienza di comparizione parte opponente poteva prendere visione solo di una copia della stessa, depositata dall’opposto in sede di costituzione in giudizio.
Né, infine, la decadenza potrebbe giustificarsi in ragione del fatto che le allegazioni e deduzioni dell’opponente andassero formulate nella prima memoria ex art. 183 cod. proc. civ., “giacché riservata alla mera precisazione di domande e eccezioni”.
3.3. Il motivo indicato come n. 2) denuncia – ex art. 360, comma 1, n. 4), cod. proc. civ., “in relazione all’art. 112 cod. proc. civ.” – “omessa pronuncia sullo specifico secondo motivo di appello”, e “nullità del procedimento e conseguentemente della sentenza per violazione dell’art. 115 cod. proc. civ.”, oltre che “per erronea applicazione degli artt. 163, 167 e 184 cod. proc. civ. fondanti il sistema preclusivo assertivo e probatorio”, nonché “violazione degli artt. 24 e 111 Cost.”
Si censura, in questo caso, la decisione assunta dal giudice d’appello in merito al secondo motivo di gravame, con il quale era stato lamentato il fraintendimento e/o l’erronea valutazione del fatto – che si indica come pacifico tra le parti, giacché riconosciuto dallo Zu.Ma. nella memoria di replica – costituito dal pagamento di Euro 46.500,00, ad opera del già citato Saverio Mo.Sa., quale anticipo del prezzo di acquisto del “P”.
Orbene, la Corte felsinea non avrebbe preso “specifica posizione sul motivo”, giacché “lo rigettava per decadenza assertiva e probatoria”, così incorrendo “non solo negli stessi errori in cui era incorso il giudice di primo grado”, ma anche “nel vizio di omessa pronuncia”.
In particolare, in relazione al primo profilo di doglianza, la ricorrente propone censure analoghe a quelle oggetto del motivo 1-bis, evidenziando, anche in questo caso, come la ritenuta decadenza dalla prova abbia investito, in violazione dell’art. 115 cod. proc. civ., una circostanza riconosciuta dallo Zu.Ma.; inoltre, sussisterebbe violazione delle norme – artt. 163, 167 e 184 cod. proc. civ. – “fondanti il sistema preclusivo assertivo e probatorio”, oltre che dei principi costituzionali del contraddittorio e della parità delle armi, giacché la Corte territoriale non avrebbe tenuto conto, neppure in relazione alla decisione del secondo motivo di gravame, del fatto che l’opposizione ex art. 650 cod. proc. civ. da essa ricorrente proposta “non avrebbe mai potuto avere un contenuto di specifica contestazione del credito monitorio vantato”. E ciò perché “il decreto ingiuntivo era aspecifico”, non riproducendo il contenuto della scrittura del 5 dicembre 2002, ignoto, dunque, ad essa Ca.Ca. al momento della proposizione dell’opposizione, e tale rimasto anche successivamente, visto che alla prima udienza di comparizione parte opponente poteva prendere visione solo di una copia della stessa, depositata dall’opposto in sede di costituzione in giudizio.
Né, infine, la decadenza potrebbe giustificarsi in ragione del fatto che le allegazioni e deduzioni dell’opponente andassero formulate nella prima memoria ex art. 183 cod. proc. civ., “giacché riservata alla mera precisazione di domande e eccezioni”.
3.4. Il motivo indicato come n. 3) denuncia – ex art. 360, comma 1, n. 4), cod. proc. civ., “in relazione all’art. 112 cod. proc. civ.” – “omessa pronuncia sullo specifico terzo motivo di appello”, e “nullità del procedimento e conseguentemente della sentenza per violazione dell’art. 115 cod. proc. civ.”, oltre che “per erronea applicazione degli artt. 163, 167 e 184 cod. proc. civ. fondanti il sistema preclusivo assertivo e probatorio”, nonché “violazione degli artt. 24 e 111 Cost.”
Secondo la ricorrente, la Corte territoriale “respingeva il terzo motivo d’appello” – con il quale si era contestata la decisione del primo giudice di dichiarare tardive, perché compiute per la prima volta nella memoria istruttoria, le allegazioni di parte attrice in opposizione, volte a smentire la causale del credito restitutorio, risultante dalla dichiarazione a contenuto ricognitivo del 5 dicembre 2002 – “senza, tuttavia, prendere posizione sullo specifico contenuto” dello stesso.
Ribadisce, per contro, l’odierna ricorrente come i documenti prodotti provassero che le modalità di acquisto del “P” prescindevano da qualsiasi contributo dello Zu.Ma., così inficiando la causale risultante dalla dichiarazione posta a fondamento del ricorso monitorio, con superamento della presunzione da essa nascente, a norma dell’art. 1988 cod. civ., avendo il giudice di prime cure attribuito a tale dichiarazione natura di “atto ricognitivo”. Quanto, poi, alla tardività della loro produzione, si torna a sottolineare come in presenza di un decreto ingiuntivo “aspecifico”, anche “il contenuto del primo atto assertivo” di essa Ca.Ca. “non poteva che essere aspecifico”, giacché l’attrice in opposizione poteva “solo genericamente opporsi al decreto, al fine di evitarne il definitivo consolidamento degli effetti”. Vengono, pertanto, ribadite le censure di violazione dell’art. 115 cod. proc. civ., di erronea applicazione degli artt. 163, 167 e 184 cod. proc. civ. e di violazione degli artt. 24 e 111 Cost., già oggetto dei precedenti motivi.
3.5. Il motivo indicato come n. 4) denuncia – ex art. 360, comma 1, n. 4), cod. proc. civ. – “violazione degli artt. 24 e 111 Cost.”, in relazione alla decisione della Corte territoriale di rigettare il quarto motivo d’appello, che era stato “incentrato sulla “violazione del principio della verità materiale e del diritto ad una sentenza giusta””.
Si ribadisce come il regime delle preclusioni istruttorie non costituisca un carattere coessenziale al sistema processuale italiano (così da non ammettere alternative), ma soltanto una tecnica elaborata per assicurare il rispetto del contraddittorio, della parità delle parti nel processo e della durata ragionevole dello stesso, tecnica da contemperare con il principio della ricerca della verità materiale, non potendo mai andare a scapito di esso.
Nella specie, si sottolinea, il pieno rispetto di tale principio non avrebbe determinato alcuna compromissione né del fine della durata ragionevole del processo, né di quello della razionalità e organizzazione delle attività processuali, sottesi al sistema delle preclusioni (fini, semmai, messi in forse dalla condotta processuale dello Zu.Ma., avuto riguardo alla mancata tempestiva consegna dell’originale della scrittura ricognitiva e all’ampliamento delle causali della propria pretesa creditoria), né, tantomeno, dei diritti costituzionali dell’opposto.
3.6. Infine, il motivo indicato come n. 5) è prospettato ai sensi dell’art. 360, comma 1, n. 4), cod. proc. civ., articolandosi in sette profili di censura, tutti destinati ad investire l’affermazione della Corte territoriale secondo cui le preclusioni e decadenze, maturate a carico dell’attrice nel primo giudizio di opposizione a decreto ingiuntivo, si sono estese anche al secondo giudizio.
In particolare, si censura la sentenza:
a) per “error in procedendo”, per non aver applicato al caso di specie il principio giurisprudenziale, pacifico, secondo cui nell’opposizione a decreto ingiuntivo si attua un’inversione formale delle parti, per cui l’opponente è solo formalmente attore, mentre dal punto di vista sostanziale è convenuto;
b) per erronea estensione, nelle cause riunite, delle preclusioni maturate nel primo giudizio al secondo, e ciò “per insussistenza della ratio”. Invero, illustrando congiuntamente le due doglianze, l’odierna ricorrente osserva come nel caso in esame – nel quale essa ha solo subito una rinnovata iniziativa monitoria dello Zu.Ma., reagendovi – non vi sarebbe motivo alcuno di estendere la “ratio” sottesa al principio in forza del quale, chi faccia valere in un nuovo giudizio una pretesa avente il medesimo oggetto di altro già radicato, non può eludere le decadenze e preclusioni processuali ivi maturatesi;
c) per vizio di extrapetizione, ex art. 112 cod. proc. civ., per essersi il giudice d’appello pronunciato su un’eccezione – quella dell’estensione, da un giudizio all’altro, di decadenze e preclusioni processuali – non rilevabile d’ufficio, né comminata dalla legge, giacché solo frutto di un’interpretazione giurisprudenziale, oltre che tardivamente sollevata dall’opposto/appellato nella memoria istruttoria, ex art. 183 cod. proc. civ.;
d) per violazione degli artt. 101 cod. proc. civ., 24 e 111 Cost., in relazione al principio della verità materiale e del diritto ad una sentenza giusta, ribadendo la ricorrente di aver dimostrato l’inesistenza delle causali indicate nella scrittura del 5 dicembre 2002, sulla cui base erano stati emessi i provvedimenti monitori poi opposti, sicché l’accoglimento della pretesa creditoria dello Zu.Ma. si porrebbe in contrasto con le norme e principi suddetti;
e) per falsa applicazione del principio della autonomia dei giudizi nelle cause riunite, giacché esso – a dire della ricorrente – comportava “l’impossibilità di utilizzo del thema decidendum e probandum del secondo giudizio nel primo, ma non certo l’inutilizzabilità del materiale assertivo e probatorio del secondo”;
f) per violazione del principio processuale, che impone al giudice – nelle cause riunite, allo scopo di non favorire l’abuso dello strumento processuale e di non ledere il diritto di difesa della parte in cui favore sono maturate le preclusioni – di trattare soltanto la causa iniziata per prima, decidendo in base ai fatti tempestivamente allegati e al materiale istruttorio in essa raccolto, ma ciò solo ove il primo giudizio pervenga ad una decisione nel merito, qui insussistente, dal momento che il primo decreto ingiuntivo era stato dichiarato inefficace ai sensi dell’art. 188 disp. att. cod. proc. civ.;
g) per violazione degli artt. 101 e 115 cod. proc. civ., secondo cui il giudice deve decidere “iuxta alligata et probata”, nonché degli artt. 24 e 111 Cost., atteso che, nel ravvisare decadenza
assertiva e probatoria dell’odierna ricorrente, il giudice d’appello avrebbe privato l’odierna ricorrente della possibilità di difendersi.
4. Ha resistito all’avversaria impugnazione, con controricorso, lo Zu.Ma., chiedendo che la stessa sia dichiarata inammissibile o, comunque, rigettata.
5. La trattazione del ricorso è stata fissata ai sensi dell’art. 380-bis cod. proc. civ.
6. Il controricorrente ha presentato memoria.
7. Il Collegio si è riservato il deposito nei successivi sessanta giorni.
Riunione cause e Preclusioni maturate valgono solo per la prima
RAGIONI DELLA DECISIONE
8. Il ricorso va accolto, nei termini di seguito meglio precisati, ovvero in relazione all’ultimo motivo, quello indicato come n. 5).
8.1. Il motivo indicato come n. 1) è, infatti, inammissibile.
8.1.2. La ricorrente deduce che il primo motivo di gravame da essa proposto investiva non solo il rigetto della querela di falso, ma pure la reiezione dell’opposizione proposta avverso il secondo decreto ingiuntivo, lamentando, in particolare “l’omessa valutazione di due elementi di prova attestanti l’avvenuto pagamento della somma di Euro 371.120,00 senza l’apporto di Zu.Ma. Maurizio”. Orbene, il secondo di tali “elementi di prova” veniva (e viene) indicato dalla Ca.Ca. nella “scrittura privata 6 agosto 2002 allegata dall’opposto alla memoria ex art. 183, n. 3 del 5 settembre 2014”.
Tale scrittura, infatti, attesterebbe che ella:
– “ha chiesto un affidamento straordinario alla Banca d’Imola di Euro 371.120,00 per poter saldare il prezzo di acquisto dell’immobile”;
– “ha contestualmente chiesto alla Banca d’Imola un mutuo fondiario della durata di dieci anni per l’importo di Euro 400.000,00 per poter ripianare l’anticipazione”:
– “ha ottenuto dalla Banca d’Imola il finanziamento di Euro 371.120,00 (…) che ha immediatamente versato alla curatela fallimentare per il saldo del prezzo di aggiudicazione”.
La ricorrente lamenta – come detto – un’omissione di pronuncia, da parte del giudice d’appello, in relazione a tale censura “illo tempore” proposta.
Riunione cause e Preclusioni maturate valgono solo per la prima
8.1.2. Nondimeno, il presente motivo di ricorso non è svolto nel rispetto del requisito di ammissibilità di cui all’art. 366, comma 1, n. 6), cod. proc. civ.
Se è vero, infatti, che la sua illustrazione è avvenuta riproducendo, a pag. 23 del ricorso, il contenuto del motivo di gravame del quale è lamentata l’omessa pronuncia, tale condizione – sicuramente necessaria, ai fini del rispetto del requisito di ammissibilità di cui alla norma suddetta (cfr. Cass. Sez. 2, sent. 20 agosto 2015, n. 17049, Rv. 636133-01; in senso conforme, di recente, Cass. Sez. 3, ord. 7 giugno 2023, n. 16028, Rv. 667816-02) – non è, però, anche sufficiente. Difatti, tale adempimento è finalizzato a consentire a questa Corte – che in caso di denuncia di “errores in procedendo”, qual è quello presente, è pure giudice del “fatto processuale” (tra le molte, Cass. Sez. 3, ord. 3 novembre 2020, n. 24258, Rv. 659845-02) – di accedere agli atti del giudizio proprio per verificare l’effettiva ricorrenza del vizio denunciato, ciò che presuppone, pertanto, che l’atto, oltre a corrispondere sul piano contenutistico a quanto riportato in ricorso, possa effettivamente essere reperito tra quelli depositati dalla parte ricorrente a norma dell’art. 369, comma 2, n. 4), cod. proc. civ.
Orbene, nel presente caso, ciò non risulta invece avvenuto, perché l’atto di appello della Ca.Ca. – al pari di ogni altro, che pure si dice presente nel “Duplicato Fascicolo Telematico di 2 grado”, secondo quanto si legge a pag. 56 del ricorso in esame – non risulta, invece, essere stato prodotto, stando agli atti resi legittimamente accessibili al Collegio.
Riunione cause e Preclusioni maturate valgono solo per la prima
Di qui, pertanto, l’inammissibilità del motivo.
8.2. Dei restanti motivi di ricorso, questo Collegio reputa pregiudiziale l’esame di quello indicato come n. 5).
8.2.1. Infatti, esso – specialmente in relazione alle censure sub a), b) ed f) – mette in discussione, sul piano processuale e con considerazioni potenzialmente dirimenti, la decisione della Corte bolognese di ritenere che le preclusioni all’attività assertiva (e probatoria), maturate a carico della Ca.Ca. nel giudizio di opposizione al primo decreto ingiuntivo, dovessero valere anche nell’opposizione avverso il secondo decreto.
La ricorrente nega l’operatività – nel caso in esame – del principio per cui le decadenze processuali, verificatesi in un giudizio, non possono essere aggirate dalla parte che vi sia incorsa mediante l’introduzione di un secondo giudizio, identico al primo e a questo riunito. Invero, nell’ipotesi che occupa, il secondo giudizio – sottolinea la ricorrente – è stato, in realtà, instaurato dallo Zu.Ma. (attore in senso sostanziale) con l’ulteriore ricorso per ingiunzione, e ciò al fine di “neutralizzare” la dichiarazione di inefficacia, ex art. 188 disp. att. cod. proc. civ., del primo provvedimento monitorio, sicché l’odierna ricorrente assume non potersi addebitare ad essa la scelta di aver dato vita ad un giudizio identico al precedente, per eluderne le preclusioni. In ogni caso, poi, il principio al quale si è richiamata la sentenza impugnata non varrebbe allorché il primo giudizio (come nella specie) si concluda con una pronuncia in rito.
Riunione cause e Preclusioni maturate valgono solo per la prima
8.2.3. Il motivo è fondato, per quanto di ragione.
8.2.4. Nello scrutinarlo, deve muoversi dalla constatazione che questa Corte ha ripetutamente affermato il principio – al quale questo Collegio intende dare continuità – secondo cui le decadenze processuali, verificatesi nel giudizio di primo grado, “non possono essere aggirate dalla parte che vi sia incorsa mediante l’introduzione di un secondo giudizio identico al primo e a questo riunito, in quanto la riunione di cause identiche non realizza una vera e propria fusione dei procedimenti, tale da determinarne il concorso nella definizione dell’effettivo “thema decidendum et probandum”, restando anzi intatta l’autonomia di ciascuna causa”, sicché, in tale evenienza, “il giudice – in osservanza del principio del “ne bis in idem” e allo scopo di non favorire l’abuso dello strumento processuale e di non ledere il diritto di difesa della parte in cui favore sono maturate le preclusioni – deve trattare soltanto la causa iniziata per prima, decidendo in base ai fatti tempestivamente allegati e al materiale istruttorio in essa raccolto, salva l’eventualità che, non potendo tale causa condurre ad una pronuncia sul merito, venga meno l’impedimento alla trattazione della causa successivamente instaurata” (così Cass. Sez. 1, sent. 15 gennaio 2015, n. 567, Rv. 633952-01; in senso conforme Cass. Sez. 3, sent. 5 ottobre 2018, n. 24529, Rv. 651137-02; Cass. Sez. 2, ord. 14 luglio 2023, n. 20248, Rv. 668402-01).
L’indirizzo appena illustrato, dunque, esige che dei due giudizi venga trattato esclusivamente il primo (richiamandosi, difatti,
espressamente al principio del “ne bis in idem”), su tali basi giustificando l’operatività delle preclusioni già maturate nel primo, tanto da fare “salva l’eventualità che, non potendo tale causa condurre ad una pronuncia sul merito, venga meno l’impedimento alla trattazione di quella successivamente instaurata”.
Ciò detto, il caso che qui occupa presenta, però, una peculiarità, che lo contraddistingue e differenzia in modo significativo dagli altri in relazione ai quali sono intervenuti gli arresti sopra richiamati e tale da comportare la non operatività del principio “de quo”, richiamato nella sentenza impugnata.
Infatti, l’originario giudizio di opposizione promosso dalla Ca.Ca. (ovvero, quello instaurato a norma dell’art. 650 cod. proc. civ.) è stato definito in primo grado – dopo l’accoglimento del ricorso ex art. 188 dis. att. cod. proc. civ., volto alla declaratoria di inefficacia dell’opposto provvedimento monitorio – con una singolare, ma univoca, pronuncia di “non liquet”, essendosi affermato, da parte del Tribunale di Bologna, che “nulla” vi era “più da dire” in relazione ad esso.
Riunione cause e Preclusioni maturate valgono solo per la prima
Invero, la sentenza resa in prime cure – della quale questa Corte è legittimata a prendere visione, come detto, quale giudice del fatto processuale, stante la natura di “errores in procedendo” dei vizi denunciati pure con il motivo di ricorso qui in esame ed investendo le censure anche lo sviluppo proprio di quel grado di giudizio – premetteva che “la prima causa, iscritta a ruolo il 01 giugno 2011”, ovvero quella instaurata con l’opposizione ex art. 650 cod. proc. civ., aveva “ormai perso il suo oggetto”, e ciò perché “il decreto ingiuntivo opposto” risultava essere “stato dichiarato inefficace con ordinanza non impugnabile 9 novembre 2011 pronunciata in autonomo procedimento ex art. 188 dis. att. cod. proc. civ. promosso sempre dalla Signora Ca.Ca.”; su tali basi, dunque, essa – in dispositivo – nulla statuiva in merito a tale provvedimento, come viceversa
necessario, atteso che il decreto ingiuntivo può sopravvivere alla proposta opposizione soltanto in caso di rigetto integrale della stessa, ai sensi dell’art. 653 cod. proc. civ.
Difatti, se è vero che l’opposizione prevista dall’art. 645 cod. proc. civ. “non è una “actio nullitatis” o un’azione di impugnativa nei confronti dell’emessa ingiunzione, ma un ordinario giudizio sulla domanda del creditore che si svolge in prosecuzione del procedimento monitorio, non quale giudizio autonomo, ma come fase ulteriore – anche se eventuale – del procedimento iniziato con il ricorso per ottenere il decreto ingiuntivo” (cfr., da ultimo, Cass. Sez. Un., sent. 13 gennaio 2022, n. 927, Rv. 663586-02), in caso di duplicazione di iniziative ex art. 633 cod. proc. civ., ognuna di essa deve pervenire ad una sua propria definizione, e non, invece, conoscere – per così dire – una mera “sublimazione”; e anche la prima opposizione aveva ritualmente introdotto il giudizio sul merito della pretesa avanzata col monitorio, ad una pronuncia sul quale il giudice era sempre tenuto a giungere.
Ne consegue che, avendo ambo i giudici di merito mostrato, nella sostanza, di ritenere pendente un solo giudizio di opposizione, e cioè quello successivamente instaurato (tra l’altro, all’evidente scopo di neutralizzare il nuovo provvedimento monitorio, del quale lo Zu.Ma. si era munito proprio a seguito dell’accoglimento del ricorso ex art. 188 disp. att. cod. proc. civ. proposto dalla Ca.Ca. avverso il precedente), essi hanno evidentemente trattato la prima opposizione come se non fosse mai esistita. E, tuttavia, minimali esigenze di coerenza argomentativa imponevano allora di non estendere a quello che, in definitiva, era pur sempre stato concepito come il solo giudizio pendente, le preclusioni maturate in relazione al primo, rimasto – come detto – privo di alcuna definizione. L’estensione dell’operatività nel secondo giudizio delle preclusioni maturate nel primo, presuppone, cioè, che quest’ultimo sia effettivamente trattato, ad evitare che a trasmettersi all’altro sia anche lo scorretto risultato della singolare decisione di non liquet adottata, in un modo o nell’altro (e, del resto, senza impugnazione di alcuno degli interessati sul punto), a definizione del primo.
8.2.5. Il motivo, dunque, in questi termini va accolto, con assorbimento dei restanti, siccome tutti relativi al merito della vicenda, da riesaminarsi alla stregua delle attività assertive ed istruttorie malamente reputate precluse: e la sentenza impugnata va cassata in relazione, con rinvio alla Corte d’Appello di Bologna, in diversa composizione, anche per la liquidazione delle spese di lite, ivi comprese quelle del presente giudizio di legittimità.
Riunione cause e Preclusioni maturate valgono solo per la prima
P.Q.M.
La Corte dichiara inammissibile il motivo indicato sub 1) del ricorso, accoglie, per quanto di ragione, quello indicato sub 5) e dichiara assorbiti i restanti, cassando in relazione la sentenza impugnata e rinviando alla Corte d’Appello di Bologna, in diversa composizione, per la decisione di merito, oltre che per la liquidazione delle spese di lite, ivi comprese quelle del presente giudizio di legittimità.
Così deciso in Roma, all’esito dell’adunanza camerale della Sezione Terza Civile della Corte di Cassazione, svoltasi il 2 ottobre 2024.
Depositato in Cancelleria il 27 gennaio 2025.
In caso di diffusione omettere le generalità e gli altri dati identificativi dei soggetti interessati nei termini indicati.
Le sentenze sono di pubblico dominio.
La diffusione dei provvedimenti giurisdizionali “costituisce fonte preziosa per lo studio e l’accrescimento della cultura giuridica e strumento indispensabile di controllo da parte dei cittadini dell’esercizio del potere giurisdizionale”.
Benchè le linee guida in materia di trattamento di dati personali nella riproduzione di provvedimenti giurisdizionali per finalità di informazione giuridica non richiedano espressamente l’anonimizzazione sistematica di tutti i provvedimenti, e solo quando espressamente le sentenze lo prevedono, si possono segnalare anomalie, richiedere oscuramenti e rimozioni, suggerire nuove funzionalità tramite l’indirizzo e-mail info@studiodisa.it, e, si provvederà immediatamente alla rimozione dei dati sensibili se per mero errore non sono stati automaticamente oscurati.
Il presente blog non è, non vuole essere, né potrà mai essere un’alternativa alle soluzioni professionali presenti sul mercato. Essendo aperta alla contribuzione di tutti, non si può garantire l’esattezza dei dati ottenuti che l’utente è sempre tenuto a verificare.
Leave a Reply