La Corte di Cassazione, con l’Ordinanza civile n. 13377 del 20 maggio 2025, ha chiarito che la richiesta di rimessione in pristino dello stato dei luoghi non è un elemento sufficiente per qualificare automaticamente un’azione come di natura reale (cioè basata su un diritto di proprietà o altro diritto reale). La Corte ha precisato che la rimessione in pristino può essere intesa anche come una richiesta di risarcimento del danno in forma specifica. Di conseguenza, il giudice deve esaminare l’intera domanda giudiziale e il contesto fattuale per determinare la corretta natura dell’azione, senza fermarsi alla mera formulazione della richiesta di ripristino.
Corte di Cassazione, civile, Ordinanza|20 maggio 2025| n. 13377.
Rimessione in pristino non sempre quale azione reale
Massima: La domanda di rimessione in pristino dello stato dei luoghi non costituisce elemento dal quale debba automaticamente desumersi la natura reale dell’azione proposta, dato che quella può essere configurata come richiesta di risarcimento del danno mediante reintegrazione in forma specifica.
Ordinanza|20 maggio 2025| n. 13377. Rimessione in pristino non sempre quale azione reale
Integrale
Tag/parola chiave: Risarcimento del danno – Risarcimento in forma specifica azione di riduzione in pristino – Natura reale – Automaticità – Esclusione – Reintegrazione in forma specifica – Configurabilità – Sussistenza.
REPUBBLICA ITALIANA
LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE
SEZIONE TERZA CIVILE
Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:
Dott. TRAVAGLINO Giacomo – Presidente
Dott. FIECCONI Francesca – Consigliere
Dott. GIANNITI Pasquale – Consigliere
Dott. VALLE Cristiano – Consigliere Rel.
Dott. SPAZIANI Paolo – Consigliere
ha pronunciato la seguente
ORDINANZA
sul ricorso iscritto al n. 5200/2021 R.G. proposto da:
Op.Si., Az.Sh., elettivamente domiciliati in ROMA alla via CA.MA., presso l’avvocato CU.VI. (Omissis) che li rappresenta e difende unitamente all’avvocato NA.VI. (Omissis), domiciliati digitalmente per legge
– ricorrenti –
contro
Sc.Ci. quale vedova di Za.Ma., St.Gi., Mo.Gi., Mo.Ug., Ga.Ma., Br.Ma. quale erede di Gu.Ca., Di.Pi. quale erede di Vi.At., Ri.Ra., Vi.Fa. quale erede di De.Gr., Ma.Ro. e Ca.Ca., elettivamente domiciliati in ROMA alla via De.BA., presso l’avvocato BA.FA. (Omissis) rappresentati e difesi dall’avvocato DE.SA. (Omissis), domiciliati digitalmente per legge
– controricorrenti –
nonchè contro
Ca.Gi., Ca.Al., Ma.Va., Na.In., Co.Ca., Ru.Cl.
– intimati –
avverso la SENTENZA della CORTE D’APPELLO di GENOVA n. 1218/2020 depositata il 18/12/2020.
Udita la relazione svolta, nella camera di consiglio del 3/03/2025, dal Consigliere relatore Cristiano Valle.
Rimessione in pristino non sempre quale azione reale
FATTI DI CAUSA
Za.Ma. e altri condomini dello stabile sito in Genova, alla via (Omissis), nell’anno 2013 agirono in giudizio nei confronti di Op.Si., dopo avere esperito un accertamento tecnico preventivo nell’anno 2011, al fine di ottenere la rimessione in pristino dell’impianto fognario che transitava per l’immobile dell’Op.Si., consistente in due locali, contrassegnato dal civico (Omissis) della stessa via (Omissis), poiché nel caso di pioggia l’androne e le scale condominiali erano invase da acque bianche e nere rivenienti dai pozzetti di raccolta situati nei fondi condominiali, con conseguenti danni.
Op.Si. si costituiva in giudizio ed era autorizzato alla chiamata di Ca.Gi., già proprietario dell’immobile in oggetto, in quanto asserito materiale esecutore delle modifiche.
Ca.Gi. si costituiva in giudizio, a seguito della chiamata in causa, contestando il presupposto della propria responsabilità ed era a sua volta autorizzato a chiamare in causa l’architetto Ca.Al. in quanto lo riteneva a sua volta responsabile dei lavori eseguiti.
Il Ca.Al. non si costituiva in causa ed era pertanto, dichiarato contumace in data 9/01/2014.
Il Tribunale riuniva al processo incardinato dallo Za.Ma. e altri quello proposto da altri due condomini, St.Gi. e Gu.Ca. (recante RG n. 12888/13).
Il Tribunale ammetteva, quindi, la consulenza tecnica di ufficio e espletava le prove per testi e all’esito dell’istruttoria, con la sentenza 3592/2016 del 25/11/2016, rigettava la domanda.
Avverso la pronuncia del primo giudice proponevano appello Za.Ma., Mo.Gi., Mo.Ug., Ga.Ma., Vi.At., Ri.Ra., De.Gr., Ma.Ro., Ca.Ca., e Na.In. nonché St.Gi. e Gu.Ca., deducendo – quale primo motivo d’appello – la errata qualificazione dell’azione proposta, quale azione di risarcimento del danno anziché riduzione in pristino; quale secondo motivo la illogicità ed erroneità della sentenza laddove questa ravvisava una carenza probatoria che non consentiva di individuare il soggetto legittimato passivo.
Con comparsa di costituzione e risposta del 19/09/2017, contenente appello incidentale, Op.Si. e Az.Sh. si costituivano in fase d’impugnazione, contestando l’appello avversario e chiedevano alla Corte territoriale di provvedere alla correzione dell’errore materiale contenuto nel capo della sentenza in cui il Tribunale aveva condannato in solido “Za.Ma… a rimborsare a Za.Ma. e Az.Sh. le spese di lite…” anziché a “Op.Si. e Az.Sh.”.
L’appello incidentale proposto da quest’ultima era volto a censurare la parte della sentenza laddove questa disponeva la condanna della stessa in solido con Za.Ma. a rimborsare a Ca.Gi. le spese di lite.
Con comparsa di costituzione e risposta del 18/09/2017 si costituiva pure in fase d’impugnazione Ca.Gi., contestando l’appello formulato e chiedendo la declaratoria di inammissibilità della impugnazione e, comunque, la sua reiezione.
La Corte d’Appello di Genova dichiarava la contumacia del Ca.Al., disponendo inoltre l’integrazione del contraddittorio nei confronti dei condomini non appellanti Co.Ca., Ma.Va. e Ru.Cl., ed autorizzava inoltre la notifica degli appelli incidentali. I predetti Co.Ca., Ma.Va. e Ru.Cl. erano quindi, successivamente, dichiarati contumaci.
La Corte d’Appello di Genova, con sentenza n. 1218 del 18/12/2020 accoglieva l’impugnazione con il seguente dispositivo:
“In accoglimento dell’appello proposto da Ca.Gi., Mo.Ug., Ga.Ma., Gu.Ca., Vi.At., Ri.Ra., De.Gr., Ma.Ro., Ca.Ca. e Na.In. ed in riforma della sentenza impugnata, dichiara che gli allagamenti delle parti comuni del condominio sito in G, Via (Omissis), sono conseguenza delle modificazioni operate all’impianto fognario all’interno del civico (Omissis) di Via (Omissis); condanna Op.Si. e Az.Sh. alla corresponsione in favore degli appellanti Za.Ma., St.Gi., Mo.Gi., Mo.Ug., Ga.Ma., Gu.Ca., Vi.At., Ri.Ra., De.Gr., Ma.Ro., Ca.Ca. e Na.In., delle seguenti somme: Euro 14.400,00, oltre interessi legali dalla domanda al saldo, quale importo equivalente al costo di rimessione in pristino, relativamente al procedimento di accertamento tecnico preventivo, Euro 3.917,68 per il compenso del consulente tecnico di parte, Euro 3.020,55 per spese legali, oltre alle somme liquidate dal Tribunale e corrisposte al consulente tecnico di ufficio. Pone le spese di ctu di primo grado, come già liquidate, definitivamente a carico degli appellati Simone Op.Si. e Az.Sh. Condanna Op.Si. e Az.Sh. alla refusione delle spese di lite in favore degli appellanti, che liquida: quanto al giudizio di primo grado in Euro 4835,00 per competenze, oltre spese di iscrizione a ruolo e notificazione, spese forfettizzate, IVA e CPA, e quanto al giudizio di secondo grado in Euro 3.777,00 per competenze, oltre spese di iscrizione a ruolo e notificazione, spese forfetizzate; IVA e CPA. Condanna Op.Si. e Az.Sh. alla refusione delle spese di lite in favore di Ca.Gi. che liquida quanto al giudizio di primo grado in Euro 4.835,00 per competenze, oltre spese forfettizzate, IVA e CPA, e quanto al giudizio di secondo grado in Euro 3.777,00 per competenze, oltre spese forfetizzate, IVA e CPA. Nulla per le spese di Ca.Al., Co.Ca., Ma.Va. e Ru.Cl.”
Avverso la detta sentenza propongono ricorso per cassazione, con atto affidato a quattro motivi, Simone Op.Si. e Az.Sh.
Rispondono con un unico controricorso, che contesta i motivi di pertinenza dei controcorrenti condomini Cinzia Sciaccaluga vedova di Za.Ma., St.Gi., Mo.Gi., Mo.Ug., Ga.Ma., Br.Ma. quale erede di Gu.Ca., Di.Pi. quale erede di Vi.At., Ri.Ra., Vi.Fa. quale erede di De.Gr., Ma.Ro. e Ca.Ca.
Sono rimasti intimati Ca.Al., Ma.Va., Na.In., Ca.Gi., Co.Ca., Ru.Cl.
Il Procuratore generale non ha presentato conclusioni.
I ricorrenti e i controricorrenti hanno depositato memoria per l’adunanza camerale del 3/03/2025, alla quale il ricorso è stato trattenuto per la decisone e il Collegio ha riservato il deposito del provvedimento nel termine di sessanta giorni.
Rimessione in pristino non sempre quale azione reale
RAGIONI DELLA DECISIONE
I motivi di ricorso sono i seguenti.
I) violazione e (o) falsa applicazione dell’art. 2043 c.c. per avere la Corte d’Appello accolto la domanda senza che vi fosse prova di dolo o colpa in capo all’Op.Si. e alla di lui madre e pur dopo che il capo di sentenza di primo grado che aveva escluso l’applicabilità dell’art. 2051 c.c. era passato in giudicato per mancata impugnazione.
II) violazione e falsa applicazione degli artt. 2043 e 2058 c.c. per avere la Corte territoriale condannato al pagamento di una somma che era necessaria per l’espletamento dei lavori di rimozione degli intoppi nella conduttura, così erroneamente individuando il contenuto dell’obbligazione risarcitoria nascente dal fatto illecito con la somma che il responsabile doveva sopportare per reintegrare il danno in forma specifica.
III) violazione e falsa applicazione degli artt. 106 e 112 c.p.c. per mancata pronuncia sulla domanda di manleva avanzata nei confronti del Ca.Gi.
IV) violazione e falsa applicazione dell’art. 96 c.p.c. in relazione all’art. 360, primo comma, nn. 3 e 4, per avere la Corte d’Appello ritenuto di condannare Az.Sh. a rifondere le spese di lite a Ca.Gi., senza alcuna coerente ragione.
Il primo motivo è infondato, sulla base della consulenza tecnica di ufficio, alla quale non risulta che i convenuti, poi appellati, avessero mosso contestazioni o note tecniche critiche nelle competenti fasi di merito, la Corte d’Appello ha accolto la domanda di rimessione in pristino nei confronti dei proprietari dell’immobile, ossia l’Op.Si. prima e la Az.Sh. successivamente, alla quale il figlio aveva trasferito il detto bene, poiché essi, che pur erano a conoscenza dello stato del bene, suscettibile di dare luogo ai dedotti fenomeni di allagamento, non avevano provveduto, nei periodi di rispettiva titolarità della situazione dominicale, a rimuovere le cause del mancato regolare deflusso delle acque. L’azione è stata correttamente inquadrata dalla Corte territoriale nel paradigma normativo dell’art. 2043 c.c. e questa Corte (Cass. n. 2306 del 11/05/1978 Rv. 391709-01) ha, peraltro, già in passato, con orientamento che in questa sede si intende ribadire, affermato che la domanda di rimessione in pristino dello stato dei luoghi non costituisce un elemento dal quale debba necessariamente dedursi la natura reale dell’azione proposta, potendo essa essere interpretata come richiesta di risarcimento del danno mediante reintegrazione in forma specifica. La dedotta, dai controricorrenti, preclusione da giudicato, per avere il Tribunale di Genova rigettato la domanda inquadrandola ai sensi dell’art. 2051 c.c. non ha efficacia preclusiva ai fini dell’accoglimento dell’azione nel prisma della norma generale sull’illecito extracontrattuale atteso che (Cass. n. 31330 del 10/11/2023 Rv. 669467-01) la detta qualificazione operata dal giudice di primo grado non ha condizionato l’indagine, limitandola, nei gradi di merito (secondo la richiamata pronuncia, invero, il giudicato si forma anche sulla qualificazione giuridica data dal giudice alla domanda se la parte interessata non ha proposto specifica impugnazione, salvo i casi in cui tale qualificazione o non ha condizionato l’impostazione e la definizione dell’indagine di merito, o è incompatibile con le censure formulate dall’appellante, o non ha formato oggetto di contestazione tra le parti, o quando si tratti soltanto di stabilire, fermi i fatti accertati, quale norma debba applicarsi ad una determinata fattispecie concreta.).
Rimessione in pristino non sempre quale azione reale
Il secondo motivo è pure esso infondato.
La somma al cui pagamento sono stati condannati l’Op.Si. e la Az.Sh. da parte della Corte territoriale, così come quantificata sulla base della consulenza tecnico legale di ufficio, era quella ritenuta necessaria, per effettuare i lavori di rimessione in pristino delle condutture, che era quanto era stato chiesto ritualmente dallo Za.Ma. e dagli altri condomini, nell’atto di citazione in primo grado, dinanzi al Tribunale di Genova, ossia di rimessione in pristino e di rimborso delle spese sostenute dai condomini, come riportato dalla sentenza impugnata, alla pag. 5.
Il terzo motivo è infondato. Il vizio di omessa pronuncia, come da costante giurisprudenza di questa Corte (nel cui ambito più recente si veda Cass. n. 27551 del 23/10/2024 Rv. 672731-01), ricorre allorquando il giudice ometta completamente di adottare un qualsiasi provvedimento, anche solo implicito di accoglimento o di rigetto ma comunque indispensabile per la soluzione del caso concreto, sulla domanda o sull’eccezione sottoposta al suo esame, mentre il vizio di omessa motivazione, dopo la riformulazione dell’art. 360, primo comma, n. 5, c.p.c., presuppone che un esame della questione oggetto di doglianza vi sia stato, ma sia affetto dalla totale pretermissione di uno specifico fatto storico oppure si sia tradotto nella mancanza assoluta di motivazione, nella motivazione apparente, nella motivazione perplessa o incomprensibile o nel contrasto irriducibile tra affermazioni inconciliabili.
Nella specie la domanda di manleva proposta dall’Op.Si. e dalla Az.Sh. nei confronti del Ca.Gi. e da questi estesa al Ca.Al. è stata rigettata, dai giudici dell’appello, per carenza di prova su chi avesse posto in essere i lavoro, se il precedente proprietario o altri, sulla base della stessa consulenza tecnica di ufficio, espletata in primo grado e alla quale, come già scritto, non sono stati mossi rilievi critici, cosicché il vizio dedotto con il terzo motivo di ricorso non si è concretizzato, in quanto vi è stata pronuncia esplicita di rigetto, per carenza di prova dell’addebitabilità di quanto accaduto all’opera di soggetti diversi dall’Op.Si. e dalla Az.Sh.
Il quarto motivo, vertente sulle spese di lite delle fasi di merito, è infondato, poiché la sentenza d’appello è conforme a diritto avendo essa posto le spese di entrambi i gradi di giudizio a carico degli unici soggetti ritenuti responsabili, e quindi soccombenti rispetto alla domanda originariamente posta in primo grado, quantomeno a titolo omissivo, ossia l’Opezzi e la Az.Sh., con assorbimento, con riferimento a quest’ultima, della chiesta correzione dell’errore materiale poiché la sentenza d’appello riforma del tutto quella di primo grado, con eliminazione della condanna in favore della Az.Sh. e non avendo la Corte d’Appello in alcun moto ritenuto ascrivibile la causa degli allagamenti al Ca.Gi. o al Ca.Al., cosicché la proprietaria dell’immobile doveva ritenersi soccombente anche nei confronti del Ca.Gi.
Rimessione in pristino non sempre quale azione reale
Secondo la giurisprudenza di questa Corte (Cass. n. 16526 del 13/06/2024 Rv. 671298-03; Cass. n. 14916 del 13/07/2020 Rv. 658671-01) il potere del giudice d’appello di procedere d’ufficio ad un nuovo regolamento delle spese processuali, quale conseguenza della pronunzia di merito adottata, sussiste in caso di riforma in tutto o in parte della sentenza impugnata, poiché gli oneri della lite devono essere ripartiti in ragione del suo esito complessivo, mentre in caso di conferma della sentenza impugnata, la decisione sulle spese può essere modificata dal giudice del gravame soltanto se il relativo capo della sentenza abbia costituito oggetto di specifico motivo d’impugnazione.
Il ricorso è, in conclusione, infondato ed è, pertanto, rigettato.
Le spese di lite di questa fase del giudizio seguono l’integrale soccombenza dei ricorrenti e, tenuto conto dell’attività processuale espletata in relazione al valore della controversia, sono liquidate come da dispositivo in favore dei controricorrenti.
Nulla per le spese nei confronti di Ca.Al., Ma.Va., Na.In., Ca.Gi., Co.Ca. e Ru.Cl., i quali non hanno svolto attività difensiva.
La decisione di rigetto del ricorso comporta che deve darsi atto, ai sensi dell’art. 13 comma 1-quater del D.P.R. n. 115 del 2002, della sussistenza dei presupposti processuali per il versamento, da parte dei ricorrenti e in favore del competente Ufficio di merito, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello per il ricorso, a norma del comma 1-bis, dello stesso articolo 13, se dovuto.
Rimessione in pristino non sempre quale azione reale
P.Q.M.
La Corte rigetta il ricorso.
Condanna i ricorrenti al pagamento, in favore dei controricorrenti, delle spese del giudizio di legittimità, che liquida in Euro 2.850,00 per compensi, oltre alle spese forfettarie nella misura del 15 per cento, agli esborsi liquidati in Euro 200,00, ed agli accessori di legge.
Ai sensi dell’art. 13 comma 1-quater del D.P.R. n. 115 del 2002, dà atto della sussistenza dei presupposti processuali per il versamento, da parte dei ricorrenti e in favore del competente Ufficio di merito, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello per il ricorso, a norma del comma 1-bis, dello stesso articolo 13, se dovuto.
Così deciso in Roma nella camera di consiglio della Corte di cassazione, Sezione Terza civile, il giorno 3 marzo 2025.
Depositata in Cancellaria il 20 maggio 2025.
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